Luciano Baldacci
medico di medicina generale, responsabile della formazione SIMG
Q
uando Maria Pia mi ha parlato di questa iniziativa per festeggiare gli ottanta anni del mio caro amico Aldo Pagni, mi è subito sem-brata una cosa bellissima ma, soprattutto, importante e doverosa per chi in tutti questi anni ha contribuito in maniera determinante alla cre-scita della professione medica in generale e di quella della medicina generale in particolare.Al tempo stesso ho provato, inizialmente, un po’ di disagio quando Maria Pia mi ha spiegato che il progetto consisteva nel festeggiare Aldo presentandogli, a sorpresa, un libro nel quale molti dei suoi amici avrebbero parlato della loro amicizia e dei loro rapporti, professionali e non, con lui.
Disagio, in quanto anche io avrei dovuto scrivere di questa nostra amicizia, qua-si cinquantennale, costringendomi a concentrarmi sul passato, cosa che per mia personale disposizione d’animo e mentale non ho mai pensato di fare in tutta la mia vita, convinto di dovermi sempre concentrare sul presente e sul futuro
senza dare importanza o ripensare al passato.
Fra le tante doti che invidio al mio carissimo amico c’è quella di saper ricorda-re perfettamente tutte le vicende del suo passato collegandole magistralmente alla storia della società e della medicina degli ultimi 50 anni. A questo propo-sito non posso non ricordare il suo libro Un medico di famiglia nel teatro della vita proprio per la ricchezza delle descrizioni e dei ricordi e per la dimostrazio-ne della sua immensa passiodimostrazio-ne per la cultura e per la letteratura. Mi ha molto colpito una sua frase nella presentazione: “senza memoria del passato non si comprende il presente e non si progetta il futuro” mentre, a torto, ho sempre pensato che non fosse così importante soffermarsi sul passato.
Ma tant’è. Ora anch’io dovrò rovistare nel passato sperando di ricordare le mol-te occasioni e circostanze importanti della nostra amicizia.
Cominciamo subito col dire che la mia conoscenza e frequentazione con Aldo è legata ad una situazione casuale, non prevista, che ha forse modificato pro-fondamente anche la mia vita professionale.
Quando mi sono laureato nel 1961 ero interno ad Anatomia patologica diret-ta dal prof. Cosdiret-ta e la mia aspirazione, comune a molti miei compagni di uni-versità, era quella di conseguire la docenza e rimanere nell’uniuni-versità, magari nel campo dell’insegnamento che, come vedremo più avanti, è sempre stato il mio “pallino”.
Purtroppo mio padre era molto malato (morirà dopo pochi anni ancora in gio-vane età, lasciando mia madre con un altro figlio di 14 anni più giogio-vane di me) ed io capii che non avrei potuto permettermi di raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato ma che avrei dovuto cercare di inserirmi subito nel mondo del la-voro.
Fu così che nel febbraio del 1963, dopo uno sposalizio anticipato rispetto al previsto e ferie di nozze di appena una settimana, con mia moglie Gianna ci siamo trasferiti ad Empoli per lavorare nella Casa di Cura Leonardo che era sta-ta ideasta-ta e progetsta-tasta-ta dal prof. Cipriani, il quale mi aveva aiusta-tato nella tesi di laurea sperimentale che mi aveva permesso di prendere quel benedetto 110 e lode che speravo mi servisse nella carriera universitaria.
In questa struttura, subito fuori Empoli, ho lavorato come anestesista e come cardiologo per circa 25 anni prima di dedicarmi interamente alla professione di medico di medicina generale.
È quindi soltanto in virtù di questo mio inaspettato trasferimento a Empoli che ho potuto conoscere Aldo Pagni, altrimenti le nostre vite difficilmente si sarebbero incontrate.
A onor del vero, devo ammettere che all’inizio i nostri rapporti furono tutt’al-tro che amichevoli in quanto Aldo, già allora riconosciuto rappresentante sdacale dei medici di famiglia empolesi, cercò di ostacolare i miei tentativi di in-traprendere la carriera di medico di famiglia pur continuando a lavorare in Ca-sa di Cura.
In effetti ero un “intruso” che avrebbe potuto approfittare del lavoro in Casa di Cura, dove affluivano, appunto, anche i pazienti dei medici empolesi, per
farmi una mia clientela.
Mi ricordo di una lite verbale molto accesa, quando Aldo stava riaccompa-gnandomi a casa con la sua macchina dopo una anestesia per un raschiamen-to fatta a domicilio di una sua paziente (allora usava anche quesraschiamen-to!!). Alla fine della discussione nessuno dei due avrebbe scommesso una lira sulla nostra fu-tura amicizia tanto distanti rimanevano le nostre posizioni.
Poi, come spesso succede, è stato il trascorrere del tempo a favorire la soluzio-ne ed ho cominciato anch’io a lavorare come medico di famiglia e aprire un ambulatorio. Intanto i rapporti fra le nostre famiglie, allietate, in pochi anni, dalla nascita delle sue due figlie, Ilaria e Valentina, e dei miei, Francesca ed An-drea, si facevano sempre più stretti, quasi parentali, tanto da condividere le fe-rie nelle stesse case estive prese in affitto e, in seguito, in due appartamenti at-tigui in un residence che avevamo acquistato insieme ad alcuni medici fioren-tini, comuni amici.
Gli anni passano in fretta ed arriviamo al 1982 quando mi ritrovai nel gruppo di medici che a Firenze fondarono la Società Italiana di Medicina Generale (SIMG) dando così l’occasione di condividere con Aldo tanti viaggi a Firenze e tante occasioni di dialoghi e discussioni ed anche una svolta ed un impulso alla mia vita extra professionale, come vedremo in seguito.
La SIMG è nata perché la medicina italiana stava attraversando una profonda cri-si di vicri-sibilità, riconoscibilità, credibilità e competitività che, invece, erano state raggiunte in gran parte d’Europa, continuando ad essere esercitata in una posi-zione di “subalternità” rispetto a quella ospedaliera ed universitaria. Tutto questo nonostante il ruolo di centralità riconosciutole dal Ssn. Ne era un segno assai si-gnificativo la stessa definizione di “medico di base”. La medicina generale era sta-ta da poco definista-ta come “area specifica” attraverso leggi e contratti ma mancava di una precisa definizione di ruolo. Non erano ancora del tutto chiari quali fos-sero i suoi elementi costitutivi e non c’era ancora consapevolezza nella stessa clas-se medica generale della medicina generale come disciplina autonoma e peculia-re. Non era ancora del tutto evidente che la medicina generale avesse in sé ele-menti specifici che la rendevano una disciplina a se stante come il rapporto di fi-ducia, la relazione protratta nel tempo, l’approccio orientato alla persona. Lo scopo della nascita della SIMG fu proprio quello di fornire ai medici genera-li consapevolezza e strumenti per poter affermare tale pecugenera-liarità, specificità e im-portanza nell’ambito del sistema sanitario italiano. Lo strumento che venne rite-nuto il più idoneo per raggiungere questi obiettivi fu la formazione, sia comple-mentare che permanente, come strumento di indirizzo strategico che partisse dai bisogni professionali per tradurli in prestazioni precise. Si pensò ad un progetto formativo che non ragionasse soltanto in termini di “corsi e seminari” ma dive-nisse un processo capace di collegare i suoi quattro elementi fondamentali: l’ana-lisi dei bisogni, la progettazione, la realizzazione e la valutazione. Insomma un vero e proprio “strumento di governo strategico” della professione, uno strumento di qualificazione professionale ma anche uno strumento per affrontare quei cam-biamenti di cui la medicina generale aveva bisogno.
In questo ambizioso progetto non posso non riconoscere l’importanza delle idee, delle strategie, dell’entusiasmo dell’amico Aldo in qualità di Presidente della So-cietà scientifica anche se, modestamente, ritengo di aver portato anche io, insie-me ad altri illuminati colleghi, un importante contributo in qualità di responsa-bile del settore formazione e, soprattutto, in qualità di docente dei moltissimi cor-si per la formazione degli animatori e dei tutor per la medicina generale svolti in tutta Italia.
Ma non si può non riconoscere all’amico Aldo di aver avuto da sempre ben chia-ro quali fossechia-ro i reali bisogni della medicina generale di allora e della necessità di un forte cambiamento e di una forte revisione delle strategie professionali. Ma la mia vera ammirazione per Aldo (forse anche con un po’ di invidia) è per la sua grande cultura frutto di una passione instancabile per la lettura. Aldo mi ha sti-molato, senza farlo apertamente, ad interessarmi di tematiche attinenti l’etica, la bioetica e la deontologia, tematiche poi approfondite quando ho fatto parte del Comitato etico locale della ASL11 di cui attualmente sono il coordinatore. Devo dire che mi sento in profonda sintonia con il mio carissimo amico in tut-to, anche in politica. Forse l’unica cosa che ci divide è la fede calcistica in quan-to lui tifa “Juventus” ed io “Viola” e tutti sanno quale sangue scorra fra le due ti-foserie. Ma devo riconoscere che anche in questo campo il mio amico ha sempre saputo essere corretto e comprensivo.
Per finire mi sento in obbligo di ringraziare il mio carissimo amico per ciò che ha rappresentato e rappresenta per me anche ora che, dopo il suo trasferimento a Fi-renze per motivi familiari, ci vediamo meno spesso ma i nostri incontri, anche se diradati, con gli amici fiorentini sono sempre fonte di discussioni interessanti e costruttive.