Walter Gatti
giornalista, direttore portale FNOMCeO
È
tutta colpa di un risotto e di Martin, il filosofo di Sein und zeit. Ma soprattutto di un bel piatto di riso ai funghi. Chi scrive, il sottoscrit-to, è un lombardo della bassa Milanese. Sono nato a Lodi, dove le ri-saie vanno da Cavenago d’Adda verso Pavia e Vigevano, contendendo alla bassa veronese il trofeo di più importante area produttiva italiana. È quel piatto di riso che ha dato il via a riflessioni, ricordi, anticipazioni, provocazio-ni, ribellioprovocazio-ni, suggestioni ed elucubrazioni sul tema "i medici italiaprovocazio-ni, la co-municazione della salute e il web" di cui il Pagni Aldo, come lo definirebbe Giorgio Gaber (che da milanese ogni tanto metteva il cognome prima del nome, come del caso del Cerutti Gino), è insospettabile eppur efficace profe-ta e critico (al contempo: due elementi in uno).Ma all’inizio di questa storia ci sta una domanda: dove sta la gioventù? Nel ca-pello nero? Nell’energia ginnica? Nella sfrontatezza dei 20anni? Nell’incoscienza dei pericoli affrontati alla James Dean? Nel coraggio di una diagnosi? Oppure di un reportage “pericoloso”? Non occorre scomodare Lorenzo de Medici o Schopenahuer, visto che tra i portatori di capello argenteo ho trovato persone immense, sensibilità incredibili, testimonianze di culture, valori, esperienze, politiche, responsabilità, socialità. Uno scienziato e ricercatore come Leonardo Santi, presidente emerito del comitato italiano per le biotecnologie, mi ha fat-to in alcune interviste rifat-tornare ai tempi in cui, negli anni ‘50, anche in Italia si muoveva l’interesse verso lo studio del DNA, pochi mesi dopo Watson and Crick. Proprio Santi mi raccontò di come lui dovette (detto sottovoce: ben più di Umberto Veronesi) assumersi l’onore e l’onere di rappresentare in tivù – con Santoro e con Vespa – la posizione della “scienza ufficiale” nei confronti del
me-todo Di Bella, compito ingrato e fastidioso da svolgere davanti alle telecamere entrando nelle case di gente comune che stava attribuendo alle somatostatine un potere miracoloso. Un cantante come Leonard Cohen, l’autore 78enne di canzoni epocali come Suzanne e Hallelujah che ho avuto la fortuna di intervi-stare, mi ha raccontato di come ha attraversato il suo tempo dedicandosi allo studio del suo ebraismo familiare, passando poi al buddismo e al cristianesimo. Un sacerdote chiamato Luigi Giussani, scomparso a 82 anni, mi ha mostrato in più di un colloquio come il cristianesimo sia il frutto elementare di un’espe-rienza più che di una mistica o di una teologia. Quel medico fiorentino chia-mato Aldo Pagni mi ha mostrato come l’ars medica vissuta sino in fondo, non ha paura dei cambiamenti, della necessità di comunicare, delle trasformazioni tecnologiche, delle diavolerie del web, delle fonti incontrollabili. Tutta gente dai capelli argentati, eppur resi giovanissimi proprio dalle mille esperienze, dalla se-te di conoscenza e verità, dalla personalità pose-tense-te, dalla mancanza di paura nel confronto con il nuovo, con le innovazioni, con i fatti della vita, proprio perché dotati di radici profonde. E questo ci conduce al rapporto tra comunicazione, tecnologie e – appunto – il dottor fiorentino che chiamiamo Aldo Pagni. La prima volta che ho parlato di comunicazione e tecnologie avanzate con Al-do eravamo a Sanremo. L’occasione era il convegno sulla deontologia medica europea (aprile 2005) proposto dalla Fnomceo e da Francesco Alberti. In mar-gine a un incontro con giornalisti, chiesi a Pagni Aldo se a suo parere l’uso del web avrebbe potuto aiutare i medici di mezza Europa a dialogare tra loro sulle problematiche deontologiche e professionali. Con una certa dose di sorpresa la sua fu una risposta fortemente affermativa: “ma certo – mi disse più o meno – la classe medica non può e non deve stare lontana dai nuovi strumenti di co-municazione”.
In quei giorni non avevo focalizzato che la frequentazione del dottor Pagni con l’ambiente della comunicazione e delle tecnologie era di vecchia data. Lui ave-va partecipato ad uno dei primi progetti di cartella clinica del nostro paese men-tre trafficava tra Simg, Fimmg e Fnomceo. Ma ancor di più aveva subìto e rea-gito alle vicende della “cura di Bella” prima scontrandosi con il pretore di Ma-glie, Madaro, poi ponendosi tra i primi firmatari dell’appello Opinione pub-blica e analfabetismo scientifico (Il Sole24Ore, 28 gennaio 1998), firmato da giornalisti scientifici, medici, docenti universitari, ricercatori. L’appello aveva un impianto ben preciso espresso in questi punti-chiave: “1. Ogni informazio-ne relativa a un problema scientifico deve indicare gli elementi fattuali e le fon-ti cui si riferisce, favorendo al massimo la disfon-tinzione tra esistenza di dafon-ti e opi-nioni. L’informazione non deve confondere la scienza con la fede e le speranze con i fatti, essenza del giornalismo. 2. Il giornalista, non solo scientifico, deve “capire prima di scrivere” e acquisire strumenti di verifica. La qualità dell’in-formazione non va sacrificata alla “voglia di scoop” o essere usata per alimen-tare emozioni e illusioni, quando il tema trattato riguarda la salute ed è in gio-co la vita di esseri umani. 4. È dovere dei membri della gio-comunità scientifica in-formare in modo costante e corretto i mass media. Così come spetta al
medi-co, in prima persona, stabilire una comunicazione-informazione, che sia con-tinua e comprensibile nel linguaggio, con il paziente. 8. Meglio puntare sui due cardini del pensiero scientifico: il senso critico (utile per discernere il vero dal falso e per non cedere alla tentazione di credere in ciò che si vorrebbe fosse ve-ro) e la curiosità (che trova alimento nella ricerca scientifica), piuttosto che fa-re informazione spettacolo”. Il Pagni Aldo da pfa-residente della Fnomceo fu uno dei primi sostenitori di questo appello, che tendeva in un modo preciso a di-stinguere i fatti scientifici dal sensazionalismo, nell’epoca del caso di Bella co-me nell’epoca del caso Stamina. Comunicazione, eticità e trasparenza delle in-formazioni, centralità dell’alleanza terapeutica, informazione digitale: proprio nell’approfondimento della relazioni tra questi temi ho scoperto il lato più in-teressante del Pagni giovanissimo nonostante il capello bianco. E qui salta fuo-ri il colpevole, ovvero il complice, cioè il fuo-risotto di Mafuo-ria Pia, moglie del cita-to dotcita-tore dalla chioma biancastra.
Una lunga intervista a Pagni, rilasciata per un mio volumetto – Sanità e Web, come internet ha cambiato il modo di essere medico e malato in Italia – prese l’av-vio nella casa fiorentina del nostro caro medico. Ma s’involò verso cime side-rali dopo un pranzo a base di risotto. Prima del pranzo l’intervistatore e l’in-tervistato si occuparono di schermaglie, di domande e risposte standard, in quella classica fase delle lunghe interviste in cui soprattutto ci si occupa di di-segnare la cornice del dialogo, senza ancora delineare l’effettivo soggetto-pro-tagonista. Fu dopo il risotto, a conti fatti non solo perfetto, ma anche stimo-lante per entrambi (e comunque lo fu per l’intervistatore), che le cose diventa-rono godibili e di spessore. Fu in quel momento che si entrò a parlare di Karl Jasper e Heidegger, di Tina Anselmi e Max Weber, di MacLuhan e Moliere. Parlavamo di malattia come “fenomeno multidimensionale” prodotto di “dif-ferenti interazioni e condizionamenti” e scoprivamo che nella cronologia della comunicazione della salute si era passati dall’epoca della carta a quella della ti-vù e poi a quella del web. Riportai così una parte di quel dialogo:
“L’alleanza terapeutica, rimasta sostanzialmente salda per secoli, ha iniziato ne-gli anni Ottanta-Novanta a registrare forti segnali di disturbo mediatico e la te-levisione è stata una delle forti “guastatrici” dell’alleanza tra medico e pazien-te. Me l’ha ricordato Aldo Pagni, celebre medico toscano fondatore della So-cietà italiana di Medicina generale e presidente della Federazione Nazionale dei Medici dal ‘97 al 2002. “È noto a tutti i medici di famiglia il fatto che dagli an-ni Ottanta in poi al lunedì un medico arrivava in studio e quasi per magia s’inco-lonnavano in ambulatorio decine di malati più o meno immaginari: erano i tele-pazienti”. Perché al lunedì? Qualcuno si ricorderà che durante il week end la Rai e le altre emittenti televisive proponevano una serie di trasmissioni dedica-te alla saludedica-te: Elisir, Tuttobenessere, CheckUp (20), Più sani più belli, Medici-na33, Vivere Meglio, Tuttobenessere, senza dimenticare anche gli “angoli della salute” dei vari contenitori come Uno Mattina e DomenicaIn. A condurle era-no e soera-no ancor’oggi una serie di giornalisti e volti dotati di prestigio. Il pub-blico di queste trasmissioni è per lo più composto di anziani, casalinghe,
per-sone sole che ascoltano servizi, commenti di specialisti, testimonianze di pa-zienti aumentando il livello della propria ipocondria. “E così al lunedì i nostri ambulatori si riempivano di persone che esordivano con la frase leggendaria ‘ho sen-tito dire in tivù che…’. Iniziando poi a sciorinare un caos completo di sintomi, messaggi recepiti dallo schermo e confuse nozioni diagnostiche, chiedendo poi ine-vitabilmente cosa ne pensasse il medico”.
Il dialogo, riportato nel mio trattatello, continuò così:
“Ma onestamente devo dire che i pazienti del tele-dottore non avevano ancora il co-raggioso ardire di arrivare in uno studio medico con un parere alternativo: il pare-re di chi può farsi una cultura propria sulla propria malattia”. È ancora Aldo Pa-gni ad aiutarmi con il suo racconto: “I giornali non hanno mai inciso così profon-damente sulla coscienza della malattia. La tivù ha invece stimolato i cittadini in un modo diverso e – se mi posso permettere – inconsapevolmente consapevole. Finché, negli ultimi anni, è arrivato – appunto – il dottor Web e qui la consapevolezza è diventata un elemento non evitabile. Ricordo una delle prime volte in cui mi è entrato in studio un suo paziente. Era un mio assistito, un uomo di mezza età che aveva un nodulino tu-morale alla prostata. Lo specialista gli aveva detto ‘è un piccolo nodulo, vediamo con at-tenzione, seguiamo l’andamento e regoliamoci di conseguenza con estrema puntualità’. Insomma un bel giorno – sto parlando di alcuni anni fa – questo paziente mi arriva in ambulatorio e mi dice ‘dottore, ho scoperto su Internet che c’è la possibilità di effettuare un test che permette di stabilire se si deve operare o no: lei che ne pensa?’ L’ho guardato piuttosto inquieto e gli ho risposto ‘onestamente non lo so: non so dove l’ha trovato, non so chi l’ha scritto, non so chi l’ha pubblicato. Può darsi sia una bufala, può darsi di no’. Era l’unica risposta onesta e seria che potessi dargli. Lì ho capito che stava accadendo un mutamento vasto e profondo”. Tutto da dimostrare che quelle recuperate on-line sia-no informazioni attendibili, ma questo aspetto in questo momento ci interessa po-co, perché, ricorda Aldo Pagni, “quel che conta ora è che il rapporto tra medico e pa-ziente non è più quello vetero-paternalistico, perché oggi si confrontano due modelli di conoscenza: quello clinico e quello profano del paziente, che viene dall’esperienza sua personale, dalla famiglia e dagli amici, da quello che ha letto e trovato, da ciò che l’ha convinto o gli ha dato speranza. Questo secondo modello può portare a situazioni ab-normi, perché sappiamo che già conduce a volte all’autodiagnosi, che in realtà è segno di un autorevolezza medica dispersa e che dovrebbe essere ritrovata nel confronto con il paziente sull’utilità delle cose”.
Ecco il seme della gioventù: non si può aver paura della trasformazione in atto, bi-sogna cercare di giudicarla, di crearsi gli strumenti di giudizio del nuovo emwerment del mondo dei pazienti, soprattutto perché oggi il web rappresenta un po-tenziale “terzo incomodo” destabilizzante tra medico e malato. Non aver paura del web, mi ha ripetuto più volte quel giorno il Pagni Aldo. Non averne paura se non si vuole depotenziare la professione medica. Più o meno nello stesso periodo del ri-sotto colpevole e complice, il Pagni tenne una lezione magistrale nella sua Firenze in occasione delle Giornate Nazionali di Studio in Medicina Telematica: “Dalla Sa-nità Elettronica alla Medicina Telematica. Il Futuro è adesso” (8/9/10 aprile 2010). Il tema era Dalla condotta medica alla medicina telematica. Citando Heidegger (ecco
apparire l’ultimo attore di questo nostro panegirico pagnanesco) Pagni si prese la briga di ricordare che ciò che è veramente inquietante non è che il mondo si tra-sformi in un completo dominio della tecnica: “di gran lunga più inquietante è che l’uomo non sia affatto preparato a questo radicale cambiamento del mondo. Di gran lunga più inquietante è che non siamo ancora capaci di raggiungere, attraver-so un pensiero meditante, un confronto adeguato con ciò che sta realmente emer-gendo nella nostra epoca. Parrà strano, ma a distanza di quasi cinquant’anni dalla riflessione del filosofo tedesco, non sembra che la medicina abbia “meditato” a suf-ficienza sui rapporti tra la tecnologia e l’esercizio della professione”. L’intervento di Aldo terminò con la riaffermazione dell’alleanza terapeutica, sacra e insostituibile pur nel periodo di Google e di Wikipedia: “La visita, tuttavia, deve rimanere un in-sostituibile “incontro” tra due persone, una che soffre e un consigliere esperto che ha il compito di aiutarla, avvalendosi senza pregiudizi degli strumenti che l’organiz-zazione della tecnologia scientifica moderna gli mette a disposizione”. Il pensiero me-ditante, la capacità di guardare una realtà potenzialmente scomoda senza abiurare alla necessità di entrare dentro alle provocazioni. Come dire: possono pure trascor-rere i secoli, ma è sul coraggio di quel “prendersi cura” che si conferma il presente della medicina e se ne assicura il futuro. Senza temere alcun elemento di “disturbo”. Non esistono elementi di “disturbo” dell’ars medica quando è esercitata in scienza e coscienza, con protagonismo e senza timori da ventre molte professionale. Uno dei punti di riferimento della mia vita e’ stato – come dovrebbe forse essere naturale – mio padre Anselmo. Scomparso pochi anni fa nell’epoca dei suoi capel-li imbiancati, aveva una frase che ripeteva spesso: “mai paura”. Secondo me anche Aldo la sottoscrive. E in ogni caso mi piace pensare che con mio padre si sarebbe capito al volo. Anche senza web.