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Capitolo II. Tra acquisti ed eredità, la formazione del patrimonio

2.4 I due capofamiglia

I due testamenti del 1644 e del 1672 seguivano, al di là dei fattori contingenti, due strategie opposte. Con il primo si era cercato di evitare pericolose divisioni, con il secondo invece si era di fatto favorito uno smembramento, neutralizzato in seguito da una nuova primogenitura. Più che la formazione di vari rami della famiglia, il pericolo maggiore era l’indebolimento del patrimonio che avrebbe sicuramente condizionato lo stesso prestigio della famiglia. In altre situazioni si sarebbero anche creati vari rami

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famigliari che con il tempo avrebbero avuto poco a che fare tra loro.112 Questo non accadde per gli Aldrovandi che, pur mantenendo un formale stato di separazione patrimoniale, continuarono a vivere come appartenenti ad un unico nucleo famigliare. Come si vedrà meglio più avanti i contatti tra i tre fratelli rimasero fitti e soprattutto in campo economico ognuno poteva fare affidamento sull’altro. Vi era poi il palazzo di Bologna, rimasto indiviso, che restò per tutti come luogo di residenza formale, oltre che come simbolo di prestigio cittadino.

Erano invece state separate le proprietà di campagna di Crespellano, della Giovannina, della Galeazza e della Colombara Storta, cosa peraltro non difficile dal momento che ogni tenuta era divisa al suo interno in varie parti, ognuna teoricamente autosufficiente. Da una prima occhiata ai documenti contabili si nota una sostanziale divisione formale anche nelle amministrazioni di queste terre, anche se spesso i punti di contatto erano molti. Gli amministratori ad esempio in alcuni periodi erano gli stessi per tutti e tre i fratelli e la gestione andava di conseguenza.

Gli Aldrovandi restarono un unico nucleo famigliare ma le attività dei singoli fratelli spesso li portarono ben lontani da Bologna. Il primo figlio Filippo già dopo la morte del padre nel 1672, orfano anche di madre, s’era distaccato dalla famiglia vivendo più vicino al suo tutore, lo zio Raniero Marescotti, che ne aveva curato anche l’educazione. Filippo dal 1700 al 1731 ricoprì per vari periodi non contigui la carica d’ambasciatore della città di Bologna a Roma, dove quindi risedette per molto tempo. Il primo dei figli del secondo matrimonio di Ercole con Giulia Albergati, Pompeo, aveva intrapreso la carriera ecclesiastica diventando prima vescovo e successivamente cardinale risiedendo così anche egli a lungo a Roma, e successivamente all’estero grazie all’attività di diplomatico per conto dell’apparato statale pontificio. Di Silvio sappiamo che morì molto giovane nell’assedio di Buda del 1687 mentre l’ultima figlia Aldrovandi prenderà

112 A tal proposito si veda come esempio significativo il caso esposto da Giuseppe Gullino nel libro I Pisani Dal Banco e Moretta, op. cit. Nella stessa situazione bolognese del periodo alcune influenti famiglie partite da un unico nucleo si erano sviluppate in differenti rami, è il caso ad esempio dei Malvezzi dei quali fino almeno al diciannovesimo secolo erano presenti ben tre rami.

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ben presto la via del convento. A Bologna rimase probabilmente solo Nicolò di cui si sa ben poco se non che non fosse molto stimato dagli altri fratelli.113

C’è inoltre da ricordare che, se Filippo poteva godere dell’eredità dello zio Marescotti, Pompeo e Nicolò ricevettero l’eredità della madre Giulia Albergati che in un secondo matrimonio aveva avuto anche un altro figlio, il marchese e senatore Enea Carlo Magnani. A tal proposito nel 1728 i Magnani liquidarono tutte le ragioni degli Aldrovandi calcolate in 62.950 lire, in parte in contanti (36.000 lire) ricavati dal residuo della dote della marchesa, e il resto in proprietà, un orto e osteria a Bologna, e in titoli di credito. 114

La divisione del 1672 costituiva però anche una notevole soluzione di continuità con un modello strutturale intorno al quale si era poggiata la famiglia sin dai secoli precedenti. Esisteva infatti una figura ben delineata di capofamiglia incarnata almeno simbolicamente dalla carica di senatore. Egli di fatto poteva controllare tutte le attività della famiglia grazie al fatto di essere l’unico possessore del patrimonio generale. Come meglio si vedrà nel proseguo di questo lavoro il controllo delle sostanze dava la possibilità anche di porre veti o limiti alla condotta dei parenti, fratelli o figli, anche nella loro vita privata. Chi fu in questi anni il capofamiglia? Fu davvero Filippo iunior, membro del senato e poi ambasciatore a Roma? Certamente nella sua lunga vita poté influire fortemente nel controllo dei figli ma non poté fare altrettanto con i fratelli che godevano di un patrimonio tutto loro con una grande possibilità d’autonomia. Nel caso del prelato Pompeo questo elemento gli permise di accumulare beni (soprattutto terrieri) per un valore patrimoniale mai raggiunto prima. Pompeo stesso ricoprì con lo scorrere degli anni più del primogenito il ruolo di personaggio considerevole della famiglia, anche e soprattutto in virtù di una sua personale ricchezza sempre più notevole in confronto con le condizioni a volte problematiche del fratello e dei nipoti. Si trovano infatti tracce di prestiti ed aiuti economici che l’alto prelato dispensava in favore del

113 In una lettera tra Pompeo e Filippo si legge addirittura la volontà di far interdire Nicolò a causa di una truffa che aveva subito nell’acquisto di alcuni quadri. Da “Lettere del suddetto Emo anni 1706 – 1738” in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Eredità del fu em.mo Aldrovandi cardinale Pompeo, busta 303.

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fratello, soprattutto in soccorso dei destini matrimoniali dei nipoti. Non era un esempio isolato quello di un alto prelato che impersonava in se il ruolo del capofamiglia, che gestiva le carriere dei nipoti e i destini matrimoniali delle femmine di casa.115 Si conferma in questo caso ciò che avevamo espresso nell’Introduzione e cioè come la famiglia aristocratica costituisse una rete fondamentale attraverso cui potevano definirsi aiuti e sostegni indipendentemente dalla ristretta realtà della linea diretta padre-figli.

2.5 I Marescotti

Di notevole importanza per la vita di Filippo iunior ma anche per tutta la sua famiglia fu il ruolo che assunse il conte e senatore Raniero o Riniero Marescotti. Come fratello di Smeralda, morta a soli 21 anni, aveva assunto il ruolo di tutore di Filippo, tutela che però si era conclusa diversamente dalle consuetudini con la nomina del pupillo ad erede universale. In questo modo Filippo avrebbe aggiunto al suo cognome quello dei Marescotti portato in seguito anche dai suoi eredi.

I Marescotti erano una famiglia di impianto sostanzialmente simile a quella degli Aldrovandi. Sulle sue origini si mischiano le “genesi incredibili” narrate dai cronisti Dolfi e Guidicini, a quelle meno improbabili del Montefani. Il Dolfi la fa provenire da “la nobile famiglia Scotti da Piacenza, per derivare questa da Maro di Scotia, della medema Casa di Guglielmo de’ Co. Di Duglasse di sangue Reale, dal quale quella discende, col quale venne in Italia, & esserli stato imposto il nome de’ Mariscotti, dal nome proprio, e dalla Patria, per più facilità di distinguerlo …”116. Più probabile

l’origine individuata dal Montefani che li fa derivare dal notaio Mariscotto Calvi la cui discendenza avrebbe preso il cognome di Marescotti – Calvi, perdendo con il tempo il

115 Un caso emblematico è quello narrato in Irene Fosi, All’ombra dei Barberini, op. cit., in cui si parla dell’ascesa e del declino della famiglia fiorentina dei Sacchetti fortemente legata alla carriera ecclesiastica di Giulio. L’importanza dell’ecclesiastico di famiglia era fondamentale per le famiglie nobili che volevano acquistare prestigio anche quando la loro provenienza era esterna allo Stato pontificio. Per il particolare caso bolognese la ricerca del prestigio politico era ancora più legata al soggiorno nella città di Roma. A tal proposito vedi Gian Paolo Brizzi, La formazione della classe dirigente nel Sei – Settecento, op. cit., ed in particolare pp. 159 – 160.

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secondo attributo. Anticamente i Calvi sarebbero stati “lardaroli”117 con una bottega situata al di sotto della propria casa.118

L’antica origine patrizia è confermata dalla presenza nel 1466 di Galeazzo di Ludovico Marescotti tra i riformatori della città.119 Gli anni finali e burrascosi della signoria

bentivogliesca li vedrà coinvolti nelle lotte tra fazioni, prima dalla parte della stessa famiglia Bentivoglio poi tra i cospiratori pronti a rovesciarli. Perseguitati per questo motivo e poi riabilitati da Giulio II i Marescotti dovettero pagare con l’esilio durato alcuni anni in Romagna e con la distruzione del palazzo di via Barberia a Bologna. Le famiglie che avevano partecipato al saccheggio e alla distruzione del palazzo furono condannate a versare una tassa per rifabbricare il palazzo. Quella che fu chiamata “tassa d’opinione”, e che probabilmente fu calcolata in base al reddito, produsse in tutto 39.659 scudi.120 Dai lavori prodotti con questi soldi fu realizzato il palazzo Marescotti

ancora oggi presente a Bologna, che tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento verrà ampliato ad opera dello stesso Raniero.

Di Raniero Marescotti sappiamo molte cose anche perché la sua vita fu per certi versi burrascosa.121 Nato nel 1640, secondo figlio di Annibale e Barbara Rangoni, fu educato

alla corte medicea di Firenze grazie al fatto che la nonna Smeralda Rinuccini era una nobildonna fiorentina. Divenuto gentiluomo del granduca Cosimo III gli rimarrà legato da un rapporto di amicizia che continuerà anche quando Raniero rientrerà a Bologna. Il suo ritorno nella città natale nel 1660 non può certo essere definito tranquillo, due anni dopo infatti sarà accusato insieme al fratello, il senatore Ercole, dell’omicidio del cittadino bolognese Francesco Bovi. Per ben cinque anni i fratelli Marescotti furono rinchiusi nel “Torrone” 122 di Bologna da dove furono fatti uscire solo per intervento del

117 Pizzicagnoli, coloro che vendono salami e formaggi. Da Carolina Coronedi Berti, Vocabolario bolognese – italiano, Bologna, Monti, 1869.

118 BUBo, Lodovico Montefani, Famiglie bolognesi, vol. 56, ms. 4207. 119 Giuseppe Guidicini, Storia dei riformatori, op. cit., vol. 1, p. 47.

120 Giuseppe Guidicini, Cose notabili della città di Bologna, op. cit., vol. I, pp. 100-102.

121 Molte notizie sulla vita di Raniero Marescotti sono presenti anche nel volume Palazzo Marescotti – Brazzetti, Bologna, op. cit., pp. 74-81.

122 Il “Torrone”, un torrione d’angolo della cinta fortificata del Palazzo pubblico, era il carcere bolognese del tempo e la sua gestione era lasciata ad un particolare ufficio e all’Uditore del Torrione che si

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papa Clemente IX. Dapprima la pena fu convertita in esilio, poi gli fu permesso di rientrare con l’obbligo di non uscire dallo Stato della Chiesa. Ancora un altro fatto di sangue ne complicò l’esistenza, nel 1673, quando aveva assunto anche la carica di senatore per la morte del fratello maggiore, uccise il bargello123 del “Torrone”

probabilmente per una vecchia ruggine dei tempi della prigionia. Non fu mai accusato né processato e comunque preferì cambiare aria trasferendosi a Roma dove portò anche il nipote Filippo Aldrovandi.

Da quel che sappiamo Raniero si impegnò a curare molto bene l’educazione del nipote in tutti i particolari, nelle arti cavalleresche, nelle scienze e nelle lettere. Al particolare legame affettivo tra i due, consolidato dal fatto che Raniero restò celibe e non ebbe figli, si aggiunse però anche un decisivo legame di tipo economico. Raniero oltre a gestire parte del patrimonio della sua famiglia aveva la piena gestione di quello del nipote che costituiva la parte maggiore dell’eredità di Ercole Aldrovandi. A quanto sembra Raniero dispose del patrimonio del nipote come fosse il proprio, e ciò emerge dal processo intentato da Elena Pepoli, moglie di Filippo, dopo la morte del Marescotti per riavere le 85.000 lire della sua dote.124 Raniero aveva infatti speso la dote della Pepoli, caso

abbastanza raro pagata completamente in contanti, per i lavori di restauro del palazzo di via Barberia eseguiti proprio negli anni del matrimonio di Filippo con Elena.125 La dote di Elena servì anche a far fronte alle spese legate ai lavori nelle tenute di Camaldoli e della Fontana come è documentato dai libri di spesa.126 Comunque il legame personale di Filippo con lo zio Raniero fu molto forte tanto che anche dopo il matrimonio si occupava delle cause penali. A tal proposito vedi anche Bologna. Atlante storico delle città italiane. vol. 3, Bologna, Grafis Edizioni, 1997.

123 Il bargello nei comuni medievali era l’ufficiale, generalmente forestiero, preposto alla pubblica sicurezza.

124 La dote di cui la famiglia dello sposo beneficia indica la considerazione e la stima sociale di cui gode una certa casa, al contrario una dote concessa alla figlia indica piuttosto le ambizioni di ascesa ad un certo grado, oltre che le disponibilità economiche. Ogni famiglia aveva infatti un “livello dotale” che corrisponde alla ricchezza e alla considerazione sociale. A tal proposito si guardi Paolo Malanima, I Riccardi di Firenze, op. cit., pp. 89-91.

125 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 748. 126 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 776.

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recherà a vivere nel palazzo Marescotti, salvo poi esserne allontanato alla morte di Raniero. Uno dei tre figli maschi di Filippo fu chiamato inoltre come lo zio Raniero mentre al primo era spettato il nome del padre, Ercole.

Il passato non certo limpido non favorì le ambizioni politiche di Raniero Marescotti ed in effetti oltre al titolo di senatore non ricoprì mai cariche per la città di Bologna. Dalle testimonianze che abbiamo e dai documenti di archivio emerge un personaggio certamente dedito a spese importanti, a causa di un alto tenore di vita, che si riscontrerà anche nei debiti lasciati all’erede. Comunque dopo aver sistemato la sua successione nel novembre del 1689 si recò a Firenze dove, in non buone condizioni di salute, decise di farsi curare dai famosi dottori della corte medicea. Accolto dall’amico Cosimo III ottenne da lui anche il titolo, con relativo stipendio, di capitano generale della Compagnia di Corazze Alemanne addette alla persona del granduca. Al nipote Filippo, che lo aveva accompagnato, fu conferita la carica di comandante della Compagnia d’ordinanza. Ma il soggiorno fiorentino di Raniero fu breve visto che l’11 aprile 1690 morì e dopo i funerali il corpo fu riportato a Bologna.127

Alla morte di Raniero, Filippo divenne l’unico erede dei beni dello zio. Vi erano però alcune eccezioni dovute a dei beni legati da antichi fedecommessi che coinvolgevano anche altri Marescotti. Con la morte di Raniero si era estinto il ramo principale di quella famiglia ma ne restavano altri, uno residente a Roma e un altro a Bologna denominato come “ramo di Vincenzo”. Lo stesso palazzo di Bologna era infatti ufficialmente diviso in vari appartamenti spettanti ai tre rami della famiglia.128

A complicare questa eredità vi erano antichi fedecommessi che escludevano dalla successione persone che non avessero il cognome Marescotti. E’ il caso ad esempio della proprietà di Medicina, nel contado bolognese, bloccata sin dal Cinquecento dal fedecommesso di Ercole di Galeazzo Marescotti.129 Più recente era il fedecommesso dello zio di Raniero, Ciro o Cirro Marescotti che aveva disposto in favore di Raniero a condizione che se il nipote non avesse avuto figli si sarebbe proceduto con un’estrazione a cui avrebbero dovuto partecipare solo “quelli della famiglia, et

127 Giuseppe Guidicini, Storia dei riformatori, op. cit., vol. II, p. 149.

128 Notizie anche queste derivanti da BUBo, Lodovico Montefani, Famiglie bolognesi, vol. 56, ms. 4207. 129 Ivi.

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Agnatione sua Marescotti” con l’estratto che avrebbe goduto di tutta l’eredità.130 L’estrazione n realtà non avvenne perché cadeva in contraddizione con altri lasciti fedecommissari, gli altri Marescotti però ne approfittarono per rientrare in gioco per l’eredità. Questi in particolare pretendevano di entrare in possesso dei beni che erano stati fedecommessi da parte del padre di Ciro, Bartolomeo Marescotti. Nel 1696 una decisione della Sacra Rota deliberò che i fedecommessi di Bartolomeo ed Annibale fossero purificati a favore di Raniero e quindi di Filippo Aldrovandi, mentre quello istituito da Ciro andasse a favore dei Marescotti. Una parte importante dei beni Marescotti finiva così nelle proprietà degli Aldrovandi. L’atto definitivo veniva stipulato da un notaio: “Siche non si può dubitare che tutti gl’effetti provenienti dall’eredità di Bartolomeo non spettino al signor Conte Aldrovandi, perché così dispone il testamento, così fu concordato con li signori Marescotti, e così ha firmato La Sacra Rota nella Decisione 1225”131.

Filippo poté così entrare ufficialmente in possesso delle sostanze che lo zio Raniero gli aveva lasciato mentre i Marescotti si impossessavano di un fedecommesso che gli stessi documenti definivano “decotto” cioè pieno di debiti. Il ramo secondario ebbe però la sua rivincita impossessandosi del palazzo di via Barberia che solo in parte sarebbe spettato a Filippo. Alla fine della transazione del 1696132 il palazzo passò interamente al conte Antonio Giuseppe Marescotti, appartenente ad un ramo cadetto della famiglia e già residente in un’ala del palazzo.133 La parte spettante a Filippo aveva un valore di 80.000 lire che fu riscattata dai Marescotti in parte con i mobili degli appartamenti che erano stati occupati da Raniero e da Filippo.134 Mobili a cui si fa riferimento nel

momento in cui viene preparato il trasloco di Filippo nel 1700 per Roma per accettare la carica di ambasciatore.135

130 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 792. 131 Sempre in busta 792.

132 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 748. 133 Palazzo Marescotti – Brazzetti, op. cit., p. 79.

134 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Instrumenti, busta 23.

135 I mobili, da cui erano esclusi oggetti di particolare valore come i quadri erano stati valutati all’incirca in 18226 lire bolognesi. Un elenco di questi datato 24 luglio 1700 ne prova il trasferimento a Roma per

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La transazione del 1696 dimostrò la volontà di Filippo di venire sostanzialmente a patti con i Marescotti per evitare probabilmente di allungare troppo le pratiche per la successione, evidentemente per non ripetere quello che stava accadendo proprio in quegli anni con l’eredità paterna. L’unica cosa che non riuscì a far valere fu la sua richiesta di rimborso, sul quale in effetti non aveva diritto, a causa degli evidenti miglioramenti che erano stati compiuti nel palazzo con i soldi della dote di sua moglie.136

Perso il palazzo la parte principale dell’eredità era costituita da beni agricoli. La principale tenuta dei Marescotti era quella della Fontana, situata tra i comuni di San Matteo della Decima, Postomano e San Giacomo Lorenzatico. Tutta la tenuta era estesa per circa 2.869 biolche (misure ferraresi) valutate 150 lire la biolca per un totale di 430.350 lire bolognesi137. In misure bolognesi la tenuta corrispondeva come avevamo

detto a circa 3.587 tornature. La Fontana aveva una struttura molto simile alle proprietà degli Aldrovandi che abbiamo descritto in precedenza, si noti anche come questa fosse molto vicina a quella della Giovannina anche questa estesa nel comune di San Giovanni in Persiceto.138 I terreni lavorativi possedevano le classiche caratteristiche della

campagna bolognese (terra “arborata, vitata, fruttifera, moreta”139) e si

accompagnavano a quelli prativi. Anche qui il centro della proprietà era costituito dal palazzo valutato insieme ai mobili presenti in esso poco più di 48.889 lire bolognesi. L’altra principale proprietà era quella posta nel comune di San Silverio in località Camaldoli costituita da un palazzo con annessa una possessione. In totale tutti i beni di Camaldoli risultavano essere valutati in 24.739 lire. Altre proprietà erano nelle località di Castel de Britti, Monterenzio, Budrio e Galisano. Queste ultime due dovevano avere un’estensione abbastanza interessante se si considera che il valore assoluto è di 44.500 lire bolognesi (per tutti i valori dello stato dell’eredità Marescotti si guardi la tabella allestire il palazzo dell’ambasceria. Il valore generale dei mobili si trova in ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 792. Le notizie sul trasferimento a Roma sono in busta 804.

136 Palazzo Marescotti – Brazzetti, op. cit., p. 75.

137 La biolca ferrarese corrispondeva a 65,239360 ari e quindi a 1,25 tornature bolognesi. 138 ASBo, Archivio Aldrovandi – Marescotti, Serie Marescotti, busta 804.