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un confronto tra la casistica ossequentiana e alcune occorrenze analoghe in altri autori.

6. Alcune considerazioni generali sulla deformità prodigiosa.

Non sfugge l’ampia messe di occorrenze, rinvenute nelle varie fonti, che riguardano eventi prodigiosi. Ma soprattutto non passa inosservata l’attenzione che Giulio Ossequente dedica alla mostruosità, come è immediatamente visibile considerando, in proporzione, la frequenza dei passi tratti dal Prodigiorum liber -che è di fatto un libretto di piccole dimensioni- in raffronto con quelli provenienti dalle altre opere. Ossequente prodigiografo è dunque un compilatore diligente e puntuale, ma è legittimo ipotizzare che anche Livio (come conferma il confronto, laddove sia possibile effettuarlo) registrasse in modo scrupoloso le sollecitazioni che colpivano l’emotività dei Romani e suscitavano in loro quei sentimenti legati all’incertezza e alla paura per il futuro che la superstizione cavalcava e potenziava ulteriormente attraverso l’intervento “professionale”, e dunque incontestabile, dei ministri esperti nell’interpretazione dei portenti, nella decodificazione del volere degli dei in essi criptato, e nella decisione dei rituali, spesso feroci, cui sottoporre gli individui loro malgrado colpiti da qualche anomalia. Riguardo alla

262 Con sicurezza Mastandrea e Gusso affermano che «il prodigio vuole indicare andamento favorevole dei

raccolti, poiché la donna da cui fuoriesce il grano equivarrebbe alla terra fecondata» MASTANDREA -GUSSO

(2005),p. 226, n. 4, seguendo l’intuizione di ROSENBERGER (1998), pp. 1174-175; manifesta maggiore

prudenza Tixi affermando che «il prodigium sembra segno di fertilità» TIXI -ROCCA (2017), p. 97, n. 296. 263 A questa analisi si dedicherà infatti il capitolo IX, paragrafo 5, specificamente dedicato a questo caso. 264 Al capitolo X, paragrafo 4, sezione dedicata ad Ulisse Aldrovandi e al suo studio già più volte

rilevanza sociale degli eventi prodigiosi, Livio però afferma come la superstizione collettiva fosse scemata nel periodo storico in cui viveva.

Non sum nescius ab eadem neclegentia quia nihil deos portendere vulgo nunc credant, neque nuntiari admodum ulla prodigia in publicum, <ne>que in annales referri. (Livio, Ab Urbe condita 43, 13, 1)

Non sono ignaro del fatto che, a causa di quello stesso disinteresse, visto che oggi comunemente sono convinti che gli dei non diano alcun messaggio, né alcun prodigio viene più annunciato all’autorità pubblica né viene riportato negli annali. Sembra quasi di intravedere un qualche rammarico nel notare che non solo non si prestasse più attenzione ai fatti mirabili265, passando sotto silenzio nella comunicazione

pubblica la notizia degli eventi anomali che accadevano, ma non si ritenesse nemmeno più opportuno -scelta grave e irresponsabile- consegnare di essi una testimonianza agli annali; al contrario di quanto accadeva nel tempo passato, quando le anomalie ritenute temibili e nefaste erano numerose, e puntuali erano le cerimonie di espiazione.

Ancora una volta percorrendo le fonti, anche in modo cursorio, si riconosce un altro elemento fortemente ricorsivo, ossia il fatto che per un altissimo numero di casi il protagonista sia un neonato. Non è difficile comprendere quanto questo fosse inevitabile: i soggetti più controllati e più colpiti dalle procurationes erano i nuovi componenti della società, ossia i bambini, sui quali si operava una selezione feroce e capillare nel momento stesso in cui si accingevano a diventare parte integrante di una comunità, in virtù del fatto che il loro nuovo arrivo si prestasse a essere un recente messaggio da parte degli dei266.

265 Per la grande valenza di tale passo in relazione al significato attribuito ai prodigi, esso si recupererà,

evincendone per un’ultima volta alcuni spunti di riflessione, in sede conclusiva di questo studio.

266 Ma non solo: ogni momento della vita individuale o collettiva che fosse pericoloso o cruciale, o che si

sottraesse per sua natura dal controllo umano, è stato sovente investito di significati metafisici sia per auspicarne la buona riuscita sia per scongiurarne l’esito infausto; ma, oltre a questo aspetto per così dire apotropaico, convergeva su questo tema una serie di elementi, raccolti dal mito o dai racconti del folklore, tali da costituire un immaginario variegato e spesso iperbolico. Il tema sarebbe vasto e meriterebbe uno spazio più ampio di quanto non possa avere in questa sede, ma un esempio di tali Leitmotiv coagulati intorno al momento della nascita riguarda la capacità, prodigiosa anch’essa, di generare a età precocissime: una selezione minima di tali occorrenze può comprendere Flegonte di Tralle (Περὶ ϑαυμασίων 33) che riferisce di una città in cui le donne sono in grado di partorire a soli sei anni, Solino (Collectanea rerum

memorabilium 52.31) che riporta racconti su una stirpe in cui le donne concepiscano addirittura a cinque

anni per poi concludere il loro ciclo vitale a otto, ma anche Plinio il Vecchio (Naturalis historia 7,2,29) che parla di bambine settenni che diventano madri e che a quaranta sono donne ormai vecchie. È evidente che racconti come questi e come altri analoghi riguardano fatti che potevano essere ritenuti prodigiosi tanto quanto gli altri qui presenti, ma visto che normalmente rappresentano una tipologia di meraviglioso

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In alcune circostanze, quindi, quando un nuovo nato aveva fattezze anomale o innaturali, il terrore che serpeggiava era motivato non tanto dalla percezione della difformità in sé, o men che meno dalla pena per la creatura, ma dalla paura della contaminazione prima della cellula sociale minima poi dell’intero organismo sociale267. E quando, come spesso

accadeva, la mostruosità umana era solo uno degli eventi portentosi accaduti simultaneamente, l’effetto a catena inevitabile portava a potenziare l’orrore in modo incontrollabile. Anche Lucano, pur in altro contesto, si fa portatore di un accenno a questa

escalation: tra molti e orrendi prodigia, presenta proprio l’esempio della mostruosità

aberrante costituita dalla nascita di un bambino con fattezze anomale, e non risparmia di descrivere in poche ma efficaci parole sia le caratteristiche aberranti sia l’effetto sulla madre.

[…] monstrosique hominum partus numeroque modoque

membrorum, matremque suus conterruit infans (Lucano, Pharsalia 1, 562-563)

[…] e di uomini parti mostruosi per numero e per forma delle membra, e i propri figli neonati terrorizzavano le loro madri.

Come si percepisce da questo breve riferimento tratto dall’epica lucanea, il tema della mostruosità è destinato a restare controverso ancora a lungo, anche durante il principato e l’età imperiale.

Un passo di Tibullo sembra per esempio indicare che al suo tempo non sia ancora stata dimenticata la consuetudine di annegare gli individui anormali.

[…] Sed tu iam mitis, Apollo

prodigia indomitis merge sub aequoribus et succensa sacris crepitet bene laurea flammis,

omine quo felix et sacer annus erit. (Tibullo, Elegiae 2, 5, 79)

[…] Ma tu, ormai pacificato, Apollo, sommergi sotto gli indomiti flutti i prodigi, e l’alloro acceso sulle sacre fiamme crepiti bene, e con questo buon auspicio l’anno prosegua in buona fortuna e a te propizio.

percepita indirettamente e soprattutto collocata in luoghi esotici e rispondenti a leggi di natura “altre” rispetto a quelle del mondo di cui ha esperienza chi fruisce dell’opera, si è scelto, come puntualizzato già dalle prime fasi del nostro studio, di non inserirle nel catalogo dei prodigia analizzato in questa sede.

267 Come i λοιμοί delle superstizioni arcaiche, anche una nascita anomala fa parte dei segni indicatori di

una maledizione divina rivelandosi sia il risultato sia il sintomo di essa: DELCOURT (1938),p. 52.Il bambino deforme è infatti una fonte di contaminazione pericolosa che bisogna allontanare al più presto.

Anche in questo carme, nell’elencare i numerosi rituali propiziatori per scongiurare il malaugurio e per assicurarsi fertilità e felicità, inserisce un invito preciso a prodigia

mergere: per quanto l’autore non si esprima esplicitamente in merito alla soppressione di monstra umani, non sfugge certamente il ricorso a una formula ben nota a Ossequente

che, soprattutto a causa della sua ricorsività, lascia vivo il sospetto che si trattasse di un tecnicismo del linguaggio magico-sacrale.

È Svetonio a raccontare il rapporto, ambiguo e non del tutto coerente che Augusto aveva con gli esseri prodigiosi. In un passo afferma che ne subisse un certo timore.

Nam pumilos atque distortos et omnes generis eiusdem, ut ludibria naturae malique ominis abhorrebat. (Svetonio, Vita Divi Augusti 83)

Infatti aveva avversione per i nani e gli storpi e tutti gli individui di quella tipologia, come fossero scherzi di natura e di cattivo auspicio.

E in un altro luogo dimostra invece una certa attratta curiosità per loro.

Postea nihil sane praeterquam adulescentulum Lycium honeste natum exhibuit, tantum ut ostenderet, quod erat bipedali minor, librarum septemdecim ac vocis immensae. (Svetonio, Vita Divi Augusti 43)

Poi non fece fare nessuna esibizione, tranne il giovinetto Licio, di buona famiglia, soltanto per mostrarlo, poiché era più basso di due piedi, pesava diciassette libbre, ma aveva una voce straordinaria.

Non si può non notare in primis la discontinuità nell’atteggiamento di Augusto, che contemporaneamente si tiene lontano con sdegno dai prodigia potenzialmente malauguranti ma poi cede al vezzo di avere un nano di corte, secondo l’uso invalso in alcune famiglie ricche e potenti come a maggior ragione quella imperiale, di acquistare presso i mercanti di schiavi individui deformi per il diletto proprio e degli ospiti, e con la presenza di un vero mercato di bambini e di prodigia diretto da mangones senza scrupoli e ad uso e consumo degli uomini più ricchi ed eccentrici268, Ma in seconda battuta è bene

notare una duplice interessante testimonianza dalle parole di Svetonio: che questa credulità superstiziosa esisteva anche negli strati alti della società fino all’età imperiale, facendo comprendere come la credenza nel fatto che ogni anomalia fisica fosse da

268 Un’interessante riflessione si può trovare in Delcourt (1938), p. 61 che mostra una particolare attenzione

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ritenersi latrice anche di effetti negativi sulla comunità -collegamento tanto irrazionale quanto purtroppo duro a morire per molti secoli- non appartenesse solo agli incolti ma fosse ben saldamente radicata nella cultura da tutti condivisa; e che non tutti i deformi venivano soppressi alla nascita, mostrando una falla nel meccanico nesso di consequenzialità tra rinvenimento di un essere mostruoso e sua soppressione. Una prima incrinatura, ma destinata a creare uno squarcio notevole in tale automatismo.

In conclusione, forse vale la pena di dedicare attenzione a un passo di una certa estensione ma ugualmente rilevante, tratto dal De civitate Dei di Agostino.

Qualis autem ratio redditur de monstrosis apud nos hominum partubus, talis de monstrosis quibusdam gentibus reddi potest. Deus enim creator est omnium, qui ubi et quando creari quid oporteat uel oportuerit, ipse novit, sciens universitatis pulchritudinem quarum partium uel similitudine uel diversitate contexat. Sed qui totum inspicere non potest, tamquam deformitate partis offenditur, quoniam cui congruat et quo referatur ignorat. Pluribus quam quinis digitis in manibus et pedibus nasci homines novimus; et haec levior est quam ulla distantia; sed tamen absit, ut quis ita desipiat, ut existimet in numero humanorum digitorum errasse Creatorem, quamvis nesciens cur hoc fecerit. Ita etsi maior diversitas oriatur, scit ille quid egerit, cuius opera iuste nemo reprehendit. Apud Hipponem Zaritum est homo quasi lunatas habens plantas et in eis binos tantummodo digitos, similes et manus. Si aliqua gens talis esset, illi curiosae atque mirabili adderetur historiae. […] Ante annos aliquot, nostra certe memoria, in Oriente duplex homo natus est superioribus membris, inferioribus simplex. Nam duo erant capita, duo pectora, quattuor manus, venter autem unus, et pedes duo, sicut uni homini; et tamdiu vixit, ut multos ad eum videndum fama contraheret. Quis autem omnes commemorare possit humanos fetus longe dissimiles his, ex quibus eos natos esse certissimum est? Sicut ergo haec ex illo uno negari non possunt originem ducere, ita quaecumque gentes in diversitatibus corporum ab usitato naturae cursu, quem plures et prope omnes tenent, velut exorbitasse traduntur, si definitione illa includuntur, ut rationalia animalia sint atque mortalia, ab eodem ipso uno primo patre omnium stirpem trahere confitendum est […]. Sed si homines sunt, de quibus illa mira conscripta sunt: quid, si propterea Deus voluit etiam nonnullas gentes ita creare, ne in his monstris, quae apud nos oportet ex hominibus nasci, eius

sapientiam, qua naturam fingit humanam, velut artem cuiuspiam minus perfecti opificis, putaremus errasse? Non itaque nobis videri debet absurdum, ut, quem ad modum in singulis quibusque gentibus quaedam monstra sunt hominum, ita in universo genere humano quaedam monstra sint gentium. Quapropter ut istam quaestionem pedetemtim cauteque concludam: aut illa, quae talia de quibusdam gentibus scripta sunt, omnino nulla sunt; aut si sunt, homines non sunt; aut ex Adam sunt, si homines sunt (Agostino, De civitate Dei 16,8)

E la motivazione che viene data da parte nostra ai parti umani mostruosi è la stessa che si può dare ad alcuni popoli mostruosi. Dio infatti è creatore di tutti quanti, lui che sa dove e quando è opportuno o era opportuno che una creatura sia creata, poiché conosce l’armonia di tutto, con la somiglianza o la dissimiglianza delle cui parti tesse la sua trama. Ma chi non è in grado di vedere tutto il disegno, è turbato da quella che gli appare una deformità di una parte, poiché non sa con cosa si conforma e a cosa è riferita. Sappiamo che nascono persone con più di cinque dita nella mani e nei piedi, e questa è una deformità più lieve di qualsiasi altra; tuttavia lungi da noi che qualcuno sia così sciocco, da pensare che il Creatore ha sbagliato a contare le dita umane, anche se non sappiamo perché l’abbia fatto. E così, anche nel caso in cui si verifichi una più marcata difformità, egli sa che cosa ha fatto, e di lui nessuno a buon diritto può criticare le opere. Nei pressi di Ippona Diarrite c’è un uomo che ha le piante dei piedi per così dire lunate e in queste ci sono solo due dita, e simili sono anche le mani. Se ci fosse un popolo dello stesso tipo, si aggiungerebbe a quella curiosa e meravigliosa narrazione. […] Qualche anno prima, ma sicuramente a memoria d’uomo, in Oriente nacque un uomo duplice nella parte superiore del corpo, semplice nella parte inferiore. Infatti aveva due teste, due toraci, quattro mani, ma un solo ventre, e due piedi, così come ci sono in un solo individuo; e visse tanto a lungo che la sua fama spingeva molti a radunarsi per visitarlo. Chi infatti riuscirebbe a ricordare tutti i feti umani di gran lunga dissimili da quelli da cui è certissimo che essi siano nati? Come dunque non si può negare che questi esseri traggano origine da quel famoso primo uomo, così tutti i popoli che si dice siano per così dire usciti fuori dal genere naturale consueto, che la maggior parte o quasi tutti mantengono, per le diversità dei loro

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corpi, se vengono inclusi in quella definizione secondo la quale sono esseri viventi razionai e mortali, bisogna ammettere che traggono la loro stirpe da quel medesimo e solo primo padre di tutti. […] Ma se sono uomini quelli di cui sono state scritte queste cose prodigiose, che dire, se Dio ha voluto creare anche alcune genti in questo modo, perché noi non pensassimo che, in questi esseri mostruosi che è devono nascere tra di noi da persone normali, la sua saggezza, con la quale plasma la natura umana, ha sbagliato come la tecnica di un artigiano poco esperto? Allora non deve sembrarci assurdo che, nel modo in cui in tutti i popoli singolarmente ci sono degli uomini mostruosi, alla stessa maniera in tutto quanto il genere umano ci sono alcuni esempi di genti mostruose. Perciò, per concludere questo discorso con prudenza e con cautela: o le cose simili che sono state scritte di alcuni popoli non sono affatto vere, oppure se lo sono, non sono uomini; o se sono uomini, discendono da Adamo.

In una lunga e ben articolata descrizione269, Agostino inquadra nel disegno divino la

presenza di singoli individui o di intere popolazioni difformi dalla norma, prendendo in considerazione molte tipologie di anomalia fisica; tra esse, rispetto ai popoli nel loro complesso difformi, sembrano essere più interessanti le deformità di singoli individui, che presentano maggiore attinenza con i casi di anomalia fisica di cui si è trattato finora. La lunghissima rassegna si snoda attraverso una riflessione, naturalmente in chiave cristiana, sulla diversità: in questa prospettiva va perdendosi il messaggio di malaugurio intimamente connesso con l’anomalia, come pure la sua funzione di manifestazione della volontà o dello stato d’animo della divinità. Il monstrum, dunque, per il cristiano non

monstrat. Anzi, viene offerta di questo tema una spiegazione coerente al pensiero

dell’autore e ci viene consegnata una chiosa (ammesso che si possa porre un punto fermo al tema della mostruosità, giacché esso è destinato a seguire ininterrottamente lo sviluppo

269 Dalla quale sono stati eliminati i riferimenti a uno specifico tipo di mostruosità, quella afferente alla

sfera sessuale, protagonista come anticipato altrove di una sezione distinta di questo studio, oltre che alcuni passaggi meno indispensabili in questa sede. In modo coerente con la suddivisione già puntualizzata e mantenuta in tutto il resto della ricerca, infatti, si sceglie di dedicare alle anomalie riferite all’identità di genere, particolarmente frequenti così come assai in grado di colpire il sentire comune, un posto riservato e un’attenzione specifica. Pertanto in questa sede, dedicata alle anomalie riguardanti in generale le fattezze del corpo, si è deliberatamente scelto di non trattare i paragrafi che troveranno uno spazio particolare proprio nei capitoli VI e VII dedicati all’androginia.

dell’essere umano lungo la storia) che riesce in qualche modo a inserire armonicamente nella perfezione del piano di Dio anche gli individui per eccellenza imperfetti.

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Capitolo VI