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L’aspetto normativo

1. CENNI STORICI

Prima di addentrarci nell’esame dell’attuale normativa in materia di imposta sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni, ci sembra doverosa una pano-ramica su quelli che, da dopo l’unità d’Italia nel 1861, sono stati i principali provvedimenti in materia. Lo scopo di questa digressione non è tanto una forma di pedanteria, quanto piuttosto il fatto che la legge attuale altro non è che il ri-sultato di un lungo processo di rielaborazione dei medesimi orientamenti in ma-teria, già espressi a partire dalla legge 1961/1874.

Occorre premettere che quello che è l’orientamento di fondo del sistema italiano in materia di pubblicità e pubbliche affissioni è emerso fin dal primo provvedi-mento del 1874. In Italia, diversamente che nelle altre nazioni, le manifestazioni pubblicitarie sono state sempre viste come una sorta di «lusso» e, pertanto, sono state ritenute assoggettabile ad una tassazione in favore della Pubblica Ammini-strazione. In effetti non è mai esistito all’interno del sistema codicistico italiano un diretto riconoscimento dell’attività pubblicitaria come attività di impresa e, proprio per questo, per lungo tempo non si è ritenuto che l’imprenditore pubbli-citario potesse rientrare nelle definizioni di imprenditore commerciale. Pertanto l’attività pubblicitaria, eseguita attraverso i manifesti o le insegne, veniva vista come un’attività “facoltativa” finalizzata a realizzare un sovrapprofitto rispetto alla normale attività d’impresa. In secondo luogo, poi, l’esposizione di manifesti è sempre stata considerata una forma di uso di uno spazio, quello pubblico, ap-partenente alla Pubblica Amministrazione e, di conseguenza, si è ritenuto lecito riscuotere un «gabella» a titolo di canone d’affitto dello spazio. Queste

preroga-tive, introdotte con la legge del 1874, si sono mantenute attraverso le varie epo-che e le varie legislature fino a ricomparire nella normativa attuale in materia di imposta sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni, nonché nell’imposizione di un canone o di una tassa per l’occupazione di spazi e di aree pubbliche.

Ma andiamo per ordine e iniziamo a vedere come è nato il provvedimento del 1874. L’Unità d’Italia, proclamata nel 1861, era in realtà solo il primo passo per un’effettiva unificazione del paese. Infatti all’interno del nuovo Regno perma-nevano forti differenze sia culturali sia legislative. Le uniche due strade che si presentavano alla famiglia regnante dei Savoia erano la costituzione di stati fe-derali oppure la predisposizione di un nuovo sistema di leggi capace di riequili-brare le differenze tra Nord e Sud della penisola. Da questa esigenza è scaturito il provvedimento n. 1961 del 14 giugno 1874, finalizzato al riordino della finan-za locale. E proprio all’interno di tale legge erano inserite le prime norme ri-guardanti le affissioni in «strictu sensu, vale a dire ogni sorta di avviso o indiriz-zo relativo all’esercizio di professioni, industrie o commerci che venisse esposto in uno spazio pubblico»1.

Le disposizioni contenute in detta legge in materia di affissioni riguardavano principalmente l’istituzione della facoltà, per le Amministrazioni locali, di as-soggettare a tassazione tali forme di comunicazione. La misura della «gabella»

veniva determinata in relazione al numero delle lettere o dei simboli costituenti il messaggio, come chiara espressione dell’idea che il manufatto andasse ad oc-cupare uno spazio pubblico e che, quindi, andava tassato in relazione alle di-mensioni dell’area occupata.

Particolarmente interessante era poi la disposizione che raddoppiava la misura della tassa per gli affissi in lingua straniera; una scelta, questa, che nasceva dalle passioni nazionaliste dell’epoca ma che, anche se con motivazioni diverse, si è conservata fino a tempi molto recenti.

Il passo successivo si è compiuto con la legge 29 marzo 1903, n. 103, intitolata

«L’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni», e con il regola-mento di attuazione di quest’ultima contenuto nel R.D. 10 marzo 1904, n. 108. E tra i servizi delegati alle Amministrazioni locali c’era anche quello delle

1 AA.VV., La pubblicità esterna, Lupetti Editori, Milano 1995.

che affissioni in senso generale. La normativa, in particolare, disponeva in favo-re dei Comuni la totale assunzione della gestione del servizio, con diritto di pri-vativa, attraverso la costituzione di un’azienda speciale. Uniche eccezioni erano rappresentate dai manifesti elettorali e dalle comunicazioni istituzionali. Si rea-lizzava così una situazione di monopolio perfetto in favore della pubblica Am-ministrazione, la quale, discrezionalmente, poteva optare per la forma di gestio-ne in concessiogestio-ne attraverso la delega del servizio ad un’impresa privata.

I successivi provvedimenti legislativi risalgono agli anni Venti e rientrano nelle disposizioni messe in atto dalla propaganda fascista. Come vedremo, comunque, il sistema rimarrà fondamentalmente quello delineatosi alla fine del XIX secolo, come del resto è facile intuire visto come la stessa normativa attuale ricalca i medesimi precetti. Il tratto identificativo dell’attività legislativa del periodo fa-scista è rappresentato dalla tendenza a realizzare un marcato accentramento dei poteri in capo al governo centrale: tendenza che ha un’origine fisiologica nella natura stessa del regime dittatoriale. Le due leggi emanate in materia di pubbli-che affissioni nel 1874 e nel 1903 erano però di per sé già fortemente accentra-trici e, pertanto, da parte del regime non vi fu altra necessità che riaffermarle ap-portando solo leggeri adeguamenti.

Il provvedimento n. 352/1923 riguardava esclusivamente le insegne anche se, torniamo a precisare, fino al R.D. 1399/1928 alle affissioni venivano spesso ap-plicate per estensione le norme emanate proprio in materia di insegne. Le novità introdotte da tale provvedimento riguardavano soprattutto la distinzione dei co-muni in diverse classi di importanza in base al numero degli abitanti, nonché l’assunzione di tali classi a indicazione della misura della tassa da pagare.

L’assunto di base era quello secondo cui le città più popolate erano anche quelle in cui la comunicazione “pubblicitaria” (ricordiamo che però ancora il legislato-re non riconosceva la pubblicità come attività d’implegislato-resa) consentiva maggiori ritorni in termini di profitto; ciò giustificava quindi una maggiore imposta. Era poi disposto anche affinché le località riconosciute come turistiche e di soggior-no venissero automaticamente inserite nella prima classe d’imposizione, consi-derato il maggior ritorno legato, per l’appunto, ai flussi turistici.

Per il resto la gabella continuava ad essere commisurata al numero ed alle di-mensioni dei caratteri impiegati, che restavano così una valida approssimazione dello spazio occupato.

Concludeva poi il provvedimento la previsione di una tassa quadrupla rispetto al normale per le insegne in lingua straniera. La giustificazione però, questa volta, non risiedeva più nei sentimenti nazionalistici, quanto piuttosto in una esigenza di limitare eventuali messaggi sovversivi scritti in modo che non fossero com-prensibili ai più.

Il successivo R.D. 3047/1923, intitolato «Riforma della legge n. 1023/1903» era poi una mera trascrizione della normativa emanata in età liberale e pertanto no-nostante le promesse innovative del titolo, ripeteva pari pari quanto già disposto nella legge oggetto di revisione.

La maggiore imposizione, che si è detto gravante sulle affissioni in località turi-stiche, era stata poi successivamente ripresa e rivista dal R.D.L. 765/1926, il quale si faceva carico di individuare le località riconosciute come luogo «di cu-ra, di soggiorno o di turismo», richiamando per queste la maggiore tassazione di cui si è già parlato.

Particolarmente interessante è invece il R.D. 14 giugno 1928, n. 1399. Con esso veniva infatti introdotta la distinzione tra affissione ed occupazione di suolo pubblico, nonché la diversificazione della natura dell’imposta con riferimento alle due fattispecie. Veniva così riconosciuta, anche se non formalmente, la dif-ferenza tra la pubblicità e le altre forme di comunicazione dell’impresa. La nor-mativa introduceva infatti a tal proposito la distinzione tra le affissioni e le inse-gne, facendo rientrare nelle prime qualsiasi forma affissa di comunicazione di impresa non situata nei pressi dei locali di esercizio della stessa.

Ma oltre a ciò, il provvedimento in esame provvedeva anche ad un ulteriore ac-centramento della gestione delle affissioni. Dando infatti una definizione dello strumento, si affermava che poteva essere considerato “affissione”«ogni sorta di ostentazione tale da essere permanente o totalmente visibile dalle strade o piazze pubbliche». Si nota allora come tale disposizione limitasse drasticamente l’autonomia dei privati, assoggettando di fatto al regime predisposto per le affis-sioni ogni forma di comunicazione resa pubblica a causa della visibilità dalle zone urbane. Sempre in materia di accentramento, poi, veniva disposta la

neces-sità dell’autorizzazione della Polizia di Stato per ogni affissione a carattere commerciale, nonché il potere insindacabile in capo al Comune di definire i luo-ghi in cui era autorizzata l’affissione.

Nel 1931, poi, la materia veniva totalmente ripresa e riorganizzata con il R.D. n.

1175, intitolato «Testo Unico per la finanza locale». Il provvedimento, come si è detto, ricalcava fedelmente il sistema delineato dai decreti precedenti, apportan-do la sola innovazione in materia di gestione del servizio in concessione. La fat-tispecie veniva infatti meglio regolamentata nei sui aspetti operativi e, in parti-colare, si disponeva il rilascio della concessione in appalto ad aggio o a canone fisso.

Lo stesso Testo Unico si preoccupava poi di rendere appaltabile anche la gestio-ne del servizio di riscossiogestio-ne della Tosap, operando gestio-nel contempo una sensibile estensione dei confini di quanto poteva essere considerato spazio pubblico.

Gli ultimi provvedimenti del ventennio fascista che meritano considerazione so-no la legge 608/1933 e il R.D. 1149/1935, entrambi dedicati alle affissioni poste sotto l’autorità delle Ferrovie dello Stato. Nella prima veniva affermata la pote-stà delle FF.SS. per tutte le affissioni visibili dai tracciati ferroviari, nonché la possibilità di rimozione ad opera della Milizia Ferroviaria per gli impianti non autorizzati. Contemporaneamente i due provvedimenti istituivano in capo all’ente pubblico una totale discrezionalità per quanto riguardava le autorizza-zioni da rilasciare agli imprenditori per l’installazione degli impianti, riconfer-mando ancora una volta la tendenza accentratrice del regime.

Conclusasi poi l’esperienza fascista, la materia fu rivista già dal governo provvi-sorio in attesa della proclamazione della Repubblica. Come avremo modo di ve-dere, però, in questo periodo si è voluto ancora una volta conservare il sistema già delineato, con la sola epurazione dei tratti più marcatamente riconducibili al decaduto regime dittatoriale.

Le prime disposizioni sono state inserite nel Decreto legislativo luogotenenziale dell’ 8 marzo 1945, emanato per regolamentare la finanza locale. Gli articoli in materia di affissioni e pubblicità esterna erano i numeri 34 e 35, i quali richia-mavano esplicitamente il T.U. 1175/1931. Le sole modifiche apportate alla pre-vigente normativa riguardavano il raddoppio della tassa sulle insegne e l’eliminazione degli aggravi previsti per i messaggi in lingua straniera. In

parti-colare, la prima delle due risoluzioni, era dettata dalla esigenza di maggiori en-trate per finanziare la ricostruzione, piuttosto che da motivi direttamente legati ad una migliore gestione del mezzo di comunicazione.

Il successivo Decreto del capo provvisorio dello stato del 15 settembre 1946, di-sciplinava invece l’affissione sugli edifici appartenenti al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni istituendone l’uso esclusivo in favore dello Stato. Lo stesso decreto ribadiva poi esplicitamente il ricorso all’istituto della concessione per la gestione della pubblicità, nonché la riduzione delle sanzioni applicabili ai fenomeni di abusivismo alla sola ammenda.

Nel 1947 furono poi emanati due decreti che, per alcune delle risoluzioni in esse previste, risulteranno fondamentali all’odierna disciplina. Il primo dei due, inti-tolato «La tassazione della pubblicità lungo o in vista delle strade e delle auto-strade», conteneva tre provvedimenti che meritano particolare interesse. Il primo che ci fermiamo a considerare, riaffermando il principio della proporzionalità tra l’importo della tassa (o del diritto) da pagare e lo spazio occupato, introduceva una distinzione tra le diverse aree urbane in funzione della diversa importanza in termini di “potenzialità comunicativa”. In seguito a tale norma, quindi, l’importo della gabella veniva a dipendere da tre fattori: le dimensioni dell’annuncio, la classe di appartenenza del comune e l’importanza della strada.

Similmente veniva poi imposta una maggiore tassazione a tutti i messaggi espo-sti nelle vicinanze dei capoluoghi di provincia, riconoscendo con ciò la forte ca-pacità di polarizzazione dei centri di maggiori dimensioni.

La terza e ultima disposizione riguardava poi l’introduzione di agevolazioni e sconti in favore di chi si impegnava a porre in essere elevate quantità di metrag-gi pubblicitari entro un periodo di sei mesi. A ben vedere era la prima volta che il legislatore italiano si preoccupava dello sviluppo del settore attraverso una legge che incentivava i privati a realizzare importanti volumi di pubblicità affis-sa.

Ma un vero passo avanti in materia veniva fatto con il Decreto del capo provvi-sorio dello stato n. 1417, dell’8 novembre 1947. Con detto provvedimento, inti-tolato «Disciplina delle pubbliche affissioni e della pubblicità affine», per la prima volta nella storia si è provveduto a realizzare una normativa organica in materia di pubblicità esterna. Il decreto si componeva di tre parti: una generale,

una dedicata alle affissioni, e l’ultima, infine, dedicata alle forme pubblicitarie diverse dall’affissione. In realtà l’importanza del provvedimento non era tanto data dall’affermazione di concetti e di principi innovativi rispetto alla normativa precedente, quanto piuttosto dalla riorganizzazione e dalla razionalizzazione del sistema che emergeva dalle disposizioni in esso contenute.

La parte generale si apriva con una distinzione tra pubbliche affissioni e altre forme di pubblicità, la stessa già introdotta durante il ventennio fascista, al fine di individuare due distinte fattispecie impositive e due diverse forme di tributo.

Proseguiva poi con l’attribuzione in capo ai Comuni della completa libertà nella fissazione delle tariffe. Tale disposizione, però, si rivelò ben presto fonte di forti squilibri all’interno del paese, tanto che, dodici anni più tardi, la Corte Costitu-zionale ne ha disposto l’abrogazione per incostituzionalità.

Altre innovazioni introdotte in questa parte erano il pagamento anticipato dell’imposta o del diritto e l’istituzione di una licenza per l’esposizione dei mes-saggi pubblicitari.

Si entrava quindi nella parte specificamente dedicata alle affissioni dove, anzi-tutto, venivano affidati ampi poteri ai Comuni per la determinazione degli spazi destinati alle affissioni. Il principio generale che veniva affermato era quello della contrattazione tra l’Amministrazione territoriale ed i privati proprietari delle aree destinate ad accogliere gli impianti, ma poi, in caso di disaccordo, si ammetteva l’intervento insindacabile, se non per motivi di diritto, dell’autorità prefettizia.

Il provvedimento si concentrava poi sul mezzo in senso stretto definendo un’unità di misura di base per il calcolo dell’imposta o del diritto dovuti. Come riferimento veniva assunto un «foglio» di misura 100x70 cm.; per cui, ogni af-fissione, doveva essere misurata in numero di “fogli”, e non più in base al nume-ro o alla dimensione dei caratteri inseriti. Sempre in termini di tariffe era poi prevista tutta una serie di maggiorazioni riferite all’uso dello strumento, alla po-sizione dell’espopo-sizione, nonché ad eventuali servizi accessori come l’affissione notturna o durante i giorni festivi.

Per la prima volta, poi, il Decreto 1417/1947 riconosceva dei diritti in favore del contraente: la sostituzione gratuita dei manifesti danneggiati durante l’affissione, nonché la conservazione dello spazio a disposizione del contraente qualora non

fossero disponibili altri manufatti con cui sostituirli. Con riferimento a quest’ultima disposizione, però, occorre ricordare che il medesimo articolo defi-niva come nuova e distinta affissione ogni aggiunta o modifica apportata al mes-saggio precedentemente esposto e, pertanto, al contraente era concessa la sola facoltà di provvedere alla riproduzione degli affissi danneggiati.

La legge si concludeva poi all’articolo 18 con l’istituzione di un canone d’affitto aggiuntivo, rispetto alla tassa, per le esposizioni riguardanti aree o immobili di proprietà dell’ente pubblico territoriale.

Di poco interesse sono invece le leggi successive emanate tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, pertanto ci limitiamo qui a ricordarli brevemente, nonché ad evidenziare giusto quelle che sono state le disposizioni più interessanti da essi introdotte. A partire dal 1954 si sono quindi avuti i seguenti provvedimenti:

D.P.R. del 24 giugno 1954, n. 342, «Nuove norme per l’imposta sulla pub-blicità»;

legge 4 aprile 1956, n. 212, «Norme per la disciplina della propaganda eletto-rale»;

legge 18 marzo 1959, n.132, «Norme per la pubblicità sui fabbricati, manu-fatti, impianti e materiale rotabile di pertinenza delle Ferrovie dello stato»;

D.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, «Codice della Strada»

legge 5 luglio 1961, n. 641, «Disposizioni sulle pubbliche affissioni e sulla pubblicità affine»;

legge 18 aprile 1962, n. 208, «Modifiche alla tassa per l’occupazione di spazi e aree pubbliche».

Come abbiamo detto, queste disposizioni si sono in genere limitate a riprendere quanto già espresso dalle leggi precedenti senza apportare rilevanti innovazioni alla disciplina del settore. Di questi provvedimenti occorre però mettere in evi-denza l’introduzione dell’esenzione dal pagamento dell’imposta per le affissioni a carattere elettorale, sancita dalla legge 212/1956, nonché il disposto del Codice della Strada che vietava ogni tipo di affissione che per forma o colore potessero creare confusione con la segnaletica stradale.

Si arriva così alle disposizioni di legge più recenti, e di conseguenza interrom-piamo excursus storico visto che i provvedimenti dell’ultimo trentennio, a

co-minciare dal D.P.R. 639/1972, verranno più che ampiamente ripresi e commen-tati nel prossimo capitolo dedicato all’analisi dell’attuale normativa nazionale.