La vastità e complessità del patrimonio culturale che la Chiesa Cattolica possiede in Italia e all’estero sarebbero una ragione più che sufficiente per dedicare loro un apposito corpus normativo; al contrario, la
dottrina si è spesso trovata a lamentare che la regolamentazione confessionale e anche statale della materia è spesso di stampo unilaterale e pattizio, nonché gravemente lacunosa488.
È altrettanto vero, però, che la Chiesa Cattolica ha da tempo dimostrato una crescente attenzione nei riguardi della materia, come dimostra l’adesione della Santa Sede alle più risalenti Convenzioni per la tutela e la conservazione del patrimonio culturale, come quella dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato (14 maggio 1954) e quella di Parigi per la tutela del patrimonio culturale e naturale mondiale (16 novembre 1972). Inoltre, già nel 1965, lo Stato Vaticano aveva emanato un regolamento relativo al prestito delle opere d’arte di sua proprietà489.
In realtà, lo Stato Pontificio ha da sempre avuto cura del patrimonio culturale: diversi e variegati sono, infatti, gli editti papali in materia, basti pensare che l’Editto Pacca del 1820 e il relativo regolamento del 1821 sono stati le basi della moderna disciplina in materia per il Regno d’Italia (cfr. capitolo I).
487 M. Tocci, Il regime giuridico dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 99. 488Ivi, pag. 62.
489 E. Camassa Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità
Anche il Concilio Vaticano II si è occupato di beni culturali nelle Costituzioni Sacrosanctum Concilium490, che si occupa della necessità della costituzione nelle diocesi di una Commissione di arte sacra491 Gaudium
Spes, che affronta il problema della compatibilità tra cultura, arte e
insegnamento cristiano492.
Nel periodo post-conciliare, Paolo VI ha assegnato alla Conferenza Episcopale italiana (CEI) dei precisi poteri legislativi in materia di beni culturali ecclesiastici493. Proprio la CEI, nel 1974, ha pubblicato un documento dal titolo «Tutela e conservazione del patrimonio storico- artistico della Chiesa in Italia», che, per la prima volta, affronta in maniera organica il problema dei beni culturali494 e nel quale si afferma che è stata «promossa una maggiore intesa con le Autorità statali, nel rispetto della reciproca autonomia tra la normativa canonica e quella civile», giungendo «ad una forte disponibilità al coinvolgimento degli organi statali nel compito di tutela dei beni culturali»495. Di fatto, con questo documento la Chiesa si è assunta l’impegno di collaborare attivamente con lo Stato e i suoi organi territoriali, riconoscendo il ruolo della legislazione civile in materia, onde pervenire a nuove forme di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale ad essa appartenente496.
Per quanto attiene ai codici di diritto canonico, se si raffronta quello del 1917 con quello entrato in vigore nel 1983, vi sono evidenti differenze.
490 La Costituzione Sacrosanctum Concilium, al n. 46 stabilisce che, oltre alla Commissione
di sacra liturgia, siano costituite, per quanto possibile, in ogni diocesi anche le Commissioni di musica sacra e di arte sacra. La stessa Costituzione si è occupata anche della formazione archivistica del clero. Entrambe le Costituzioni sono state pubblicate in Enchiridion Vaticanum, Bologna 1971, I, n. 78, 81, 82, 1526, 1532.
491 G. Caprile, Per la tutela del patrimonio storico-artistico, in La Civiltà Cattolica, 1971, fasc.
2909; C. Capizzi, La chiesa per il suo patrimonio artistico e storico, in La Civiltà Cattolica, 140
(1990), pagg. 26-38.
492 E. Camassa Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità
di ordinamenti, cit., pag. 17.
493 M. Tocci, Il regime giuridico dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 63.
494Ibidem; E. Camassa Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e
pluralità di ordinamenti, cit., pag. 17.
495 R. Astorri, I beni culturali di interesse religioso in Italia: tra legislazione canonica e intese con le
regioni, in Panorami, 6, 1994, pagg 43 ss.
Il codice del 1917 non prestava adeguata attenzione alla materia dei beni culturali e si limitava a regolarne alcuni aspetti, con un approccio di tipo economico. Era stabilita una differenza tra bona sacra e bona pretiosa,
che tuttavia influiva sui soli aspetti patrimoniali relativi alla gestione di entrambe le tipologie di beni, mentre del tutto ignorati erano i profili inerenti al valore storico, artistico e culturale dei musei e delle biblioteche ecclesiastiche497.
Il dato che emerge chiaramente è l’affermazione del diritto della Chiesa di acquistare, conservare e amministrare i suddetti beni in maniera totalmente indipendente e senza ingerenza alcuna da parte dello Stato italiano498.
Di molto differente è l’impostazione del codice di diritto canonico del 1983, tutt’oggi in vigore. All’interno dei diversi libri in cui il codice è articolato, è possibile rinvenire varie norme in materia di beni culturali ecclesiastici; tuttavia si tratta, appunto, di un frammentato insieme di norme, sparso in diversi libri, che in alcun modo può rappresentare anche solo un tentativo di disciplinare la materia in maniera organica e sistematica499.
Invero, il codice è stato oggetto di forti riserve e critiche ancor prima della sua promulgazione in ordine alle scelte effettuate dalla Commissione che si è occupata dei lavori di revisione al codice del 1917, sia sotto il profilo relativo alla frammentazione con cui veniva affrontata la disciplina della materia, sia (e ancor più) per la carente e imprecisa individuazione degli organi e dei livelli decisionali500. Tali critiche hanno trovato decisa condivisione nella dottrina giuridica, che ha evidenziato la scarsa capacità della legislazione de iure condendo di restare al passo con i mutamenti 497Ibidem.
498Ibidem; E. Camassa Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e
pluralità di ordinamenti, cit., pag. 18.
499 M. Tocci, Il regime giuridico dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag. 64; E. Camassa
Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità di ordinamenti,
cit., pag. 18.
500 E. Camassa Aurea, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità
culturali e sociali intervenuti in materia, soprattutto perché i lavori di revisione del codice di diritto canonico sarebbero stati «il momento più opportuno e il contesto più consono»501 per giungere una sintesi normativa efficace502.
Altro aspetto nient’affatto considerato nel codice del 1983 è l’individuazione, dal punto di vista istituzionale, degli organi competenti a livello legislativo e amministrativo, e, differentemente da altri ambiti in cui viene lasciato spazio alle legislazioni particolari, non viene affidata alcuna competenza specifica alle Conferenze Episcopali in materia di beni culturali e viene ommessa qualsiasi indicazione volta ad incoraggiare qualsivoglia collaborazione al riguardo tra Chiesa e Stato503.
Altra mancanza del codice del 1983 è quella di non aver fornito una definizione di bene culturale in generale e di bene culturale ecclesiale in particolare. Per dovere di precisione, occorre ricordare che uno dei membri della Commissione, il Cardinal Colombo, aveva avanzato, in sede di lavori, una proposta in tal senso, attesa anche la risonanza ottenuta a livello nazionale ed internazionale dai concetti di tutela e di valorizzazione; senza, però, che tale proposta trovasse accoglimento504. Peraltro, con la propria adesione alle Convenzioni internazionali e siglando accordi in materia, la Santa Sede ha dimostrato, di fatto, di accettare la nozione di bene culturale adottata dagli organismi nazionali e dagli Stati interessati505;
501Ibidem.
502 G. Santi, I beni culturali della Chiesa. Le recenti disposizioni della Conferenza Episcopale
italiana in materia di beni culturali, in Vita e pensiero, 1993, pagg. 54-66.
503 C. Azzimonti, I beni culturali ecclesiali nell’ordinamento canonico e in quello concordatario
italiano, EDB, Bologna, 2001, pag. 219.
504 Al fine di favorire una disciplina sistematica in tema di beni culturali di interesse
religioso, nel 1964 aveva partecipato ai lavori della Commissione Franceschini anche un gruppo esterno di studio, costituito dalla Pontificia Commissione per l’arte sacra, con cui la Commissione aveva avuto «proficui scambi di vedute». Gli atti e i lavori della Commissione Franceschini in tema di beni culturali ecclesiastici sono consultabili in
Per la salvezza dei beni culturali in Italia, II, Casa editrice Colombo, Roma, 1967, pagg. 630
ss. Si veda anche M. Tocci, Il regime giuridico dei beni culturali di interesse religioso, cit., pag.
65, nt. 6.
505 G. Feliciani, La nozione di bene culturale nell’ordinamento canonico, in Iustitia in caritate.
Miscellanea di studi in onore di Velasio de Paolis, Urbaniana university press, Roma, 2005,
con la differenza che, mentre nella politica di tutela e valorizzazione, lo Stato si occupa di tutelare il bene che ha caratteristiche intrinseche di culturalità, la Chiesa, in ogni caso, tutela i beni di sua proprietà destinati alle esigenze di culto e, perciò, disponibili per la collettività506.
Invero, la stessa Commissione pontificia per i beni culturali della Chiesa ha precisato che «il patrimonio storico artistico è indissolubilmente connesso con la proclamazione della fede e con il servizio della formazione integrale dell’uomo», sottolineando la «dimensione specifica del bene culturale di carattere religioso, anteriore agli stessi usi ai quali sarà ordinato»507.
Svolta questa doverosa premessa, l’analisi della materia dei beni culturali di interesse religioso, sarà qui orientata alla disciplina della circolazione degli stessi, con particolare riguardo all’invalidità canonica e all’annullabilità civile.
3. I beni culturali di interesse religioso nell’ordinamento italiano