Capitolo III. Pompeo artefice delle fortune famigliari e il quadro economico di metà Settecento
3.3 I problemi d’acque
Il principale intervento di bonifica coinvolgeva la costruzione di una chiavica che portasse via le acque dalle terre di Mirabello, riportando una sostanziale normalità. Il lavoro fu particolarmente lungo e problematico e la documentazione rimasta ne è la prova. Oltre alle già citate perizie esistono parecchie lettere degli amministratori del patrimonio che informavano Pompeo sullo stato dei lavori, oltre a dei memoriali che spesso facevano il punto sulla situazione.198
La situazione di Mirabello era abbastanza tipica di una campagna “bassa” tra le zone di Bologna e Ferrara abbastanza tormentata dalle alluvioni. Una zona in cui si pagavano inoltre le conseguenze dei danni causati dagli errori nei lavori idraulici compiuti dai ferraresi a inizio Seicento, e che avrebbero destabilizzato la zona del Reno tra Bologna e
198 Varie lettere del prelato sulla materia d’acque sono anche in BUBo, Lettere intorno agli affari delle acque e delle valli di Bologna (1723-1731), ms. 121.
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la città estense ancora per quasi due secoli.199 Il problematico stato delle tenute Aldrovandi intorno al Reno è testimoniato in una delle piante fatte fare da Pompeo ai suoi uomini per riassumere meglio e in maniera più diretta la situazione. In questa è facilmente visibile come la rotta del Reno avesse di fatto deviato dall’antico alveo il fiume, tanto che sul vecchio letto vi erano stati piantati degli alberi.200
Il tutto partiva da buone prospettive di guadagno, che come si vedrà verranno però in parte deluse. Era l’amministratore Galimberti a rassicurare maggiormente il prelato sulla convenienza dell’affare, sostenendo come anche nella peggiore delle ipotesi la spesa di più di 56000 lire effettuata per l’acquisto non era stata sovradimensionata: “… certamente se le cose delle Acque non muteranno faccia, Vs. Ill. non averà pagato pagato li detti beni, mà le haverà dato ogni giusto valore”201.
I lavori di costruzione della chiavica di Mirabello sono segnalati già a partire dal 1724 in un libro di “Memorie circa vari affari del signor cardinal Aldrovandi”202, lo stesso documento ci descrive però anche i numerosi problemi legati ai permessi e alle voci contrarie a questa operazione. I lavori erano infatti stati bloccati per l’opposizione dei proprietari confinanti che a loro dire ne sarebbero stati danneggiati. Il piano prevedeva esattamente un taglio dell’argine del Reno che poteva certamente essere pericoloso per la situazione nella zona. Si sarebbe in questo modo realizzata una chiavica che avrebbe ricevuto dal fiume le “acque torbide” portandole nelle terre vicine, provocando un sostanziale innalzamento dei terreni, con l’obiettivo di prevenire le inondazioni.203
199 Si voleva ripristinare il sistema Primaro – Volano, interriti a fine Cinquecento, per collegare la città estense al fiume Po favorendone così i traffici. A tal proposito si guardi Giovanni Tocci, Le bonifiche in Emilia – Romagna dal ‘500 al ai primi del ‘900 in I settant’anni del Consorzio della Bonifica Renana, Bologna, Forni, 1980, pp. 55-90 e Alfeo Giacomelli, Il sistema della acque in Storia illustrata di Bologna. Vol II, op. cit. pp. 321- 340.
200 La mappa della tenuta di Mirabello con i particolari della rotta del fiume Reno si trova in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 209. 201 Lettere diverse del dott. Galimberti in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo busta 299.
202 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Aldrovandi cardinale Pompeo. Affari vari, busta 320. 203 Affari della chiavica di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 214.
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Si comprende quindi come un tale progetto, già in fase di preparazione, avesse sollevato parecchie polemiche sia nelle istituzioni politiche locali, sia tra gli stessi proprietari terrieri confinanti. Chiaramente a livello politico Pompeo poteva godere di un favore particolare anche grazie alla presenza del fratello maggiore in senato, del resto questa istituzione che rappresentava le maggiori famiglie cittadine era ben attenta a favorire gli interessi dei propri membri, proprietari nel contado, evitando possibili conflitti interni al patriziato. Eppure nel 1723 l’Assunteria delle acque, cioè l’ufficio preposto all’approvazione dei lavori idraulici, della quale faceva parte anche Filippo, preferiva non sbilanciarsi in favore di Pompeo, rimandando il tutto alla decisione del senato. Pur dimostrando un notevole rispetto per il monsignore e per suo fratello, gli altri senatori avevano una chiara diffidenza per questa operazione, del resto tra gli otto membri dell’assunteria vi era anche il Lambertini, i cui beni erano addirittura confinanti con quelli coinvolti dalla bonifica.204
In questo campo però Pompeo poteva contare su appoggi ancor più importanti di quelli cittadini e che coinvolgevano le alte gerarchie ecclesiastiche. Nel 1724 riceveva infatti l’approvazione per la realizzazione della bonifica grazie all’intervento del cardinale legato di Bologna Ruffo, ma anche grazie alla sua stessa strenua difesa dell’iniziativa contro le voci contrarie. Nella stessa lettera con la quale Pompeo ringraziava il Ruffo per la decisione a lui favorevole, egli teneva a smentire le varie insinuazioni avverse intorno all’opera. In particolare Pompeo teneva a difendersi dall’accusa di aver impiantato la fabbrica in “fondo pubblico” mentre si sosteneva fosse esclusivamente “nel privato fondo della famiglia Aldrovandi”.205 Eppure i problemi continuarono
poiché vi erano coinvolte varie comunità e poteri locali. Se infatti il proprietario faceva capo alla città di Bologna, il territorio dove si voleva intervenire faceva riferimento alla città di Ferrara, anch’essa nei domini della Chiesa, ma governata da un altro legato. Nello stesso periodo Pompeo intratteneva così un fitto carteggio con il cardinale legato di Ferrara che gli riferiva le posizioni avverse dei proprietari confinanti. Soprattutto gli argini fatti fare nei terreni di Pompeo spaventavano il proprietario della tenuta vicina, il
204 Le lettere e i resoconti informali della riunione sono in Affari della chiavica di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 212. 205 Sempre in busta 212.
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signor Ghisiglieri, per il fatto che restringendo il corso d’acqua si sarebbe potuta favorire una fuoriuscita dalla sua parte. Per questi motivi il legato ne ordinava la distruzione rifacendosi ad una legge che vietava “tanto a Bolognesi, quanto a Ferraresi, o per pubblico, o per privato interesse il poter fare alcuna innovazione intorno il Reno”.206 La difesa di Pompeo si basava sul fatto che non si trattava di argini ma di
“cavedoni” termine con il quale s’intendevano degli scoli di ridotta portata che non potevano recare danno alla tenuta del Ghisiglieri. Al di là delle questioni tecniche risulta chiaro come la posizione di Pompeo fosse decisamente più favorevole rispetto a quella dell’altro proprietario, né nobile né senatore, tanto che non si intervenne in alcun modo. I problemi tuttavia continuarono per la protesta nello stesso periodo degli abitanti di Comacchio, in quegli anni sotto il dominio di Milano, che si sentivano danneggiati dai lavori di bonifica. Anche in questo caso intervenne in aiuto di Pompeo il fratello Filippo di cui è testimoniato l’intervento diretto a Milano dal governatore il principe di Lewenstein.207 Non era la prima volta che Pompeo chiedeva un aiuto politico al fratello maggiore. Tra il 1723 e il 1724 i due intrattennero un fitto carteggio che testimonia gli interessi di entrambi nelle vicende politico – economiche locali. Si legge in esso come Pompeo aveva affidato al fratello un ruolo di grande fiducia che non avrebbe potuto concedere ad un semplice amministratore. Oltre al personale affetto, che sembra per entrambi sincero, le lettere testimoniano un forte legame tra i due anche nella gestione degli affari. Si conferma allora la presenza in queste famiglie aristocratiche di forme di cooperazione, economica ma non solo, che trascendevano i nuclei famigliari più ristretti.208 Del resto lo stesso Filippo e i suoi figli avevano approfittato della maggiore
disponibilità monetaria di Pompeo. Altri interessanti elementi che si ricavano dal carteggio riguardano lo stesso rapporto tra i due, con il minore che dava consigli politici al maggiore, ma soprattutto un presunto fine soccorrevole dell’operazione “chiavica”
206 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 207.
207 Lettere del suddetto Em.o 1706-1738 in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 303.
208 Vedi Claire Lemercier, Analyse de réseaux et histoire de la famille: une rencontre encore à venir ?, op. cit.
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nei confronti della comunità locale. Era lo stesso Pompeo a scrivere: “Il Publico dovrebbe ringraziare chi ha la disposizione di fare simili lavori, che se ve ne fossero molti, si potrebbe risanare tutto il Bolognese …”209.
Pompeo non voleva però solamente riportare i terreni di Mirabello alle condizioni originarie, egli aveva in mente un ambizioso progetto di avvio di interessanti attività produttive che sulla carta avrebbero dovuto rifondarlo della somma spesa. Un ulteriore segno di una propensione all’investimento tutt’altro che scontata per il periodo e per il contesto. Il progetto iniziale prevedeva lo sfruttamento della chiavica per l’alimentazione di un mulino che fungesse da centro per degli opifici da realizzare ex novo. Il grande mulino da grano (con ben quattro mole) doveva contenere anche una gualchiera, un “arotino” e un “dilamiglio”. Sullo stesso canale si doveva realizzare una ferriera, un mulino da tabacco, una cartiera, un altro mulino “da polvere”, un edificio con la “sega ad acqua”, una conceria e dei maceri da canapa.210 Un progetto solo in parte realizzato con la costruzione del mulino ma che ci fa comprendere la mentalità affaristica del monsignore che da un lato voleva ricavare l’utile maggiore da tali lavori, dall’altro avrebbe voluto ostentare agli stessi proprietari vicini la sua ricchezza personale e allo stesso la “buona gestione” del suo patrimonio. E’ il suo stesso perito a descrivere con minuzia le intenzioni dell’allora vescovo Aldrovandi: “Il sentimento di monsignor Aldrovandi sarebbe di prevalersi del comodo dell’acqua della sua chiavica à Mirabello per farci gli edifici che si diranno in appresso, situandoli per la longhezza del canale dell’acqua della bonificazione, con buona distribuzione fra essi, di modo che facessero ancora salire l’Utile, una bella veduta à chi stasse su l’Argine di Reno in confine della Chiavica”211.
I numerosi resoconti degli amministratori e dei periti ci aiutano a comprendere meglio gli affari di Pompeo, allo stesso tempo però ci mostrano un altro lato interessante del prelato. I carteggi con gli amministratori patrimoniali non erano a senso unico, Pompeo
209 Lettere del suddetto Em.o 1706-1738 in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 303.
210 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 208.
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cioè rispondeva e ordinava cosa fare anche quando era ben lontano dai propri possedimenti, in questo senso si può affermare come la gestione del suo patrimonio fosse esclusivamente sua. L’attitudine agli affari era supportata da una buona presenza di capitali che gli venivano in particolare, come si vedrà meglio in seguito, dalle rendite ecclesiastiche e politiche. La previsione di spesa era di ben 50.000 lire bolognesi per la realizzazione della chiavica e 25.550 lire per il mulino e gli opifici. Per la chiavica la spesa prevedeva l’acquisto di materiali come calce, sabbia, mattoni e pietre per realizzare le palizzate e i muri di fondamenta, lo stesso taglio della terra costituiva un lavoro decisamente costoso.212
La spesa per i mulini e gli opifici si contava di recuperarla tramite gli affitti in un paio d’anni, stimando una possibile entrata annuale di 13.500 lire.213 Eppure i primi segnali
sull’andamento delle attività non erano confortanti. Il mulino, che aveva iniziato a funzionare nel novembre 1725, dopo due anni di attività aveva fruttato poco più di 6000 lire bolognesi, una somma al di sotto delle aspettative. Era soprattutto la mancanza d’acqua a condizionare negativamente l’andamento del mulino, i lavori della chiavica in realtà non erano ancora stati terminati e l’approvvigionamento d’acqua al mulino restava problematico. Un difficile stato di oscillazione di stati di secca a inondazioni è testimoniato ancora nel 1731 quando una rotta provocò danni ai mulini.214
Le scarse entrate di Mirabello non erano però un elemento congiunturale, infatti il passare degli anni non apportò miglioramenti. Eppure si era investito anche nell’introduzione di importanti novità nelle coltivazioni come l’introduzione del riso, tutt’altro che comune in quelle zone in quegli anni. Solamente dal periodo napoleonico in poi il riso diventerà coltura determinante nelle zone del ferrarese.215 Nel 1744 fu realizzata una risaia per la quale era stato fatto venire appositamente un esperto “risarolo” da Verona. Era questo un progetto di grande portata visto che si dovevano
212 Affari della chiavica di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo busta 212.
213 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 208.
214 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo busta 209.
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creare allo scopo canali per l’approvvigionamento d’acqua e le bocche per il suo regolamento. Di sicuro si era utilizzato il sistema creato per la bonifica, il che aveva permesso un corposo risparmio, comunque pur mancando una valutazione complessiva non si può escludere una certa dispendiosità nell’operazione. Anche per la coltivazione del riso arrivarono lavoratori dal Veneto che si stabilirono a Mirabello dividendosi le tornature di piantagione.216
Nonostante ciò gli sforzi di Pompeo per ridare splendore alle terre afflitte dalle acque erano sostanzialmente falliti, o almeno non si erano raggiunti i maggiori obiettivi. Il nuovo amministratore dei beni di Pompeo, Carlo Leonardi, all’atto di entrare in servizio nel 1749 scriveva in maniera chiara in un resoconto come il quadro fosse poco confortante: “La Positura della Campagna non promette troppo bene, e se si avrà un Rendito mediocre sarà tutto quello che si potrà sperare”217. Le terre derivate dalla
bonifica erano infatti descritte come fredde, umide, e in inverno spesso occupate dai ghiacci, del resto l’eliminazione dell’acqua non aveva risolto tutti i problemi. Le piantagioni classiche della zona, grano, fava e mais non davano risultati accettabili, al contrario l’umidità faceva bene agli alberi come i mori (gelsi), gli olmi, i pioppi e le viti. Il Leonardi confermava infine come la coltura del riso dovesse superare tutti quei problemi derivanti da una coltivazione nuova di cui non si aveva esperienza.218
Un quadro poco confortante che si legge simile anche alla morte di Pompeo, nonostante gli sforzi non tutte le terre bonificate erano ritornate alla normalità e soprattutto la famosa chiavica si era risolta in un fallimento. Nell’inventario della sua eredità di questa si diceva: “al presente resa inutile, come si è detto per la mutazione dell’Alveo vecchio di Reno” ed infatti risultava interrata e consistente solo nel canale che avrebbe dovuto rifornire il mulino. Anche questo però funzionava malamente potendo attingere solo “le acque del regurgito” del Reno. Situazioni simili si rinvenivano nelle altre proprietà di
216 Affari di Mirabello in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo busta 210.
217 I resoconti del Leonardi sono sempre in busta 210. 218 Ivi.
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San Venanzo e Raveda dove si trovavano territori vallivi e quindi infruttiferi sempre per colpa della frattura dell’argine del Reno.219