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Capitolo III. Pompeo artefice delle fortune famigliari e il quadro economico di metà Settecento

3.4 L’eredità di Pompeo

I testamenti, oltre a fornirci degli strumenti di immediata lettura delle strutture patrimoniali, costituiscono delle interessanti testimonianze del modo di agire e di pensare del testatore. Ciò è ancora più vero per Pompeo Aldrovandi le cui “ultime volontà”, mutate in varie occasioni, riflettono perfettamente la complessità del personaggio.

Il cardinale sapeva che sarebbe stato ricordato per le sue attività, ma a questo voleva aggiungere anche il fatto di essere ricordato come un benefattore. Ciò emerge dal cambiamento del suo testamento messo in atto nel 1730. Inizialmente insieme ai due fratelli aveva optato per l’istituzione di una primogenitura che avrebbe favorito i discendenti maschi di Filippo, così da riportare sotto un unico centro la gestione e il possesso del patrimonio. In seguito la volontà di gloria personale passò in primo piano rispetto alla strategia familiare. La primogenitura veniva così mutata per favorire la fondazione di un’accademia di arti liberali che avrebbe goduto delle principali rendite delle proprietà di Pompeo. In pratica venivano ridotte in maniera notevole le parti spettanti all’erede della primogenitura. Agli ambiziosi progetti per il mecenatismo delle arti quali la pittura e la scultura, Pompeo aggiunse anche disposizioni per aiutare il completamento del monumento principe della sua città, la basilica di San Petronio nella quale già si era fatto costruire una monumentale tomba. Oltre a ciò avrebbe voluto, per il suo impegno nel completamento dei lavori e della facciata in particolare, quivi scritto il suo nome in caratteri grandiosi. 220

219 Inventario legale della Eredità lasciata dal fù sig. Card. Aldrovandi in ASBo, Archivio – Aldrovandi Marescotti, Serie Carteggio. Atti vari. Miscellanea storico – scientifica, letteraria e d’arte, busta 376. 220 Legare il nome alla fine dei lavori della facciata di San Petronio fu il “sogno proibito” di molti illustri bolognesi e dello stesso cardinale che in questa occasione probabilmente dimostrò una certa megalomania. Si guardino a tal proposito La cappella di San Petronio (cappella Aldrovandi) e il suo restauro, Bologna, Costa, 2002 e Mario Fanti, La fabbrica di San Petronio a Bologna dal XIV al XX secolo. Storia di una istituzione, Roma, Italia Sacra, 1980. “ In honorem S. Petronii Bononie Protett. P.

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Da un lato c’era la volontà di avvicinarsi a modelli di “mecenatismo cardinalizio” presenti in città come Firenze e Roma con cui era venuto a contatto, dall’altro egli voleva perpetuare la propria memoria proprio nella sua città, un po’ come aveva fatto il suo avo Ulisse. In termini pragmaticamente economici questa eredità rappresentava una notevole ricchezza, in particolare la mancanza di grandi debiti, dovuta ad una gestione positiva, la rendeva totalmente accessibile agli eredi. Sappiamo infatti che al contrario i beni legati da ipoteche o da censi, questi ultimi come si vedrà molto utilizzati, erano di fatto bloccati ed inservibili per fini mecenateschi. Infine la decisione di non lasciare buona parte dei suoi beni alla famiglia, disposizione in seguito vanificata dall’intervento papale, dimostra la maggiore libertà di Pompeo da quei vincoli che ne potevano condizionare le scelte economiche. Un elemento quest’ultimo che si ritiene tra quelli fondamentali per spiegarne il successo economico.

Il testamento definitivo è quello redatto nel 1730 a cui si aggiunsero con il tempo numerosi codicilli, ben sei, riguardanti le disposizioni per la nascita dell’Accademia e le donazioni a San Petronio.221 Il quadro dei beni è comunque quello completo e definitivo

al momento della morte.

Già dalle prime disposizioni Pompeo dimostrava l’intenzione di utilizzare le proprie rendite per ben determinati scopi. Alla diocesi di Montefiascone della quale era vescovo era intenzionato a lasciare trenta luoghi di monte i cui frutti continui sarebbero stati utilizzati per l’abbellimento della cattedrale ma anche per la realizzazione di due busti alla memoria dello stesso Pompeo e del suo predecessore il cardinale Barbarigo.

Questo particolare utilizzo dei luoghi di monte si legge anche nelle successive disposizioni in favore dell’Accademia. Per la sopravvivenza di questa infatti Pompeo avrebbe donato tutti i restanti titoli posseduti sia a Bologna che a Roma, inoltre ne sarebbero stati acquistati altri con i denari contanti rinvenuti nel Monte di pietà di Roma Card. Aldrovandii fecit Anno Domini…” era la scritta che avrebbe dovuta essere realizzata per ricordare Pompeo.

221 Il testo originale del testamento di Pompeo si trova in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinal Pompeo, busta 224 ma per avere un quadro completo visti i vari codicilli che ne modificavano di fatto la struttura è il caso che si guardi anche la documentazione presente nella stessa serie nella busta 225. Le ultime disposizioni sono del 1749, molte delle quali confermavano le decisioni prese in precedenza.

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e nel Banco di Santo spirito. Altri denari contanti, buoni per lo stesso scopo, sarebbero stati ricavati dalla vendita dei mobili dei palazzi di cui il prelato poteva disporre nello svolgimento dei suoi incarichi a Roma, a Montefiascone e a Corneto (altra sede di una diocesi oggi non più attiva).

Il sostentamento dell’accademia era però assicurato principalmente dalle rendite dei beni di cui Pompeo avrebbe disposto alla sua morte. Il piano principale prevedeva la divisione dei beni fondiari in due parti, la prima sarebbe stata formata dai beni del territorio ferrarese, quelli coinvolti dalla bonifica per intenderci, e di questi il nuovo istituto avrebbe goduto le rendite per un periodo ventennale e poi sarebbero rientrati nella primogenitura. La seconda parte che era formata da tutto il resto del suo patrimonio sarebbe finita direttamente all’accademia.

La decisione introdotta con uno dei codicilli di investire parte dei denari e dei gioielli in suo credito nei monti di pietà, per la realizzazione della facciata di San Petronio, avrebbe ridotto la disponibilità per l’accademia senza però modificare l’ambizioso piano di Pompeo. Del resto la disponibilità economica era comunque notevole, la stima totale del capitale era infatti di ben 254.053 lire 18 soldi e 9 denari bolognesi.222

Alla morte di Pompeo, di fronte ad un tale patrimonio, l’unico erede degli Aldrovandi non poteva ovviamente accontentarsi delle “briciole” destinategli dallo zio. Fu sicuramente Raniero ad esprimere delle rimostranze al papa riguardo i lasciti di Pompeo, ed è lo stesso pontefice ad affermarlo nelle sue disposizioni, ma senza un deciso intervento di papa Lambertini la situazione non sarebbe stata risolta. Con un “moto proprio”223 Benedetto XIV, non nuovo a certe iniziative, creò allora una

congregazione composta da tre prelati della corte papale per regolare le questioni irrisolte dell’eredità. Tra queste appunto c’erano le “ragioni e pretensioni” di Raniero, direttamente congiunte alla legittimità delle ultime disposizioni del cardinale che avevano mutato il testamento.224

222 Sempre in busta 225.

223 Dal latino “motu proprio” cioè di proprio impulso. Così si chiamavano le disposizioni pontificie che emanavano dalla libera iniziativa del papa.

224 Moto proprio della santità di nostro signore papa Benedetto XIV felicemente regnante sopra La Eredità della chiarissima memoria del Cardinal Pompeo Aldrovandi in ASBo, Archivio Aldrovandi –

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La commissione deliberò in maniera rapida che il grandioso progetto di Pompeo non era possibile, i beni che egli avrebbe voluto lasciare alla nuova accademia furono giudicati vincolati da fedecommessi alla primogenitura di Raniero. Il testamento fu così annullato da Benedetto XIV con l’intenzione di evitare lunghe liti sopra questi beni, ma anche con il fine di salvaguardare i privilegi del ceto nobiliare – senatorio bolognese di cui anch’egli faceva parte. Il Lambertini però, che sentiva probabilmente anche una certa riconoscenza verso Pompeo per i fatti del conclave, decise l’attuazione di alcune delle sue volontà. Così con un altro “moto proprio” veniva ordinato che una parte dei luoghi di monte fossero donati a San Petronio, alle opere pie che aveva specificato nel testamento e all’Istituto delle Scienze di Bologna.225 Con quest’ultima decisione si

cercava di realizzare almeno in parte il desiderio di mecenatismo di Pompeo andando a finanziare un istituto già noto nella città da più di un secolo, invece che creare “ex novo” un’altra accademia. 226

Altro problema derivante dal testamento era il destino delle proprietà afferenti alla diocesi di Montefiascone. Quivi Pompeo risedette per parecchio tempo secondo l’obbligo sancito dal Concilio di Trento pur con numerose pause, attestate in vari

Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinal Pompeo, busta 306. Copia del documento a stampa si trova anche in BABo, Fondo libri antichi a stampa, (B. 5, 170). Per quanto riguarda l’attitudine del Lambertini ad intervenire in materia economica sia come arcivescovo di Bologna che come pontefice si guardi Marco Poli, Un inedito di papa Lambertini. Un monte di rigore in il Carrobbio, anno XXV, 1999, pp. 149-157.

225 Pochi anni prima, nel 1742, lo stesso pontefice aveva con un suo breve aggiunto ai materiali dell’Istituto la notevole collezione scientifica di Ulisse Aldrovandi. A tal proposito vedi Enrica Baiada, Da Beccari a Ranuzzi: la meteorologia nell’Accademia bolognese nel XVIII secolo in Roberto Finzi (a cura di), Le meteore e il frumento. Clima, agricoltura, meteorologia a Bologna nel ‘700, Bologna, Il Mulino, 1986, pp. 134-136.

226 Moto proprio della santità di nostro signore papa Benedetto XIV felicemente regnante sopra La destinazione de’ Luoghi di Monte di Roma e di Bologna già dismembrati dall’Asse ereditario della chiarissima memoria del Cardinal Pompeo Aldrovandi sempre in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinal Pompeo, busta 306. Sulla creazione dell’Istituto delle Scienze ed Accademia Clementina, vedi in particolare Franco Farinelli, I segni del mondo, Firenze, Nuova Italia, Firenze, 1999, pp. 83-105.

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documenti.227 Era perciò ovvio, vista anche l’indole del prelato che avesse fatto investimenti anche in questa città. Naturalmente come vescovo poteva disporre di più residenze consone al suo stato, su queste però decise di intervenire con lavori e miglioramenti. Se i giardini realizzati nei due palazzi vescovili erano comunque destinati a restare a beneficio della diocesi, più complicata si fece la questione su alcune edifici costruiti a ridosso delle proprietà vescovili. Pompeo aveva infatti fatto realizzare a Montefiascone un’abitazione privata, detta “il casino”, munita anche di un mulino per olio con possibilità perciò di sfruttamento economico. Considerandola di sua appartenenza il cardinale l’aveva inserita nel testamento come destinata al beneficiario della primogenitura. Aveva inoltre disposto una “prelatura” che avrebbe permesso al clero locale il suo utilizzo pur destinando le rendite agli eredi.228 Anche in questo caso

l’intervento diretto di Benedetto XIV mutava le cose in direzione contraria alle volontà di Pompeo. Casino e mulino finirono alla diocesi di Montefiascone anche e soprattutto per evitare pericolosi contrasti con il nuovo vescovo e con la comunità locale.

Una certa attitudine alla buona gestione da parte di Pompeo è particolarmente visibile negli atti preparatori alla successione, in questi si davano disposizioni affinché fossero risolti dei debiti prima della sua morte per non farli poi pesare sugli eredi. Una pratica scarsamente diffusa e comunque rara all’interno della stessa famiglia Aldrovandi. Il debito maggiore riguardava una lite ventennale per il recupero di un lascito ereditario per il quale dovevano ancora versarsi ben 15.200 scudi bolognesi. Per il pagamento veniva disposto il dirottamento di alcune rendite ecclesiastiche di un certo peso che, come vedremo in un altro capitolo, venivano utilizzate per la realizzazione del nuovo palazzo. 229

Alla morte di Pompeo il moto proprio di papa Lambertini non aveva risolto però tutte le questioni. Il senso di rivalsa di Raniero nei confronti dello zio, che c’era risultato

227 Sull’obbligo di residenza dei vescovi e le deroghe concesse a questi vedi Adriano Prosperi, La figura del vescovo fra Quattro e Cinquecento in Storia d’Italia. Annali 9. La chiesa e il potere, Torino, Einaudi, 1986, pp. 219-262.

228 Affari di Montefiascone e Corneto in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 242.

229 La nota in questione si trova Affari sopra l’eredità di Pompeo 1752 – 1753 in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 304.

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evidente alla morte del padre, non si era spento con l’acquisizione di tutta la sua eredità. La documentazione relativa ai passaggi di proprietà ci ha lasciato traccia di una disputa tra l’erede e il curatore testamentario di Pompeo, controversia che ci fornisce notizie interessantissime anche sui rapporti economici che avevano legato in vita i fratelli Aldrovandi.230 Tema principale della contesa erano delle rendite che sarebbero state

godute dallo zio prelato a danno della parentela. In particolare si sosteneva che i beni di Imola231, pur registrati come appartenenti esclusivamente a Pompeo, fossero di tutti e tre i fratelli, provenendo dall’eredità Pepoli, perciò l’averne sfruttato integralmente le rendite sarebbe stato di danno per lo stesso Raniero. L’informazione più interessante è proprio sul livello di vita dei due fratelli. Si sottolineava appunto come Pompeo avesse agito “lui non bisognoso a danno dei fratelli bisognosi”232, pur dovendo considerare con

molta cautela il termine “bisognoso” riferendolo essenzialmente ad un bisogno di denaro contante. Il curatore testamentario difese le posizioni di Pompeo, rivelandone un ruolo fondamentale nel sostegno economico dei fratelli e di Filippo in particolare. Innanzitutto Pompeo aveva acquistato le parti dei beni di Imola dei fratelli, pagandogli dei debiti, inoltre lo stesso prelato alla morte del fratello Nicolò aveva rinunciato a rivendicare la sua parte d’eredità lasciando le rendite a Filippo e allo stesso nipote Raniero. Per gli stessi nipoti, come si vedrà, era intervenuto varie volte in favore, così come più di recente aveva fatto per i pronipoti figli di Raniero, Gian Francesco e Pietro. Sul tema del pagamento dei debiti ancora il curatore testamentario ricordava come Pompeo fosse intervenuto in più occasioni per il pagamento di debiti sostanziosi del fratello Filippo, se ne ricordano due in particolare per una somma complessiva di 3.305 scudi bolognesi.233

Andando alle proprietà lasciate in eredità oltre ai beni mobili, interessanti soprattutto per le collezioni d’arte, e le già citate proprietà terriere, si avevano anche diverse case

230 Sempre in busta 304.

231 Si trattava di un’impresa di circa 1162 tornature detta anche del Giardino proveniente dall’eredità Pepoli.

232 Sempre in busta 304.

233 Si trattava di due pagamenti, il primo di 2173 scudi bolognesi nel 1726, il secondo di 1132 scudi nel 1735. Il riferimento è sempre la busta 304.

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ed edifici che ospitavano attività economiche.234 Le stesse case che circondavano il palazzo di famiglia di Bologna non erano state completamente distrutte per far posto a nuove ali dello stesso, ma alcune erano state date in affitto, tra cui una casa per 100 lire l’anno e quattro appartamenti per 210 lire annue. Gli edifici ad uso d’attività erano di vario genere dalla bottega all’osteria, alla conceria e tutti davano un’entrata in affitto, riassumibile in 22.230 lire bolognesi l’anno (vedi tabella 3.3). Anche in questo caso Pompeo si distinse nei confronti di una famiglia tesa principalmente alla rendita agricola e non certo protesa alla gestione “capitalista” d’attività cittadine.

Tabella 3.2 Proprietà di campagna di Pompeo (1752)235

Proprietà Estensione in tornature, tavole e piedi bolognesi

Mirabello, Raveda e San Venanzo 3601, 140, 28

Manzolino, 1.000

Pantano, Mola, San Gregorio, Montepulciano, Monte Alfino, Fioppa. 45

Totale 4.646, 140, 28

Fonte: ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinal Pompeo, busta 224.

Tabella 3.3 Proprietà cittadine di Pompeo e rendite annue (1752)

Edificio Affitto in lire bolognesi

Bottega nella piazzola della canapa 130 Osteria al porto Naviglio con altri edifici 600

Conceria della Grada 20.000

Casino e orto sul canale di Reno 1.500

Totale 22.230

Fonte: ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinal Pompeo, busta 224.

234 Inventario legale della Eredità lasciata dal fù sig. Card. Aldrovandi in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Carteggio. Atti vari. Miscellanea storico – scientifica, letteraria e d’arte, busta 376.

235 Ci si riferisce in questa tabella alle proprietà acquisite in vari modi da Pompeo e non quelle ereditate dal padre Ercole.

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Lo stesso inventario dell’eredità si occupava però solo di quelle proprietà che risultavano appartenere in maniera evidente a Pompeo. Il quadro dei suoi beni era infatti complesso come s’è visto nell’occasione delle proprietà contese nella sede vescovile di Montefiascone e come lo stesso papa Benedetto XIV affermò ben prima del moto proprio. In una lettera scritta a poche settimane dalla morte di Pompeo, il pontefice si impegnò con Raniero a sbrigare prima possibile le pratiche dell’eredità, nelle varie sedi in cui era distribuita, anche con qualche ironia sull’indole dei bolognesi. “L’asse del Cardinale è in tre luoghi, in Bologna, in Montefiascone, e sue adiacenze, e in Roma. Nulla sappiamo, che siasi fatto in Bologna, se non il solito del Paese, di ciarlare.” 236 Il papa sembrava anche scettico sulle reali dimensioni dell’eredità probabilmente facendo un errore di valutazione legato anche ad un personale giudizio sulla megalomania dell’Aldrovandi. “Rispetto poi all’eredità essa non è tale, quale il buon cardinale pieno sempre d’idee non eseguibili si è figurato: e fermato lo stato a dovere, ed esaminate le pretensioni, si vedrà se è vero quello che diciamo.” Infine si ricordava a Raniero come la sua famiglia fosse in un certo senso fortunata a vivere sotto il suo pontificato, altri papi non avrebbero avuto riguardi nell’appropriarsi in qualche modo di parte dell’eredità. “Il Cardinale è morto in buona stagione, poiché in altri tempi la Camera avrebbe promesso l’articolo di chierico negoziante, col quale Alessandro VII si prese tutta la pingue eredità del Cardinale Leva… Noi non abbiamo tali pensieri, e l’unico è che si adempia come si può la volontà del Cardinale.”

3. 5 Il quadro definito del patrimonio Aldrovandi a metà Settecento

La condizione patrimoniale risultava allora abbastanza caotica anche perché con il tempo si rivelarono anche quelle operazioni passate fatte senza procedure corrette.237 I testamenti secenteschi erano stati di fatto falsati in quanto i beni lasciati da Filippo senior (1644) ad esempio erano “fedecommissari” ed essendo indivisibili non potevano

236 La copia della lettera ricevuta da Raniero e datata 21 febbraio 1752 (Pompeo era morto il 6 gennaio) è in BUBo, Lodovico Montefani, Famiglie bolognesi. Vol 3, ms. 4207. Le altre citazioni dalla lettera provengono dallo stesso documento.

237 Affari sopra l’eredità di Pompeo 1752 – 1753 in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 304.

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diventare oggetto di spartizione come in effetti fu dopo la morte di Ercole (1672). La creazione di una nuova primogenitura aveva rimesso a posto le cose ma aveva comunque lasciato una condizione non proprio rosea. Nonostante infatti la notevole dimensione delle proprietà l’ammontare dei debiti era ingente. Quest’ultimi erano stati spesso ereditati con le terre o alimentati da una gestione non attenta, soprattutto da parte di Filippo iunior. Sembra inoltre di riscontrare un punto debole proprio nel numero delle proprietà, tante e in alcuni casi poste fuori dal territorio bolognese. Una situazione che non doveva favorire una gestione comune e più razionale di tutto il patrimonio. Negli anni in cui Raniero fu capofamiglia (dal 1748 al 1760) non sembrano vedersi dei tentativi di cambiamento, toccò invece ai suoi due figli maschi, Gian Francesco e Pietro, tentare di dare un ordine al complesso sistema.

Alla morte di Raniero nel 1760 la situazione patrimoniale non era ancora completamente chiara. La confusione sulla struttura e sull’origine del patrimonio era parecchia, tanto che l’inventario di tutta l’eredità di Raniero238 fu scritto a più di tre anni dalla morte.239 Prima che venisse redatto lo strumento d’inventario, è il perito a dirlo,

“gli stessi fratelli vedevano una mole di debiti ma ne ignoravano il quantitativo, vedevano moltissimi beni ma ne ignoravano la forza e la pertinenza”240. Oltre ai debiti,

c’era allora la necessità di descrivere e valutare questi beni, ma soprattutto di specificarne la “pertinenza”, per capire in caso di divisione quali potevano essere