L’aspetto normativo
ARTICOLO 63 – CANONE PER L’OCCUPAZIONE DI SPAZI ED AREE PUBBLICHE
2.1. COMMENTO ALLA NORMATIVA NAZIONALE E CON- CON-FRONTO INTRNAZIONALE
Come abbiamo avuto modo di vedere, la normativa in materia di pubblicità e pubbliche affissioni pur essendo di recente emanazione ha radici e contenuti che si sono mantenuti attraverso i decenni a partire dall’Unità d’Italia. È certamente indiscutibile che in più di un secolo molte cose sono cambiate sia a livello so-ciale che a livello di comunicazione d’impresa, eppure la legislazione italiana è riuscita a mantenere pressoché invariati i suoi principi originali divenendo, agli occhi degli addetti ai lavori, una sorta di dinosauro che impedisce il regolare sviluppo del settore. Tra i partner europei spetta infatti all’Italia la maglia nera in materia di pubblicità esterna e affissioni, con un livello di “arretratezza” imba-razzante rispetto a paesi come la Francia e l’Inghilterra.
Il fatto è che in Italia domina da sempre un principio “contorto” per cui non spetta tanto alla legge adeguarsi all’evoluzione della società, quanto piuttosto ai nuovi fenomeni emergenti trovare la propria posizione all’interno dell’ordinamento preesistente. Quale sia il motivo di una tale cultura giuridica e giurisprudenziale non è di alcuna importanza ai fini del nostro lavoro, resta co-munque il fatto che l’attuale situazione del mercato dell’affissione è diretta con-seguenza di principi nati in età liberale e durante il periodo fascista, riusciti a sopravvivere fino ad oggi.
Tra questi principi “anacronistici”, merita una particolare attenzione proprio quello che rappresenta uno dei pilastri della normativa italiana, ovvero l’imposizione di una gabella gravante sulla pubblicità e sulle pubbliche
affissio-ni. Come abbiamo avuto modo di vedere questa “usanza” è stata introdotta fin dal primo provvedimento emanato in materia di pubblicità esterna, la legge 1961/1874, e si è poi mantenuta fino ad oggi attraverso tutti i provvedimenti normativi che si sono succeduti in materia. Esaminando il D.L.vo 507/1993 ab-biamo avuto modo di commentare come alle volte tale pretesa abbia dato origine a disposizioni incostituzionali, come gli artt. 16 e 20 che richiedevano l’applicazione dell’imposta (seppur ridotta) anche sulle comunicazione di tipo
“ideologico”. Di fatto, comunque, la pretesa di una tassa da parte dell’Amministrazione Pubblica per l’esercizio dell’attività pubblicitaria testimo-nia una grave lacuna del nostro sistema giuridico, il quale ancora oggi sembra ri-fiutare di assimilare la pubblicità alle altre attività d’impresa. Probabilmente, col tempo, l’understatement iniziale ha lasciato spazio a considerazioni più pro-priamente di finanza pubblica, tanto che l’imposta in esame è divenuta una fonte reddituale stabile delle amministrazioni locali: è comunque evidente che tale prassi penalizza fortemente il settore e pone rilevanti limiti all’attività pubblici-taria delle imprese. Così, come alla fine del XIX secolo la pubblicità esterna ve-niva considerata un lusso, e per tanto meritava di essere tassata, oggi è la tassa stessa a rendere la pubblicità un lusso per chi può permettersi di investire nel mezzo. Non bisogna quindi stupirsi se in Italia a fare affissioni sono quasi esclu-sivamente le case automobilistiche, il settore della telefonia, le catene di super-mercati e, in generale, aziende con mercato nazionale o internazionale che pos-sono contare su elevati ritorni in termine di profitto.
Un altro difetto dell’attuale legge è rappresentato poi dalla complessità dell’iter burocratico, il quale di fatto rappresenta un serio ostacolo ad un uso flessibile del mezzo. Mentre infatti in Europa si evidenzia una decisa tendenza alla ridu-zione dei tempi delle campagne di affissione, che a tutt’oggi durano tra l’una e le due settimane, in Italia tale pratica risulterebbe poco conveniente e, soprat-tutto, difficilmente attuabile. Paradossalmente si verificherebbe infatti una situa-zione per cui i tempi burocratici verrebbero ad essere superiori a quelli pubbli-citari e, quindi, si creerebbero pericolose disfunzioni nel sistema. I vari tempi e iter organizzativi li abbiamo già visti nel capitolo precedente e quindi non torne-remo a ripeterli, emerge comunque una rilevante penalizzazione di chi opera del breve e, per contro, un incentivo a lasciare i manifesti sugli impianti finché non
si staccano da soli. Questo problema è poi sentito particolarmente dal settore delle maxiaffissioni le quali, proprio per le lungaggini burocratiche, spesso non possono approfittare delle occasioni offerte da bervi ristrutturazioni della durata di poche settimane e sono costrette a concentrarsi sugli interventi edilizi di lunga durata.
E proprio l’eccessiva burocratizzazione delle procedure operative è anche all’origine di un altro fenomeno patologico del sistema, ovvero la polverizzazio-ne dell’offerta rappresentata dalle concessionarie. Sull’argomento torpolverizzazio-neremo con maggiore dettaglio in uno dei prossimi capitoli; ci sembra comunque importante evidenziare all’interno del nostro discorso anche questo problema che, di fatto, si pone ad ostacolo ad una integrazione del nostro mercato delle affissioni con gli altri mercati europei.
L’ultima pecca che vogliamo rilevare nell’attuale normativa è rappresentata dalla scarsa incisività in termini di lotta all’abusivismo. Come si è già detto a commento dei relativi articoli, gli strumenti posti in essere dalla normativa na-zionale per contrastare le installazioni e le affissioni abusive appaiono alquanto deboli e inefficaci. In un contesto in cui il turnover delle campagne si fa sempre più serrato, disposizioni come quella che intimano la rimozione dopo centocin-quanta giorni dalla notifica dell’infrazione appaiono fortemente anacronistiche e, soprattutto, a vantaggio di chi infrange la legge. Data l’importanza che il fe-nomeno riveste, soprattutto nelle metropoli, ad esso è dedicato un apposito ap-profondimento, pertanto in questa sede ci limitiamo ad auspicare per il futuro l’approntamento di strumenti a tutela della collettività più seri ed efficaci di quelli attualmente presenti.
A ben vedere, quindi, l’attuale normativa in materia di pubblicità esterna appare essere estremamente inefficiente per un paese che vuole essere protagonista in Europa. I principali partner europei, di fatti, pur non avendo leggi “miracolose”, sono stati capaci di regolare la materia con intelligenza senza creare inutili osta-coli al regolare sviluppo del settore e, nel contempo, cercando di tutelare l’arredo urbano. In questa sede guarderemo alle tre più importanti realtà europe-e: Germania12, Francia13 e Inghilterra14. Naturalmente il nostro sarà un confronto
12 “Regolamenti edilizi” del maggio e de settembre 1990;
13 Legge 29 dicembre 1979, n. 79-1150, e legge 18 luglio 1985, n. 85-729;
molto di superficie delle leggi considerate nel loro complesso, e non una compa-razione articolo per articolo; anche il poco che diremo, comunque, basterà a fare emergere le singolarità del sistema italiano.
Iniziamo anzitutto con il vedere quali sono i tratti comuni delle leggi dei tre pae-si citati, che costituiscono, nel contempo, anche alcune delle differenze tra questi sistemi e quello italiano.
Occorre anzitutto rilevare che negli altri paesi la pubblicità esterna non è sog-getta ad alcuna imposta pubblica, intesa come peso gravante sull’attività di co-municazione dell’impresa. Nel sistema francese, in particolare, la pubblicità vie-ne addirittura riconosciuta come manifestaziovie-ne del libero diritto di espressiovie-ne e, pertanto, ne viene esplicitamente affermato il valore sociale.
Un altro aspetto che poi appare evidente nelle leggi degli altri paesi, e che inve-ce viene trascurato in Italia, è la «manutenzione» degli impianti pubblicitari. In particolare, la normativa francese e quella inglese prevedono la rimozione im-mediata per gli impianti trovati in condizioni di trascuratezza. Vediamo bene che, un tale concetto, è del tutto estraneo al nostro paese dove gli impianti pub-blicitari si coprono di ruggine o divengono un disordinato collage di immagini affisse l’una sull’altra. In Italia, per il momento, una maggiore consapevolezza dell’importanza dell’estetica del supporto si è realizzata solo nei centri storici di alcune città e, comunque, non appare ancora un fenomeno diffuso. Siamo quindi lontani dai citati sistemi che, al contrario, hanno riconosciuto esplicitamente il valore urbanistico dei cartelli, degli stendardi, delle fioriere e degli altri supporti pubblicitari.
Ancora presente poi nelle tre leggi citate è il concetto di tutela dell’ambiente ur-bano e paesaggistico. Si va così dall’astratto divieto di affollamento degli im-pianti del sistema tedesco, che prende a riferimento la «sensibilità dell’uomo medio», alle limitazioni introdotte nel sistema francese e in quello inglese che indicano puntigliosamente le zone in cui è possibile e quelle in cui non è possi-bile esporre messaggi pubblicitari, con una particolare attenzione alla tutela non solo delle aree d’importanza paesaggistica, storica o artistica, ma in generale di
14 Regolamento, 666/1992;
tutte le zone al di fuori dei centri abitati dove, salve eccezioni, si suole imporre un divieto di affissione.
Queste, naturalmente, non sono che alcune delle maggiori differenze che vengo-no evidenziate dal confronto delle vengo-nostre leggi con quelle vigenti negli altri paesi europei. È importante sottolineare il fatto che, proprio i mille impedimenti rap-presentati dall’ordinamento giuridico, hanno reso l’Italia un’isola vergine ad alto grado di potenzialità, sempre più golosa agli occhi dei gruppi stranieri. È quindi prevedibile per il futuro una più marcata pressione da parte dell’Unione Europea per un adeguamento del sistema ai più flessibili, ma allo stesso tempo più severi, ordinamenti europei in materia di pubblicità esterna. Se ciò dovesse verificarsi, naturalmente, sarà interessante vedere se i Comuni saranno capaci di rinunciare al loro tornaconto o se permarrà la “stranezza” tutta italiana dell’imposta sulla comunicazione pubblicitaria e, soprattutto, se il settore riuscirà a decollare o se manterrà un gap strutturale rispetto alle altre forme pubblicitarie.
L’ABUSIVISMO
Dall’edilizia alla pubblicità, l’abusivismo sembra essere un fenomeno caratteri z-zante della realtà italiana. Non sta certo a noi e al nostro discorso andare alla r icer-ca delle motivazioni che spingono gli italiani a riconoscere in tutto ciò che è abusivo un’affermazione di “scaltrezza” piuttosto che una forma di delinquenza, ma il fen o-meno è certamente preoccupa nte e, forse, meriterebbe una maggiore attenzione ed una maggiore riflessione da parte delle autorità sia politiche che morali del n o-stro paese.
All’interno dell’ampio scenario dell’abusivismo, la nostra attenzione si concentra ovviamente su quanto riguarda la pubblicità esterna e le affissioni: un fenomeno che, come avremo modo di constatare alla fine di questo appr ofondimento, è tutt’altro che irrilevante. Si tratta infatti di una situazione patologica che penalizza l’intero settore scatenando tutta una serie di forze contrarie: le associazioni a m-bientaliste, le istituzioni pubbliche, fino ad arrivare agli stessi consumatori che v e-dono violentata la dimensione estetica della propria città.
Prima però di procedere alla ricerca delle cause di una tale “piaga” economica e sociale, è forse opportuno operare un inquadramento generale che consenta una miglior comprensione del fenom eno.
Secondo il disposto del D.L.vo 507/1993 devono essere considerati «pubblicità a-busiva» sia i messaggi che gli impianti esposti in assenza della necessaria autori z-zazione rilasciata dal competente ufficio comunale. Così negli ambienti pubbl icitari si preferisce sostituire il termine «abusivo» con un più ambiguo «privo di autorizz a-zione», nel tentativo di sottolineare che la fattispecie corrisponde ad una mancanza burocratica e non già, c ome invece è, ad un comportamento illegale e incivile.
Possiamo comunque individuare due forme diverse di abusivismo, ovvero:
• dell’impianto;
• del messaggio affisso.
E, all’interno di quest’ultimo poi, possiamo procedere ad un’ulteriore disti nzione tra l’abusivismo di natura commerciale e quello di natura elettorale.
Ed è proprio da questa seconda classificazione che nasce l’esigenza di seguire due dive rsi percorsi di analisi rispetto all’abusivismo pubblicitario. Sarebbe infatti scorretto accostare l’abusivismo elettorale a quello commerciale, visto che le due fattispecie presentano sia modalità che tempi di ricorrenza differenti.
Torniamo però per un attimo alla prima distinzione e precisiamo che, mentre le cause che portano all’installazione di impianti non autorizzati possono essere ra v-visate in una sorta di “opportunismo” da parte di alcune concessionarie, che oper a-no nel solo scopo di massimizzare i propri profitti anche al di fuori dei confini di le g-ge, l’affissione abusiva di m anifesti è un fenomeno più complesso che può avere diverse cause e diversi responsabili, stante comu nque il tentativo di realizzare la massima quantità di metraggio pubblicitario pagando il meno poss ibile in termini di imposta e di affitto degli spazi.
Per quanto invece riguarda più nello specifico gli impianti pubblicitari abusivi, citi a-mo le cifre presentate durante la puntata del 25 ottobre 2001 dalla tr asmissione Report di Rai Tre. In detta puntata il Dott. Peres, direttore generale del Touring Club, rilasciava la seguente dichiarazione: «In Italia ci sono circa 70 milioni di cartelli pubblicitari e di questi oltre la metà sono abusivi. Stiamo parlando di 40 mi-lioni di cartelli spesso di dimensioni mo lto grandi sei metri per dieci, tre metri per sei, grandi, grandi operazioni, più della m età, 40 milioni, sono abusivi. Pensate che su 7.000 persone che muoiono in Italia per inc identi stradali ogni anno circa il 13%
o 14%, quindi 1.000 persone, muoiono perché sono state distratte durante la guida da un cartello pubblicitario»1. Ma il fenomeno non è solo numerico, ma anche ec o-nomico: basti pensare che se ogni impianto irregolare venisse regolarmente mu l-tato per l’importo di legge di Lit. 635.000 (€ 327,95) nelle casse dello Sl-tato e dei Comuni arriverebbero oltre 25.000 miliardi di lire (€ 12.911.422.477,24), p ari all’importo di una consistente manovra finanzi aria.
Nella sola Roma, secondo il presidente del comitato “Scopriroma”, sarebbero pr e-senti 100.000 impianti abusivi, per una superficie espositiva complessiva pari a ci r-ca 70 r-campi di r-calcio.
Ma la situazione di viene addirittura paradossale se andiamo a considerare il ve r-sante de lla lotta all’abusivismo. Sempre nella citata trasmissione, Franco Segala, comandante della Stradale di Bologna, confrontando costi e profitti delle install a-zioni abusive nel caso in cui ne fosse richiesta la rimozione, evidenziava che contro una spesa di circa 5 milioni (comprensivi della multa, Lit. 635.029, delle spese di rimozione, tra i 3 milioni e i 3 m ilioni e mezzo e del compenso per il proprietario del fondo, tra il milione e mezzo e i due milioni) i ricavi corrispondono a circa 25 milio-ni, con un conseguente margine di profitto particola rmente incentivante.
Preoccupante è anche poi il fatto che da parte delle concessionarie che fanno pu b-blicità abusiva vengono messe in atto vere e proprie azioni intimidatorie nei co n-fronti dei pubblici ufficiali incaricati della rilevazione delle infrazioni. Accade i nfatti, a quanto ci è stato detto, che, per ogni impianto notificato, le concessionarie intentino una causa distinta non già nei confronti dell’Amministrazione Comunale, ma bensì
nei confronti della persona dell’ufficiale notificante il quale, di cons eguenza, si vede costretto a sosten ere pesanti spese legali per la propria difesa.
E comunque, anche quando si procede alla rimozione dell’impianto irregol are, nel 30% dei casi questo viene reinstallato nei dieci giorni successivi poco distante.
Esistono poi dei “cavilli” che spesso consentono di mantenere l’installazione abus i-va nonostante l’ordine di rimozione: se infatti l’impianto è stato installato senza l’autorizzazione comunale, ma paga regolarmente l’imposta sulla pubblicità, è all o-ra possibile per il proprietario ricorrere al Tar per chiedere l’annullamento del pro v-vedimento di rimozione; considerati poi quelli che sono i tempi del Tribunale amm i-nistrativo (solitamente trascorrono almeno 4 anni prima della sentenza), si co m-prende facilmente come vi sia modo per l’abusivo di trarre il massimo vantaggio anche qualora il giudizio si rivelasse essergli sfavorevole.
Qualcosa però sembra essersi mosso visto che, nel corso dell’anno 2.000, la Pol i-zia Municipale di Roma ha notificato 27 mila multe, sui 100.000 che sono gli i m-pianti abusivi, contro le 8.287 dell’anno 1999. Si tratta comunque ancora di una goccia nel mare e si richiede un maggiore impegno da parte sia delle autorità terr i-toriali sia da parte del legislatore affinché vengano approntati strumenti più eff icaci per la lotta all’abusivismo e, soprattutto, procedure più rapide e meno passaggi b u-rocratici. Su quest’ultimo aspetto è importante r ilevare che nel corso dell’anno 2000, proprio per la mancanza di ordinanze da parte del competente ufficio, a R o-ma l’azienda vincitrice della gara d’appalto per la rim ozione dei cartelli ha lavorato solo 37 giorni rimuovendo tra i 160 e i 170 cartelli irregolari, ed ora chiede al C o-mune il risarcimento dei danni.
In realtà contrastare un fenomeno capillare come l’abusivismo in un settore stre t-tamente legato al territorio come lo è appunto quello affissionistico, è cosa tutt’altro che semplice: mancano infatti sia gli strumenti, sia le risorse, per consentire un c o-stante monitoraggio e la pronta individuazione degli impianti non autorizzati; ma soprattutto manca la volontà di intervenire per contrastare un fenomeno che, entro certi limiti di tolleranza, si rivela essere “vantaggioso” per diversi operatori, ed in particolare per alcuni funzionari conniventi. Visto poi l’attuale sistema normativo non è possibile nemmeno addivenire ad una soluzione “privata” attraverso la cre a-zione di stru tture garanti da parte delle concessionarie e degli altri protagonisti del settore: un t ale organismo infatti, al momento non potrebbe avere altro potere che quello di denunciare gli abusi alle autorità competenti, e dunque nella realtà dei fatti nulla ca mbierebbe sul fronte della lotta all’abusivismo.
Prima di passare ad esaminare la fattispecie elettorale ci sembra interessante ra c-contare un aneddoto, verificatosi alla fine degli anni Ottanta nel Comune di M ilano, che ci è stato riferito. Poiché l’amministrazione, al fine di semplificare l’iter proced u-rale, aveva i ntrodotto l’istituto del «silenzio-assenzo» passati 45 giorni dall’installazione del nuovo impianto, si verificò che alla fine dell’estate, al primo di agosto, furono i nstallati circa quattrocento nuovi impianti palesemente irregolari. A causa della co ncomitanza tra le ferie estive con le solite trafile burocratiche però, come ci si aspe ttava, il Comune non riuscì ad emanare in tempo i provvedimenti di rimozione, sicché gli impianti divennero a tutti gli effetti regol ari.
Come abbiamo già avuto modo di dire, l’abusivismo elettorale si presenta per molti aspetti diverso da quello commerciale. Si tratta infatti di una forma di abus ivismo non permanente ma, bensì, ricorrente in concomitanza con le consultazioni elett o-rali. Secondo quanto dispone la legge, è compito del Comune disporre gli spazi ut