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3. Guardando ad Est: l’azione diplomatica di Palazzo Chig

3.1. La genesi delle relazioni italo-sovietiche

La dirigenza sovietica tra il 1944 e il 1946 aveva optato per una linea politica di apertura nei confronti delle diverse vie nazionali, come è evidente nel caso dell’armistizio con la Finlandia (19 settembre 1944) o della visita della delegazione ceca (Beneš, nel marzo 1945) e poi di quella bulgara (gennaio 1946), o nel caso dei rapporti con i comunisti jugoslavi, il cui estremismo venne in più occasioni criticato e addolcito. Infine l’Urss si dimostrò clemente anche nei confronti dell’Italia, concedendo il ritorno in patria di Togliatti, nel settembre 1944 e soprattutto approvando la sua “svolta di Salerno401”. Tutto ciò ebbe inizio il 15 maggio 1943, con la chiusura del Comintern; da quel momento in avanti la politica estera sovietica nei confronti degli alleati si era concentrata sulla richiesta di un massimo sforzo bellico anche a patto di compromessi politici. La storiografia sull’argomento sottolinea questo fatto come decisivo e cruciale nell’intrecciarsi delle relazioni internazionali, in quanto molti dei rapporti che l’Urss costituisce nel triennio ‘43-’46 beneficiarono dell’aria distesa che si respirava a Mosca. In questo clima rinacquero le relazioni italo-sovietiche: il 14 marzo 1944 con una nota ufficiale i sovietici chiesero la riapertura delle relazioni diplomatiche con l’Italia, rompendo in questo modo l’isolamento delle penisola. L’Urss fu il primo paese ad instaurare rapporti diplomatici con il governo Badoglio, in primis, spiega Della Rocca, per sbloccare il governo italiano e premere per un maggiore sforzo bellico, poi, dato che gli alleati l’avevano completamente esclusa dall’amministrazione della penisola402, la rappresentanza diplomatica era l’unico modo per assicurarsi una presenza concreta in Italia. Così nella primavera del 1944 il delegato sovietico alla Commissione Alleata Bogomolov fu nominato ambasciatore a Roma, mentre Pietro Quaroni ricopriva lo stesso incarico a Mosca. Quaroni fu una scelta principalmente di Prunas: come riporta Borzoni, il Segretario Generale era propenso ad instaurare buone relazioni coi sovietici, i quali vedevano di buon occhio Quaroni, inoltre i due concordavano su un punto fondamentale, cioè la volontà di sfruttare gli eventuali dissensi tra gli alleati a vantaggio dell’Italia. Prunas, d’accordo con Quaroni, preferiva muoversi mantenendo alta la prudenza, abbandonando slanci retorici a favore di un’abile politica di fatti concreti che sapesse sfruttare i piccolissimi spazi di manovra creati dall’oligarchia internazionale. Prunas doveva però convincere gli americani della “opportunità” di Quaroni: in due lunghi colloqui con MacFarlane sottolinea l’ “indipendenza politica” del futuro ambasciatore, indovinando quali fossero le principali riserve angloamericane.

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Sull’autonomia o meno dell’iniziativa di Togliatti si interroga Morozzo della Rocca Roberto, La politica estera italiana e

l’Unione Sovietica (1944-48)…

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Alla conferenza di Mosca, nell’ottobre 1943, gli alleati decidono di istituire un Consiglio alleato a tre, con compiti minori di controllo e organizzazione delle forze alleate e una Commissione formata solo da Stati Uniti e Gran Bretagna, la quale avrebbe amministrato la penisola. Storia delle Relazioni Internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri..

Quaroni risponde alla sfida “ una sola volta nella mia, oramai lunga, carriera ho veramente creduto di avere una funzione importante per le sorti del mio paese: e questo è stato quando in una forma strana e inattesa seppi, nell’aprile 1944, che ero stato destinato a Mosca.403”

Ma la situazione in Urss si rivela da subito quantomeno intricata: l’ambasciatore non può corrispondere direttamente con Roma (senza la mediazione dei corrieri sovietici) fino all’agosto (era arrivato il 29 maggio) e riuscirà così a stilare soltanto due rapporti, uno appunto l’8 agosto e l’altro il 16 settembre. Non mi dilungherò sulla trattazione dei lunghi resoconti di Quaroni, come sempre puntuali e taglienti, anche se uno studio approfondito sui diversi tipi di corrispondenza diplomatica fra i funzionari di Palazzo Chigi sarebbe molto interessante, per caratterizzare i diversi stili, la dose di personalismo, gli orientamenti ideologici dei funzionari del Ministero. Quello su cui è necessario soffermarsi però è la chiara percezione di uno scontento sovietico nei confronti dell’Italia, scontento motivato dalla poca fiducia nei confronti del governo italiano (Vyšinskij era stato in Italia nell’ottobre 43 e ne aveva riportato un’impressione di debolezza e instabilità politica), dallo scarso impegno bellico e dal fatto che Roma ha legato fin da subito (settembre ‘43) la questione della cobelligeranza con quella della revisione dell’armistizio. Secondo Molotov, che incontra Quaroni il 5 giugno, “non si può chiedere la cobelligeranza in cambio della revisione, secondo una logica di dare-avere”; la cobelligeranza è un obbligo per l’Italia che, se vuole recuperare la sua posizione internazionale, deve combattere: solo coi fatti, non con le dichiarazioni altisonanti, potrà riscattare il passato fascista. “Molotov faceva notare al governo italiano che avrebbe dovuto preoccuparsi di acquisire un diverso status internazionale più con i fatti che attraverso la definizione diplomatico-giuridica delle questioni armistiziali oppure attraverso il concetto che si aveva di in Italia dell’ “amicizia” e della “protezione” dell’URSS404.” Per rassicurare i sovietici il governo di Roma si dimostra subito propositivo: De Gasperi chiede a Quaroni di proporre l’utilizzo di prigionieri italiani in guerra, ottenendo, però, dai sovietici una risposta negativa. Così inoltre al Consiglio dei Ministri del 15 luglio 1944 si approva una risoluzione per intensificare lo sforzo bellico. Intanto Quaroni si dilunga nei colloqui con i sovietici sull’evolversi dei processi di epurazione e sul lavoro fatto per censurare molte pubblicazioni anti-sovietiche. Ancora nell’autunno 1944 venne deciso uno scambio di delegazioni sindacali. In realtà tutto questo doveva interessare poco ai sovietici. Lo scambio di informazioni, la cura del personale diplomatico, la cordialità nelle relazioni, non rispondevano alla voce “fatti” nell’ottica di Mosca. C’era innanzitutto un problema di linguaggio: per “fatti” i sovietici intendevano iniziative concrete che andassero a soddisfare gli interessi geopolitici dell’Urss, mentre i gesti tentati dagli italiani tramite Quaroni non erano neppure segni di amicizia, come invece si sperava a Roma, in quanto i sovietici ne avevano una concezione totalmente diversa; amicizia era qualcosa di vincolante, una vicinanza ideologica che si poteva/doveva tradurre in identità politica. L’ambasciata d’Italia a Mosca si trova di fronte alle prime difficoltà; Quaroni e i suoi successori

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Quaroni Pietro Il mondo di un ambasciatore, Ferro Edizioni, 1965 p.278 404

impareranno col tempo a dialogare con un mondo distante, separato, chiuso nei suoi simboli, nel muro del suo linguaggio. Anche Brosio, di cui parleremo più avanti, si troverà davanti a questo muro all’inizio della sua missione, e solo con il tempo imparerà a “trattare con i sovietici”, a parlare la lingua di Mosca. Mentre lo staff diplomatico si affacciava all’intricato mondo della politica estera sovietica, a Roma il personale d’ambasciata dell’Urss andava moltiplicandosi di giorno in giorno (come vedremo più avanti nel capitolo sull’ambasciata moscovita). I russi si interessano alla corrispondenza dei propri prigionieri con la madrepatria, premiano i contadini che hanno offerto ospitalità ai prigionieri sovietici, mentre la delegazione sindacale inviata in autunno non si limita ad analizzare lo stato organizzativo dei sindacati italiani ma svolge un’azione vera e propria di propaganda. Infine Della Rocca cita un episodio esemplificativo dell’azione di disturbo svolta dall’ambasciata russa: a inizi ‘45 Kostilev, succeduto a Bogomolov, aveva chiesto il rimpatrio di cittadini sovietici che avevano abbandonato il paese durante la guerra, tra cui vi erano molte donne russe sposate con militari italiani, ma anche italiani recatisi in Urss al tempo della Rivoluzione e rimpatriati durante la guerra. Il personale d’ambasciata si reca spesso in casa di donne sole con bambini a carico, che, dopo un dialogo privato di qualche ora coi russi, lasciano la famiglia e scompaiono nel nulla405.

Nel settembre 1944 riprende l’offensiva sovietica, l’Armata Rossa occupa Romania, Bulgaria, Ungheria, arrivando fino alla Finlandia. Per forza di cose l’attenzione del Cremlino si concentra sui paesi occupati direttamente dalle proprie truppe, iniziando un’azione lenta e costante non tanto di sovietizzazione, fenomeno, secondo Fabio Bettanin406, iniziato sistematicamente solo a fine 1946, quanto di controllo indiretto, di presenza secondaria. In Europa orientale come abbiamo visto rimangono al governo non tanto i partiti più ideologicamente affini a Mosca, quanto quei raggruppamenti che avevano la maturità politica e il consenso necessari ad affrontare, nel caso di Bulgaria, Romania e Ungheria, la fase di transizione dal fascismo, mentre nel caso polacco, cecoslovacco e jugoslavo, rimasero in piedi coloro che si dimostrarono in grado di poter affrontare lo sforzo bellico. Del resto, nonostante da parte del Cremlino non si sia ancora concretizzata una politica egemonica nei confronti dell’Europa Orientale, i sovietici rivolgono la massima attenzione agli avvenimenti in quell’area. Siamo nella fase delle strategie, non ancora dei fatti. Infatti con il ministro britannico Antony Eden, Stalin aveva già parlato di “sfere di influenza” e le ultime due conferenze tra i tre grandi si erano implicitamente dimostrate strumenti per la loro conservazione/creazione407. Come abbiamo visto, il Cremlino si trovò di fronte ad una potenziale situazione egemonica e non poteva certo perdere tempo a negoziare sui prigionieri italiani o a scambiarsi messaggi d’auguri con Roma. Così il servizio corriere che serviva l’ambasciata italiana a Mosca viene sospeso, Quaroni non riesce più a parlare con personalità importanti (fino ad allora era riuscito, neanche a due mesi dal suo arrivo a parlare con Molotov, mentre adesso i sovietici rimandano l’ambasciatore dai vari viceministri) e nelle 405

ASMAE. A.P. (1931-45) b. Urss 45. f. Prigionieri di guerra tedeschi-italiani in Russia, Appunto per il Signor Ministro 406

Stalin e l'Europa: la formazione dell’impero esterno sovietico 1941-1953… 407

poche discussioni che l’ambasciatore riesce ad intavolare, i vari rappresentanti sovietici rispondono di non poter più agire nelle cose italiane e che il futuro dell’Italia dipende dalle decisioni degli anglo- americani408. In questo clima Quaroni il 23 aprile 1945 scrive un dettagliato rapporto motivando la freddezza sovietica: il Cremlino è convinto della debolezza del governo italiano inoltre percependo il mondo diviso in sfere di influenza, considera l’Italia totalmente inserita nell’area americana. Non ultimo a pesare sull’indifferenza sovietica è il fatto, più volte sottolineato dai vari viceministri incontrati dall’ambasciatore, che l’Urss aveva più importanti questioni a cui dedicarsi, in primis l’Europa Orientale. Quindi l’unico modo per mantenere una qualche forma di relazione con i sovietici è tenere Mosca informata degli orientamenti italiani in politica estera e in quest’ambito sottolineare marcatamente la rinuncia ad ogni velleità balcanica. Del resto, come sottolinea Della Rocca, particolarmente attento alla pubblicistica sia italiana che sovietica di quegli anni, i giornali sovietici dall’autunno del 1944 continuavano sempre più spesso ad accusare il governo guidato da De Gasperi delle mancate epurazioni e della connivenza con gli Usa, inoltre l’Italia rimaneva, agli occhi dei vari giornalisti, il paese fascista che aveva dichiarato guerra alle democrazie. “Ad una comprensiva intesa tra Italia e Urss si frapponeva sia il presente, con la formazione delle zone di influenza, sia il passato con l’eredità fascista409”.Quindi esistono vari fattori che contribuiscono all’allontanamento dell’Urss dall’Italia, cominciato proprio nell’autunno 1944; Della Rocca tende a dare peso spesso ad una pluralità di cause: la scarsa fiducia sovietica nel governo italiano che non si impegnava a sufficienza nello sforzo bellico e quindi stentava a cancellare l’indelebile passato fascista del paese, le mancate epurazioni le quali, secondo i sovietici, dovevano svolgersi “alla maniera delle Grandi Purghe”, la divisione del mondo in sfere d’influenza che portarono l’Italia con gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a disinteressarsi della penisola a favore di un’Europa Orientale più facile da conquistare, grazie anche alla presenza dell’Armata Rossa410. Quaroni, la cui relazione è invece quella che più ci interessa perché da quella valutazione dipende poi l’andamento effettivo delle relazioni italo-sovietiche, è invece portato a sottolineare un fatto su tutti: la polarizzazione . Questa inevitabile deriva di una realtà nuova nelle relazioni internazionali comprometteva in qualche modo l’asse Mosca-Roma. La “Guerra Fredda” è un mistero per lo stesso ambasciatore: “dovevamo imparare tutti la nuova scala di valori del dopoguerra”. In questa scala Quaroni intuisce che l’Italia ha pochi margini di manovra e nel caso specifico delle relazioni con l’Unione Sovietica, l’ambasciatore suggerisce di attendere l’evolversi della situazione internazionale, con la fine del conflitto e la risistemazione globale, per scoprire se dopo questo riassetto della “diplomazia della Triplice411” potrà esservi spazio per un’azione italiana.

408 Il mondo di un ambasciatore…p.108

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La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p.54

410 Ibidem 411

Sulla diplomazia a tre ritorna più avanti nel rapporto. “I tre sono oggi quello che i consigli ecumenici erano nella Chiesa Antica, le loro decisioni sono ispirate dallo Spirito Santo: V.E. voglia scusarmi questa specie di bestemmia”

In uno scambio di lettere con Renato Prunas, Quaroni ritorna sull’argomento e suggerisce di “cominciare fin da oggi a tenere una politica di equidistanza tra i due gruppi contendenti412”

In una lettera a Quaroni De Gasperi aveva insistito affinchè l’ambasciatore trovasse delle linee di comunicazione con i sovietici e aggiungeva: “non vogliamo che pregiudiziali anticomuniste condizionino la nostra politica verso la Russia”. La lettera terminava con la speranza che i sovietici non si indebolissero “per non metterci alla mercè degli anglo-americani413”. Quaroni interpreta la lettera come la richiesta di seguire una politica neutralistica, di equidistanza (che agli occhi di Quaroni diventava equilibrismo) tra i due poli egemonici. La lettera di De Gasperi per l’ambasciatore richiederebbe“un tentativo da parte nostra di indirizzarci verso una politica di neutralità in caso di conflitto tra i due gruppi”, ma affinché questo tentativo funzioni era necessario:”1) persuadere l’Urss che la sua sicurezza è meglio assicurata da un’Europa occidentale neutra che da estensione sue zone di amicizia verso Occidente 2) e che l’Italia ha la possibilità di tenere posizione neutrale414”. Ci vuole tempo per attuare questa persuasione, quindi Quaroni chiede pazienza alla diplomazia italiana: occorre “mantenere un atteggiamento pacifico sul suolo internazionale, una politica di trattati di commercio, lavoro e serietà, di un costante incremento delle relazioni economiche con l’Urss”. La neutralità infatti potrà fondarsi soltanto sulla fiducia e la fiducia dei sovietici si conquista con il tempo, con la coerenza e coi fatti. Inoltre in un panorama internazionale ancora “liquido” sarebbe meglio aspettare che sia l’Urss a cominciare l’avvicinamento verso l’Italia perché il nostro paese non può vincolarsi eccessivamente con uno dei due blocchi. Quaroni in continuità con Prunas ritiene che l’Italia potrà, restando indipendete, trarre vantaggi sia dagli Stati Uniti, sia dall’Unione Sovietica.

La posizione di Quaroni riguardo alla Guerra Fredda consiste quindi in un attendismo nato dall’idea di poter sfruttare l’amiciza con un blocco o con un altro a seconda delle contingenze. Così infatti nel marzo del 1944 è stato utile appellarsi ai sovietici, mentre nell’estate del 1947 è risultato indispensabile appoggiarsi agli Stati Uniti.

Anche se De Gasperi non ritiene possibile questa equidistanza nel biennio 1944-45 ritiene auspicabile un riavvicinamento con l’Urss: la politica dimostra di saper realisticamente valutare i vantaggi in termini di interessi nazionali di avere un canale aperto con i sovietici,; del resto le pressioni americane ancora non spingevano nel senso opposto, anzi c’era una spinta a favore molto consistente, esercitata dagli industriali che desideravano esportare prodotti finiti in Urss.

Gli ambienti politici e diplomatici si trovano d’accordo sul terreno di un progressivo avvicinamento ai sovietici, nonostante gli ostacoli rappresentati dalla scarsa fiducia sovietica e dalla nascita delle sfere di influenza.

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Renato Prunas diplomatico…p.304 e DDI, serie X, vol II, Prunas a Quaroni 24 maggio 1945 D. 345

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ACS Carte Sforza b 10 f. Dispacci e lettere 1947 31 agosto 45 n. 3/1453 414