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Alcuni studiosi, già dalla seconda metà del XIX secolo, si sono occupati di indagare il

Prodigiorum liber per il suo carattere di epitome ponendolo naturalmente in confronto da

un lato con la fonte Livio e dall’altro lato con gli autori tardi che composero compendi46.

La critica, specialmente tedesca, di quei decenni si è molto dedicata alla questione della “Livius-Epitome” soprattutto con Barthold Georg Niebhur47, il quale dichiara

perentoriamente che tutti i compendi liviani (Eutropio, le Periochae, il Liber di Ossequente e il Chronicon di Cassiodoro) dovevano derivare da una fonte comune, cioè un’epitome a noi non pervenuta redatta intorno alla metà del I secolo; il problema diventa ancora più complesso all’inizio del Novecento quando viene scoperto il papiro di Ossirinco48 che contiene una nuova epitome di Livio.

Lo studio filologico sul testo di Ossequente tra Ottocento e Novecento si connette dunque indissolubilmente con l’analisi del suo contesto storico e coi rapporti di derivazione dalla fonte liviana. Fondamentale in questo senso è l’edizione di metà Ottocento curata da Otto Jahn49 e arricchita dal contributo di Theodor Mommsen50, che unisce le Periochae

dell’opera di Livio con il Prodigiorum liber non solo per ragioni editoriali, ma per sottolineare quanto il resoconto storico liviano si sia prestato in antichità a essere compendiato, commentato o sottoposto a manipolazioni talora strumentali del testo originale. Partendo di qui, nei primi decenni del Novecento si susseguono alcuni studi

46 Un utile contributo per il quadro generale in merito al genere dell’epitome e del breviario è il recente

volume HORSTER -REITZ (2010), nel quale si trova spazio per approfondire diverse questioni non solo in merito a fonti e destinatari delle opere coinvolte nel processo di condensazione, ma anche alla natura del processo medesimo e al contesto socioculturale di riferimento. Non è ancora invece possibile accedere alla raccolta, attualmente in corso di stampa, degli atti del convegno del 3-5 maggio 2017 a Lione (Epitome.

Abreger les textes antiques), a cura di D. Vallat.

47NIEBHUR (1846/48), pp. 58 e segg.

48 P.Oxy. 668 = Pap. Soc. Ital. 1291; NHLL 5, §464: si tratta di un papiro scoperto nel 1903 e pubblicato

da B. P. Grenfell e A. S. Hunt l’anno successivo; benché il testo possa essere letto solo in forma frammentaria, si può riconoscervi un’epitome liviana verosimilmente piuttosto vasta.

49JAHN (1853). 50MOMMSEN (1853).

che si occupano di rilevare il ruolo non secondario di Giulio Ossequente fra gli epitomatori di Livio: Clifford Herschel Moore51 mette in evidenza la funzione che

l’epitome di Ossirinco ebbe nella compilazione del catalogo di Ossequente, in particolare nell’inserimento di alcuni specifici riferimenti storici che si suppone l’autore non abbia estratto direttamente dalla fonte primaria. Tre contributi di Marco Galdi52 negli anni Venti

e Trenta sono dedicati proprio allo studio dei numerosi autori che scrissero compendi del testo liviano: partendo dalla considerazione generale che l’epitome risultava specialmente -ma non solo- in età tarda uno strumento proficuo per accostarsi a un testo di ampio respiro come l’Ab Urbe condita, Galdi passa in rassegna una pluralità di autori che rielaborarono la storia di Roma liviana in forme letterarie diverse, in prosa o in versi, attraverso diversi compendi, per sommari o sintesi, mettendo in evidenza aspetti via via utili o interessanti per il pubblico cui tali compendi erano diretti; fra questi prodotti si mette in luce il catalogo dei prodigi pubblicato da Giulio Ossequente, che secondo Galdi, come anche per Alfred Klotz53, derivava direttamente dal testo di Livio e non utilizzava

un’epitome intermedia, come proverebbero le aderenze ad verbum all’Ab Urbe condita, meglio comprensibili se non si ipotizzano passaggi intermedi tra la fonte e il Liber. Come già accennato, negli anni ’60 del secolo scorso anche Peter Lebrecht Schmidt54

riprende in due importanti contributi l’idea che il Prodigiorum liber sia stato redatto attingendo le notizie direttamente dall’archetipo liviano senza epitomi intermedie, e da questo inferisce l’ipotetica datazione del Liber a inizio V sec. Inoltre, facendo affidamento sulla diretta derivazione di un testo dall’altro, ritiene che si possa condurre una riflessione di carattere squisitamente filologico su alcuni punti corrotti o mal conservati tanto dell’opera di Ossequente quanto di quella di Livio e provare a risanarli attraverso un confronto reciproco55. Riferiti al bacino di epitomi liviane sono, casomai,

secondo Schmidt, i cenni al contesto storico a cui sono blandamente ancorati i singoli

prodigia. Un’ultima e piuttosto recente analisi dello studioso tedesco, facendo riferimento

all’ipotesi di Moore, tenta un nuovo inquadramento del complesso problema del rapporto

51MOORE (1904), pp. 247 e segg.

52GALDI (1922), GALDI (1933) e GALDI (1934). 53 KLOTZ (1927), pp. 828 e segg.

54SCHMIDT (1968) e SCHMIDT (1968/1969). 55 In particolare SCHMIDT (1968), pp. 727 e segg.

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tra Livio e le fonti da lui derivate o a lui collegate, ponendo Ossequente in una relazione di derivazione indiretta da Livio56.

Poco più di dieci anni dopo questi studi, Luigi Bessone57 riprende il tema

dell’epitomazione all’Ab Urbe condita mostrandosi nettamente convinto che epitomi dell’opera di Livio fossero state realizzate già pochi decenni dopo la morte dell’autore, poiché il testo liviano era tanto insostituibile per ricchezza e precisione quanto accessibile solo a pochi a causa della mole che lo rendeva costoso da riprodurre e arduo da consultare, perlomeno sino al passaggio, probabilmente documentato da Marziale, dal volumen al

codex58; in questo quadro si colloca l’analisi dell’opera di Giulio Ossequente59, a

conclusione della quale Bessone si mostra convinto -diversamente da Schmidt- che l’autore del Liber non avrebbe lavorato sull’opera completa ma su fonti intermedie. Lungi dal considerare voluta la sintesi scarna e schematica del testo di Ossequente, più di una volta lo studioso mostra una certa diffidenza verso l’operazione di sintesi e rielaborazione realizzata dall’autore sulle fonti, e ritiene di ravvisare alcune sviste soprattutto di carattere cronologico, manifestando, sulla linea di alcuni studi di un secolo prima60, una globale

sfiducia nelle qualità letterarie di Ossequente. Un contributo di pochi anni successivo è fornito da Reinhart Herzog61 il quale, nel manuale edito con Peter Lebrecht Schmidt, si

occupa della tradizione epitomatoria liviana e propone una breve lettura delle sue opere di compendio e delle Periochae62, nella quale si mette in luce il ruolo di Giulio

Ossequente, rappresentante tardo e interessato selettivamente ai mirabilia63.

56 SCHMIDT (1993), p. 200. 57BESSONE (1982).

58 Le dimensioni dell’opera, infatti, lo rendevano ancora, probabilmente, un impegno oneroso

economicamente ma la nuova forma giovava molto a una agevole fruizione, come si legge in Marziale,

Epigrammata 14,190: Pellibus exiguis artatur Livius ingens, / quem mea non totum bibliotheca capit (il

ponderoso Livio è racchiuso in esigue pergamene, lui che tutto quanto la mia biblioteca non riesce a contenerlo).

59 In particolare la riflessione sul rapporto che il Prodigiorum liber mostrerebbe di aver avuto con la fonte

primaria liviana, con le altre epitomi che noi possiamo almeno in parte leggere (Cassiodoro e il papiro di Ossirinco soprattutto) e con altri compendi che non ci sono pervenuti e che potrebbero aver costituito un ponte tra Livio e il prodigiografo.

60 Cf. fra gli altri SEECK (1885), WÜLKER (1903) e LUTERBACHER (1904). 61 HERZOG (1989).

62 Su questo argomento torna in un recente contributo BESSONE (2015).

63 Una utile riflessione sulle fonti di Girolamo assegna un ruolo non secondario all’analisi di alcun eventi

Il rapporto fra Ossequente e Cassiodoro è stato studiato recentemente da Michael P. Klaassen64 il quale, in una tesi di Dottorato, riconosce nel Prodigiorum liber una

conferma del fatto che, perlomeno per le informazioni sui consoli in carica e le liste di magistrati, esistevano delle fonti intermedie di ampiezza significativa65, che non solo

Ossequente ma anche Cassiodoro avrebbe utilizzato. L’approfondita indagine di Klaassen non si radica esclusivamente su elementi di tipo contenutistico ma anche su una serrata comparazione formale tra le fonti che, pur da epoche diverse, tramandano informazioni analoghe (solo per menzionarne alcune: Aufidio Basso per quanto può essere letto nei frammenti e per quanto si ritiene di intravedere come ispirazione di Cassiodoro, il Papiro di Ossirinco, Eutropio, oltre naturalmente a Cassiodoro stesso e Ossequente); sono presi in considerazione elementi di carattere grammaticale-filologico sulle desinenze dei nomi dei consoli, informazioni tratte dal raffronto tra i manoscritti, addirittura alcuni errori di tipo storico. L’opinione dello studioso, sulla linea di considerazioni già presenti nella critica precedente, anzitutto Mommsen66 ma anche Schmidt67, è che vi sia uno stretto

rapporto tra Cassiodoro e Ossequente (oltre che talora col Papiro di Ossirinco)provato dalle stringenti somiglianze lessicali fra le due opere, anche in opposizione a quanto talvolta espresso in Livio, e che vi sia almeno una fonte comune, non pervenutaci, forse derivata da un’epitome di Livio. Non solo: il tentativo di Klaassen, dopo un attento confronto di somiglianze e differenze tra le ricorrenze dei nomi dei consoli che si susseguirono negli anni presenti nelle opere di Ossequente, Cassiodoro e nel Papiro, e una scrupolosa rassegna della critica precedente sulla questione delle fonti, è quello di disegnare uno stemma in cui si ipotizza proprio la presenza di epitomi e compendi intermedi rispetto alla fonte originale. La particolarità dello studio di Klaassen è proprio l’accurato lavoro d’indagine filologica sui nomi dei consoli eponimi, reso ancor più complesso dal fatto che circolavano dozzine di liste consolari nella tarda antichità, tutte perlopiù simili, anche se non tutte redatte con la stessa cura; è allora sulle piccole e rare differenze che si àncora il tentativo di rilevare i rapporti di derivazione. In particolare dal

64KLAASSEN (2011).

65 Suggerisce l’esistenza di liste consolari e compendi, ormai perduti, che raccoglievano i nomi dei consoli

e alcune informazioni estratte da Livio e da altre fonti storiografiche.

66MOMMSEN (1853). 67 SCHMIDT (1968).

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confronto si può capire che Cassiodoro, Ossequente e il Papiro di Ossirinco sono collegati, soprattutto per tre errori, presenti in tutte e solo in queste fonti, che dimosterebbero l’interrelazione tra loro68.

Recente è anche il contributo di Caroline Février69, che si inserisce in questo dibattito

partendo da una analisi della relazione fra gli Annales maximi e l’Ab Urbe condita: la studiosa70 sviluppa anche una riflessione sul Prodigiorum liber che ovviamente si

distanzia da Livio per stile e per obiettivi espositivi, ma evidenzia una certa fedeltà alla fonte, poiché gli eventi descritti aderiscono in modo piuttosto scrupoloso, pur nella sintesi, al resoconto storico liviano71 nella scelta dei contenuti e nella disposizione degli

eventi; la presenza, tuttavia, di alcune discrasie lascia ipotizzare per la trama degli avvenimenti l’utilizzo di una fonte intermedia, che in questi punti mostrerebbe discordanza rispetto alla cronologia liviana.

Un momento di sintesi e di chiarificazione su questo intricato problema, precedente di qualche anno, è rappresentato dall’introduzione di Mastandrea72 alla traduzione

dell’opera: anch’egli riconosce in ciascuna sezione del Prodigiorum liber un nucleo centrale, che narra l'evento prodigioso e la lustratio, derivato direttamente da Livio (e quindi trasversalmente dagli annales maximi che sarebbero la fonte diretta dell'Ab Urbe

condita) e una contestualizzazione storica del prodigium, data dall'indicazione della

coppia dei consoli nominati per l'anno in corso all'inizio di ogni capitolo e da alcune essenziali notizie di carattere storico, verosimilmente derivata da un'epitome intermedia che avrebbe poi generato il compendio di Cassiodoro e il Papiro di Ossirinco. Alle stesse considerazioni giunge anche Mariella Tixi nella recentissima traduzione commentata del

Prodigiorum liber73.

68 Si tratta in particolare dell’errata interpretazione di un nome, dell’inversione di due coppie di consoli

rispetto all’ordine di Livio, del diverso praenomen attribuito a un console.

69FÉVRIER (2010).

70 Dopo aver messo in evidenza l’appartenenza a un analogo genere letterario, la Février ipotizza un

rapporto di derivazione di Ossequente dalle pubblicazioni pontificali e dagli archivi decemvirali, attraverso la mediazione di fonti cronachistiche non pervenuteci e talvolta tra loro discordanti.

71 E qui la studiosa recupera in qualche misura la posizione di SCHMIDT (1968). 72MASTANDREA -GUSSO (2005).

73 TIXI -ROCCA (2017).Le autrici di questo studio, come anticipato, accolgono in molti punti le conclusioni

alle quali giunge Paolo Mastandrea, riconoscendo nella sua sintesi un valido quadro su Ossequente che i contributi di ricerca più recenti non hanno nella sostanza superato.

La relazione tra Ossequente e le fonti in qualche misura analoghe è stata studiata anche negli anni ’80 del secolo scorso da Miguel Villena Ponsoda e Ángel Ramón Padilla Arroba74 , i quali osservano però la questione da una diversa prospettiva: mettono in

evidenza in particolare la differenza tra Ossequente e gli autori precedenti che si occupano di prodigi, in particolare ovviamente Livio75, ma anche Plutarco, Cicerone e Cassio

Dione; nelle loro opere infatti si selezionano alcuni fatti mirabili funzionali e in stretta connessione con un evento concreto, soprattutto di carattere politico o sociale, mentre Ossequente procede in un resoconto dettagliato di un numero sorprendentemente alto di

prodigia descritti con la puntualità dell’annalistica tradizionale; certo, correttamente e

precisamente inquadrati nel contesto storico-politico di riferimento, ma del tutto protagonisti della narrazione e non immersi in un racconto storiografico.