4. In medias res: l’azione diplomatica di Manlio Brosio
4.2. L’ambasciata si mette all’opera
Fin dai tempi di Francesco Saverio Nitti, abbiamo visto, l’Italia e la Russia avevano mantenuto una buona intesa commerciale, tantoché nel biennio 1929-30 l’Urss copriva il 30% del fabbisogno
infine la protesta del febbraio per la visita di navi statunitensi nei porti italiani, ASMAE, A.R., b. 394 Telegrammi in partenza, Brosio a Ministero degli Esteri 5 febbraio 1948 tel. n. 74/49
613 Riporta l’articolo della Pravda del 15 aprile in cui veniva sottolineata la difficoltà economica del paese (produzione industriale, si dice, ridotta dal 73% del 1938 al 60%, la circolazione commerciale interna a sua volta ridotta del 40%) e condannato il comportamento del governo, che “sentendosi malsicuro ha preso apertamente la via del terrore e dell’intimidazione”. ASMAE, A.P. (1946-50), b. Urss 13 f. Rapporti con l’Italia, comunicato Tass 16 aprile. Inoltre il 20 aprile invia al Ministero degli Esteri la rassegna della stampa sovietica dal 1 al 15 del mese. ASMAE, A.R., b. 330 f. Rapporti politici italo-sovietici Brosio a Ministero degli Esteri 20 aprile 1948 tel. n. 860/189
614 Il 13 gennaio è La Terza incaricato di protestare contro l’articolo della “Literatunaja Gazeta” contenente accuse personali a De Gasperi e gli viene risposto che la stampa sovietica è libera e di certo non controllata dal governo. ASMAE, A.R., b. 394 Telegrammi in partenza Brosio a D.G.A.P. Ufficio II 13 gennaio 1948 tel.n. 31/19. Così il 15 marzo e il 4 aprile. Ibidem tel.n. 106/76 e 201/34.
petrolifero italiano, oltre ad essere un ottimo sbocco per la nostra manodopera615. Poi l’Italia era diventata fascista e dopo c’era stata la guerra e dopo ancora la resa incondizionata: fino al luglio 1945 le clausole armistiziali impedivano il commercio con l’estero e anche dopo la ripresa annunciata dall’Ammiraglio Stone il primo agosto, fino al marzo 1946 l’Italia non potè disporre di una flotta mercantile, mentre la Commissione Alleata stabiliva i beni da esportare e le quantità. Nonostante tutti i limiti imposti dagli angloamericani, già l’8 agosto 1945 a Palazzo Chigi si riuniscono i Ministri dell’Industria, del Commercio, dell’Agricoltura, della Marina, del Tesoro, dei Trasporti insieme con i rappresentanti dell’Istituto per il Commercio Estero, per parlare della ripresa delle relazioni commerciali tra Italia e Unione Sovietica616. Intanto Giuseppe Enea, prima di andare a ricoprire l’incarico di Consigliere Commerciale a Mosca, si reca nel Nord Italia dove raccoglie dalle varie ditte le diverse proposte di possibili forniture all’Urss: Enea nota come le industrie particolarmente interessate fossero quella Meccanica e quella Elettromeccanica, settori nei quali la guerra ha lasciato intatte le attrezzature rendendo così la capacità industriale superiore alle possibilità di assorbimento del mercato interno. Enea individua due ordini di problemi: la scarsità di materie prime e appunto l’insufficienza della domanda interna, entrambi risolvibili, quantomeno parzialmente, con l’apertura del commercio estero617. In realtà l’Unione Sovietica non sta assolutamente pensando ad avviare trattative commerciali con l’Italia, secondo Morozzo Della Rocca, il problema principale sono i legami con Washington (invio di una delegazione commerciale nell’ottobre 1945 capeggiata da Ivan Matteo Lombardo per chiedere ulteriori prestiti), la scarsa fiducia nelle capacità dell’industria e dei trasporti italiani e infine la necessità di occuparsi anche economicamente della propria zona di influenza (infatti l’Urss si dedicherà a stipulare tutta una serie di trattati commerciali, anche svantaggiosi, nell’immediato, per assicurarsi la totalità del commercio estero dei suoi satelliti). Celeste Nagarville, comunista e Sottosegretario agli Affari Esteri, cerca di tranquillizzare i sovietici sulle relazioni tra Roma e Washington: gli Stati Uniti non stanno acquistando industrie italiane ma soltanto concedendo aiuti senza clausole politiche. Anche Quaroni cerca di migliorare la posizione sovietica nei confronti dell’Italia e, in un aspro colloquio il 30 ottobre 1945, propone al responsabile del commercio estero sovietico Dekanozov una eventuale ripresa delle relazioni commerciali tra di due paesi, ma il vice-ministro sovietico lascia chiaramente intendere all’ambasciatore di non essere interessato618. In un’atmosfera di chiusura da Palazzo Chigi arriva comunque la richiesta di inviare una nota ufficiale ai sovietici in cui si propone l’avvio di trattative commerciali619. La nota verrà redatta e inviata il 15 gennaio 1946. L’Italia propone forniture industriali a patto del reintegro delle materie prime utilizzate, l’Unione Sovietica risponde che non possiede le contropartite richieste (ferro, carbone, nafta, legname e grano), impiegate nello sforzo di
615 Per gli studi sulle relazioni commerciali italo-sovietiche antecedenti al 1947 rimando a Enrico Serra, Nitti e la
Russia, Edizioni Dedalo, 1975.
616 La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p.152
617 ASMAE, A.R., b. 287, f. Relazioni commerciali Italia Unione Sovietica. 13 novembre 1945 R n. 4569. 618 ASMAE, A.R., b. 323 f. Relazioni economiche Italia Unione Sovietica.
619
ASMAE, A.R., b. 287, f. Relazioni commerciali Italia Unione Sovietica D.G.A.E. Ufficio III a Quaroni 10 gennaio 1946 tel.n. 98/1234/C
ricostruzione620. A questo punto Quaroni non si arrende e chiede all’Urss di preparare una lista delle materie prime che è disposta a fornire, inoltre propone che i pagamenti all’Italia avvengano o in oro o in moneta sovietica. Ma nonostante le larghe concessioni italiane, il MAE sovietico non risponde al promemoria dell’ambasciatore, lasciando cadere la cosa. Quaroni tenterà anche con Molotov di tornare sull’argomento relazioni commerciali ma il ministro fa solo un accenno alla scarsità di materie prime, poi svia621. L’8 aprile nel suo rapporto a Palazzo Chigi l’ambasciatore nota come i russi siano amichevoli nelle relazioni ma non vogliano accennare ai rapporti economici. Secondo l’ambasciatore tutto si chiarirà con l’avvio del piano quinquennale: i russi conosceranno il volume delle proprie materie prime e l’entità dello sforzo di ricostruzione, così potranno eventualmente ritagliarsi una parte delle risorse interne per il commercio estero622. Ma anche quando il piano quinquennale viene redatto, Mosca non accenna a rispondere all’iniziativa italiana. Tuttavia nell’estate del ‘46 l’Urss troverà il grano da esportare in Francia (in occasione delle elezioni politiche), in Romania e Finlandia. Che cosa impedisce ai sovietici di essere così aperti anche con l’Italia? Le velleità revisionistiche del governo italiano? L’orientamento filo-occidentale della Democrazia Cristiana? In realtà, nell’autunno 1947, più che ragioni ideologiche c’erano questioni contingenti che contribuivano al raffreddamento delle relazioni italo-sovietiche: in particolare l’adesione al piano Marshall e il fallimento dei moti insurrezionali, provocato, secondo gli ambienti del Cremlino, da una repressione del governo italiano.
A inizio 1947 funzionari dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale si incontrano più volte con l’ingegner Kamenski , delegato della rappresentanza commerciale sovietica a Roma: si stabiliscono le merci che possono interessare l’Urss e la disponibilità italiana623 e si crea un organismo collegiale con lo scopo di raccogliere le offerte delle aziende per l’Urss, acquisire la conferma degli ordini da parte sovietica, ricevere e smistare tra le aziende italiane interessate le materie prime e la valuta che sarà data in pagamento per le ordinazioni acquistate. La rappresentanza sovietica, tramite l’IRI, comincia a stipulare contratti di forniture abbastanza consistenti e rinasce, anche se in forme embrionali, il commercio italo-sovietico. Intanto l’ambasciata di Mosca continua nel suo tentativo di regolamentare e agevolare questo stesso commercio. Quaroni di nuovo parla con Molotov il 3 febbraio accennando alla necessità di variare l’orientamento del commercio estero italiano ma ricordando anche che per l’Italia era impossibile lasciare un flusso di merci sicuro come quello delle forniture statunitensi per una corrente di importazioni incerta, non basata su impegni o accordi scritti, come quella che offrirebbero i
620 La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p.153
621 ASMAE, A.R., b. 323 f. Relazioni economiche dell’Italia con l’Urss e con altri stati. Quaroni a D.G.A.E. Ufficio III 6 aprile 1946 tel.n. 158/138
622
Ibidem Quaroni a Ministero degli Esteri 8 aprile 1946 tel.n. 167/143
623 Kamenski chiede trasformatori, interruttori, elettrolocomotori, turbine idrauliche, gru montate su carri ferrovieri, pontoni galleggianti, chiatte in ferro, rimorchiatori, motovelieri. L’IRI risponde offrendo motori diesel, impianti per industria mineraria, chimica e tessile, navi da stoccaggio e automezzi, ma per fornire ciò, aggiunge, l’Italia ha bisogno di essere rifornita delle materie prime necessarie: ghisa, nichel, rame, stagno, laminati d’acciaio, coke. ASMAE, A.R., b. 330 f. Rapporti politici italo-sovietici 7 gennaio 1947 “promemoria D.G.A.E.”
sovietici624. Quaroni del resto si era più volte espresso con i colleghi a favore di una ripresa degli scambi commerciali, come ricorda nella biografia: “l’indipendenza dell’Italia non poteva esulare dalla sua situazione economica, dal suo bisogno di mercati, di materie prime e di crediti, per ora a fornire ciò erano gli Stati Uniti ma la situazione poteva cambiare.625” Ai tentativi di Quaroni, però, da parte sovietica non c’era stata risposta: “bisognava rendersi conto che fino a quando la vita dell’Italia dipendeva dall’arrivo di un piroscafo di carbone o di grano dagli Stati Uniti d’America significava fare della retorica quando si parlava di indipendenza della politica dell’Italia nei confronti degli Stati Uniti. L’insistenza con cui in questi anni ero tornato a parlare di relazioni commerciali tra Urss e Italia era la miglior riprova che l’Italia non cercava orientamenti unilaterali, ma da parte dei sovietici purtroppo tutto ciò non ha avuto risposta. (…) Si trattava di una questione di vitale importanza: non avremmo potuto avere una relativa indipendenza politica se non il giorno in cui si fosse potuto acquistare ciò di cui abbiamo bisogno su altri mercati oltre a quello degli Stati Uniti. Se, come l’Italia, l’Urss realmente desiderava una nostra politica estera indipendente doveva aiutarci su questo punto626”. Intanto la rappresentanza commerciale aveva proposto dopo il colloquio Molotov-Quaroni, liste di beni da esportazione e importazione in Unione Sovietica senza ricevere controproposte. Il punto, sottolinea di nuovo Quaroni, era che “non potevamo sospendere le ordinazioni americane per quelle sovietiche che non venivano” perciò c’era bisogno di un piano annuo di acquisti e vendite e di un accordo sui pagamenti. Per l’ambasciatore il principale problema è che i sovietici hanno molto da acquistare dall’Italia e poco da offrire vista le difficoltà materiali e economiche.
Il 2 febbraio 1947 Fransoni, fa sapere all’ambasciata di Mosca che a Roma si erano avute delle discussioni con i delegati sovietici ma non si era comunque arrivati a nulla: i russi propongono mattonelle di carbone dal valore calorifico nullo in cambio di navi, per il Ministero tutto ciò è inaccettabile. Fransoni chiede a Quaroni di insistere con le proposte italiane, più ragionevoli e di sottolineare come l’Italia partecipa indirettamente alla ricostruzione sovietica fornendo alla Svezia le materie prime per mantenere costanti i livelli di produzione e quindi vendere all’Urss macchinari per la ricostruzione627. Nonostante l’insistenza di Palazzo Chigi e i tentativi di persuasione di Quaroni, al febbraio 1947 l’Urss non sembra voler trattare con l’Italia.
Brosio il 23 febbraio incontra Molotov, con cui parla di una partecipazione italiana ai discorsi sulla Germania che si sarebbero fatti alla conferenza di Mosca, ricordando in particolare l’interesse della penisola per il destino del bacino carbonifero della Ruhr. Inoltre Brosio insisterà col ministro sovietico per avviare una trattativa commerciale più seria proponendo l’invio di una delegazione italiana a Mosca. Molotov si dimostra recettivo solo riguardo ai negoziati commerciali e come di consueto risponde che
624
DDI serie X vol V Quaroni a Sforza 3 febbraio 1947 D.8 e in ASMAE A.R. b 330 f. Rapporti politici italo-
sovietici tel.n. 63/48
625 Ibidem 626
Ibidem 627
interpellerà il suo governo in proposito. Per tutto marzo il Ministero degli Esteri sovietico rimane silenzioso. Il 12 Brosio aveva ripetuto a Vyšinskij le stesse considerazioni fatte a Molotov non ottenendo niente “non si può sapere nulla dai russi: ma ho l’impressione che se tacciono o si riservano, dicono di no”. E detto ciò approfondisce: “l’ambasciatore romeno mi ha aggiunto: il popolo russo è come la sua lingua e la sua grammatica, inafferrabile, pieno di imprevisti, pieno di eccezioni, ondeggiante e sfuggente628”. Al marzo del ‘47 gli ambasciatori dell’Europa orientale sono sagaci, intellettuali borghesi, animati spesso dal fervore rivoluzionario, ma anche critici e letterati tanto che, abbiamo visto, Brosio di tutta la cricca diplomatica preferisce i tre professori, l’ungherese, il cecoslovacco e il romeno. Ad un anno di distanza queste brillanti personalità verranno sostitute con personaggi più oscuri, che non rispettano il cerimoniale diplomatico e non si presentano alle rappresentanze occidentali. Dall’ambasciata italiana si percepisce vivamente il crescente asservimento dell’Europa Orientale.
Tornando alle trattative commerciali: Brosio vuole consegnare a Vyšinskij una nota del Ministero degli Esteri firmata da Sforza in cui si chiedeva l’appoggio sovietico alla partecipazione italiana alla discussione del trattato sulla Germania. Il vice-commissario però è malato, così Brosio dopo aver tentato invano di parlare con Dekanozov, vice-ministro agli affari esteri, alla fine ripiega su Malik, addetto agli affari italiani. E’interessante aprire una parentesi sul colloquio avuto in occasione della consegna della nota: Brosio accennando al trattato aveva paragonato la situazione dell’Italia a quella dell’Urss di fronte alla firma della pace di Brest Litovsk. A quel punto Malik si era infuriato in quanto ai tempi di Brest a vincere era stato il capitalismo, il documento di Parigi invece sanciva la vittoria della democrazia sul fascismo. Siamo di fronte al primo “test” più o meno volontario che l’ambasciatore fa della posizione sovietica sui trattati: i russi dimostrano di non capire le proteste e il “vittimismo” della classe dirigente italiana.
Il 25 marzo, come abbiamo già visto, Brosio riferisce a Sforza le sue prime impressioni: la via dei rapporti commerciali sembra la più percorribile, il consigliere commerciale in questo senso aveva compiuto un accurato e incessante lavoro per proporre qualcosa di concreto ai sovietici, del resto tutto ciò si scontrava con evidenti e innegabili difficoltà materiali da parte dell’Urss che doveva investire in primis nella ricostruzione del paese e in secondo luogo delle sue zone di influenza. “La siccità del 1946 ha costretto l’Urss a importare 30.000 tonn. di zucchero dalla Cecoslovacchia (---)nel secondo semestre dello scorso anno il ritmo di estrazione del carbone è risultato insufficiente per soddisfare gli obiettivi di ricostruzione (---) è anche significativo che l’Urss assorbe una parte notevole delle esportazioni polacche di carbone. L’estrazione di oli minerali è tuttora notevolmente inferiore al livello prebellico e l’Unione Sovietica assorbe tutte le eccedenze esportabili della Romania”, così nel caso del legname (importato da Finlandia e Romania) e del lino, prodotti che in passato rappresentavano tipiche correnti di esportazione verso l’Italia. “Tale situazione di cose serenamente considerata dimostra che allorquando di fronte alle nostre avances per un accordo commerciale qui si risponde che si hanno
di fronte alle nostre avances per un accordo commerciale qui si risponde che si hanno delle difficoltà a fornirci quanto ci interessa, dicono cose obiettivamente vere e non si appigliano ad alcun pretesto. (…) Non direi si tratti di impossibilità perché nel loro regime di economia regolata, i russi, se lo vogliono, possono sempre ricorrere a sacrifici necessari per soddisfare ad una corrente di esportazione di mole relativamente modesta come quella che occorrerebbe per noi. Necessita però, è chiaro, che essi vi trovino un forte equivalente vantaggio politico629”.
In assenza di tale vantaggio, momentaneamente, l’idea dell’ambasciatore è quella di temporeggiare o almeno attendere un miglioramento della situazione economica sovietica, ma Palazzo Chigi non sembra d’accordo. Il 30 aprile Sforza invia un telegramma all’ambasciata moscovita in cui chiede di insistere a sollecitare colloqui con i russi per approfondire i rapporti: stringere amicizia con l’Unione Sovietica per il Ministro significava ottenere in primis un appoggio internazionale per le questioni più dibattute, ovvero le discussioni sulla Germania e l’attuazione del trattato di pace italiano. Sforza ritiene la via delle relazioni commerciali una strada possibile per l’ottenimento di suddetta amicizia, ma, vista la momentanea chiusura sovietica, era importante insistere chiedendo un semplice scambio di vedute. Brosio non è d’accordo con le istruzioni ricevute: “non si può rimanere nella genericità e nelle chiacchere e d’altra parte i russi diffidano di noi630”. Probabilmente l’ambasciatore sta pensando agli umori della stampa sovietica dopo le dichiarazioni revisionistiche del nostro governo, cominciate già a fine 1946 e intensificatesi dopo il 10 febbraio. Comunque Brosio parlerà a Vyšinskij il 1 maggio chiedendo un riavvicinamento diplomatico tra i due paesi (quindi rimanendo sul generico), ma come previsto ottiene una risposta secca: il vice-commissario invita Brosio e il suo staff ad indagare le cause della chiusura sovietica. “Vyšinskij ci invita ad un esame di coscienza.(…) ma per ora questo mettermi al primo invito ad indagare i nostri supposti peccati mi pareva eccessivo631”.
Dal maggio al settembre l’ambasciatore dedica una buona parte delle sue energie alle relazioni commerciali. Il 5 giugno parla con il vice-ministro Malik, questi vorrebbe, come Vyšinskij, che fosse messa a disposizione dell’Urss una parte importante dell’industria italiana; del resto per Malik la questione è tecnica e va trattata come tale cioè non al livello politico ma tra tecnici. “Come a lui [Vysinkij] ho risposto che non si possono distinguere questioni economiche da quelle politiche e che si tratta anzitutto di vedere se essi hanno fiducia o no nella capacità di indipendenza e di collaborazione dell’Italia.(---) Vi sono ancora due punti che bisogna ribadire alla prima occasione: 1) che andando di questo passo noi ci impegneremo con altri e non avremo più nulla da dare; 2) che non si illudano di avere alle prossime elezioni la vittoria della sinistra, perché si sbagliano632.” Il 4 luglio di nuovo Brosio parla con Malik delle relazioni commerciali ma stavolta il vice-ministro è più duro. Così esordisce: “ mi
629 ASMAE, A.R., b. 336 f. Rapporti informativi di indole economica-Situazione economica in Urss Brosio a Ministero degli Esteri 25 marzo 1947 tel.n. 640/136
630 Diari di Mosca…p.49 631 Diari di Mosca…p.51 632 Diari di Mosca…p. 69-70
pare che l’esecuzione del trattato di pace dia materia sufficiente ai rapporti italo-russi”. A questo Brosio oppone un altro argomento a favore delle relazioni commerciali: “più essi [i rapporti coll’Unione Sovietica] saranno amichevoli più la popolazione italiana si sentirà portata a votare per le sinistre, e non sarebbe esatto supporre che un riavvicinamento italo-sovietico sarebbe oggi soltanto un regalo al rafforzamento del governo attuale. (---) nel popolo italiano sorge la sensazione di un distacco e di un isolamento fra Russia e Italia”; allora Malik temporeggia, ancora, dicendo che il suo governo sta studiando la proposta italiana: “intanto il tempo passa e fatalmente i legami economici con altri paesi genereranno sempre necessari legami politici e pericolo di quella dipendenza che voi temete.” Malik si infuria: “dunque voi riconoscete che l’aiuto economico non vi viene dato dagli Stati Uniti se non a condizioni che vi riducono alla schiavitù politica”. Allora Brosio cerca di far capire a Malik che quella era solo una “logica previsione storica e politica”, ma il vice-ministro non si convince: “io penso che anche in presenza di rapporti economici, dipenda dalla volontà del popolo e del governo di un paese mantenersi indipendenti633”. Brosio ancora risponde che il miglior modo di essere indipendenti è mantenere rapporti aperti con tutti, ma la linea di incomunicabilità è insormontabile: l’Urss non vuole ancora, non ritiene utile, un accordo commerciale con l’Italia e si ritira dietro una barriera invalicabile. A nulla servono le argomentazioni di Brosio, seppur logiche che siano, come non aveva funzionato l’argomento del vantaggio economico (nella prima nota di proposta) o quello della necessità (“non abbiamo risorse, non possiamo farcela da soli”, nel colloquio del 5 giugno) non funziona neanche l’argomento del controbilanciamento, anzi sembra che Malik non abbia proprio gradito la minaccia dell’influenza americana.
Mentre all’ambasciata di Mosca la situazione rimane statica, nel resto del mondo l’Urss comincia ad aprire le sue maglie, arrivando fin dentro l’Europa. Già nel 1946 l’Unione Sovietica era riuscita a stringere accordi con la Danimarca (17 agosto), la Finlandia (5 dicembre) e la Norvegia (27 dicembre). Nel caso norvegese l’Urss si impegnava a fornire il 40% del grano (la Norvegia avrebbe così risparmiato dollari non dovendolo comprare dagli Stati Uniti) in cambio di pesce, grasso animale e alluminio, l’accordo doveva essere rinnovato dopo un anno634. Nel caso danese l’accordo, della durata di 5 anni, istituiva una rappresentanza commerciale dell’Urss in Danimarca e viceversa, era compito di queste istituzioni stabilire e monitorare i contratti commerciali635. Si tratta di due tipologie diverse di accordi commerciali, entrambe però ebbero l’effetto di intensificare i legami economici dell’Unione Sovietica con il Nord Europa (nel 1948 la percentuale ricoperta dal commercio tra Norvegia e Urss, sul totale del commercio estero norvegese era del 6% rispetto all’1,2% del 1939). Per quanto riguarda invece il trattato finno-sovietico, esso stabiliva che le persone fisiche e giuridiche finlandesi si