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A chiunque abbia mai provato la curiosità di interessarsi ai manifesti “d’epoca”

non sarà certo passato inosservato lo stile ed il tratto inconfondibile di Alphonse Mucha ed i suoi celebri manifesti per Sarah Bernhardt o per Job.

Mucha nasce nel 1860 a Ivan_ice, in Moravia, in un contesto in cui la cultura e l’identità nazionale tendono a scomparire all’interno dei confini dell’Impero Au-stro-Ungarico. Una situazione molto diversa da quella nella quale si sono for-mati gli autori francesi e, dunque, uno dei principali fattori che determineranno il suo distacco da quelli che sono i canoni del manifesto contemporaneo dettati, proprio in quegli stessi anni, da Chéret, Toulouse-Lautrec e dall’Art Nouveau.

La sua formazione artistica inizia nel 1879 all’Accademia di Vienna. Dopo aver affrescato la sala da pranzo del Castello di Emmahof per il Conte Karl Khuen, con l’aiuto finanziario di questi riesce a frequentare per due anni l’Accademia di

Monaco e, quindi, si trasferisce a Parigi (1887) dove frequenta l’Academie Ju-lian e l’Accademia Colarossi. Nel 1889, il Conte decide di sospendere i finan-ziamenti all’artista e Mucha, costretto a far fronte autonomamente alle proprie e-sigenze, si vede costretto a trovare impiego come illustratore.

Sono questi i passaggi fondamentali della vita dell’artista che, come si nota, non nasce come autore di manifesti ma che, al contrario, passa attraverso diverse fasi artistiche.

Il suo primo progetto, nato con la decorazione della sala da pranzo del Castello di Emmahof, è quello di narratore sui muri: prima come pittore e poi come auto-re di manifesti. In questa sua prima opera, comunque, lo stile è ancora quello ac-cademico e risente fortemente dell’influenza di artisti come Tiepolo, Watteau, Fragonard e Piranesi.

Successivamente, spinto dalla necessità, si specializza come illustratore ma, an-che qui, è ancora ravvisabile una forte influenza accademica e neosettecentesca, anche se inizia ad emergere una particolare attenzione ai particolari propria del realismo.

La vera affermazione di quello che sarà lo stile di Mu-cha avviene con la realizzazione dei primi manifesti per Sarah Bernhardt. Il fatto singolare è proprio il modo con cui Mucha si “improvvisa” autore di manifesti.

Nel 1894 Mucha lavora presso lo stampatore Lemercier sotto le dirette dipendenze del manager De Brunoff. Il 27 dicembre, alla vigilia delle vacanze per il Capodan-no, arriva un ordine da parte del Théatre de la Rénais-sance per un manifesto per lo spettacolo di Sarah Ber-nhardht: il manifesto deve essere pronto per il primo dell’anno. Poiché in quel periodo dell’anno trovare un autore disponibile all’istante è particolarmente difficile, De Brunoff chiede a Mucha se è in grado di svolgere un tale compito e questi accetta l’incarico. Dopo un so-pralluogo al teatro per realizzare alcuni schizzi dei co-stumi e della scena – lo spettacolo è la Gismonda di

Sardou – si incontra con De Brunoff in un caffè e sul tavolo di marmo esegue già un primo schizzo del manifesto. Il giorno dopo la versione definitiva del ma-nifesto, già colorata, viene presentata a Lemercier il quale non si dimostra soddi-sfatto ma, poiché è in partenza per le vacanze, lascia l’ultima parola ai responsa-bili del teatro ai quali viene inviato. Lo stesso giorno il teatro comunica la sua approvazione e da ordine di procedere. Dato il poco tempo Mucha decide di re-alizzare il manifesto usando due pietre litografiche e di disegnare la seconda mentre la prima è in fase di stampa: questo accorgimento lo si può notare in un certo “sbilanciamento” dell’immagine. Nonostante l’astuzia, comunque, i tempi non bastano e così la parte inferiore deve essere messa in stampa incompleta dei fregi decorativi caratteristici dello stile dell’artista e presenti, invece, nella parte superiore. Il manifesto è comunque pronto per la data fissata: De Brunoff si mo-stra visibilmente insoddisfatto del lavoro, ma ormai non vi è altra soluzione che inviarlo al teatro e prepararsi alla reazione della Bernhardt. Così Mucha viene subito convocato al Théatre de la Rénaissance e fatto accomodare nel salottino di Sarah Bernhardt: il suo manifesto è appeso alla parete e l’attrice è di fronte ad esso in contemplazione. L’incontro si conclude con un abbraccio che segna l’inizio di un periodo di sei anni durante i quali Mucha diventa l’illustratore per-sonale della Bernhardt, finché questa nel 1901 non lascia l’America per Parigi.

Questa storia, che ci viene raccontata dallo stesso artista non senza l’aggiunta di qualche ritocco romanzato, è certo un simpatico aneddoto che mostra come Mu-cha si sia ritrovato da un momento all’altro ad essere uno dei più importanti au-tori di affiche. E’ comunque molto importante, a questo punto, concentrarsi su questo primo manifesto, Gismonda, in modo da trarne le indicazioni sugli ele-menti caratterizzanti lo stile dell’artista.

Già ad una prima occhiata possiamo notare alcune influenze e, in particolare, quella Romanica e quella Bizantina dei mosaici ravennati. Oltre a queste, co-munque, risulta evidente il richiamo alla cultura medievale ed ai codici miniati di quel tempo. Mucha, infatti, rifiuta l’illustrazione del manifesto contempora-neo, così come compare nella produzione di Chéret, ed inventa un proprio stile molto più simile a quello degli illustratori inglesi come Will Morris, Walter Crane e Aubrey Beardsley. Ed è proprio in questo particolare richiamo storico che torniamo ai natali dell’artista: il medioevo è il periodo in cui trionfano le

culture nazionali e si contrappone nettamente a periodi come il Rinascimento, il Barocco e il Neoclassico che, al contrario, uniscono tutte le nazioni in un movi-mento internazionale che tende ad “allineare” le identità nazionali attorno ad un medesimo stile. Il richiamo al medioevo è dunque un richiamo alle origini: un modo per affermare l’identità della propria cultura in un periodo storico in cui l’Impero Austro-Ungarico impone ai paesi conquistati gli stili e le tradizioni au-striache ed ungheresi.

I manifesti di Mucha si arricchiscono così di fregi e decorazioni che ritroviamo anche nei manifesti di Aubrey Beardsley. Ciò che differenzia però nettamente l’artista ceco dai contemporanei inglesi è la maggiore attenzione ai particolari nella definizione della figura ed il maggior realismo, reso ancor più evidente dalla disinvoltura con cui è impiegata la tecnica del chiaro-scuro.

Altro tratto caratteristico di Mucha è la dimensione del manifesto: usando due pietre litografiche, l’affiche risulta “allungata” rispetto a quelle dei contempora-nei. Un tale formato, oltre ad adattarsi alle “guardie” dei teatri, permette di rap-presentare un solo personaggio, il protagonista, come richiamo per lo spettacolo.

La serie per Sarah Bernhardt, dopo Gismonda continua con La Dame aux Ca-mélias (1896), La Samaritaine (1897), Médée (1898), Hamlet (1899) e Tosca (1899). In questi manifesti emergono chiaramente alcune influenze come quella di Gauguin e Strindberg ed alcuni riferimenti cari all’artista come quello alla Primavera di Botticelli che troviamo ne La Samaritaine e che rincontreremo poi nel manifesto Cycles Perfecta realizzato nello stesso anno.

Ma oltre alle affiche per gli spettacoli teatrali, Alphonse Mucha realizza anche manifesti pubblicitari per diversi prodotti sempre distinguendosi nettamente dai suoi contemporanei.

Una prima serie di affiche pubblicitarie si caratterizza per il tipo di personaggio rappresentato: non è il personaggio comune, “di strada”, come quello usato da Chéret, ma una sorta di “mito” etereo , ripreso di scorcio dal basso, che osserva il consumatore con una certa aria distaccata di superiorità. Rientrano fra questi Flirt biscuits Lefévre-Utile (1895), J o b (1896),

Bénédictine (1896), La Trappistine (1897), Champagne Ruinart père et fils, Reims (1897), Job (1898), Moët e Chandon, Champagne White Star (1899) e Moët e Chandon, Dry Impérial (1899).

In altre affiche, invece, le protagoniste sembrano rivolgersi direttamente al con-sumatore con un’aria confidenziale e ammiccante: facciamo riferimento a Bières de la Meuse (1897), con evidenti richiami al Bacco di Caravaggio, ed il già ci-tato Cycles Perfecta (1897) di stampo botticelliano.

Col sopraggiungere del nuovo secolo Mucha si dedica alla realizzazione di pan-nelli decorativi da interni ed all’illustrazione dei libri facendo perdere le tracce come autore di manifesti.

Questa dunque la breve biografia di un artista unico la cui maggiore innovazione è stata la riscoperta del passato laddove altri cercavano di affermare il nuovo. Ed è forse proprio per questo che i manifesti di Mucha, rispetto a quelli di Chéret e di Lautrec, sono capaci di evocare sensazioni ed atmosfere particolarmente in-tense e coinvolgenti.

Alcuni manifesti di Mucha, tratti da A.C. Quintavalle, Manifesti – Storie da incollare, op. cit.

L’aspetto