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L’espressione della prodigialità: analisi onomasiologica.

2. Il monstrum prodigioso I monstra all’interno dell’opera di Ossequente.

In questa prospettiva, il fondamento su cui si poggia ogni altra riflessione sui casi evidenziati da Giulio Ossequente e dagli altri autori a lui raffrontati è che qualsiasi irregolarità -come si avrà modo di ripetere in più d’una occasione- era potenzialmente ritenuta monstruosa nel senso proprio del termine, e proprio nel suo significato di monito rappresentava la collera degli dei. Le divinità agivano modificando, o trasformando radicalmente, l’aspetto consueto dell’uomo o la naturalità della procreazione, tanto che era possibile riscontrare differenti fattispecie di eventi prodigiosi che, proprio per la loro varietà ed enigmaticità, andavano decodificati da ministri del culto esperti in questa indagine. Se è dunque possibile individuare due macroaree in cui la anormalità umana si esprime, esse sono costituite dalle varie forme di disordine nelle nascite e nella dismorfia fisica umana: in entrambe le possibilità, si nota come cruciale fosse il momento della nascita, nel quale era indispensabile sorvegliare le anomalie, che dunque si presentavano «o come nascite scarse o abortive, o come nascite che violano le regole naturali della specie»146.

Eva Cantarella147 riferendosi a un cruciale passo di Dionigi di Alicarnasso148 in cui

l’autore definisce un uomo dalle fattezze anomale ἀνάπηρον ἢ τέρας, aggiunge una nuova questione, in merito a che cosa si configurasse come mostruoso: recupera il pensiero di Vico149 secondo il quale il diritto romano arcaico non si riferiva ai neonati fisicamente

dismorfici, ma ipotizzava che per ἀνάπηρον ἢ τέρας s’intendesse, metaforicamente, il frutto mostruoso di mostruosità civili, cioè un figlio concepito al di fuori del matrimonio. Tuttavia non è forse utile limitarsi a quest’unica interpretazione -per così dire- sociale e familiare, poiché se è vero che dei figli illegittimi ci si sbarazzava con una certa facilità per intervento diretto della volontà del pater familias150, probabilmente erano considerati

146BETTINI (2009), p, 212.

147 Che si dedica con interesse a questo tema soprattutto in CANTARELLA (1991), p. 282.

148 Si tratta di Dionigi di Alicarnasso, Ῥωμαικὴ ἀρχαιολογία 2,15,2, che per la sua rilevanza soprattutto

nella riflessione giuridica sulla mostruosità, verrà analizzato nel dettaglio e confrontato con altre fonti nel capitolo VIII, paragrafo 2.

149 G. B. Vico, Scienza Nuova, II, 2.6: «si dicon mostri i parti nati da meretrice; perc’ hanno natura d’uomini

insieme, e propietà di bestie d’esser nati da’ vagabondi, o sieno incerti concubiti; i quali truoveremo esser’i mostri, i quali la Legge delle XII Tavole, nati da donna onesta senza la solennità delle nozze, comandava, che si gittassero in Tevere». Sull’interpretazione del passo di Vico, si rinvia a MAROI (1925), pp. 453 e

segg. e, più recentemente, MONACO (2011), p. 399 e PADOVAN (2015), p. 37.

150 Nell’ambito dell’approfondimento degli aspetti giuridici collegati alla tematica della prodigiosità, si avrà

mostruosi o prodigiosi nel senso stretto del termine quei neonati «la cui deformità era tale da indurre a considerarli prodigi funesti (prodigia mala). Qualcosa di diverso, dunque, dai neonati deformi di cui parla Cicerone, quando riferisce la regola secondo la quale l’insignis ad deformitatem puer doveva essere ucciso»151. A partire dall’interpretazione

vichiana, Maroi152 ha ripercorso il significato di monstrum nei documenti a partire dall’età

romana arcaica e ha concluso che se in epoca classica si definiva in questo modo chi avesse difformità fisiche, in età regia se ne estendeva l’accezione a chi fosse caratterizzato da «anomalie o tare, non soltanto fisiche, ma anche mistiche, alle quali si attribuiva, secondo le credenze dell’epoca, il valore di presagi, di rivelazioni derivanti dal mondo dell’invisibile»153 -tra le quali, oltre alle malformazioni, anche altri eventi non mostruosi

come una nascita avvenuta in un dies nefas o da una vestale, ma anche il parto gemellare o la posizione inconsueta del neonato154- in grado di contaminare non solo la famiglia

nella quale erano venuti al mondo ma anche la comunità di cui avrebbero fatto parte; sarebbe questo il motivo per il quale, secondo lo studioso, i vicini sarebbero stati coinvolti nella decisione, perché anche loro in qualche modo coinvolti dalla minaccia.

Una sintesi convincente è quella proposta da Padovan, cioè che non sia significativo cercare una discrepanza qualitativa tra il monstrum arcaico portatore di un messaggio sovrumano e monstrum classico caratterizzato da difformità fisica, ma piuttosto sia interessante notare come cambi l’attenzione dello ius civile in relazione al fenomeno: «nel periodo arcaico, si guarderebbe al monstrum in termini religiosi, come accadimento che

presenza sia in assenza di prole mostruosa. Si rinvia pertanto alle puntualizzazioni presentate come commento ai testi all’interno del capitolo VIII.

151 CANTARELLA (1991), p. 282. Il punto è complesso e cruciale al contempo. Proprio in ragione di tale

complessità, nel capitolo VIII già menzionato si cercherà di condurre una riflessione il più puntuale possibile a partire dalle fonti letterarie e giuridiche che si occupano di individuare le caratteristiche per le quali considerare un individuo prodigioso, a partire dall’età repubblicana che, per tramite di Livio, Ossequente descrive, sino a provare a seguirne lo sviluppo nelle fonti giuridiche laddove si abbiano a disposizione.

152 MAROI (1925), pp. 659 e segg. 153 MAROI (1925), p. 663.

154 Anche se questa casistica così dettagliata non è condivisa da tutti gli studiosi, per esempio in MONACO

(2011), p. 401 si eccepisce che non vi siano sufficienti risultanze dai documenti di carattere giuridico che confermino questa ipotesi, visto che le fonti a nostra disposizione non solo sono scarse ma non forniscano una dettagliata descrizione delle fattispecie umane ritenute mostruose. Certo è che le procurationes menzionate da Ossequente, oltre che la catalogazione stessa come prodigia, di alcuni casi elencati da Maroi, per esempio i parti gemellari, avvalorerebbero l’ipotesi che non solo la deformità severa fosse definita

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impone di ristabilire la pax deorum violata, e le disposizioni giuridiche sarebbero a ciò vocate; in epoca classica, invece, del parto deforme si occupa la giurisprudenza in modo laico e razionale, concentrandosi sui requisiti del nato per essere homo e protagonista del

ius personarum»155.

Nel ricercare il nesso originario tra il significato attribuito alla mostruosità e i rituali, prima magico-sacrali poi giuridici, che gli uomini hanno ideato per gestirla, può essere interessante considerare l’ipotesi proposta ancora da Miriam Padovan che riconosce una medesima area semantica per i termini homo e humus: l’homo sarebbe la creatura deputata a vivere sulla terra, a differenza degli dei, poiché terrena è la sostanza che costituisce tutti gli individui e che ne connota l’identità156. E questo fondamento culturale lascia tracce in

molti rituali che, pur radicati in un passato remoto, tuttavia rimangono vivi per molti secoli, come quelli legati alla famiglia e in particolare alla vita e alla morte: alla nascita il bambino viene poggiato al suolo, come se da Madre Terra fosse stato generato, per poi essere accolto nella comunità dei vivi attraverso il gesto del tollere liberos da parte del

pater familias, mentre al momento della morte ugualmente il cadavere viene posto a terra,

come a restituirlo alla sua destinazione in conclusione del ciclo biologico durante il quale dalla terra stessa è stato nutrito e preservato. In effetti sembrano evidenti le tracce, pur filtrate dal tempo e da una cultura progressivamente più convenzionale, di un legame forte tra la persona e la «Terra Madre, divinità ambivalente perché al contempo rappresenta una potenza e il sepolcro di tutto, principio e fine dell’uomo»157.

Ebbene, in questo quadro culturale che sembra porre il focus molto indietro nella storia di Roma, si inserisce con coerenza il trattamento riservato agli individui mostruosi: se è vero che essi sono creature soprannaturali e non umane, portatrici di un messaggio infausto da parte degli dei, il loro corpo -anch’esso non simile a quello degli altri uomini, e quindi di altra natura, mezzo di trasmissione del messaggio, cui non deve essere riservata l’empatia che lega gli uomini- non deve venire a contatto con la Terra per non contaminarla, ma deve essere eliminato per altro verso. Si spiegherebbe così l’attenzione

155 PADOVAN (2015), p. 39, in conformità con quanto affermato già in PÉTER (2001), pp. 210 e segg, e in

MONACO (2011), pp. 405 e segg. Si desidera puntualizzare nuovamente che si accoglie in questa sede la riflessione di Miriam Padovan in relazione ai suoi aspetti meno tecnicamente giuridici anche se questo è il taglio del suo studio: talune riflessioni, tuttavia, acquisendo un respiro più ampio, paiono utili nel profilo d’indagine più generale che si sta qui tracciando.

156 Si rinvia a PADOVAN (2015), pp. 51-53, facendo riferimento alla bibliografia ivi citata. 157 PADOVAN (2015), p. 52.

che veniva posta affinché le creature umane prodigiose non toccassero il suolo ma, assolto il loro compito di ammonimento, fossero soppresse con annegamento nelle profondità delle acque correnti o, più di rado, fossero spinte in aria come fumo morendo sul rogo. L’eliminazione dei nati deformi non risponderebbe affatto a principi eugenetici158 ma alla

convinzione che essi non facciano parte per natura al mondo umano, convinzione che rimane nella giurisprudenza, come si può osservare dalle fonti, e notando che «erano fuori dal diritto gli animali subumani e gli dei, ma anche gli esseri gravemente deformi, i nati da donna che mancassero di forme umane o presentassero irregolarità»159 ritenute

eccessivamente esorbitanti rispetto alla struttura normale.

È opportuno che, alla luce di queste considerazioni, si ritorni al testo di riferimento da cui prende il via l’analisi del dismorfismo prodigioso che stiamo per iniziare. Nel

Prodigiorum liber di Giulio Ossequente vengono presentati numerosi casi di individui

portentosi, la maggioranza dei quali è connotata da difformità fisica, ma non solo: alcuni soggetti sono mostruosi, altri fanno cose mostruose160; non si può fare a meno di notare

allora come anche nel mondo romano repubblicano, evoluto e razionale, caratterizzato da un avanzatissimo progresso nei confronti di molte civiltà vicine geograficamente e cronologicamente, non si sia affatto emancipati da quella prospettiva superstiziosa che attribuiva alla mostruosità una specifica valenza religiosa. Non è qui certo la sede per addentrarsi in una spinosa digressione che voglia individuare la posizione di Ossequente in merito a questo aspetto161, anche perché l’autore propone una rassegna snella ed

essenziale, legata ai meri fatti catalogati e sguarnita di qualsiasi commento (così come l’opera stessa presto rimase sprovvista di una prefazione che indichi metodi e obiettivi

158 Miriam Padovan, nelle pagine cui si sta facendo riferimento, ricorda che invece inBAUD (1993) si

afferma che la soppressione dei monstra sarebbe effettuata per ragioni eugenetiche.

159 MONACO (2011), p. 409.

160 Come emergerà dai capitoli IV e VI che passano in rassegna i casi di anomalia rilevati in Ossequente

(rispettivamente prendendo in esame la mostruosità fisica e l’androginia, che nella casistica ossequentiana è la tipologia di anomalia di gran lunga più frequente) e poi dai capitoli V e VII che invece mettono in relazione le occorrenze del Prodigiorum liber con altri eventi prodigiali riportati da fonti diverse, come verrà ulteriormente precisato.

161 Questione che ha interessato antichi e moderni, soprattutto in relazione all’opera di Orosio che pare

distinguersi da Ossequente per il retroterra di rifermento, cristiano l’uno, molto probabilmente pagano l’altro: qualche accenno sul quadro culturale, pur dubbio per molte ragioni a causa della difficoltà di datazione per Ossequente, è stato proposto al capitolo II, paragrafo 4.

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dell’opera162); tuttavia, l’accezione di mostruosa prodigiosità a cui Ossequente si allinea,

seguendo Livio, fa sì che l’individuo portentoso venga mostrato come non-umano, ma come un prodotto collaterale della comunicazione con gli dei, e che questa caratteristica determini non solo uno status diverso da tutti gli altri uomini ma anche un’inequivocabile portentosa pericolosità verso la comunità che doveva essere dunque preservata dal contagio eliminando dalla società civile il monstrum, in modo irreversibile e radicale. .

162 Come s’è detto, a causa di una storia del testo difficoltosa e legata a un manoscritto irrimediabilmente

Capitolo IV