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Aldo Pagni e la triaca

Nel documento Aldo Pagni, (pagine 37-40)

Eva Antoniotti

giornalista

P

ubblico di seguito un mio articolo, apparso per la prima volta su la Pro-fessione nel febbraio 2000. È un omaggio ad Aldo Pagni alla maniera dei volumi accademici, ovvero degli “studi in onore di”, visto che a “commissionarmelo” fu proprio lui, fornendomi anche una straordinaria quan-tità di materiali dai quali avviare le ricerche per realizzarlo.

Erano i primi numeri della nuova rivista della Federazione che Pagni, da pre-sidente, aveva voluto far rinascere, superando la formula di un bollettino pro-fessionale, arido e cronachistico, per disegnare invece uno strumento che aves-se l’obiettivo ambizioso di fornire ai medici stimoli culturali ad ampio raggio. La scelta non è quindi legata al valore del mio scritto, che anzi denuncia alla lettura a distanza qualche impaccio da principiante, ma piuttosto al fatto che esso è testimonianza di due aspetti importanti della multiforme personalità di Pagni: l’attenzione alle persone e alle loro peculiarità (mi avvicinavo allora al giornalismo, ma avevo alle spalle studi di ricerca storiletterari) e il suo co-stante impegno a far sì che la professione medica arricchisse il proprio bagaglio di conoscenze umanistiche, e quindi storiche, filosofiche e letterarie, allonta-nando il rischio di ridursi a pura competenza tecnica, perdendo l’anima stessa dell’arte medica.

Un obiettivo che, pur con molti cambiamenti, è stato ripreso anche nella nuo-va versione della rivista della Fnomceo voluta dal presidente Amedeo Bianco e seguita da Cosimo Nume.

Infine, prendo ancora poche righe, perché questa pubblicazione mi dà l’occa-sione preziosa di ringraziare Aldo Pagni ora meglio di quanto, per timidezza, non sia stata capace di fare allora.

La Triaca, il principe dei medicamenti

Secondo la tradizione fu Andromaco, il medico di Nerone, ad idearla e a scrivere su di essa un poema in 175 versi elegiaci, “De Theriaca”. Se ne occupò poi Galeno, che le dedicò due scritti e che testimonia come Marco Aurelio ne facesse un uso quo-tidiano, che potremmo definire preventivo: preoccupato di poter essere avvelenato da una congiura di palazzo, l’imperatore si tutelava assumendo ogni giorno una piccola dose di triaca. La triaca, infatti, era innanzi tutto un antidoto per i vele-ni, come si evince dal suo stesso nome, che rinvia alla radicale greca “ter”, che si-gnifica proprio bestia velenosa. Da “ter” discende teriaca o triaca o ancora, seguen-do una grafia dell’antico volgare italiano, utriaca. Seconseguen-do il principio “similia si-mili bus”, la triaca utilizzava come ingrediente base la vipera, veleno per eccellen-za. Ma accanto a questo essenziale elemento ne conteneva moltissimi altri: oppio, genziana, cannella, scilla, castoreo, rosa, liquirizia, zafferano, marrubio, finocchio, aristolochia, pepe, agarico, mirra, cardo indiano, zenzero, valeriana, centaura, bi-tume di Giudecca, incenso… L’elenco potrebbe continuare, perché la quantità dei componenti è fattore caratteristico di questo medicamento. Secondo la ricetta di An-dromaco occorrevano 57 ingredienti, ma a questi se ne aggiunsero altri nel corso dei molti secoli in cui la triaca fu utilizzata godendo della più ampia fama. Adalber-to Pazzini, in uno scritAdalber-to degli anni Trenta dedicaAdalber-to a quesAdalber-to argomenAdalber-to, sintetiz-za così la storia del preparato: “Non mi occuperò nemmeno del nome di triaca, av-vertendo solo che esso non indicava un’unica composizione farmaceutica, ma era quasi un nome di specie; si ebbero infatti parecchie triache, tra le quali ricordo la triaca diatesseron di Mesue, composta di soli quattro ingredienti, la triaca del Se-renissimo Principe Anhaldino, la triaca benedetta del Quercetano, la triaca chi-mica venuta in uso nel secolo XVII, la triaca degli egizi, nominata da Pr. Alpino, la triaca del Soldano di Babilonia, …”.

Probabilmente furono proprio i molti elementi, e dunque la lunga e laboriosa pre-parazione che la triaca richiedeva, a renderla oggetto di particolari attenzioni, tan-to che la sua preparazione si trasformò fin dall’antichità in un eventan-to pubblico di grande risonanza, del quale si facevano garanti le autorità politiche. In Venezia la cerimonia di preparazione della triaca avveniva alla presenza dei magistrati e ri-chiedeva molti giorni, giacché si dovevano prima predisporre i singoli componenti, a cominciare dalle vipere provenienti dai Colli Euganei, e infine procedere a me-scolare il composto, sempre intervallando l’opera con rinfreschi a base di acqua e li-mone e pan di Spagna. Gli ordinamenti della città prevedevano pene severe, e an-che il rogo, per chi fosse stato scoperto a commerciare preparazioni false e gli speziali esponevano con orgoglio i vasi contenenti la vera triaca e i bacili nei quali faceva-no mostra di sé i diversi e preziosi componenti.

A Bologna l’evento aveva uguale solennità ma era anche un’occasione di mondani-tà: la triaca, infatti, veniva preparata nel cortile dell’Archiginnasio, dove i medici si affaccendavano in molti sotto la presenza imponente dei busti di Ippocrate e Ga-leno, mentre dal loggiato il pubblico poteva osservare il loro lavoro e nel contempo chiacchierare, incontrarsi, mostrarsi negli abiti più eleganti come fosse a teatro. Una preparazione così complessa e laboriosa dava però molti vantaggi: oltre che

co-me antidoto per i veleni, la triaca era utile per mille malanni, dai dolori di testa ai deliri, dalle emorragie ai vermi intestinali, e inoltre manteneva la sua efficacia nel tempo. Galeno scrive che essa ha maggior forza dopo cinque o sei anni dalla sua preparazione e si conserva inalterata per almeno un quarto di secolo; tuttavia, per i mali leggeri, si poteva utilizzare anche una triaca che avesse sessant’anni, indebo-lita ma ancora efficace.

L’ultima testimonianza storica relativa alla triaca è legata al nome di Ulisse Aldo-vrandi, il grande medico bolognese vissuto sul finire del Cinquecento e che provocò una sollevazione nel Collegio cittadino dei medici per aver inserito tra i componenti del farmaco anche l’amomo e il costo e per essersi opposto alle richieste del Collegio degli speziali che avrebbero voluto preparare in proprio la triaca. La questione fu risolta solo grazie all’intervento del Papa, che dovette usare tutta la propria autori-tà in favore dell’Aldovrandi.

Quanto abbiamo detto finora, i pubblici onori riservati alla triaca e l’intervento delle massime autorità nelle controversie che l’avessero in oggetto, non esclude però che la triaca abbia avuto anche molti fieri oppositori che dubitavano della sua ef-ficacia. Tra questi va citato innanzi tutto Plinio, che nella sua Naturalis historia dubitava di tutte quelle misture di cui non fosse possibile spiegare la ragione e l’uti-lità. Nei secoli successivi, a disprezzare la “venerata” triaca saranno invece tutti quei medici che, seguendo gli insegnamenti di Paracelso, preferiranno seguire gli inse-gnamenti dell’esperienza, allontanandosi dalla tradizione.

Mano a mano che avanza la rivoluzione scientifica del Seicento, sia pure con tut-te le sue ambiguità, la triaca scompare progressivamentut-te dalla scena della medici-na ufficiale e accademica. Dapprima resisterà nelle botteghe dei farmacisti meno onesti, che mettevano da parte tutte le droghe avariate e impossibili da vendersi iso-latamente, dicendo: “Sarà buona per la triaca!”, come testimonia Claude Bernard, che a metà Ottocento impresse una svolta decisiva alla medicina moderna, ma che da ragazzino era stato impiegato come garzone di farmacia. In seguito la triaca re-sterà appannaggio esclusivo dei ciarlatani, che continuarono a proporla nelle piaz-ze di mercato e nelle campagne fino ad anni recenti, sfruttandone la fama secolare e l’aurea misteriosa assegnatale dalla presenza della vipera, simbolo del male fin dalla cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre.

Nel documento Aldo Pagni, (pagine 37-40)