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Solitamente gli storici dell’arte nel presentare Jules Chéret tendono a raffron-tarlo al contemporaneo Toulouse-Lautrec e, rispetto a questi, a porlo in un ruolo di secondo piano. In diversi testi, quindi, si trova rappresentato il primo come un autore qualsiasi che dal secondo ha preso ispirazione per realizzare le proprie o-pere.

A riabilitare la figura di Chéret ed il suo ruolo nei confronti della storia dell’affiche ci pensa Arturo Carlo Quintavalle nel libro Manifesti – Storie da in-collare dove, al detto autore, viene riconosciuta l’importanza che gli spetta so-prattutto per il fatto di aver introdotto la tecnica della cromolitografia.

Jules Chéret nasce nel 1836 a Parigi e all’età di tredici anni già lavora come ap-prendista litografo. A diciassette anni trova impiego presso l’editore Bonasse-Labelle come illustratore di immagini religiose. Quindi si reca a Londra dove lavora per il catalogo Maple Forniture Company. Dopo essere tornato per qual-che tempo a Parigi dove vende il manifesto Orphée aux enfers, ancora a Londra, diviene illustratore di copertine di libri per la casa editrice Cramer. La sua espe-rienza inglese si conclude con il ritorno a Parigi dove lavora per la fabbrica di profumi Eugène Rimmel prima e dunque, nel 1866, apre una propria stamperia.

Ed è proprio da questo momento che inizia a produrre quei manifesti che entre-ranno nella storia dell’affiche e che per certi aspetti segneentre-ranno un’innovazione di fondamentale importanza.

Ed è proprio un’affiche del 1866, Cerva nel bosco, il primo manifesto ad essere stampato a colori. Il colore: è questa l’innovazione più importante delle prime produzioni di Chéret, innovazione che lo porterà ad essere identificato come chi ha portato il colore nelle grigie strade parigine.

In questa prima serie di produzioni, che va dalla fine degli anni Sessanta agli i-nizi degli anni Settanta, sono identificabili diversi tratti ricorrenti che richiama-no all'accademismo: l'utilizzo dei contorni neri, tipici della stampa xilografica; la costruzione basata su di un personaggio principale di rilievo con valenza simbo-lica; la rappresentazione di scene dello spettacolo, così come avveniva per l'illu-strazione dei romanzi. Emerge già in questo periodo la versatilità dell'autore:

capace di spaziare dallo stile beffardo utilizzato per Le château à Toto (1868),

La grande duchesse de Gerolstein (1869), La princesse di Trebizonde (1869) e Le petit Faust (1869), allo stile più austero e simbolico di Les Turcs (1869).

Con i manifesti del 1874, Les Almées e Folies Bergère. Travaux de voltige, bal-let, pantomimes, opérettes, inizia la serie di affiche per gli spettacoli delle Folies Beérger, alla quale si dedicherà fino alla fine degli anni Settanta. Nelle opere che Chéret realizza fino al 1876 e che, oltre ai già citati Les Almées e Folies Bergère. Travaux de voltige, ballet, pantomimes, opérettes, comprendono La charmeuse de serpents (1875), nonchè una rivisitazione del 1876 dello stesso Folies Bergère. Travaux de voltige, ballet, pantomimes, opérettes, le influenze dominanti sono quella accademica e quella del manierismo italiano. Nei manife-sti invece degli anni '77-'78, Les Girards (1877), Miss Leona Dare (1877), La nouveau Guillaume Tell (1877), Les Hanlon-Lees (1878) Le spectre de Paganini (1878) e Dr. Carver (1878), si alternano modelli preraffaeliti oppure ispirati alla tradizione dell'illustrazione dei romanzi. Dal confronto di altri due manifesti de-gli anni '70, Tous les soir Théâtre historique. Les Muscardins (1875) e Théâtre de la gaité. Le chat botté (1878), emerge l'alternanza tra i modelli accademici e dell'illustrazione e quelli settecenteschi: proprio questa capacità di scegliere lo stile in relazione al contenuto dello spettacolo è uno dei tratti caratteristici delle produzioni di Chéret.

Nel corso degli anni Ottanta, si dedica alla realizzazione di affiche per la promo-zione di libri. La precedente tradipromo-zione in questo campo era solita presentare immagini molto diverse ma tutte, comunque, ricollegabili allo stile personale dell'autore. Chéret, al contrario, nelle sue affiche interpreta il contenuto del ro-manzo attraverso la scelta dello stile, di modo che lo stile diviene funzionale al contenuto del romanzo. Esempi evidenti di questa particolarità sono il manifesto per il libro David Copperfield (1884), quello per Oeuvre de Rabelais (1885) e la trilogia per Les Mystères de Paris (1885).Chéret non adotta uno stile proprio, ma mette la pittura al servizio del contenuto del romanzo utilizzando la scelta dello stile per comunicare al lettore quella che è l'atmosfera del libro. Così, nei mani-festi La juive du Château (1887), Les trois mousquetaires (1887), Les premières civilisation (1887) e La Terre (1889), già osservando l'immagine possiamo risa-lire allo stile narrativo del romanzo.

Questa particolarità si prolunga nelle produzioni a cavallo tra la fine degli anni

Ottanta e gli anni Novanta, dominate dalle influenze di Renoir, Degas e Toulouse-Lautrec. Da rilevare, in questo periodo, le innovazioni che Chéret apporta nel processo di stampa litografica: anzitutto la soppressione dell'abitudine a marcare in nero i contorni delle figure e l'impiego delle teorie impressioniste e divisioniste; quindi l'eliminazione della carta colorata, utilizzata per gli sfondi; in fine la stampa dei colori a partire dal rosso per arrivare quindi al giallo e al blu, dedicando l'ultimo passaggio al torchio litografico alle tinte trasparenti.

E' questo il periodo dei manifesti dai tratti impressionisti e postimpressionisti che, tornando a narrare la vita della Parigi dei teatri e dei cafés chantants, presentano una visione allegra e spensierata della vita parigina e della Belle Epoque. E' il momento di manifesti come Mouline Rouge (1890), Théâtrophone (1890), Casino de Paris, tous les soirs Kanjarowa (1891), Olympia anciennes Montagnes Russess (1892), Folies Bergère, La Loïe Fuller (1893), Folies Bergère, Fleur de Lotus (1893), Palais de Glace, Champs Elysées (1893 e 1894), Yvette Guilbert au concert parisien (1896) e Camille Stefani (1896). Da ricordare inoltre Théâtre de l'Opéra, Carnaval (1894) e la serie di Saxoléine (versioni 1891-92-94-95 e 1900). Quasi a conclusione della sua produzione il manifesto Théâtre de Fantoches (1900) che riprende e riassume personaggi ed influenze dei vari stili adottati a partire dalle affiche degli anni Settanta.

Jules Chéret muore cieco a Nizza nel 1932. Si spegne così la vita di un personaggio troppo spesso relegato tra le seconde file all'interno di una cultura del manifesto contemporaneo di cui, invece, è stato protagonista e precursore.

Alcuni manifesti di Chéret, tratti da A.C. Quintavalle, Manifesti – Storie da incollare, op. cit.