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Altre alienazioni soggette a autorizzazione »

L’articolo 56, anch’esso riveduto e corretto nel 2008, chiude il gruppo di norme inerenti all’alienabilità controllata e indica, a carattere residuale, tutte le altre tipologie di beni culturali pubblici che esulano dalle categorie menzionate negli articoli precedenti. La ratio legislativa sottesa alla norma

è quella di dettare una disciplina a tutela di qui beni culturali che sono fuoriusciti dal demanio, ma che, tuttavia, posseggano caratteristiche intrinseche tali da ritenere non auspicabile la libera circolazione sul mercato.

Si è reso necessario — non solo per ragioni, pur valide, di coerenza dell’intero impianto legislativo — rafforzare il regime di alienabilità controllata su cui si impernia il codice Urbani, estendendolo, oltre che ai beni demaniali e ai beni appartenenti allo Stato e ad altri enti pubblici territoriali, anche a tutti quei beni che, anche se appartenenti a privati o a enti ecclesiastici, rivestano carattere culturale274.

272Ivi, pag. 374. 273Ibidem.

274 A. Mansi, Vendita di immobile di un ente ecclesiastico senza autorizzazione, in Rivista

L’ambito di applicazione della norma concerne:

a) i beni culturali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, e diversi da quelli indicati negli articoli 54, commi 1 e 2, e 55, comma 1;

b) beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli indicati alla lettera a) o a persone giuridiche private senza fine di lucro, ad eccezione delle cose e dei beni indicati all'articolo 54, comma 2, lettere a) e c)275.

L’autorizzazione è richiesta, inoltre:

a) nel caso di vendita, anche parziale, da parte di soggetti di cui al comma 1, lettera b), di collezioni o serie di oggetti e di raccolte librarie;

b) nel caso di vendita, da parte di persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, di archivi o di singoli documenti.

Il legislatore sembra individuare un duplice criterio di operatività della norma, che consente all’interprete di comprendere quali siano esattamente le categorie di beni ricompresi dalla norma276.

Il primo criterio si concentra sulla tipologia del bene e ha riguardo all’appartenenza del medesimo a una serie di soggetti indicati dal legislatore, operando ad excludendum. Sono, quindi, ricompresi nella

disciplina di cui all’art. 56 quei beni che non siano già stati menzionati dal legislatore e che presentino caratteristiche strutturali o di appartenenza tali da richiedere un regime di circolazione controllata277.

275 Non deve destare sorpresa l’utilizzo del termine cose in luogo di beni. Invero, la

scelta lessicale operata dal legislatore denota come, nel formulare l’articolo esaminato, egli abbia tenuto conto delle due distinte fasi della verifica dell’interesse culturale e della successiva alienazione, pur accordando una protezione rafforzata a oggetti che, in quanto di proprietà privata, non dovrebbero subire ingerenze pubbliche, ammettendone qualsivoglia forma di disposizione, ma con il limite che da essa non derivi pregiudizio per gli altri. Vedi, V. Giomi, Commento art. 56, in G. Famiglietti – N.

Pigniatelli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 378.

276 V. Giomi, Commento art. 56, in G. Famiglietti – N. Pigniatelli (a cura di), Codice dei

beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 378.

Invero, la disciplina giuridica inerente ai beni appartenenti ai soggetti nominati viene tradizionalmente accomunata a quella dettata per i beni in pubblica proprietà, a tutela delle finalità sociali che caratterizzano gli enti privati di erogazione (come i servizi sociali)278.

E, allora, come ha rilevato la dottrina, il regime autorizzatorio si pone, per un verso, come strumento di liberalizzazione della circolazione giuridica dei beni appartenenti al demanio culturale; per altro verso, viene corroborato il suo ruolo di argine pubblicistico e mezzo di controllo dell’attività negoziale posta in essere dai soggetti operanti senza scopo di lucro279.

L’autorizzazione è soggetta a controllo preventivo che attesti la compatibilità tra la titolarità del bene oggetto di circolazione e la sua funzione sociale. Si tratta di un controllo che investe il profilo soggettivo quanto quello oggettivo, primariamente quello concernente il pubblico godimento del bene stesso, di cui deve essere garantito almeno un livello minimo, indipendentemente dalla titolarità. E ciò in quanto la funzione collettiva che caratterizza il bene culturale deve essere assicurata per mezzo delle prescrizioni di cui all’art. 55, al fine di ottenere l’autorizzazione ad alienare280.

Indipendentemente dalla accezione con cui la dottrina ha inteso interpretare il concetto di alienazione — se indicando solamente i negozi traslativi della proprietà del bene o anche i negozi traslativi di qualunque diritto reale281 — l’obiettivo della norma in esame appare essere quello di estendere al massimo grado il regime autorizzatorio, al fine di tutelare tutti

278M. Sinisi, Commento art. 55-bis,in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del

paesaggio, cit., pag. 494.

279 A. Pontrelli, Commento art. 55, in A. Angiuli – V. Caputi Jambrenghi (a cura di),

Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 173.

280M. Sinisi, Commento art. 55-bis, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del

paesaggio, cit., pag. 495.

i negozi giuridici idonei a produrre effetti reali sul bene oggetto di trasferimento282.

Posto che l’art. 56 enuclea tipologie di beni tanto diversi fra loro in ragione delle loro caratteristiche peculiari o della loro appartenenza, si rende necessario che esso disponga previsioni differenziate e graduate per ciascun ambito applicativo283.

Con esplicito riferimento a quanto previsto dall’art. 55, l’art. 56 prevede che nella richiesta di autorizzazione siano elementi inderogabili:

- l’indicazione della destinazione d’uso ipotizzata per il bene;

- il programma di misure volte ad assicurare la conservazione del bene;

- l’indicazione delle modalità proposte a garanzia della fruizione pubblica collettiva del bene in seguito all’alienazione, rispetto alle precedenti.

Parimenti, sono considerati tassative, non derogabili e non alternative fra loro ai fini del rilascio del titolo autorizzativo:

- l’indicazione delle prescrizioni e delle condizioni per l’attuazione delle misure sottese alla ad assicurare la conservazione del bene;

- l’indicazione delle modalità poste a garanzia della pubblica fruizione del bene.

A queste regole, ritenute dalla dottrina di contenuto minimo per ogni tipologia di bene284, il legislatore richiede altresì che i beni oggetto di cessione non siano ricompresi in raccolte pubbliche. Tale previsione si giustifica con l’interesse a lasciare il bene nella sua collocazione nella raccolta e ne motiva la permanenza nel patrimonio indisponibile285.

Infine, nella nuova formulazione dell’art. 56 viene meno la distinzione tra “danno” e “grave danno”, rispettivamente per le tipologie di beni di

282 V. Giomi, Commento art. 56, in G. Famiglietti – N. Pigniatelli (a cura di), Codice dei

beni culturali e del paesaggio, cit., pag. 379.

283Ibidem. 284Ivi, pag. 380.

285M. Sinisi, Commento art. 55-bis, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del

cui ai commi 4 e 5 della precedente formulazione dell’art. 57. Tale formula, che richiedeva una diversa intensità di tutela in ordine al bene, è stata abbandonata dal legislatore, il quale, nella formulazione attuale dell’art. 56, al comma 4bis, si limita a stabilire, più efficacemente, che dall’alienazione

non derivi alcun danno per il bene oggetto di alienazione286.