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Ruolo potenziale del microbiota intestinale sullo sviluppo dell’obesità

A. Malattie metaboliche: obesità

5. Ruolo potenziale del microbiota intestinale sullo sviluppo dell’obesità

dell’obesità

Studi recenti hanno suggerito che, tra i vari processi che favoriscono lo sviluppo di sovrappeso e obesità, con le loro relative conseguenze, bisogna tenere in considerazione anche il microbiota intestinale (Clavel et al., 2014).

È noto che, il microbiota intestinale e il suo genoma batterico (microbioma) influenzano l’acquisizione di nutrienti, la regolazione energetica e l’immagazzinamento del grasso (Rosenbaum et al., 2015). Per questi motivi sono stati proposti alcuni meccanismi per spiegare il ruolo del microbiota intestinale nello sviluppo dell’obesità. Uno è legato alla regolazione energetica e alla capacità del microrganismo di fermentare i polisaccaridi alimentari non digeribili dall’uomo (Khan et al., 2016). La fermentazione delle fibre alimentari provoca la generazione di SCFA. Dopo l’assorbimento, gli SCFA possono indurre la lipogenesi e aumentare le riserve di trigliceridi attraverso vie molecolari. Gli SCFA hanno la capacità di attivare la proteina legante gli elementi sensibili ai carboidrati (ChREBP) e il fattore di trascrizione legante gli elementi regolatori sterolici (SREBP1), entrambi coinvolti nella lipogenesi. Inoltre, gli SCFA possono sopprimere il fattore adipocitario indotto dal digiuno (FIAF), che inibisce la lipoproteinalipasi (LPL), inducendo l’accumulo di trigliceridi negli adipociti dell’ospite (Khan et al., 2016). Un altro meccanismo proposto è la capacità del

38 microbiota di ridurre l’ossidazione degli acidi grassi nel fegato, sopprimendo l’adenosina monofosfato chinasi (AMPk) (Lòpez et al., 2017). Questo enzima si trova nel fegato e nelle fibre muscolari e funge da indicatore di energia cellulare. L’inibizione di AMPk provoca una riduzione dell’ossidazione degli acidi grassi e, di conseguenza, un aumento dell’accumulo di grasso (Hardie et al., 2008).

Il microbiota svolge un ruolo cruciale nella regolazione del metabolismo energetico dell’ospite e può contribuire allo sviluppo di obesità e di malattie associate, innescando l’infiammazione sistemica (Jana et al., 2017). Inoltre, il microbiota mantiene l’integrità della barriera epiteliale dell’intestino, offrendo così protezione dalla colonizzazione batterica di agenti patogeni (Hooper et al., 2010, Turner et al., 2009). I lipopolisaccaridi (LPS) del microbiota intestinale, presenti nella membrana cellulare di quei batteri Gram-negativi, legano i recettori simili a pedaggi (principalmente recettori Toll-Like 4; TLR4) (Cani et al., 2007). I TLR sono proteine transmembrane immunitarie in grado di sovraregolare le citochine e le chemochine infiammatorie e impegnano vie di segnalazione intracellulari per regolare la natura, l’entità e la durata della risposta infiammatoria (Cani et al., 2007, Frost et al., 2002).

Uno dei fattori correlati al microbioma, che differenzia gli individui obesi e sani, è stato il cambiamento nella proporzione della flora batterica appartenente ai phyla Firmicutes e

Bacteroidetes, che insieme comprendono circa il 90% del microbiota intestinale di un

soggetto adulto (Consortium THMP, 2012). Il phylum Firmicutes comprende organismi Gram-positivi di oltre 200 generi diversi tra cui Catenibacterium, Clostridium, Eubacterium,

Dorea, Faecalibacterium, Lactobacillus, Roseburia, Ruminococcus, e Veillonella, mentre il

phylum Bacteroidetes comprende organismi Gram-negativi di circa 20 generi tra cui

Bacteroides, Odoribacter, Prevotella e Tannerella (Tremaroli et al., 2012). Utilizzando il

sequenziamento del gene 16S rRNA del microbiota intestinale distale di topi ob/ob, si è mostrato che c’è una riduzione significativa nell’abbondanza di Bacteroidetes e un aumento di Firmicutes nei topi obesi (Turnbaugh et al., 2006). Il rapporto alterato tra Bacteroidetes e

Firmicutes è strettamente correlato con l’obesità ed è probabile che l’influenza del microbiota

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a) Microbiota: origine e potenziale nella riduzione del rischio di obesità

Si ipotizza che, i cambiamenti ambientali nel mondo industrializzato abbiano portato a una riduzione del contatto microbico in tenera età e quindi abbiano contribuito all’epidemia di malattia atopica. Nel 1976, Gerrard et al. (Gerrard et al., 1976) hanno trovato una relazione inversa tra l’incidenza di infezioni e malattia atopica e hanno concluso che esiste una relativa libertà dalle malattie dovute a virus, batteri ed elminti, che possano causare quest’ultima. Ancora, nel 1989, Strachan (Strachan et al., 1989) hanno rilevato una correlazione inversa tra dimensione e prevalenza della famiglia della rinite allergica e suggerirono che le infezioni acquisite da fratelli più grandi potessero conferire protezione contro lo sviluppo della malattia atopica. Da allora si sottolinea l’intima relazione tra il sistema immunitario e il microbiota e si collegano le loro forze alla teoria delle origini dello sviluppo di salute e malattia (Barker et al., 2007). Di conseguenza, il rischio di malattie non trasmissibili è aumentato, date le condizioni ambientali dopo la nascita, che differiscono da quelle sperimentate dal feto durante la gravidanza. I dati epidemiologici confermano l’importanza di un’alimentazione pre- e post- natale stabile: la limitata nutrizione nell’utero, seguita dall’abbondante nutrizione, offerta dallo stile di vita occidentale, incrementa la suscettibilità a disturbi metabolici (Gluckman et al., 2008). Prove cliniche mostrano che, la sottonutrizione e la sovralimentazione materna in gravidanza sono ugualmente induttive di un rischio di obesità nel bambino (Isolauri et al., 2016, Fall et al., 2011).

Il contatto con i microbi nel periodo perinatale rappresenta l’esposizione all’antigene più massiccia per educare i processi di adattamento fisiologico atteso all’ambiente postnatale. Il neonato, non avendo un’età idona e un ambiente tranquillo, ha un ottimale contatto microbico per la maturazione tempestiva del sistema immunitario, dei sistemi regolatori metabolici e neuronali, che potranno essere predisposti a sviluppare malattie allergiche, condizioni cronico infiammatorie e obesità (Figura 6).

40 L’ipotesi richiede una revisione attenta delle pratiche cliniche, che possono interferire con la sana interazione ospite-microbo durante il periodo critico entro il quale, secondo le origini evolutive della teoria della salute e delle malattie, il fenotipo immunitario e metabolico si consolida (Figura 2). Queste pratiche includono il taglio cesareo e l’uso di antibiotici. Il taglio cesareo, accompagnato da un trattamento antibiotico, ostacola la stabilizzazione del microbiota intestinale più o meno transitoriamente, ma tuttavia porta conseguenze cliniche a lungo termine, che si manifestano come condizioni immuno-infiammatorie, così come l’obesità (Rautava et al., 2012). L’impatto dell’obesità materna può costituire un fattore confondente. Una recente meta-analisi ha dimostrato che, il taglio cesareo esercita un effetto indipendente sui bambini obesi, anche quando i risultati sono stati adeguati in base al peso gravidico materno (Kuhle et al., 2015). Dati epidemiologici, che collegano l’esposizione antibiotica precoce a un rischio di obesità successivo, sono molto contrastanti. È stato

dimostrato che,

l’esposizione ad antibiotici esercita effetti distinti nei neonati di madri con BMI elevato al concepimento, rispetto a quelli da madri normopeso; l’esposizione agli antibiotici ha ridotto il rischio di obesità nei primi, ma ha aumentato il rischio nei secondi (Ajslev et al., 2011).

In effetti, il tasso di parto cesareo supera la raccomandazione dell’OMS per motivi non medici e la tendenza cumulativa sembra continuare (Miettinen et al., 2015). Al contrario, il tasso di allattamento al seno non riesce a raggiungere le attuali raccomandazioni; l’allattamento al seno favorisce il sano sviluppo compositivo del microbiota intestinale postnatale.

Infine, il contributo della salute, del peso e dell’aumento di peso della madre durante la gravidanza, per la salute metabolica e il rischio di malattia del bambino, sono riconosciuti come fattori determinati dall’intestino materno e dal microbiota del latte materno (Rautava et al., 2012). In effetti, la composizione del microbiota intestinale durante la gravidanza e del latte materno non è standard, ma evidenzia una marcata variazione individuale (Cabrera-

Figura 6. Presentazione schematica della relazione tra il microbiota

intestinale e l'ambiente e la nutrizione precoce, che sono alla base del rischio di malattie non trasmissibili nell'infanzia (Isolauri et al., 2017).

41 Rubio et al., 2012). Queste fonti forniscono l’inoculo per la creazione del microbiota intestinale del neonato. Alterazioni della composizione microbica durante la gravidanza, al momento del parto, attraverso il passaggio dal canale vaginale, possono essere trasmesse al neonato.

La stessa igiene è un’ipotesi legata alle origini evolutive della teoria della salute e delle malattie; questa modifica il microbiota intestinale materno durante la gravidanza e il periodo perinatale, così come il microbiota del latte materno. La promozione di un’equilibrata interazione ospite-microbo può aiutare a sintonizzare il microbiota intestinale del bambino con l’età e la riprogrammazione del rischio di patologie cronico-infiammatorie, inclusa l’obesità.

b) Funzioni del microbiota nella salute metabolica

Nota l’equazione del bilancio energetico, lo sviluppo dell’obesità appare semplice: l’assunzione di energia supera quella consumata. I nutrienti energetici consumati eccessivamente nell’attuale stile di vita occidentale sedentario sono visti come la fonte dell’obesità. La sostituzione di nutrienti energetici, tuttavia, con sostituti non calorici non hanno fornito una soluzione, ma possono aver contribuito all’epidemia di obesità. Allo stesso tempo, la complessa composizione del microbiota intestinale umano non è riuscita ad adattarsi all’abbondanza della dieta moderna: una dieta ricca di grassi, zuccheri, proteine e povera di fibre. In effetti, il compito del microbiota intestinale, strumento di difesa dell’ospite, è rafforzare le funzioni della barriera intestinale, escludendo gli agenti patogeni e attenuando le risposte infiammatorie intestinali (probabilmente allo scopo di resistere alle antiche infezioni di origine animale), con concomitante aiuto nell’estrazione e conservazione di energia dalla dieta (concepibilmente per adattarsi ai tempi di carenza di cibo).

I recenti progressi scientifici tendono ad affermare che, il microbiota intestinale funzioni semplicemente come una barriera efficace nell’assimilare antigeni incontrati nel percorso enterale. Studi sperimentali dimostrano che, le deviazioni immunitarie e metaboliche coinvolte nell’obesità non possono derivare linearmente dall’assunzione con la dieta, ma piuttosto dalle modificazioni del microbiota intestinale indotte dalla dieta (Isolauri et al., 2016). Quindi, la composizione del microbiota intestinale può essere considerata un contributo strategico all’obesità, per quanto riguarda l’apporto energetico eccessivo da una

42 dieta malsana e un immagazzinamento sproporzionato di energia a causa del comportamento sedentario.

È di interesse scientifico il potenziale ruolo causativo del microbiota intestinale nell’obesità: è stata osservata una composizione distintiva del microbiota intestinale in soggetti obesi con variazioni, a seguito dell’aumento o perdita di peso (Ley et al., 2005). L’aberrante sviluppo compositivo del microbiota intestinale è stato documentato durante l’allattamento nei neonati in sovrappeso, per esempio la variazione del microbiota precede l’obesità (Kalliomaki et al., 2008). Un ulteriore supporto dell’ideazione del coinvolgimento del microbiota nell’obesità si è ottenuto da dati epidemiologici, che collegano le note cause del microbiota intestinale a disturbi nelle prime fasi della vita, vale a dire parto cesareo ed esposizione agli antibiotici, al successivo sviluppo di sovrappeso e obesità (Isolauri et al., 2016). Questi elementi rafforzano sempre più l’ipotesi che, la modifica delle comunità microbiche intestinali potrebbe offrire una strategia applicabile alla gestione dell’obesità (Zhao et al., 2013). La dieta occidentale, con il suo elevato contenuto di grassi e di energia, è stata associata ad una ridotta diversità del microbiota intestinale e composizione perturbata, disbiosi, squilibrio nella composizione tassonomica del microbiota intestinale. Il microbiota intestinale impatta sul metabolismo recuperando i nutrienti, altrimenti inaccessibili all’ospite (Figura 7). Studi sperimentali hanno fornito prove che, specifici profili del microbiota intestinale facilitano l’estrazione di calorie dalla dieta, accumulando l’eccesso energetico nel tessuto adiposo dell’ospite (Backhed et al., 2007).

Questi fenomeni agiscono contemporaneamente: la disbiosi può aumentare l’efficienza energetica attraverso la fermentazione di alimenti non digeriti, fornendo così più energia per l’ospite; l’assorbimento del monosaccaride intestinale e l’estrazione di energia, come la produzione di SCFA, combinato con la successiva stimolazione della sintesi de-novo di trigliceridi nel fegato, favoriscono l’aumento di peso. Inoltre, la disbiosi potrebbe aumentare il deposito di acidi grassi negli adipociti, sopprimendo il fattore adiposo indotto dal digiuno

Figura 7. Il circolo vizioso dell’obesità (Isolauri et al.,

43 (FIAF) nell’intestino, che a sua volta aumenta l’attività dell’enzima lipoproteinlipasi (LPL) negli adipociti e potenzia l’accumulo di grasso (Backhed et al., 2004). Una composizione bilanciata del microbiota intestinale, ancora una volta, protegge dall’obesità indotta dalla dieta, inibendo l’energia cellulare dipendente dall’attivazione della proteina chinasi (Backhed et al., 2007). Un’altra spiegazione sta nell’associazione tra l’attivazione delle molecole di segnalazione SCFA e l’accumulo di energia (Samuel et al., 2008).

Il ruolo degli SCFA nel migliorare l’efficienza energetica potrebbe essere molto più complesso di quanto si pensava inizialmente. Gli SCFA possono esercitare effetti metabolici benefici nel tessuto adiposo e nel fegato e migliorare la sensibilità insulinica. Un’abbondanza inferiore della produzione di butirrato, da parte dei batteri, è stata associata ad un aumentato rischio di malattie metaboliche nell’uomo, poiché i microbi, che producono butirrato, mostrano un potenziale anti-infiammatorio e alleviamento dei disturbi metabolici dell’obesità. L’effetto del butirrato sulla barriera intestinale è comunque paradossale. A bassa concentrazione il butirrato può promuovere la funzione di barriera intestinale, mentre può avere effetto opposto ad alta concentrazione (Peng et al., 2007). Allo stesso modo, tra gli SCFA l’acetato, prodotto da specifici bifidobatteri, promuove la difesa intestinale mediata dalle cellule epiteliali (Kau et al., 2011). Il miglioramento dalla produzione di acetato, substrato necessario per la sintesi di colesterolo e trigliceridi, è stato osservato in animali da esperimento alimentati con una dieta ricca di grassi (HFD), rispetto alla controparte alimentati con diete standard (Perry et al., 2016). Inoltre, è stato documentato in primo luogo un aumento dell’acetato, dei livelli di grelina e, quindi, la spinta dell’ospite a mangiare eccessivamente, e in secondo luogo la secrezione di insulina, stimolata dal glucosio. L’amministrazione centrale dell’acetato nel cervello ha aumentato la secrezione di insulina, stimolata dal glucosio, mentre la stimolazione del pancreas con l’acetato non permette di dare questo effetto.

La secrezione dell’insulina, stimolata dal glucosio, si è dimostrata capace di essere indotta in animali riceventi trapianto fecale (FMT) da animali alimentati con alimenti ad elevato contenuto di grassi. L’alterazione del microbiota, al contrario, ha soppresso il turnover dell’acetato e ha ridotto i livelli di grelina. Tra gli SCFA, il propionato mostra un potenziale per proteggere dalle risposte infiammatorie, abbassando i livelli di acidi grassi nel plasma e migliorando il metabolismo glucidico dell’ospite, a differenza dell’acetato. Questa distinzione punta al sito di attivazione del sistema nervoso parasimpatico mediato dal nervo vago: nel

44 caso del propionato si attiva il sistema nervoso periferico, nel caso dell’acetato il sistema nervoso centrale (Perry et al., 2016).

Oltre a trattare i nutrienti e regolarne l’accesso e la conservazione nel corpo, le vie infiammatorie attivate sono un corollario del “microbiota obesogenico” (Figura 6). In effetti, la dimostrazione di cascate infiammatorie attive nell’ileo, in risposta a una dieta ricca di grassi prima dell’inizio dell’obesità, alletta l’idea che l’infiammazione di basso grado nell’obesità possa aver inizio nell’intestino e in particolare dal microbiota intestinale, la cui presenza è un prerequisito nella progressione dell’infiammazione. L’elevata esposizione sistemica al lipopolisaccaride, endotossina rilasciata dai batteri Gram-negativi, caratterizza questo tono infiammatorio, definito “endotossiemia metabolica” (Cani et al., 2007). Aiutati dalla compromissione indotta dalla disbiosi nella funzione di barriera dell’intestino, i lipopolisaccaridi vengono consegnati a CD14 (cluster di differenziazione 14) e a TLR4 (recettore Toll-like 4) e la conseguente produzione di citochine pro-infiammatorie aggrava il metabolismo del glucosio e dell’insulina e contribuisce all’insorgenza di patologie associate al sovrappeso, incluso il diabete mellito di tipo 2, l’ipertensione, la steatosi epatica e la dislipidemia (Isolauri et al., 2016, Kau et al, 2011, Greer et al., 2013).

È interessante notare che, gli acidi grassi dietetici, di cui i livelli circolanti sono spesso aumentati nell’obesità, hanno la capacità di indurre resistenza insulinica attraverso gli stessi percorsi di segnalazione, collegando l’ambiente nutrizionale alla microecologia intestinale all’interno dell’innata regolazione immunitaria (Kau et al., 2011, Greer et al., 2013).

c) I profili del microbiota intestinale sono casualmente collegati al rischio di obesità

La prova più plausibile di una relazione casuale tra disbiosi e il rischio di obesità è stata ottenuta da studi sperimentali, dimostrando che il trasferimento del microbiota intestinale da un individuo obeso può produrre il fenotipo obeso nel destinatario (Cox et al., 2014, Koren et al., 2012). La colonizzazione di topi GF di un microbiota intestinale da un topo o da un uomo obeso consente l’aumento di peso e l’accumulo di massa grassa in questi animali, senza un apporto dietetico alterato. In conformità con questa linea di lavoro sperimentale, ci sono casi clinici sul trattamento di diarrea ricorrente, causata da Clostridium

difficile in seguito a trapianto fecale, che dimostrano lo sviluppo dell’obesità nel ricevente

45 tra individui obesi e magri, ma con esiti contraddittori (Ley et al., 2005, Backhed et al., 2004, Shin et al., 2015). Questi includono una ridotta diversità microbica e uno spostamento nella relativa abbondanza di Bacteroidetes e Firmicutes e una maggiore abbondanza di

Proteobatteri.

Il tasso di acquisizione di alcuni modelli di microbiota appare cruciale per la programmazione della salute (Isolauri et al., 2016). Ad esempio, un’inferiore abbondanza di bifidobatteri con specie specifiche presenti, durante il periodo di allattamento esclusivo di bambini nati da parto vaginale, privi di esposizione agli antibiotici, possono predire l’adiposità (Isolauri et al., 2016, Kalliomaki et al., 2008). I risultati sperimentali tendono a convalidare questo risultato clinico, collegandosi all’elevato numero di bifidobatteri con normalizzazione dello stato infiammatorio e una migliore tolleranza al glucosio e secrezione di insulina, indotta dal glucosio (Cani et al., 2007).

Allo stesso modo, in tenera età, differenze nella colonizzazione del gruppo

Bacteroides potrebbero indicare in seguito svantaggi metabolici di salute (Scheepers et al.,

2015). Bambini denutriti in paesi in via di sviluppo hanno mostrato un profilo di microbiota intestinale più giovane, rispetto alla loro età cronologica (Isolauri et al., 2016, Subramanian et al., 2014), mentre la maturazione precoce è stata osservata in bambini in sovrappeso (Dogra et al., 2015). Inoltre, il microbiota del meconio di bambini nati da madri con diabete mellito ricorda quello di un adulto diabetico (Hu et al., 2013). Negli adolescenti e negli adulti, un aumento del numero di Proteobacteria sono stati considerati caratteristici della disbiosi (Zhao et al., 2013), mentre Akkermansia muciniphila, un membro della Verrucomicrobia, può caratterizzare il controllo dell’infiammazione e il metabolismo del tessuto adiposo (Schneeberger et al., 2015). Nelle donne in gravidanza è stata riportata un’associazione tra la composizione del microbiota intestinale e lo stato nutrizionale, in particolare un profilo di microbiota intestinale più alto di Bifidobacterium sembra fornire protezione contro lo sviluppo di sovrappeso materno.

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COMPLICANZE GENERATE DALLA CONDIZIONE DI

OBESITA’

L’attuale pandemia dell’obesità è associata a cambiamenti nello stile di vita, che sono caratterizzati dall’assunzione eccessiva di energia e dalla ridotta attività fisica. L’obesità contribuisce fortemente all’incidenza e alla prevalenza di diverse complicanze fisiche, macrovascolari e microvascolari, ponendo un pesante onere al sistema sanitario.

Recentemente, è stata messa a fuoco l’influenza del microbiota intestinale come driver meccanicistico sottostante dell’obesità e delle relative comorbidità. Il microbiota intestinale, riferito a batteri, virus, funghi, archaea, fagi e protozoi, che risiedono nell’intestino umano (Whitman et al., 1998), uguale a tutte le cellule umane (Sender et al., 2016), ha la capacità di interagire con l’ospite in diversi modi. Questi includono funzioni come il metabolismo dei nutrienti, dall’assunzione di alimenti, il metabolismo xenobiotico, il mantenimento della funzione della barriera intestinale e del sistema immunitario (gastrointestinale), nonché la protezione contro la traslocazione di agenti patogeni intestinali (Jandhyala et al., 2015, Jumpertz et al., 2011).