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Capitolo III. Pompeo artefice delle fortune famigliari e il quadro economico di metà Settecento

3.2 Gli investiment

Il 1721, anno dell’effettiva divisione patrimoniale tra i tre fratelli Aldrovandi, segna un punto di svolta nella gestione economica di Pompeo, in un periodo in cui, ritornato in auge presso la corte pontificia, poteva disporre anche di interessanti rendite politiche ed ecclesiastiche. La disposizione del patrimonio paterno fu però decisiva tanto che è proprio dall’anno successivo che iniziano i principali investimenti. Il desiderio di grandezza per la famiglia si espresse nel progetto di rinnovo e di ampliamento del palazzo di Bologna, simbolo visibile per la città del prestigio famigliare.

Tra il 1722 e il 1724 si susseguono gli acquisti di immobili intorno al palazzo con lo scopo di ampliarne il perimetro. Il 22 gennaio 1722 Pompeo acquistava ad esempio dalle monache della Santissima Concezione una casa con teggia e stalla nella via de Corighi, confinante con i beni Aldrovandi. Il pagamento del prezzo stabilito di lire bolognesi 9380 non avveniva in contanti ma in titoli di credito.181 Un’altra casa veniva acquistata il 22 giugno 1722 dal marchese Angelelli per 2302 lire anch’essa situata in via de Corighi e con le stesse modalità di pagamento dell’acquisto precedente.182

Seguivano altri tre acquisti di case per un totale di altre 20300 lire bolognesi. In totale in poco più di un anno Pompeo si trovò a fare acquisti di case per un totale di 31982 lire bolognesi, solo in piccola parte però (9650 lire), pagati in contanti. Il resto infatti veniva pagato con titoli di credito o dilazionandolo nel tempo.183 Comunque il pagamento in

180 Sul ruolo dell’Aldrovandi nella bonifica del ravennate vedi anche Alfeo Giacomelli, Carlo Grassi e le riforme bolognesi del Settecento, op. cit.

181 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti, busta 29. 182 Sempre in busta 29.

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contanti di almeno il trenta per cento di una simile cifra costituiva un elemento distintivo importante rispetto alla cronica mancanza di denaro liquido del suo parentado. Le case acquistate saranno poi in parte distrutte e inglobate nel nuovo palazzo.

Agli acquisti in città, finalizzati principalmente alla realizzazione del palazzo, si accompagnavano però anche i corposi investimenti fondiari. Della sua eredità faranno parte quattro grandi imprese agricole, oltre a proprietà minori, situate tra il contado bolognese e quello ferrarese. Non di tutte abbiamo gli atti d’acquisto ma nell’archivio si trovano comunque tracce delle avvenute vendite. Ad esempio tra il novembre 1723 e il dicembre 1724 sono registrate delle acquisizioni nel comune di Sant’Agostino, dove era situata l’impresa di Mirabello. Venivano acquistate circa 28 tornature di terreno per un valore di 4000 lire bolognesi. 184 Era solo una piccola parte di una più grande tenuta che

misurava più di 1500 tornature. Non è stato conservato nell’archivio l’atto di acquisto di questa impresa ma vi è una stima nei documenti della gestione, che testimonia l’avvenuto acquisto nel 1723, un anno prima della redazione del documento, dalla duchessa Isabella Ruini Bonelli. L’estensione della tenuta era di 1509 tornature bolognesi, 19 tavole e 28 piedi. Il valore dell’intera stima, che corrispondeva a circa 56212 lire bolognesi era probabilmente anche lo stesso pagato per l’acquisto.185 La

stessa stima ci informa come la maggior parte delle terre fossero state danneggiate dalle inondazioni, se non addirittura ancora sommerse dalle acque. Questa impresa rivestiva però nel patrimonio di Pompeo un’importanza particolare proprio perché legata all’ambizioso progetto dei lavori di bonifica.

184 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti , busta 29 e busta 30.

185 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 207.

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Tabella 3.1 Stima della tenuta di Mirabello (1722)

Caratteristiche Estensione (tornature,

tavole e piedi bolognesi) Valore (lire, soldi e denari bolognesi) 1. Possessione lavorativa,

prativa, valliva (con danni agli edifici)

174, 90, 27 11.140, 0. 8

2. Possessione lavorativa,

prativa, valliva 312, 116, 16 14.040, 17

3. Possessione lavorativa, prativa, valliva (parte inondata)

196, 37, 67 9.417, 2

4. Possessione lavorativa

(con danni alla stalla) 178, 25, 93 9.127, 15, 3 5. Terra valliva (inondata) 178, 65, 21 2.655 6. Pezzo di valle (molto

inondata) 253, 70, 73 1.265, 9

7. Pezzo di valle (molto

inondata) 148, 69, 20 1039, 7, 2 8. Luogo lavorativo 7, 56 1182, 4, 5 9. Luogo lavorativo e ghiaioso 10, 136, 61 1338, 5, 1 10. Luogo lavorativo e ghiaioso 9, 19, 50 1143, 5, 2 11. Luogo lavorativo 8, 102, 50 2613, 10, 10

12. Pezzo di terreno (molto

rovinato, arenato) 30, 91, 50 1225, 8, 4

Totale 1509, 19, 28 56.212, 4, 11

Fonte: ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 207.

La stima mostrava insomma come cambiassero i valori delle terre, per tornatura, a seconda delle condizioni. Tutto ciò ci fa comprendere bene il senso di questa operazione. Pompeo aveva voluto insomma sostenere un oneroso investimento su terre che avevano perso buona parte del loro valore, con la speranza di riportarlo al livello originale tramite importanti lavori di bonifica. Il tutto si inseriva in un più ampio

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progetto di risanamento del territorio che lo avrebbe coinvolto in un periodo successivo anche come uomo politico. 186

A far perdere valore ad un terreno contribuiva anche il buono o il cattivo stato degli edifici al proprio interno. Si legge infatti che nella prima possessione le parti lavorative subiscono una certa svalutazione per il fatto di avere gli edifici “in poco buono stato”. Si dice anche quanto era valutata la tornatura a seconda delle sue caratteristiche. In questa prima possessione la tornatura lavorativa valeva 140 lire, la prativa 50 e la valliva 20. Spesso con il termine “valliva” si intendeva descrivere proprio quelle terre che erano inondate e non utilizzabili. Nella seconda possessione in cui non sembrano esserci danni le tornature lavorative valgono 160 lire ognuna, ed è probabilmente questa la valutazione normale. Si vede infatti come ancora il valore scenda in base a parti inondate o a edifici “bisognosi ressarcimenti”, il che voleva dire spesso che stalle o tettoie erano da ricostruire completamente. Le terre che erano completamente inondate risultano avere un valore sceso al minimo, da 15 a 5 lire la tornatura, per appezzamenti che un tempo erano stati lavorativi e che si sperava potessero ritornare alla normalità. Vi erano terreni in cui la piena aveva lasciato sabbia e ghiaia (“terreno berletivo187”) ed

erano così diventati infruttuosi, mentre in altri l’acqua era rimasta e non si vedeva la possibilità di mandarla via.188

186 Su questi progetti dispendiosi e spesso divergenti con quelli pubblici si guardi Alfeo Giacomelli, Le aree chiave della bonifica bolognese, op. cit., pp. 150-152. Per un quadro generale sulle bonifiche nelle campagne tra il territorio ferrarese e quello bolognese si guardino soprattutto: Emilio Sereni, Note per una storia del paesaggio agrario emiliano in Renato Zangheri (a cura di), Le campagne emiliane nell’epoca moderna, Milano, Feltrinelli, 1957, pp. 27-53; Franco Cazzola, Il governo delle acque come pratica: Giovan Battista Aleotti e la crisi idraulica del basso Po tra XVI e XVII secolo in Alessandro Fiocca (a cura di), Giambattista Aleotti e gli ingegneri del Rinascimento, Firenze, Olschki, 1988, pp. 23 – 46; E la terra emerse dalle acque. Le fasi storiche della grande bonificazione ferrarese, Ferrara, s.e., 1985 e Marco Cattini, Le Emilie agricole al momento dell’unità in Storia d’Italia. Le Regioni. L’Emilia – Romagna, Torino, Einaudi, 1997, pp. 9-11.

187 Da berleida che in dialetto bolognese significa greto, terreno ghiaioso e pieno di sassi generalmente situato vicino al letto d’un fiume.

188 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse busta 207.

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A conferma dello stato di grave disagio vissuto nelle terre di Mirabello e del conseguente progetto di porvi rimedio, lo stesso perito Cesare Cassani esprimeva il suo stato di preoccupazione. Egli concludeva infatti che se non si fosse intervenuti con lavori di bonifica, non solo non si sarebbe potuto migliorare il valore di quelle terre, ma si sarebbe corso il rischio di danneggiare anche le altre rendendole “di pochissima rendita, et d’un nihillissimo valore”.189

Vicine a Mirabello erano anche le due imprese di San Venanzo e Raveda, la cui gestione verrà per l’appunto unificata in seguito. I beni di San Venanzo erano stati acquistati il 15 maggio del 1732 dal conte bolognese Nicola Piatesi, beni valutati dal perito in 29555 lire bolognesi ed estesi per circa 1376 tornature. Anche in questo caso Pompeo ripeteva l’operazione di Mirabello, facendo suoi dei beni fortemente danneggiati dalle inondazioni. Molti edifici avevano perso completamente di valore deprezzandone la quotazione. A tal proposito si può leggere nella perizia compiuta del signor Giulio Cassani: “… sotto le abitazioni verso Levante e Settentrione vi sono sotterranei con diversi comodi di cucine, forno, pozzi e scale li quali sotterranei si sono resi inutili per la vicinanza, ed altezza della Valle, che le inondano, e tutto il tempo dell’autunno, ed inverno vi è un altezza di acqua di circa trè o quattro piedi per la qual causa li detti Sotterranei muri e tasselli sono in cattivo stato, ed in passi rovinosi in pregiudizio delle abbitazioni del Piano terreno …”. 190 Da notare come in questo caso Pompeo fosse riuscito a compiere un’interessante speculazione poiché la richiesta iniziale fatta dal Piatesi nel 1731 era di 50.000 lire bolognesi, quasi il doppio di quello che fu effettivamente pagato. Evidentemente nel sensibile calo del prezzo aveva giocato l’immediata necessità del Piatesi di chiudere il debito e allo stesso tempo la pessima situazione dei terreni, utilizzabili solo per le funzioni di pascolo, e coltivati in parte a prato e a mori (gelsi), che non richiedevano grandi lavori di mantenimento.191

Un discorso differente va fatto per l’impresa di Raveda, che risulta anch’essa di provenienza Piatesi ma che passò nelle mani di Pompeo attraverso un’operazione

189 Ivi.

190 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti, busta 32.

191 Tutte le notizie sull’acquisto e sulle condizioni dell’impresa di San Venanzo sono in Affari di San Venanzo in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 215.

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differente che ne mette in luce anche una certa scaltrezza nel saper fare affari. Esisteva infatti un accordo tra i Piatesi e Pompeo affinché entrambi potessero ricavare guadagno dai lavori di bonifica che Pompeo stava svolgendo nella vicina tenuta di Mirabello. La proprietà Piatesi era di ben 2.000 tornature che già negli anni venti del Settecento erano completamente ricoperte dalle acque. Come si vedrà meglio, i principali lavori di bonifica a Mirabello riguardavano la costruzione di una chiavica, un canale per il deflusso dell’acqua, che avrebbe potuto migliorare sensibilmente non solo i campi dell’Aldrovandi, ma più in generale tutta la zona. Entrambi i proprietari terrieri avrebbero allora potuto sfruttare in questo modo la chiavica per liberare le loro terre dalle acque. Pompeo aveva quindi autorizzato i suoi uomini ad operare anche nei terreni dei conti Piatesi con un’interessante clausola che di fatto lo avrebbe risarcito per i lavori effettuati, essendo l’unico a sostenerne le spese. “Per la quali spese, et aggravii a quali dovrà soccombere Mons. Aldrovandi resta stabilito, e convenuto che tutto quel terreno ora spettante al sig. Co. Piatesi che resterà nell’accennate valli di Raveda scoperto dall’acque ed asciutto debbiasi dividere per metà, e che una parte resti al sig. Co. e l’altra al Mons.”192. Il rischio preso da Pompeo doveva però alla fine aver pagato.

Nell’eredità di cui il nipote Raniero si trovò nel 1752 a poter usufruire troviamo infatti un’impresa agricola situata a Raveda ed estesa per 576 tornature; è possibile allora che i lavori di bonifica avessero avuto successo liberando così dalle acque un migliaio di tornature dell’impresa del Piatesi, il quale rispettando l’accordo ne avrebbe dato metà all’Aldrovandi. Negli anni in cui però si svolgevano i lavori, secondo gli accordi Pompeo era tenuto a pagare l’affitto per la tenuta di 1.300 lire bolognesi annue, in quanto la particolare caratteristica dei lavori di bonifica, con l’introduzione di acque torbide nelle valli avrebbe impedito l’esercizio della pesca che era l’unico frutto che i Piatesi ricavavano da quelle terre. Per questo motivo Pompeo per il quinquennio 1725 – 1730, periodo in cui con molta probabilità si svolsero i lavori si impegnò a mo’ di rimborso a pagare il suddetto affitto.193

192 Affari di Raveda in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 217.

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La quarta grande tenuta di Pompeo era quella di Manzolino, la cui acquisizione mette in luce un altro interessante modo di operare da parte dell’alto prelato, cioè l’acquisizione di lasciti ereditari in cambio del pagamento dei debiti dei donatori. Tra questi ci fu il lascito del prelato Raniero Griffoni che si era affidato per la soluzione di una lite allo stesso Pompeo, il quale assicurando il pagamento dei debiti dello stesso di 17.000 lire bolognesi andava ad ereditare le sue proprietà. Al Griffoni da questa transazione andava anche un vitalizio di 20 scudi al mese che Pompeo si impegnava a versargli. Il Griffoni aveva allora convenuto che avrebbe ceduto tutti i beni “Mobili, Immobili, anco Enfiteotici, Livellarii, Fideicommissarii” che costituivano il suo lascito ereditario, ed in particolare la tenuta di Manzolino estesa per 1.000 tornature e una casa attigua al palazzo Aldrovandi, utilizzata anch’essa per l’espansione del complesso edilizio. 194

Un principio simile era stato seguito nella “donazione Mengarelli” pur con le differenze del caso. Il 15 luglio 1725 riceveva in donazione dal capitano Luca Mengarelli, oltre ad alcune piccole proprietà nella campagna bolognese, una conceria in città nella zona nota come la Grada costituita da un edificio di lavoro ed un altro con funzione abitativa.195

La decisione del capitano Mengarelli era giustificata soprattutto dalla volontà di togliersi il peso della gestione, che non gli era più possibile per l’età avanzata. Pompeo anche in questo caso si accollava i debiti del Mengarelli che lo strumento ci elenca “tanto per ragion de Capitali, quanto degli Annui frutti, ò censi de medesimi.”196 Questi non erano sicuramente trascurabili visto che in totale ammontavano a 49.904 lire e 10 soldi bolognesi per capitali e, per frutti o censi, 2.383 lire 10 soldi e 2 denari. La conceria veniva subito concessa da Pompeo in locazione per ammortizzare la spesa .197

Si coglie insomma una tendenza all’investimento che non era propria degli altri Aldrovandi. Vari elementi dovevano averla favorita, come una cultura differente,

194 I memoriali dell’affare dell’eredità Griffoni sono in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Carteggio. Atti vari. Miscellanea storico – scientifica, letteraria e d’arte, busta 386. Il periodo in cui si svolge questa transazione è sempre intorno al 1725.

195 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti, busta 30. 196 Sempre in busta 30.

197 Nel caso in questione Pompeo Aldrovandi concedeva in locazione al dottor Ercole Galimberti e Sebastiano Zanetti l’edificio “ad uso di conciar pelli con molino e valchiera” per cinque anni con affitto annuo di lire 1500. In ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti, busta 32.

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acquisita lontano da Bologna, la presenza di un patrimonio personale alle spalle, e non ultimo il fatto di essere un importante uomo di chiesa, con la capacità di ricoprire importanti cariche dal vescovo all’ambasciatore per il papa. Restano tracce nel suo archivio personale di entrate facenti parte delle proprietà che poteva gestire come vescovo, mentre resta meno chiaro quanto avesse potuto ricavare dai prestigiosi incarichi svolti nella Legazione di Ravenna e nell’ambasciata di Madrid. In questo caso nulla poteva essere lasciato ai posteri in termini di lasciti ereditari ma certe rendite potevano essere investite in beni che poi sarebbero ritornati in famiglia.

In generale si nota una sostanziale differenza con il fratello Filippo, il cui patrimonio personale era certamente notevole, grazie soprattutto all’eredità dello zio Marescotti, ma la cui tendenza all’investimento era praticamente nulla. In questo caso la terra costituiva principalmente una “chiave” di rendita ma anche un solido supporto di garanzia per un continuo indebitamento.

Oltre all’acquisto delle terre, i principali investimenti di Pompeo erano legati alla “materia delle acque”, a quelle bonifiche su cui si era puntato molto e che però daranno problemi di grande portata.