Capitolo II. Tra acquisti ed eredità, la formazione del patrimonio
2.7 Il feudo di Viano e Piagna
Prima di affrontare le intricate vicende che seguiranno alle successioni ereditarie di Filippo e di suo fratello Pompeo è il caso di tornare un poco indietro per guardare il feudo di Viano e Piagna, spesso citato negli inventari di cui abbiamo parlato ma del quale non se ne davano descrizioni. La stessa documentazione famigliare tratta il feudo come un’entità differente con una sua particolare gestione. La stessa successione “feudale” evidentemente esulava da quella consueta fatta per le proprietà “normali” in
161 Ivi.
72
quanto vi rientrava anche la concessione del titolo nobiliare, concessa almeno nominalmente a tutti i figli maschi.
A tal proposito nell’archivio è conservata l’investitura originale, datata 5 novembre 1569, e le “rinnovazioni” che seguivano sempre alla morte dei primogeniti ed eredi del titolo163. In tutti i casi l’investitura veniva fatta dal Duca di Modena, del quale gli
Aldrovandi erano vassalli, il più delle volte tramite procuratori. Nel 1630 l’investitura alla morte di Pompeo senior veniva fatta da Giacomo Bertacchi uno dei fattori generali del Duca Francesco di Modena a Filippo mentre nel 1673 questa veniva fatta dai procuratori e fattori generali della duchessa Laura, stavolta ai quattro fratelli Aldrovandi Filippo, Pompeo, Silvio e Nicolò. In entrambi i casi la formula usata concedeva la giurisdizione sulla Contea di Viano “con tutti i suoi Comuni e Pertinenze poste nel Ducato di Reggio, col mero, e misto Impero, e con la podestà della Spada” si riservava al conte e ai suoi successori “il Sale e l’Imposizione d’esso con li Dazi, Cavalcate, Spelte, Tasse di genti e d’armi” inoltre si ribadiva l’indipendenza del feudo dal capoluogo “qual contea s’intenda disgiunta, e separata dalla suddetta Città di Reggio, e dalla Giurisdizione della medesima città”. Il giuramento veniva sancito dal suggestivo regalo di una spada che il conte doveva fare annualmente nel giorno di Natale al suo signore.
Una mappa del castello di Viano che abbiamo rinvenuto tra gli strumenti del feudo può aiutarci a capire parte della struttura della contea.164 Questa è datata 24 novembre 1797, anno sesto della Repubblica cisalpina, ed è stata realizzata da un pubblico perito agrimensore, il sacerdote Antonio Caroli, a nome della comunità di Viano e Piagna che in quel momento non era più un territorio feudale ma era gestito da un priore. Dalle scritte sul retro possiamo inoltre comprendere come il vecchio feudo ritornò in possesso degli Aldrovandi grazie a Gaetano Gaggi, agente dei conti Aldrovandi Marescotti, il 18
163 L’originale dell’investitura si trova in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Aldrovandi Marescotti Conte Luigi ambasciatore d’Italia, busta 484 come anche buona parte delle “rinnovazioni”, altre invece si trovano in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Libri di memorie. Carteggio sul feudo di Viano e Piagna, busta 544.
73
febbraio 1818.165 Il documento diviso in quattro parti ha al centro il disegno del castello di Viano mentre le altre tre sono descrittive o introduttive. Dal disegno vediamo come il nucleo abitativo di Viano era formato da una rocca, attorniata da una serie di edifici oltre che da una torre e da una cisterna. Dall’immagine sembra di capire che sia all’interno delle mura castellane sia all’esterno vi fossero fondi agricoli direttamente controllati dalla comunità. Il riassunto delle proprietà calcola l’estensione in 2 biolche e 40 tavole modenesi166. Il tutto corrispondeva a quasi 3 tornature bolognesi, quindi un’estensione abbastanza trascurabile considerando le vaste imprese possedute dagli Aldrovandi nei dintorni di Bologna e del Ferrarese.
Il titolo di conti concedeva alla famiglia i cosiddetti privilegi feudali riguardanti l’amministrazione della giustizia e l’affitto dei beni della comunità. Dal Libro delle memorie del feudo leggiamo le prime disposizioni dei conti Aldrovandi al momento di prendere possesso nel 1598 della contea.167 Con la prima grida pubblicata il 19 aprile 1598 si proibiva “sotto diverse pene pecuniarie il bestemmiare, il sputare, imbrattare, ò percuotere le imagini di alcun santo” si proibiva “il giuoco proibito delle carte, e dadi” oltre a “li contratti illeciti, e d’usura”, ma soprattutto era decisamente vietato per la sicurezza “il portare gli archibugi longhi e curti da ruota, et qualsivoglia altra sorte di armi senza licenza del Signor Conte…” La pena pecuniaria maggiore era proprio per il possesso illecito di armi, cento scudi d’oro “da applicarsi per due terzi alla Camera di detto Signor Conte, e per l’altro terzo all’accusatore” ma era prevista anche la pena carceraria di tre anni per chi evidentemente non poteva pagare l’ammenda. Pene minori erano riservate a chi possedeva illegalmente armi più piccole come gli “archibugietti” a cui l’amministratore della giustizia dava di pena cinquanta scudi e un anno di prigione.
165 Nell’archivio è presente anche l’atto di restituzione dei beni feudali di Viano nel maggio del 1819 in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Aldrovandi Marescotti Conte Luigi ambasciatore d’Italia, busta 484.
166 Le misure di superficie modenesi erano: biolca (28,364724 ari)=72 tavole, tavola (39,395450 metri quadri)=4 pertiche, pertica (9,848862 metri quadri)=36 piedi, piede quadro (0,273579 metri quadri). Vedi Allegato 2.
167 Libro delle memorie del feudo di Viano e Piagna in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Libri di memorie. Carteggio sul feudo di Viano e Piagna, busta 527. Tutte le altre citazioni sull’argomento provengono dallo stesso documento.
74
Per altre pene era prevista anche la tortura: “trè tratti di corda” o “cinque tratti di corda” erano spesso associati all’ammenda pecuniaria. Il fatto di utilizzare le armi contro qualcuno, “quantunque non ferisca, ò ferendo non amazzi” veniva chiaramente considerato molto più grave e punito anche con il taglio della mano. L’omicidio veniva punito con la pena capitale consistente nel taglio della testa, specificando che “se alcuno uomo, ò femina d’anni 18 cometterà alcun delitto nella giurisdizione di Viano, per il quale dovesse essere condannato tal delinquente, venghi condannato come se fosse d’anni 25”. In pratica la pena di morte per fatti di sangue non veniva più applicata solo per i maggiori d’anni venticinque ma anche per quelli che avevano un’età tra i diciotto e i venticinque. Altre grida regolavano questioni minori tutte però con un’ammenda pecuniaria. L’importante infatti è notare come ben due terzi di quello che il condannato pagava andava direttamente nelle casse del conte che aveva così modo di guadagnare dal suo ruolo d’amministratore della giustizia. Gli Aldrovandi dovevano perciò avere un ritorno economico da tutto ciò, eppure non v’è traccia nell’archivio di voci riguardanti queste entrate. Sappiamo invece che questo compito era affidato a persone terze, come il podestà o il commissario, nominato direttamente dal conte ma alla cui scelta contribuivano a quanto sembra gli stessi uomini della comunità.168
E’ difficile anche quantificare il valore di un feudo del genere, questo non poteva per ovvi motivi essere considerato come un possedimento agrario qualsiasi, infatti nel suo valore andava anche considerato il titolo nobiliare a cui l’acquisizione del feudo dava diritto. Tra le memorie si parla di un cavaliere rimasto anonimo, interessato nel 1669 all’acquisto del feudo. L’uomo di fiducia del conte Ercole, il signor Francesco Quatrofrati, dichiarava di aver fatto indagini presso il commissario Cervella di Ferrara scoprendo che quel cavaliere non poteva arrivare a disporre della cifra richiesta per l’acquisto del feudo. Questo veniva valutato, tenendo conto della moneta di Modena, 1000 doppie, più 250 per pagare il contratto; inoltre solo il titolo in sé valeva ben mille
168 Sempre nel Libro delle memorie (busta 527) si parla di un memoriale dato nel 1652 dagli uomini della comunità al conte affinché fosse nominato un commissario che risiedesse continuamente in Viano in quanto quello attuale viveva a “sette, ò otto miglia con grave loro danno, e discomodo”. Gli abitanti non si fermavano qua proponendo anche un nome per il sostituto.
75
scudi d’argento.169 Difficile fare una valutazione e un confronto con la moneta bolognese, si tenga però presente che le doppie erano monete in oro, inferiori solo allo zecchino, la moneta più importante del sistema modenese, e che valevano l’una 51 lire modenesi, mentre lo scudo d’argento aveva un valore di 5 lire modenesi.170