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L’evoluzione della medicina generale dagli anni ‘70 ad oggi

Nel documento Aldo Pagni, (pagine 101-107)

di Antonio Panti

presidente OMCeO Firenze, componente della Consulta Deontologica, Socio fondatore della Simg, già Segretario nazionale della Fimmg

N

onostante i fermenti ideali che animavano nel dopoguerra alcuni me-dici, in particolare il mondo degli igienisti influenzati dal Piano Be-veridge, e che si erano sostanziati nel celebre progetto della Consul-ta VeneConsul-ta del 1946, la sanità e la medicina iConsul-taliana proseguirono ad operare, dopo le distruzioni conseguenti al conflitto mondiale, sulla base dell’organiz-zazione prebellica, senza rilevanti novità, nonostante che l’esplosione della tec-nologia medica fosse fin d’allora percepibile. Il sistema sanitario era pratica-mente tripartito: la prevenzione allo Stato e ai Comuni, l’assistenza territoria-le alterritoria-le Casse Mutue che, in quanto istituti assicurativi, non avevano la preven-zione tra i loro compiti, l’assistenza ospedaliera prevalentemente affidata agli Enti di Beneficienza e Assistenza. In questo quadro la medicina generale era an-ch’essa nei fatti tripartita: l’assistenza ai poveri era erogata dai comuni, quella ai dipendenti pubblici e provati era erogata dalla Casse Mutue, infine esisteva una quota rilevante di libera professione. Ma il “medico della mutua”, immor-talato da Alberto Sordi in un ritratto che sconvolse noi giovani medici allora “mutualisti”, ma che già ci sentivamo “medici di famiglia”, non era una figura professionalmente definita, non esisteva la medicina generale come disciplina autonoma, e qualsiasi laureato in medicina poteva praticarla purché fruisse di un ambulatorio.

Quindi, al di là dell’eredità morale e professionale del medico condotto, che tuttora dominava l’assistenza extraospedaliera, specialmente nei piccoli centri e nelle campagne, l’attività di medico mutualista era assai frustrante sul piano professionale e defaticante sul piano burocratico, dovendosi tenere l’ammini-strazione dei propri proventi per una miriade di enti assistenziali piccoli o gran-di, che compensavano i medici a prestazione alcuni, altri a quota capitaria, al-tri ancora secondo sistemi misti oppure a rimborso. Un quadro professionale del tutto insoddisfacente per noi medici di famiglia, che avevamo iniziato ad esercitare tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60. Ma infine, negli anni ‘70, la crescita in-sostenibile del debito degli enti mutualistici e, di conseguenza, di quello degli ospedali, nonché la percezione degli scarsi risultati sanitari di un sistema così farraginoso, fecero precipitare la discussione nella società e nei palazzi della po-litica sull’urgenza di dotare anche l’Italia di un Servizio sanitario universale e ugualitario. Fin da allora fu chiaro che le aspirazioni professionali di noi gio-vani medici, tra i quali Aldo Pagni svolgeva fin da allora un importante ruolo di stimolo culturale, coincidevano con la progettualità politica e sociale volta a

istaurare in Italia un servizio sanitario unificato. L’idea chiave di un servizio che garantisse l’uguaglianza della tutela della salute a tutti i cittadini era l’unifica-zione territoriale di tutti i servizi sanitari (prevenl’unifica-zione, cura extraospedaliera e ospedaliera e riabilitazione) in unità locali di governo della sanità, le Usl. In queste il cittadino poteva vedere riunite in un unico percorso assistenziale tut-te le sue esigenze di tutut-tela della salutut-te e, nello stut-tesso tut-tempo, la salutut-te della col-lettività veniva ugualmente affidata alla stessa unità locale, realizzandosi così il dettato dell’articolo 32 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute co-me diritto dell’individuo e l’interesse della collettività”.

Scoprimmo allora, medici ed amministratori, quel che fu formalmente sanci-to dalla grande conferenza di Alma Ata nel 1978, e cioè che il collante di que-sto percorso unificato del cittadino e il garante olistico della salute non poteva essere altro che il medico di medicina generale. Con queste premesse teoriche si concluse un decennio di discussione e di leggi preparatorie e si addivenne al-la promulgazione delal-la Legge 24.12.78 n. 833, al-la Riforma Sanitaria. È chiaro che il ruolo che la L. 833 affidava al medico di famiglia poteva affermarsi sol-tanto rendendo coerenti due percorsi combinati tra di loro. Da un lato la defi-nizione giuridica e contrattuale di questo ruolo, dall’altro un’evoluzione cultu-rale di enorme portata che trasformasse in pochi anni il vecchio medico della Mutua e l’antico condotto nel moderno medico generale che segue secondo ca-noni olistici l’individuo e la sua famiglia per tutta la vita.

Questa evoluzione non nasceva dal nulla e già nell’immediato dopoguerra era stata fondata la Federazione Italiana Medici Mutualisti (FIMM) che oggi si chiama Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (FIMMG), il cui personaggio più rappresentativo fu il fiorentino Giovanni Turziani, maestro di vita e di professione di quasi tutti noi. In quegli anni, possiamo dire con una punta di orgoglio, emersero nella medicina generale alcune figure che seppero traghettare sul piano scientifico e professionale il medico della mutua nel me-dico di medicina generale. Tra queste figure, e ricordo Danilo Poggiolini, Ma-rio Boni, Michele Olivetti, Angelo Pizzini, Otello Scartabelli, Paolo Mangani e tanti altri, oltre a chi scrive allora giovane apprendista, Aldo Pagni svolse il ruo-lo delicatissimo di leader della trasformazione culturale, partecipando con gran-de significatività al movimento di pensiero culminato nella fondazione gran-della So-cietà Italiana di Medicina Generale. A questa dobbiamo la definizione della me-dicina generale come disciplina peculiare, dotata di un corpus di dottrine spe-cifiche e di un sistema formativo autonomo e di una autonoma docenza. Altresì, sul piano giuridico, era evidente la necessità di rendere il più possibile omogenea l’attività dei medici di famiglia, definendo aree territoriali di acqui-sizione delle liste degli iscritti e un limite massimo sia al numero degli assistiti iscritti nelle liste di ciascun medico sia al numero dei medici inseribili in cia-scun territorio. Inoltre era fondamentale definire un rigoroso sistema di in-compatibilità per cui la medicina generale fosse, nella maggior misura possibi-le, appannaggio di medici a questa esclusivamente dedicati. Tutto ciò dette vi-ta ad una svi-tagione conflittuale notevolissima, forse non ancora del tutto

cessa-ta, perché storicamente il laureato in medicina veniva identificato senz’altro con il medico di famiglia. Mentre l’internista, suo omologo funzionale ospedalie-ro, aveva alle spalle una specializzazione e una società scientifica, queste man-cavano al medico generale. Per questo fu intuizione fondamentale del nostro gruppo l’idea che anche i medici di famiglia si dovessero dotare di una società scientifica e di un ciclo di formazione specifico post-laurea. Così nel 1983 fon-dammo la SIMG, di cui Aldo fu Presidente e propulsore scientifico per molti anni, fino a quando lasciò questo incarico per assumere la Presidenza della Fe-derazione nazionale degli Ordini.

Nello stesso tempo, nonostante difficoltà e contrasti con il mondo accademi-co ed il restante mondo professionale, riuscimmo ad applicare anche in Italia la direttiva comunitaria che prevedeva un biennio, poi diventato triennio, di formazione complementare specifica in medicina generale. Un importante suc-cesso, tanto più significativo se si pensa che proprio in quegli anni fallì il pro-getto dell’ospedale di insegnamento. Così tutti gli anelli erano concatenati gli uni con gli altri e, per quanto il periodo transitorio rispetto al vecchio ordina-mento non sia ancora del tutto riassorbito, tuttavia oggi è universalmente chia-ro che il medico di medicina generale è una figura pchia-rofessionale specifica, ben definita sul piano scientifico e culturale dai contenuti di una disciplina che vie-ne insegnata vie-nel corso di formaziovie-ne post-laurea, superato il quale i discenti ac-quisiscono un diploma che permette l’inserimento delle graduatorie e quindi l’esercizio della professione di medico generale nel sevizio sanitario nazionale. Vi è tuttavia un altro elemento fondamentale della costruzione del servizio sa-nitario, cui si è dedicato con competenza e visione anticipatoria Aldo Pagni. L’Unità Sanitaria, ora Asl, è una impresa complessa che comprende l’ospedale e il territorio. Se è chiara l’organizzazione fisica e tecnologica dell’ospedale, quel-la del territorio è tutta da inventare. Anche in questo caso, al di là delle varie teorizzazioni, vi sono state anticipazioni quali i consorzi tra Comuni per la pre-venzione e la medicina della lavoro, presenti in Toscana ed in Emilia Romagna, e il servizio festivo di guardia medica unificata tra gli enti mutualistici, presen-te a Firenze e a Torino. Tuttavia, prima della legge di riforma, non vi era nien-te di organizzato nel nien-territorio. Gli Enti Mutualisti e i Comuni garantivano sol-tanto spezzoni scoordinati di assistenza. Quindi lo sforzo massimo del Servizio Sanitario sul piano organizzativo è stato proprio la costruzione dei distretti. Una necessità avvertita, proclamata, teorizzata e programmata ma non ancora del tutto compiuta. Le Asl non sono mai riuscite a sinergizzare e coordinare l’atti-vità della medicina generale con gli altri servizi del distretto, la prevenzione, la salute mentale, le dipendenze, la fornitura di protesi ed ausili, la farmacia ter-ritoriale e, più che altro, quello che rappresenta il momento topico dell’attivi-tà distrettuale, cioè il rilievo dei bisogni dei cittadini e la valutazione dei risul-tati in termini di salute, alla luce del budget assegnato.

Tutto ciò ha bisogno della costruzione di un vero e proprio presidio territoria-le, non soltanto funzionale ma concretamente fisico, ove tutto questo possa svolgersi, integrandosi con quella che è una delle criticità principali del

siste-ma, cioè con l’assistenza sociale. L’infermiere territoriale e l’assistente sociale so-no i naturali interlocutori dei medici di medicina generale, ma questa integra-zione è ancora ben lontana dal realizzarsi, così come sono ancora spesso più conflittuali che sinergici i rapporti con gli specialisti. Le nostre intuizioni di al-lora hanno visto soluzioni alternanti e attuazioni lentissime, tuttavia possiamo dire con grande soddisfazione che il recentissimo accordo per la medicina ge-nerale, firmato in Toscana fra la FIMMG e la Regione (come è spesso è acca-duto la Toscana ha anticipato soluzioni nazionali) porta a compimento il pen-siero maturato sin dagli anni ‘80. Infatti si costituiscono le Unità di Cure pri-marie, vere e proprie case della salute, presidi territoriali fisici in cui i medici di un determinato territorio (mediamente 20 o 30 per 20/30 mila abitanti) lavo-rano insieme disponendo di una segreteria unica, dell’apporto di specialisti ter-ritoriali, dell’assistente sociale e, conquista fondamentale, del supporto dell’in-fermiere territoriale che svolge un nursing programmato sulla base di percorsi assistenziali per le grandi patologie croniche degli anziani, precedentemente condiviso e concordato.

La somma delle Unità di cure primarie di un territorio predeterminato costi-tuisce la struttura portante del distretto, dotato di autonomo budget e una di-rezione sanitaria. Così finalmente il medico generale potrà svolgere la sua atti-vità, come si è delineata nel tempo in risposta alla trasformazione demografica e alla transizione patologica per cui oggi il grosso dell’assistenza (e della spesa sanitaria) è rivolto agli anziani portatori di molte patologie. In tal modo i me-dici potranno realmente superare la fase della meme-dicina di attesa o di opportu-nità per entrare a pieno titolo nella fase della medicina di iniziativa, cioè del-l’attenzione attiva, periodica e concordata con i pazienti cronici, per garantir-ne al meglio il mantenimento dell’equilibrio raggiunto garantir-nei livelli di salute di ciascuno. Già negli anni ‘80 si parlava di medicina di iniziativa e ora la si teo-rizza come essenziale per la sopravvivenza stessa del Servizio sanitario che al-trimenti non reggerebbe ad un incremento anarchico della spesa rivolta ai co-stosissimi piccoli target di patologia cui ormai si dedica l’industria farmaceuti-ca e quella dei dispositivi medici.

Già in quegli anni parlavamo anche di medicina generale e promozione della salute. Un tema sempre più attuale e importante. È chiaro che i cosiddetti de-terminanti di salute, cioè i rischi primari intesi nel modo più generale, e com-prendendo quindi la povertà e l’ignoranza, influiscono pesantemente sulla pi-ramide della salute. L’azione sui determinanti di salute concerne la politica ge-nerale di un paese se non della totalità dei paesi (vedi protocollo di Kyoto), ma nella collettività a lui affidata il medico di medicina generale può svolgere un compito essenziale nel rilievo dei bisogni e nell’azione di contrasto ad alcuni ri-schi sia sul piano individuale che di comunità. Un tema questo assai impor-tante e difficile a cui la medicina non può sottrarsi.

Ma i problemi non finiscono mai. Sempre più si sente la necessità di trasfor-mare l’ospedale in un luogo ad alta intensità assistenziale rivolto a patologie acute con brevi tempi di ricovero, esternalizzando il tempo di recupero del

pa-ziente prima del ritorno al proprio domicilio. Necessità cliniche che spesso si intrecciano con bisogni sociali di famiglie o piccole comunità inidonee ad ac-cogliere persone non perfettamente autosufficienti. Si tratta delle cosiddette cu-re intermedie, cioè della istituzione di luoghi (piccoli ospedali, RSA, case di Cura o altro) che, erogando prestazioni secondo i costi dell’assistenza domici-liare e non dei DRG, consentano completare la terapia per quel numero di gior-ni, generalmente da 7 a 20, utili perché il paziente, già stabilizzato ma non gua-rito, possa essere dimesso dall’ospedale, ma curato prima del rientro al domi-cilio. Questa assistenza spetta al medico di famiglia, anzi al gruppo dei medici di famiglia che operano nell’unità di cure primarie nel cui territorio insiste quel-la struttura. Questo è un compito aggiuntivo che può essere portato a termine se, come prevede il recente accordo toscano per la medicina generale, si rias-sorbono i medici che operavano nella guardia medica, che non può che essere riassorbita nei compiti dell’unità di cure primarie, utilizzandoli nelle unità di cure primarie mediante una tipologia di rapporto orario che può garantire una serie di interventi aggiuntivi che completano l’assistenza dei medici generali in quella collettività.

Non ultimo è da citare che proprio in questi anni ‘80 iniziò all’interno della SIMG un grande lavoro per capire il supporto che l’informatica poteva dare al-la medicina generale. Lo sviluppo incredibile di questa tecnologia offre adesso molteplici soluzioni che consentono di raccogliere in modo più consapevole i dati del paziente, connetterli con i dati della letteratura scientifica e favorire l’integrazione tra i professionisti impegnati nel percorso assistenziale attraver-so la carta sanitaria del paziente stesattraver-so. In conclusione esistono oggi gli stru-menti per poter garantire in concreto quella continuità assistenziale che rap-presenta da sempre il più grande problema non risolto della sanità nell’interes-se del cittadino. Anche in questo caso il medico di medicina generale rappre-senta lo snodo fondamentale.

La panoramica finora descritta si sostiene sulla definizione di medicina gene-rale che, adottata a livello internazionale, è stata elaborata a livello italiano dal-la SIMG e che ne rappresenta forse il principale portato. Una medicina olisti-ca, attenta ai determinanti di salute, che segue il paziente e la sua famiglia per tutta la vita, consapevole dell’ambiente di vita e di lavoro del cittadino, orien-tata alla medicina di iniziativa, alla promozione della salute, alla prevenzione, alla diagnosi e cura e alla riabilitazione nei limiti delle competenza generaliste del medico. Una medicina che deve operare all’interno di percorsi multi pro-fessionali e polidisciplinari propri della sanità moderna.

In quegli anni il gruppo dei medici raccolti intorno alla FIMMG e alla SIMG intuì e teorizzò molte proposte sulla medicina e sulla sanità pubblica e molte di queste furono realizzate. L’auspicio è che oggi, dopo un periodo di stasi, si riaccenda la capacità progettuale della medicina generale sul piano culturale professionale e organizzativo. Questa è l’unica garanzia perché i cittadini nel futuro possano godere di una assistenza universale il cui accesso e la cui frui-zione sia uguale per tutti.

La mia storia personale si intreccia con quella di Aldo non solo sul versante del-l’affermazione del ruolo degli Ordini professionali, non solo sul piano della sto-ria di un momento magico del sindacalismo medico, ma, e più che altro, nel-l’evoluzione e nell’affermazione della medicina generale come disciplina auto-noma, indispensabile conquista della sanità nell’interesse del cittadino. E ri-cordo, in questa brevissima sintesi, non soltanto la Società Italiana di Medici-na Generale ma la copiosa pubblicistica di Aldo Pagni, e ricordo infine il ruo-lo e l’importanza di Firenze Medica, il giornale in cui si dibattevamo le tesi del gruppo fiorentino della FIMMG negli anni ‘70-‘80, della rivista SIMG, della rivista della Federazione Medico d’Italia, di tante pubblicazioni specifiche sul Distretto e sulla Medicina generale dedicate al ruolo e alle competenze del me-dico di famiglia. Una sintesi di quello sforzo comune sarebbe interessante per storicizzare un periodo così rilevante nell’evoluzione della sanità italiana. Una attività infaticabile, coronata da molti successi pur nelle inevitabili battute d’ar-resto, da generose illusioni e sofferte delusioni, ma che, in una sintetica valu-tazione complessiva, ha portato un contributo concreto e determinante non so-lo alla storia della medicina generale italiana ma alla concretizzazione, affer-mazione e stabilizzazione del Servizio Sanitario stesso. È indubitabile che dob-biamo ad Aldo Pagni la elaborazione teorica di quella disciplina, allora nuovis-sima e ora affermata, che è la medicina generale. Il nostro arcaico sistema uni-versitario non ne consente la trasformazione in vera e propria specialistica ma di fatta essa lo è per la peculiarità dei contenuti, la definizione del campo di in-tervento e la autonomia dell’insegnamento. L’augurio che faccio a noi stessi è che negli anni anziani della nostra vita, gli anni vecchi come li chiama Unga-retti, possiamo vedere sempre più affermato e riconosciuto il ruolo fondamen-tale di quella medicina generale che abbiamo con tanta passione contribuito a creare nel nostro paese.

Nel documento Aldo Pagni, (pagine 101-107)