La disciplina in materia di circolazione dei beni culturali ha subito, nel corso degli anni, svariati cambiamenti di rotta, una tendenza altalenante contraddistinta da momenti di grande rigore (tali da escludere quasi completamente qualsiasi possibilità di deroga al regime di inalienabilità) e da successive scelte contrarie, finalizzate ad ammettere eccezioni a questa regola, consentendo una parziale circolazione delle opere d’arte di pubblica proprietà, pur con i dovuti limiti e le necessarie precauzioni, onde assicurarne comunque la destinazione culturale, anche in seguito all’alienazione173.
171Ibidem. 172Ibidem.
La normativa del 1939 si imperniava, con la legge Bottai, sull’inalienabilità dei beni pubblici, mobili e immobili, che presentavano interesse storico, artistico, archeologico o etnografico e di quelli direttamente riferibili alla storia politica, militare, della letteratura, dell’arte o della cultura174.
Bisogna dire, tuttavia, che lo stesso legislatore, dopo aver disposto, all’art. 23 della legge 1089/1939, l’inalienabilità dei beni in questione; all’immediatamente successivo art. 24 ne derogava l’applicazione, consentendo, previa autorizzazione, la vendita degli stessi, dietro la condizione che non ne fosse, in alcun modo, pregiudicata la pubblica destinazione o il pubblico godimento175.
L’istituzione, per mezzo del Codice civile del 1942, del demanio storico e artistico, ha portato con sé la differenziazione della condizione di inalienabilità tra beni dello Stato e degli altri enti territoriali cui era stata riconosciuta natura demaniale176. In questa maniera, l’elemento finalistico, ossia il regime di inalienabilità delle cose d’arte, si pone comunque come elemento caratterizzante di siffatti beni, ma ciò avviene «a posteriori, in
quanto la strumentalità della cosa rispetto all’interesse pubblico ha il suo riconoscimento con l’assoggettamento della cosa stessa al regime demaniale»177. Si tratta, vale la pena ricordarlo, di beni che hanno, per loro stessa natura, una «una destinazione connessa con i bisogni essenziali della generalità in modo diretto e infungibile»178 e, per quella categoria di beni enucleata dall’art. 823 c.c., l’inalienabilità è una diretta conseguenza del regime demaniale, in base al quale sono sottratti al commercio a causa della
174 T. Alibrandi – P.G. Freddi, I beni culturali e ambientali, cit., pag. 461.
175 M.R. Cozzuto Quadri, La circolazione delle cose d’arte, Jovene, Napoli, 1997, pag. 226;
T. Alibrandi – P.G. Freddi, I beni culturali e ambientali, cit., pag. 461; W. Cortese, Il patrimonio culturale: profili normativi, cit., pagg. 393 ss.
176 T. Alibrandi – P.G. Freddi, I beni culturali e ambientali, cit., pag. 461.
177 M. Cantucci, La tutela giuridica delle cose di interesse artistico o storico, cit., pag. 160. 178Ivi, pag. 163.
loro qualità, che importa un’oggettiva incapacità della categoria di divenire oggetto di negozi di diritto privato costitutivi di diritti a favore di terzi179. Si trattava, pertanto, di inalienabilità assoluta, insuscettibile di deroga alcuna, se non in seguito ad un vero e proprio atto di disconoscimento, nelle forme legali previste, di quei requisiti fautori della demanialità storica e artistica del bene medesimo180.
L’unica eccezione ammessa era costituita dai trasferimenti conciliabili con la permanenza sotto il regime di demanialità, cioè di trasferimenti tra soggetti pubblici comunque titolari di un demanio storico-artistico, vale a dire trasferimenti dallo Stato ad altri enti territoriali e viceversa181.
Tuttavia, la gestione dei beni culturali in Italia si è spesso rivelata difficoltosa e carica di problematiche di non semplice risoluzione. Da un lato, la vastità e complessità di un patrimonio culturale tanto variegato e importante comportavano naturali difficoltà nel comprendere come valorizzare, conservare e, al tempo stesso, ingenerare un introito economico per lo Stato e gli altri enti pubblici proprietari dei beni; dall’altro, il legislatore si è talvolta dimostrato incapace di cogliere le peculiarità della materia, di intuirne le infinite potenzialità e, anzi, ha, in alcune circostanze, dato prova di considerare il patrimonio culturale nazionale come un fastidioso peso e non come un inestimabile tesoro.
Da qui, la pur riconosciuta esigenza di riordinare e ottimizzare il regime del demanio pubblico ha innescato un azzardato processo di disposizione del patrimonio demaniale, inaugurata con l’art. 32 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, a norma del quale il principio di inalienabilità dei beni immobili di interesse storico e artistico può essere derogato sulla base di quanto previsto dal regolamento adottato ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. A norma di tale atto normativo:
179 T. Alibrandi – P.G. Freddi, I beni culturali e ambientali, cit., pag. 461. 180Ivi, pag. 462.
a) l’alienazione, la concessione e l’utilizzazione mediante convenzione dei beni culturali continuano ad essere soggette ad autorizzazione, concessa a seguito di una valutazione che attesti che i suddetti atti non pregiudichino la conservazione, l’integrità e a fruizione del bene da parte della collettività. La valutazione deve inoltre certificare che la nuova destinazione conferita al bene culturale sia compatibile con il carattere storico e artistico del medesimo. Rispetto alle menzionate finalità, l’autorizzazione può riportare specifiche prescrizioni in tal senso, cui l’acquirente (o l’utilizzatore) deve puntualmente attenersi e la cui violazione può comportare la revoca dell’alienazione182;
b) la possibilità di compiere atti di disposizione del patrimonio culturale è intrinsecamente associata con quella di mettere ordine e censire tutti quei beni appartenenti a un demanio diverso da quello statale. A questa catalogazione deve provvedere il Ministero dei beni culturali, in concorso con gli enti interessati, entro 5 anni dall’approvazione del regolamento in oggetto183.
Il processo di dismissione del patrimonio immobiliare nazionale è proseguito con il collegato alla legge finanziaria del 1999, concernente «misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo», il quale aveva previsto, con l’art. 15, con decreto del Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro per i beni culturali, l’immissione sul mercato anche di beni di interesse storico e artistico e, laddove ciò non fosse stato possibile, l’attribuzione di singoli bene o di un insieme di beni immobili ovvero di diritti reali sugli stessi beni a società per azioni. E ciò anche qualora i beni in oggetto si fossero trovati nella disponibilità di soggetti diversi dallo Stato184.
182Ivi, pag. 464. 183Ibidem.
A fronte del conferimento, le società si impegnavano da un lato, a conservare e valorizzare i beni e, dall’altro, a corrispondere un compenso allo Stato185.
Era stato ulteriormente previsto che i beni in esame potessero essere affidati, alternativamente, a privati o ad Amministrazioni pubbliche a titolo di concessione o per contratto, con il formale impegno da parte di questi a curarne la promozione, ricostruzione e valorizzazione e a corrispondere un compenso allo Stato un equo compenso, comprensivo degli oneri finanziari sostenuti dai soggetti contraenti186.
Sebbene tali disposizioni si accordassero con il nuovo indirizzo normativo di quegli anni, già veicolato in molteplici leggi, ossia quello di favorire la partecipazione dei privati nella gestione della “cosa pubblica”, in sede di approvazione, il Senato ha modificato la disposizione de qua e
ha ribadito il principio di inalienabilità dei beni demaniali, ammettendone la deroga solo in via d’eccezione187.
La legge 23 dicembre 1998, n. 448 (legge finanziaria per il 1999), quindi, inaugura una (discutibile) stagione caratterizzata dall’alienazione del patrimonio culturale nazionale. L’art. 32 della legge in esame attribuiva al governo il compito di individuare, attraverso un apposito regolamento di delegificazione, singoli casi di alienabilità di immobili di interesse storico e artistico appartenenti a Stato, regioni, province e comuni, purché l’acquirente ne garantisse la destinazione culturale, pena la risoluzione del contratto188.
Il legislatore, quindi, si muoveva lungo due direttrici: da un lato, tentava di scindere quello che per decenni era parso come un binomio indissolubile, ovverossia la proprietà pubblica del bene come unico mezzo di godimento collettivo del bene stesso; dall’altro, la dismissione del
185Ibidem. 186Ibidem. 187Ibidem.
patrimonio demaniale appariva sempre più una fonte di introiti da immolare sull’altare dell’equilibrio delle finanze nazionali189.
Il Parlamento demandava al summenzionato regolamento di delegificazione l’indicazione delle tipologie di beni alienabili in via d’eccezione e inalienabili in via assoluta; e all’uopo prescriveva l’individuazione di «criteri in ordine alle prescrizioni relative alla conservazione a all’uso dei beni», stabilendo anche l’ottenimento della concessione da parte del Soprintendente regionale e la presenza di una clausola risolutiva espressa in caso di mancato rispetto dell’acquirente di quanto prescritto nell’autorizzazione190.
Il successivo d.P.R. 7 settembre 2000, n. 283 introduceva una disciplina imperniata su un generale principio del programma di tutela e valorizzazione e indicava la destinazione d’uso del bene, le apposite misure per la sua conservazione, si impegnava a garantirne la pubblica fruizione, anche in relazione alla precedente destinazione e imponeva un termine in cui realizzare le opere progettate, unitamente alla previsione di una clausola risolutiva espressa e di una clausola penale da attivare in caso di violazione delle menzionate prescrizioni191.
Tale normativa rimase sostanzialmente inapplicata, posto che gli elenchi previsti non vennero mai stilati e venne da lì a poco abrogata dall’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e dal paesaggio.
Pur rimanendo inapplicato, il decreto ha dato un importante contributo alla disciplina futura, considerato che molte delle disposizioni concernenti la tutela, la conservazione e la fruizione dei beni culturali
189 A. Pontrelli, Commento art. 53 in A. Angiuli – V. Caputi Jambrenghi (a cura di),
Commentario al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Giappichelli, Torino, 2005, pagg. 164
ss.
190A. Giuffrida, Contributo alla circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, cit., pag. 132. 191Ibidem.
sottratti al tradizionale regime dell’inalienabilità furono riprese da questo e trasposte nel codice Urbani192.