Un pioniere della “medicina valorial-organizzativa”
5. La Medicina Generale come specializzazione sui generis
Il luogo primo e privilegiato in cui i “valori” insiti alla relazione terapeutica è senza dubbio il rapporto medico-paziente. Questa consapevolezza ha portato Pagni al-l’impegno nella Deontologia medica per riuscire a dare un adeguato riconoscimen-to ufficiale ai “valori del paziente” tramite il consenso informariconoscimen-to. Quest’impresa è andata a buon fine grazie all’approvazione del Codice 1998. Tuttavia i “valori” in
47 M. Immacolato, “La rivoluzione silenziosa nella medicina italiana: consenso informato e comitati eti-ci”, Notizie di Politeia, 20 (2004), n. 75, p. 41.
48 M. Immacolato e L. Magnani, “Consenso informato e testamento biologico nella legislazione italia-na”, Bioetica. Rivista interdisciplinare, XXI (2013), n. 2-3, p. 414.
49 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 167. 50 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 167.
medicina non si limitano al piano individuale, ma sono presenti anche sul piano del-l’organizzazione del lavoro con cui viene erogata l’assistenza sanitaria. Pagni ha pro-fuso energie anche in quest’altro ambito, offrendo così un diverso, sostanziale e no-tevole contributo alla medicina italiana.
Sin da quando ha cominciato a fare il medico, Pagni ha avvertito la presenza di “va-lori” nell’organizzazione stessa dell’assistenza sanitaria. Come ricorda, “quando ini-ziai la professione di medico di famiglia questa era ritenuta l’ultima posizione nella scala gerarchica dei valori, dopo quella universitaria e quella ospedaliera”51. L’espe-rienza dello scontro generazionale tra i medici “che già esercitavano prima della se-conda guerra mondiale, e coloro che, laureati in tempo di guerra o poco dopo la sua fine, avevano iniziato da poco ad esercitare la professione, dopo un corso di studi universitari tormentato e discontinuo”52ha acuito il senso dei “valori” alla base del-l’organizzazione dell’assistenza sanitaria. Infine, il problema è esploso dopo che la ri-forma sanitaria del 1978 ha fatto emergere la necessità di “adeguare la professione [del medico di famiglia] alle esigenze di una sanità socializzata e sempre più com-plessa”53oltre che sostanzialmente ospedalocentrica.
Quest’ultimo aspetto si è rivelato decisivo prima di tutto perché ha avuto concreti effetti sul piano pratico che hanno portato a scarsi investimenti finanziari per la me-dicina territoriale e per le cure primarie, che ha incentivato la meme-dicina specialistica e depotenziato il ruolo dei medici di famiglia diventato “sempre più marginale e sfug-gente”54. Merita forse di essere osservato che dal punto di vista teorico l’ospedalo-centrismo della sanità è uno dei frutti del paradigma naturalistico-organico sotteso alla medicina scientifica. In esso i giudizi medici sono “giudizi esclusivamente “di fat-to”55, cosicché il medico, che “conosce” come funziona il corpo umano e perché si ammala, sa anche che cosa fare per il “suo bene” [del corpo]. Quest’idea vale a mag-gior ragione in ospedale dove la presenza di strumenti più potenti consente di au-mentare la conoscenza del corpo e della malattia, e quindi di dare la soluzione ri-chiesta ai problemi di salute.
Tuttavia, come già abbiamo visto, questo paradigma è inadeguato, e i programmi sanitari ad esso informati hanno creato solo illusioni e promesse non mantenute. Un sintomo della situazione sta nella paradossale ma significativa gravissima “crisi di fi-ducia dei cittadini nei confronti dei medici e della medicina nell’epoca dei suoi mag-giori successi”56. Chi sa guardare in faccia la realtà non può negare questa “crisi”
del-51 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 100. E ancora: “L’industria farma-ceutica riteneva, allora [anni ’70], che i medici specialisti valessero sul mercato trenta volte più dei me-dici di famiglia perché capaci di influenzarne le prescrizioni di farmaci” (p. 109).
52 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 98. 53 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 117. 54 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 117. 55 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 171.
la medicina, il cui superamento comporta l’abbandono del paradigma medico tra-dizionale a favore di uno nuovo in cui il livello biologico sia integrato in un più am-pio quadro umanistico e umanizzante che riconosce la presenza dei “valori” non so-lo nell’attività clinica individuale ma anche sul piano dell’organizzazione.
Sulla scorta del nuovo e più adeguato paradigma valorial-organizzativo Pagni può mettere in luce con forza che oggi molti “pazienti presentano spesso sintomi fisici la cui origine è da ricercarsi soprattutto in cause di natura emotiva o psicosociale […] piuttosto che in patologie organiche”57. Per una serie di ragioni “nell’Occidente in-dustrializzato un’“epidemia” di persone, deluse nelle attese di benessere promesso, che “si sentono” malate. […] Una volta si conoscevano solo malattie organiche, co-dificate dalla nosologia e nosografia della clinica, oggi prevalgono le “sindromi”, a indicare la presenza contemporanea di molteplici quadri morbosi, di natura biolo-gica, multifattoriale, psicologica e sociale […] L’uomo occidentale moderno, anche se privo di sintomi clinici riconoscibili dal medico, spesso “si sente male ugualmen-te”: a causa dell’ipocondria collettiva provocata dall’eccesso di informazioni sul-le malattie, o perché si “stressa” facilmente per i motivi più vari, o perché l’am-biente di vita e di lavoro gli procurano depressione e ansia, o perché non è al-l’altezza delle performance sessuali, indicate come normali dai mass media, o perché ha saputo che la sua timidezza è una “fobia sociale” da correggere con i farmaci, o magari perché il suo fisico non corrisponde ai canoni di bellezza im-peranti nelle riviste patinate”58.
Ciò significa che oggi è mutata la domanda di salute, e che la risposta ad essa richie-de nuove competenze mediche. Di fatto, ogni giorno “oltre alle malattie organiche il medico di famiglia incontra problemi inerenti alle difficoltà della vita: incompren-sioni e separazioni dei coniugi, recriminazioni per la sterilità di una coppia, lutti da elaborare, difficoltà dei genitori con i figli naturali o adottivi, infedeltà, omosessua-lità, mobbing sui luoghi di lavoro, droga, danni provocati dall’etilismo o dall’osses-sione del gioco, le difficoltà dell’assistenza dei familiari che lavorano agli anziani di-sabili, e le violenze domestiche sui minori e sulle donne”59. Per risolvere questi pro-blemi non si intende affatto “trasformare il medico di famiglia in un sociologo “di-lettante” ma è evidente che ogni giorno si troverà a dover affrontare […] problemi psicosociali complessi e delicati intrecciati con la domanda di salute”60.
Questa nuova domanda di salute mostra che la professione del medico di famiglia
57 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 272. 58 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 193 – 194.
59 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 102.
60 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 242. Il passo continua con le seguenti parole: “Egli [il me-dico] non potrà risolverli semplicemente ignorandoli, o esprimendo riprovazione morale di fronte a si-tuazioni che contrastano con i suoi convincimenti, se è vero che il suo compito è quello di «fornire a tutti gli individui, alle famiglie e alle comunità assistenza medica primaria, continuativa, completa e coordinata, integrando le attuali conoscenze sanitarie di natura biomedica, psicologica e sociale», co-me lo definisce il Reale Collegio Australiano dei Medici Generali”.
“è prima relazionale e poi tecnica. Essa si basa fondamentalmente sull’empatia, sul-l’ascolto attivo, sulla comunicazione e sull’attenzione al linguaggio verbale e non ver-bale delle persone, anche se alcuni medici preferiscono trincerarsi dietro gli aspetti tecnici riparatori di un danno e trascurare quelle relazioni divenute sempre più im-portanti e impegnative. Secondo recenti indagini, mentre gli specialisti vedrebbero soltanto un decimo del totale della morbilità psichiatrica, le persone con disturbi psi-chici che si rivolgono ai medici di famiglia rappresenterebbero il 25-35% del totale dei loro pazienti e, più di un terzo di essi sarebbero diagnosticati e curati come pa-zienti organici, senza che la loro sofferenza emotiva sia riconosciuta. Il medico di fa-miglia deve, dunque, orientarsi e distinguere, spesso in fase preclinica e nel breve tempo di un flash diagnostico, una malattia organica in evoluzione da un disagio esi-stenziale “mascherato”, e conoscere il meccanismo di azione di almeno cinquecento principi attivi, dei farmaci che prescrive o trascrive, rispetto ai circa quaranta di uno specialista”61.
Inoltre, il setting della medicina di famiglia è caratterizzato dal fatto che “il 30-50% della domanda di salute dei cittadini non corrisponde ai quadri di malattia codifi-cati dalla clinica, non ha una base biomedica riconoscibile, né trova riscontro nella letteratura dell’evidenza; la prevalenza delle patologie gravi è modesta, mentre le in-fermità maggiori si presentano spesso in fase pre-clinica e in modo indifferenziato e il valore predittivo dei sintomi, dei segni e dei test diagnostici è diverso da quello ospedaliero. Il medico di famiglia è costretto a utilizzare abilità di problem solving per gestire contemporaneamente più disturbi e patologie, magari intrecciati inestrica-bilmente con problemi psicologici e sociali, senza potersi “nascondere” dietro l’im-personalità protettiva della tecnica”62. Per queste ragioni, il medico di famiglia è istin-tivamente “orientato al paziente” più che “alla malattia”: oltre “al monitoraggio del-l’evoluzione della malattia e dell’efficacia delle cure” è teso “a “prendersi cura” delle persone e a tener conto dei loro valori e della loro concezione di vita”63.
Come si vede, non si tratta di un generico e vago “disagio psico-sociale” ma di quel-la che possiamo chiamare una “sindrome diffusa” con caratteri chiari e precisi pur in presenza di sfaccettature diverse: una “sindrome diffusa” che è alla base di una forte e specifica nuova domanda di salute che è reale e che non può essere trascurata o ad-dirittura ignorata dall’ambito medico. Solo nei casi più gravi questa “sindrome dif-fusa” riceve una risposta dalle cure specialistiche o dall’ospedale ma, osserva Pagni, essa costituisce il campo della Medicina Generale. Quest’ultima, in effetti, è una spe-cialità sui generis, che ha come proprio campo l’”intera popolazione”, la quale ha una precisa e peculiare domanda di salute difficilmente risolvibile altrimenti. È per que-sto che il medico di medicina generale ha una propria funzione specifica, una pro-pria professionalità con canoni speciali, e “non può più essere considerato un
sem-61 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 103. 62 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 284.
63 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 284. 64 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 290.
plice “filtro” dei ricoveri in ospedale”64. Al contrario, “è necessario che il medico di famiglia, insieme ai colleghi ospedalieri, condivida percorsi clinico-assistenziali; è ne-cessario inoltre che si definisca con chiarezza “chi fa e che cosa” in un territorio mol-to affollamol-to di operamol-tori sanitari, […] che [si] disciplini insieme la Clinical Gover-nance nell’ospedale e nell’assistenza nel territorio, si investano cure adeguate nelle cure primarie”65. In altre parole, si deve procedere a creare una nuova specializzazio-ne autonoma, cui “sono mancati finora fondamenti scientifici autonomi derivanti da ricerche specifiche, soltanto perché di più recente istituzione rispetto alle altre”66. Per questo si deve ora svilupparla con propri programmi di ricerca e con verifiche dedicate, in modo da far sì che essa possa assumere una più consistente fisionomia istituzionale.
È forse un po’ troppo semplice credere che la mancanza di ricerche specifiche in me-dicina generale dipenda solo dalla sua recente istituzione e non piuttosto anche dal fatto che nel nuovo paradigma queste ricerche sono più complesse e difficili. Però la constatazione circa la “sindrome diffusa” e l’indicazione circa il ruolo della medicina generale puntano nella direzione giusta. Ci si deve anche chiedere se l’aver richia-mato con forza l’attenzione sulla “sindrome diffusa” non sia un contributo alla me-dicina tanto importante da essere paragonabile alla puntuale descrizione di una nuo-va patologia organica, quella per la quale l’ossernuo-vatore attento entra nella storia del-la medicina e associa il suo nome aldel-la madel-lattia descritta.
Già il contributo dato individuando la “sindrome diffusa” come oggetto specifico della medicina generale è di grande momento. Ma Pagni non si è limitato a questo. Avendo rilevato che la sanità italiana era sorda alla nuova domanda di salute e re-frattaria a dare una risposta istituzionale questo tipo di problemi, senza perdersi d’ani-mo, assieme ad altri colleghi, nel 1982 ha fondato la Società Italiana di Medicina Generale (Simge) per dar voce concreta a questo nuovo ambito della medicina scien-tifica, presiedendola per i primi quindici anni, fino al 1997. L’impresa è stata favo-rita dall’avvento delle nuove tecnologie informatiche che negli anni ’80 hanno co-minciato a diffondersi consentendo una più agevole raccolta dei dati clinici e una più rapida comunicazione tra i medici di famiglia sparsi sul territorio. Come osser-va Pagni, “si può dire che la medicina generale italiana sia stata in gran parte figlia dell’informatica che ci costrinse ad analizzare, definire in dettaglio e disciplinare le procedure dei medici di famiglia nell’offerta di cure in risposta alla domanda di sa-lute delle persone!”67.
65 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 290. 66 A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 127.
67 A. Pagni, Un medico di famiglia nel teatro della vita, op. cit., p. 118. Si può osservare che altrettan-to importante è il fataltrettan-to che l’informatica ha consentialtrettan-to anche “la possibilità di comunicare in tempo reale con i colleghi e il mondo esterno” (A. Pagni, Il Sileno di Alcibiade, op. cit., p. 280). Come qual-cuno ricorderà, Carlo Marx osservava che la classe operaia era più avanzata di quella contadina per-ché i contadini erano sparsi sul territorio e quindi difficilmente organizzabili, a differenza degli ope-rai che erano invece concentrati nella fabbrica e soggetti a facile comunicazione. Il fatto che l’infor-matica ora stia abbattendo le distanze e consenta la comunicazione in tempo reale pone i medici di
Com’è nell’ordine delle cose umane, non sono mancati gli ostacoli frapposti da ospe-dalieri e da universitari uniti a resistenze interne di alcuni medici di famiglia, ma in poco tempo la Simg è decollata come realtà istituzionale. Dopo pochi anni è venu-ta la Scuola Europea di Medicina Generale per la formazione e l’aggiornamento che ha formato “uno stuolo di ottimi medici capaci di affrontare e risolvere, autonoma-mente o in collaborazione con universitari ed ospedalieri, i problemi della profes-sione”68. Tutto questo è stato sostenuto da un forte impegno editoriale e da “nume-rose pubblicazioni dedicate ai quadri clinici più comuni e frequenti nella medicina generale. Infine, un Congresso annuale rappresentò l’appuntamento conclusivo per la verifica dei progressi compiuti dai medici di famiglia nella didattica e nella ricer-ca”69. L’intera impresa – come conclude Pagni – fu resa possibile grazie “all’impegno entusiastico e disinteressato di tanti colleghi”70, cosicché “oggi i medici di famiglia sono una bella realtà della medicina italiana, anche se parallelamente la Pubblica Am-ministrazione non li ha né incoraggiati né sostenuti a sufficienza”71e anche se le ini-ziative promosse “non hanno prodotto tutti i risultati sperati”72.
Se l’aver individuato con chiarezza la “sindrome diffusa” può essere paragonato alla puntuale descrizione di una patologia organica, si può allora dire anche che l’aver gettato le basi per l’istituzionalizzazione della medicina generale come nuova specia-lizzazione è sicuramente un altro grande contributo di Pagni alla medicina valorial-organizzativa.