Capitolo IV. Le entrate e le uscite
4.2 Le imprese agricole
Dagli schemi generali delle imprese si desume facilmente l’importanza per le entrate delle proprietà fondiarie, quelle che la stessa documentazione dell’archivio Aldrovandi chiama “imprese”. La documentazione a questo riguardo è ampia ma pone i problemi
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d’interpretazione a cui già prima s’era accennato. Manca come detto per molto tempo un quadro economico generale mentre sono per lo più conservati i singoli strumenti contabili delle imprese. Per alcuni anni a cavallo dei due secoli questi sono frammentari poiché riflettono la divisione all’interno delle stesse imprese. Tale frammentazione e differenza nella gestione è evidente nella difformità che esiste tra gli stessi documenti contabili che esprimono il diverso lavoro dei fattori e degli amministratori. La stessa natura di certi documenti contabili non ci permette di concentrarci su ciò che ci interessa ora maggiormente e cioè l’importo delle entrate. La forma del tipico libro di conti d’una azienda agraria era quella del Dare-Avere nel quale le voci attive e quelle passive venivano affiancate per definirne in qualche modo un bilancio. Tali elementi non permettono perciò di comprendere immediatamente i vari movimenti.263 C’è da insistere
anche su un altro elemento, il carattere ordinario o straordinario del documento contabile. Libri di “dare e avere” o “creditori e debitori” rappresentano strumenti quotidiani per il lavoro dell’amministratore e destinati ad una sua esclusiva lettura. Ristretti, calcoli di rendita e scandagli erano evidentemente documenti straordinari e la pochezza nel numero di quelli conservati ci dà ragione. Destinati alla lettura d’un pubblico esterno, erano redatti quindi per occasioni particolari come potevano essere passaggi di proprietà o lasciti ereditari. Questi però consentono, quando ci sono, una lettura migliore ed una possibilità di trarre delle conclusioni più generali.
Un esempio di quest’ultimo tipo di documentazione può essere il riassunto delle entrate e delle uscite di una parte dell’impresa di Crespellano in quel momento nelle mani di Nicolò, fratello di Filippo e Pompeo. Gli anni trattati sono dal 1728 al 1732264 nei quali
ci fu un’entrata complessiva di 49.346 lire e 12 soldi bolognesi, con un’entrata media annuale di 9.869 lire 6 soldi (i calcoli sono dello stesso perito). A questa cifra venivano detratte le “spese previste d’ogni genere” considerate in 1.503 lire e 11 soldi annuali,
263 Sugli strumenti della contabilità agraria e il suo utilizzo nelle imprese Aldrovandi, ci si soffermerà più dettagliatamente nel capitolo successivo. Per un quadro storico – evolutivo della scienza contabile si è fatto principale affidamento ad Antonio Amaduzzi, Storia della ragioneria. Percorsi di ricerca tra aziende e contabilità, dottrine e professioni, Milano, Giuffrè, 2004. Un’analisi prettamente tecnica ma utilissima è presente in Aldo Delpari, Contabilità agraria, Bologna, Calderini Edagricole, 2001.
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ma è importante notare che si tratta solo delle spese previste e non di quelle reali. Oltre alle spese presunte veniva sottratto un quinto del netto che spettava, probabilmente da contratto, all’affittuario, dandoci così già un’interessante notizia sulla gestione. Questo quinto da sottrarre era di 1.673 lire e 3 soldi, lasciando così un’entrata netta annuale di 6.692 lire e 12 soldi. Vediamo come erano ripartite le entrate.
Tabella 4.9 Calcolo della rendita di Crespellano (1728 – 1732). Valori in lire, soldi e denari bolognesi Fasci grossi 1.649, 2 Fasci minuti 437, 6 Legna da fuoco 502, 10 Frumento 8.742, 10 Marzatelli diversi 1635, 2 Canapa 1645, 8 Canepazzi e stoppa 32, 10 Uva 22.520 Folicelli 2328, 14
Colombara, piccioni e colombina 637
Fornace da pietre 712
Fieno 632
Paglia 200
Pollami e uova 445
Pigioni, “porcina”, carreggi e “in condotta
d’uva” a Bologna dovute dai soci 3.230
Pigioni dei braccianti 997, 10
Affitto osteria, macello, forno e luoghetto 3.000
Entrata totale 49.346, 12
Entrata annuale 9.869, 6
Entrata netta tolte le spese e le detrazioni 6.692, 12
Fonte: ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 121
Alcuni dati sono divisi per anni altri riassumono assieme tutto il quinquennio, risulta così difficile fare una ripartizione per un singolo anno, è quindi preferibile farla per tutto il lustro. A “colpo d’occhio” la rendita derivata dai prodotti è chiaramente la maggiore, ben 42119 lire (tralasciando gli spiccioli) su un’entrata totale di 49346 lire. Seguono poi le pigioni e altre “imposte” pagate dai soci per alcuni servizi concessi dal locatario (“porcina, carreggi, Incondotta d’uva a Bologna”) oltre ad alcuni affitti. Il dato finale è anche in questo caso più semplice da apprezzare con la ripartizione in percentuale.
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Tabella 4.10 Calcolo della rendita di Crespellano per settori (1728 – 1732). Valori in percentuale
Prodotti 85,5 %
Pigioni braccianti 2%
Pigioni e imposte soci 6,5%
Affitto osteria 6%
Fonte: Nostre elaborazioni da ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 121
Si ribadisce allora che, senza considerare l’affitto generale dell’impresa, la maggior parte dell’entrata veniva dai proventi dei prodotti, con una grande importanza per l’uva prodotto evidentemente di facile commercio e non utilizzato per l’autoconsumo. Inizia anche ad emergere come chi lavorava nell’impresa avesse nomi e posizioni differenti a seconda del rapporto con il padrone o con l’affittuario (soci e braccianti). Nell’entrata generale manca certamente l’affitto che pagava il conduttore generale dell’impresa, al quale si fa menzione quando si dice che gli doveva spettare un quinto della rendita generale. Per farci per ora un’idea, visto che se ne tratterà meglio in seguito, basti dire che l’affitto annuale (nell’anno 1740), per un impresa che misurava poco più di 600 tornature, era di 3.852 lire. 265
Tra i prodotti ciò che rendeva di più c’era l’uva, ben 22.520 lire su 42.119 e cioè più della metà del totale. Se ne dava una valutazione di lire 40 per castellata266. L’altra voce
maggiore era quella del frumento, 8.742 lire e 10 soldi per 6 lire e 10 soldi la corba. Poi i “folicelli”267, la canapa, i “marzatelli”. Il grano del resto era il cereale più diffuso
265 Si fa menzione di questo contratto in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 121. L’estensione della parte di Crespellano posseduta da Nicolò era la metà del totale (1340 tornature).
266 La castellata era una misura bolognese di capacità per i liquidi corrispondente a 10 corbe di vino e cioè a 785,9310 litri. Vedi Allegato 2.
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nell’area mediterranea ma ad esso andavano sempre associati i cereali secondari come il farro, il miglio, l’orzo e l’avena che costituivano la cosiddetta mescolanza con la quale veniva fatto il pane soprattutto per i più poveri.268
In generale questo documento costituisce un interessante modello per certe dinamiche generali delle entrate riguardanti le imprese pur lasciando aperti diversi interrogativi, ai quali anche in questo si proverà a dare risposta nella parte riguardante la gestione della terra. Per ora è importante segnalare l’importanza degli affitti, quando esistono, poiché costituivano un’entrata diretta in denaro contante in un sistema in cui le entrate in natura sembrano avere una notevole importanza. Del resto concedere in affitto una tenuta era un fattore abbastanza tipico del periodo mentre si attuava una relativa sostituzione della conduzione diretta.269 Il quadro dato da questo documento sembra roseo, si calcola una
rendita di circa 6.692 lire annue, ma vengono volutamente trascurate le spese e se ne parla solo in forma di previsione.
Una risposta sulla destinazione dei prodotti della campagna possiamo trovarla nei libri d’entrata di una delle proprietà più piccole degli Aldrovandi, quella di Camaldoli, gestita insieme a quelle di Mongardino e Monterenzio.270 In questo caso venivano
registrati anche gli “esiti” dei prodotti. Vediamo allora come venivano venduti prodotti come fiori, frumento, fave ed uva. Dagli esiti si può vedere però che non avveniva sempre una vera e propria vendita ma che questi venivano utilizzati per saldare conti e debiti. Troviamo così censiti anche i beni mandati a Bologna, ed i pagamenti in natura a lavoratori vari come il muratore o il sarto. Si davano ad esempio ben 2 corbe e ½ di
268 Fernand Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo. Vol. 1 – Le strutture del quotidiano, Torino, Einaudi, 1979, p. 85.
269 In generale su questo tema si guardino: Giorgio Giorgetti, Contratti agrari e rapporti sociali nelle campagne in Storia d’Italia. Vol. 5, Torino, Einaudi, 1977, pp. 701-758 e Philip Jones, Economia e società nell’Italia medievale: la leggenda della borghesia, op. cit. Sul caso bolognese i riferimenti principali sono Roberto Finzi, Monsignore al suo fattore. La “Istruzione di agricoltura” di Innocenzo Malvasia (1609), Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1979 e Martini Manuela, Una mobilità limitata. Prime ricerche su proprietari e famiglie contadine nelle campagne bolognesi (fine XVIII – inizio XIX secolo) in Rivista di storia dell’agricoltura, anno XXXIII, n. 2, 1993, pp. 65-90.
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fieno al “Santi Muratore come a suo debito”, o ancora 359 libbre di canapa per “Petronio Cappelli Sartore”.271
Le rendite più chiare erano state calcolate negli strumenti elaborati per la divisione del 1672. Guardando la tenuta della Giovannina, una della più “antiche” del patrimonio Aldrovandi, vediamo come questa era stata in grado di fruttare nell’intervallo di otto anni (1692-1699) circa 59.712 lire bolognesi per un’entrata media annuale di 7.464 lire, con punte per gli anni migliori di più di 8.000 lire (vedi capitolo II). Non sappiamo bene come venissero calcolate queste entrate, di certo essendo definite “nette” dovevano tenere conto anche delle spese o di una previsione di esse, pur non specificando se i valori monetari corrispondevano a reale contante incassato, o piuttosto, come sembra maggiormente probabile, anche ad una valutazione del prodotto incamerato.
In alcuni casi però le entrate delle imprese non venivano calcolate in valori monetari, preferendo elencare per i prodotti solamente le quantità. E’ il caso delle tenute di Pizzicalvo, Quaderna e Varignana, acquistate dagli Aldrovandi dalla famiglia Falconieri.272 In una relazione di una visita compiuta da un perito ai beni della Quaderna
probabilmente immediatamente dopo l’effettivo passaggio di proprietà, venivano calcolate le rendite per l’anno 1741 per le varie possessioni, ma per i prodotti si indicavano solo le quantità.
Vediamo in particolare la rendita d’una singola possessione.
271 Ivi.
272 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 130. La tenuta aveva un’estensione di 1184, 34, 66 tornature. La parte denominata Pizzicalvo era di 441, 127, 62 tornature, la parte detta Quaderna e Varignana 742, 50, 44 tornature.
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Tabella 4.11. Rendita d’una possessione lavorativa dell’impresa di Pizzicalvo273 (1741). Valori in quantità di prodotto
Fasci grossi 2500 Fasci minuti 1300 Frumento Corbe 42 Marzatelli Corbe 10 Uva Castellate 8.5 Canapa Libbre 250
Foglie di moro Libbre 5
Pigione del socio Lire 84
Animali 3
Porcina Lire 15
Fonte: ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Miscellanee e Notizie diverse, busta 130
In questo caso la mancata valutazione dei prodotti può voler dire che la loro destinazione non era la vendita, ma poteva anche sottintendere una serie di importanti patti messi in pratica tra il conduttore ed il lavorante e che erano legati proprio alla divisione del prodotto.