Capitolo I. Introduzione 1.1 Famiglie nobili ed economia in Italia e in Europa
1.3 Gli Aldrovand
L’origine dei bolognesi Aldrovandi, così come quella di numerose altre famiglie patrizie della città, può essere ricostruita solo attraverso le notizie sparse che possiamo trovare nelle raccolte di cronache sulla Bologna moderna. L’archivio privato è infatti fonte di informazioni principalmente a partire dal Cinquecento e per i periodi precedenti trovare ulteriori notizie non è sempre facile. Risulta allora semplice comprendere come lo stesso cronachista secentesco Dolfi, nella sua nota Cronologia delle famiglie nobili bolognesi non sembri in grado di trovare una precisa origine alla famiglia senatoria. “La generosa antica e tanto nobile Stirpe Aldrovanda, alcuni hanno scritto che possa derivare dalli Longobardi, perché trovano di quella natione un Ildibrando, dal quale suppongono habbia dedotto il Cognome, altri han creduto, che trahesse l’origine da una famiglia già antica di tal cognome in Fiorenza …”44. Ciononostante lo stesso cronista sembra essere sicuro dell’antica nobiltà della casata. “… mà io dico, che questa è una Casata per se stessa tanto riguardevole per la sua non interrotta nobiltà, che non ha bisogno di mendicar origini dubbiose”45. Quello delle dubbiose genealogie era in realtà un problema comune a molte famiglie di quel periodo che condividevano ormai uno stile di vita ed un modo di pensare strettamente nobiliare, senza però poter contare su prestigiose origini, o comunque non così antiche. Si veniva così spesso ad intervenire
43 Giancarlo Angelozzi, Le strutture sociali in Aldo Berselli, Storia della Emilia – Romagna. Vol. 2, op. cit., pp. 136-142.
44 Pompeo Scipione Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili bolognesi, Bologna, 1670 (Ristampa anastatica del 1990 di Arnaldo Forni Editore), p. 40.
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inventando veri e propri antenati illustri, facendo spesso riferimento a realtà lontane difficilmente controllabili. Veri e propri falsari servivano la vanità genealogica delle famiglie inventando discendenze bizzarre e inattendibili anche agli occhi dei contemporanei. Tendenze diffusesi con il tempo dalle dinastie regnanti alle più modeste famiglie aristocratiche di provincia.46
Tra le notizie che sembrano essere più sicure abbiamo il fatto che gli Aldrovandi sino al XIII secolo aggiungevano al cognome la specificazione del Vivaro dal nome della contrada nella quale abitavano; essi avevano inoltre posseduto beni in Castel de Britti sull’appennino bolognese che erano poi passati, non si sa bene in quali anni, in mano alla famiglia Fava. Sempre in un tempo non ben specificato si trasferirono a Bologna nella centrale via di Santo Stefano. E’ probabile che la loro origine più che mercantile fosse di tipo giuridico, era stato infatti registrato come alcuni Aldrovandi fossero uomini di legge e allo stesso tempo impegnati nella politica locale. Il settecentesco Lodovico Montefani parla già dal 1175 di un Pietro Aldrovandi dal Vivaro che presiedette al giuramento di fedeltà che gli abitanti di Oliveto prestarono come sottomissione ai bolognesi. Una operazione evidentemente svolta in seno alle cariche comunali. Altra segnalazione simile viene fatta per Ugolino di Ugo dal Vivaro che era procuratore del comune di Bologna nel 1288. Successivamente, troviamo notizia di Nicola o Niccolò di Pietro Aldrovandi, nel 1384 dottore di legge, come suo padre, che “leggeva” diritto civile con salario di 100 lire annue, nel 1387 era nel consiglio dei 400, e varie volte a partire dall’inizio del Quattrocento sino al 1428 fu uno dei 16 riformatori. Troviamo anche un altro dottor Niccolò, i nomi in queste famiglie ricorrevano spesso, che fu riformatore dal gennaio 1467 al settembre 1468, anno in cui morì, e il figlio di questo Giovan Francesco riformatore dal 1488 al 1506 e gonfaloniere in vari periodi.47 Era probabilmente in questo senso che si doveva intendere “la non interrotta nobiltà” di cui
46 Si guardi soprattutto Roberto Bizzochi, Genealogie incredibili, Bologna, Il Mulino, 1995 ed in particolare pp. 9-26 e 71-92, ma anche Luigi Borgia, Note per la conoscenza delle fonti araldiche italiane. Le fonti negli archivi di famiglia: un “priorista” fiorentino in Archivio Storico Italiano, anno CLI, n. III, 1993, pp. 593-642.
47 Lodovico Montefani, Famiglie bolognesi, vol. 3, in Biblioteca universitaria Bologna (d’ora in avanti BUBo) manoscritto n. 4207. Per il riferimento alle istituzioni dei riformatori: Giuseppe Guidicini, Storia dei riformatori. Vol. I, op. cit., pp. 13-85.
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parla il Dolfi, cioè una lunga presenza nella vita cittadina e nelle istituzioni politiche ancor prima del ritorno del sovrano pontefice.
E’ il caso di soffermarsi soprattutto su quest’ultimo Giovan Francesco, perché risulta una figura di una certa importanza per le sorti della famiglia. Nel 1488 dicevamo aveva ottenuto il secondo dei sedici, poi portati a ventuno, seggi dei riformatori, sostituendo alla morte Giovan Filippo Salaroli. Il Guidicini ci narra come avesse ricoperto cariche politiche anche fuori Bologna, a Lucca e a Firenze.48 Rientrato a Bologna per diventare riformatore fu sei volte gonfaloniere ed ambasciatore presso il duca del Valentino (nel 1502). Escluso dopo il 1506 dal “popolo”, fu nominato senatore da Giulio II, al quale aveva dimostrato una certa fedeltà andando ambasciatore ad Imola ad offrirgli la città dopo la fuga dei Bentivoglio. Eppure nelle turbolenze che agitarono la città in quei giorni non soffrì molestie da parte dei partigiani dei Bentivoglio, probabilmente perché non aveva avuto un ruolo così importante nella lotta tra fazioni.49 Questo distacco aveva assicurato una perpetuazione del ruolo della famiglia nel nuovo assetto politico cittadino, una continuità che a dire il vero coinvolse la maggior parte delle famiglie più influenti, colpendo in negativo solo quelle maggiormente compromesse con il potere bentivogliesco. Nel 1513 pochi anni dopo la morte di Giovan Francesco ritroviamo un altro Aldrovandi, Filippo Maria di Sebastiano, facente parte del senato dei quaranta stavolta con nomina di papa Leone X. Con lui iniziava una lunga serie di senatori che arriverà sino a fine Settecento con un’unica interruzione di venticinque anni.
Filippo Aldrovandi di Pompeo, che si fregiava già del titolo di conte, succedette in senato al padre nel 1623, distinguendosi per un’interessante gestione del patrimonio, ma anche per una condotta di vita decisamente violenta ed irrequieta. Dal matrimonio con Isabella Pepoli aveva ricevuto come dote delle importanti proprietà terriere, avviando un processo di accumulazione fondiaria che continuerà per più di un secolo. La sua vita poco tranquilla però gli costò l’arresto nel 1633 per svariati e non meglio identificati delitti di sangue. La sua posizione gli permise comunque di ottenere quelli che oggi
48 Le notizie non sono in realtà molto chiare, nella Storia dei riformatori il Guidicini dice che era stato podestà a Lucca e a Firenze, poi che era stato pretore nelle stesse due città e anche a Perugia. Comunque si confermerebbe il passato di un politico di professione.
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chiameremmo gli arresti domiciliari. Doveva venire comunque ben presto riabilitato se lo ritroviamo in veste di gonfaloniere già nel 1637, il marchio dell’infamia casomai resterà sulle spalle dell’erede maschio Ercole che non si vedrà riconfermato il seggio del padre in senato. Al loro posto furono inseriti proprio quei conti Barbazza protagonisti delle schermaglie di Filippo, che erano costate il ferimento di uno di essi, dello stesso Filippo e la morte del cognato di quest’ultimo Fabio Pepoli.50 Il prestigio della famiglia però non era stato completamente compromesso ed il ritorno al senato fu assicurato ad Ercole nel 1669 dall’estinzione della famiglia Lupari, dopo la morte dell’ultimo erede Bartolomeo.51
Famiglia di antica cittadinanza e partecipazione alla vita politica cittadina gli Aldrovandi vollero, secondo una tendenza comune a molte influenti famiglie della città, acquisire anche un titolo nobiliare legittimato da un capo di stato straniero e che perciò li introducesse in quel sistema di onori che legava la nobiltà di tutta la penisola. Nel 1586 Ercole di Filippo Maria veniva investito dal duca Alfonso di Ferrara della contea di Guia, operazione che era costata alla famiglia ben 43000 scudi. Pochi anni dopo nel 1593 la contea gli veniva tolta per inosservanza delle convenzioni stabilite con il duca di Ferrara, ma la mancanza del titolo veniva rimpiazzata nel 1598 con l’acquisizione della contea di Viano e Piagna nel reggiano, stavolta ad opera del duca di Modena. Non esistono testimonianze, anche nell’archivio, del costo di questa ultima operazione, ma è probabile fosse stata anch’essa decisamente onerosa così come era stata la precedente. Gli elementi sembrano allora coincidere con ciò che era stato presentato come caratteristico del ceto patrizio bolognese, gli Aldrovandi infatti costituiscono un campione decisamente tipico dell’elite di potere del periodo a cavallo tra il Seicento ed il Settecento, intervallo di tempo su cui abbiamo deciso di porre il nostro interesse. Questo ci permette, seppur con mille attenzioni e cautela, di raffrontare le nostre
50 Notizie sulla perdita del seggio al senato degli Aldrovandi sono in: BUBo, Lodovico Montefani, Famiglie bolognesi, vol. 3 ms. 4207; BUBo, Antonio Francesco Ghiselli, Memorie antiche manoscritte di Bologna, vol. XXVIII (1639-1644), ms. 770 e Giuseppe Guidicini, Storia dei riformatori. Vol. 3, op. cit., pp. 47-48.
51 Giuseppe Guidicini, Cose notabili della città di Bologna. Vol. II , Bologna, Monti, 1869 (ristampa 1980), pp. 177-180.
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particolari conclusioni con i quadri di riferimento, e allo stesso tempo trarre delle considerazioni in parte valide per la situazione generale.
Anche dal punto di vista economico, che è quello che ci interessa maggiormente, i primi elementi ricavabili da una lettura delle fonti non archivistiche presentano gli Aldrovandi come fortemente legati alla terra, anche nei periodi in cui erano ancora uomini di legge. In origine avevano beni a Castel de’ Britti, passati poi alla famiglia bolognese dei Fava, nel 1241 risulta fossero proprietari nel comune di San Marino, nel 1494 in Santa Maria in Duno, nel 1503 a Piumazzo, nel 1534 a Sant’Antonio in Savena.52
La continua appartenenza al senato sembra allora trasformare la famiglia nel gruppo aristocratico che ci si presenta a metà Seicento, con le sue caratteristiche ben definite tipiche dell’elite economica e sociale. I cosiddetti mestieri liberali erano stati con il tempo abbandonati e ci si era dedicati in maniera quasi esclusiva alle attività politiche e alla gestione del patrimonio terriero. Rare eccezioni coinvolgevano i figli maschi minori, i cosiddetti cadetti, come il grande medico e naturalista Ulisse (1522-1605) al cui nome i discendenti, sino a tempi recenti, hanno cercato sempre di rimanere legati, ad esempio adoperandosi per la costruzione di un museo che ne raccogliesse le collezioni scientifiche o celebrandolo negli anniversari.53