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3. Guardando ad Est: l’azione diplomatica di Palazzo Chig

3.4. Il momento elettorale e le trattative commercial

Con l’avvicinarsi delle elezioni, in un clima politico così acceso, si moltiplicano gli articoli dei giornali sovietici riguardanti l’Italia, mentre i toni sono sempre più aspri475. Anche la classe dirigente e la diplomazia sovietica si concentrano con maggiore attenzione, mai così intensa, sul destino politico della penisola. La posizione della diplomazia dell’Urss però è incerta: per ostacolare il piano Marshall e continuare a contestare l’egemonia angloamericana era utile sostenere gruppi antigovernativi in Italia? Al Cremlino prevale la prudenza. Si tende così a ridimensionare il ruolo giocato dall’Urss nel caldo autunno del ‘47 (occupazione della prefettura di Milano 2 dicembre ‘47, elezioni amministrative dell’ottobre, rimpasto di governo nel dicembre ‘47, svolta rivoluzionaria del PCI), infatti Morozzo Della Rocca afferma: “alla base delle agitazioni comuniste più che l’Urss c’era il malcontento popolare”, la

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Isvestija “La politica estera dell’Italia” 26 settembre ‘47; Trud “La situazione dei lavoratori in Italia” 4 ottobre ‘47; Pravda “La classe politica italiana” 26 ottobre ‘47; sta in La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p 320

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Diari di Mosca…p 120

svolta deflazionista di De Gasperi e Einaudi, la disoccupazione e la lentezza della ricostruzione476. Brosio ricorda come l’Urss avrebbe potuto appoggiare il movimento rivoluzionario greco, più organizzato e con maggiori possibilità di vittoria, ma anche qui Mosca aveva preferito restare nelle retrovie. La politica sovietica era, secondo l’ambasciatore, attendista: poiché il potenziale bellico dell’Urss era nettamente inferiore a quello degli Stati Uniti, era più utile e meno dispendioso per il Cremlino perseguire un’offensiva politico-ideologica per arginare l’avanzata della zona d’influenza statunitense477. Così in Italia l’azione sovietica rimase circoscritta alle dichiarazioni delle delegazioni sindacali inviate nel paese, ai rimproveri contro Togliatti nel Cominform, alle “frasi fatte” dei rappresentanti diplomatici a Roma. Intanto da Mosca continuava l’offensiva giornalistica: analizzando un campione di giornali nel periodo dal 2 al 9 dicembre ‘47 Morozzo Della Rocca mette in evidenza come il 75% degli articoli nei diversi quotidiani parlava dell’Italia. La “Pravda” accusava gli americani di ritardare il ritiro delle truppe dal paese, il 4 dicembre, e il giorno dopo criticava l’intervento diretto di Washington nella politica italiana, l’ “Isvestija” parla dei tumulti nel mezzogiorno il 5 dicembre usando gli stessi toni celebrativi che aveva adottato descrivendo l’episodio dell’occupazione della prefettura di Milano il 28 novembre precedente478. In generale si tende a differenziare tra l’Italia come entità politico- sociale, fatta di proletari, di operai, di un tessuto socio-economico su cui può far presa l’offensiva ideologica sovietica e il governo italiano, rappresentante degli interessi imperialisti e completamente succube degli Stati Uniti. Inoltre nella pubblicistica sovietica le critiche all’Italia non vanno nella direzione di un colpo di stato rivoluzionario ma mirano a contestare la presenza statunitense e in generale la politica filo-occidentale del governo, che in questo periodo (dicembre del 1947) si traduce nell’adesione al Piano Marshall. Gli scioperi dell’autunno/inverno sono giustamente interpretati dal Cremlino come elementi di contestazione e di disturbo dell’attività governativa, non come scintille pre- rivoluzionarie. A fine dicembre però si esaurisce la corrente contestatrice, ma l’Urss non abbandona l’interesse per l’Italia: ad occuparsi degli affari italiani viene chiamato un ministro d’esperienza, Andreij Vysinsky, personaggio politico importante che già si era occupato dell’Italia in qualità di membro del Comitato Consultivo Alleato e che tra l’altro era noto negli ambienti diplomatici per aver rotto l’isolamento diplomatico del nostro paese dando avvio alle relazioni italo-sovietiche. Tutto fa sperare in una politica di addolcimento. L’offensiva giornalistica non si ferma479 ma l’opposizione di Vysinsky e l’apertura dei negoziati commerciali sono segnali forti quantomeno della volontà di Mosca di riattivare il canale diplomatico. L’aggressività ideologica è una caratteristica oramai radicata nella politica estera 476

La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p. 400

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Diari di Mosca…p 131-143

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La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-48)…p. 378

479 “Tempi Nuovi” il primo gennaio ‘48 critica i traffici Usa-Italia: si accusa il governo italiano di vendere agli Stati Uniti il carbone polacco e il petrolio romeno al triplo del prezzo d’acquisto e in cambio di prodotti finiti. Ancora “Tempi Nuovi” il 7 aprile ‘48 asserisce che il governo ha iniziato le trattative commerciali con Mosca solo per scopi propagandistici. La “Pravda” denuncia lo sfruttamento delle colonie italiane da parte degli angloamericani per installare basi militari. Ancora la “Pravda” il 15 aprile ‘48 critica i diplomatici italiani che volevano scindere i negoziati commerciali dal pagamento delle riparazioni, con l’intento manifesto di non pagare mai il debito ereditato dalla guerra. Dal gennaio all’aprile nei vari giornali si susseguono e si ripetono le accuse di inadempienza rivolte contro il governo italiano. La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-

sovietica, ma altrettanto radicato è il realismo politico: se il Cremlino aveva visto dei vantaggi politici- economici a trattare con l’Italia, nessuna ideologia l’avrebbe ostacolato.

Nel periodo intercorso tra la conclusione della guerra e la polarizzazione, arrivata con il 1947, al livello internazionale nascono i primi segni di Guerra Fredda, mentre al livello più specifico delle relazioni italo-sovietiche si sviluppano tutta una serie di dinamiche, spesso legate all’evolversi della situazione internazionale, come il considerare l’Italia appartenente al blocco statunitense, il richiamo alla dipendenza di Roma da Washington, ma altre volte dipendenti dalle convinzioni, posizioni, orientamenti rispettivamente del Ministero degli Esteri Sovietico e di Palazzo Chigi. E’ il caso del giudizio sovietico sull’Italia, ex stato fascista, sconfitta dalla guerra che deve solo ringraziare per ogni soddisfazione in politica estera, come dell’impressione di debolezza che Mosca conserva riguardo al governo italiano e all’economia della penisola. Tutto ciò ostacola una presa di contatto seria e significativa. L’Urss davanti alla chiusura angloamericana nei confronti di Bulgaria e Romania, reagiva negando ogni soddisfazione all’Italia. La questione di Trieste nella seconda metà del ‘46 e, nell’estate ‘47, l’adesione italiana al Piano Marshall causano un raffreddamento delle relazioni Roma-Mosca. Secondo Della Rocca ancor più importante era il fatto che l’Italia fosse al margine della politica globale sovietica: questa marginalità è evidente quando nei colloqui tra rappresentati italiani e sovietici, gli ultimi spesso accennavano a “questioni più importanti” che assorbivano tutta la loro attenzione. Ma questa marginalità fu sostituita da una sempre crescente attenzione al momento delle lotte operaie e con l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale.

In realtà più che il giudizio della dirigenza sovietica riguardo all’Italia e gli attacchi dei giornali sovietici, ad allontanare Roma e Mosca erano le questioni contingenti. Proprio come aveva intuito l’ambasciatore Brosio, a superare i problemi contingenti, come il revisionismo e la questione triestina, quindi a riavvicinare l’Urss all’Italia, era il linguaggio dell’interesse. Quando il nostro paese riuscì ad offrire all’Unione Sovietica sufficienti vantaggi economici, allora si assistette ad un notevole miglioramento delle relazioni bilaterali. L’unico linguaggio che Mosca era disposta a parlare con l’Italia era appunto quello dell’utile, ancor di più con il nostro paese, alle soglie della sfera d’influenza statunitense e indebitato con il Cremlino. Dall’Italia l’Urss poteva ottenere una serie di vantaggi politici, oltreché economici, stava alla nostra diplomazia offrirne di talmente attraenti da rompere la barriera ideologica e superare le questioni divisive pregresse.

Brosio ebbe la fortuna di intuire tutto ciò, per questo dal settembre ‘47, quando si recò a Roma, si dedicò allo studio della questione delle relazioni commerciali. Per stabilire un canale con Mosca si dovevano trovare tutta una serie di vantaggi che permettessero al Cremlino di superare le pregiudiziali ideologiche e politiche, insieme alle differenti posizioni politiche su questioni divisive quali le riparazioni, la consegna delle navi, i confini orientali . Paradossalmente il potere sovietico era

facilmente corruttibile e il merito della nostra diplomazia sta proprio nell’aver trovato con cosa corrompere questo potere: così all’Italia, ex-stato fascista, aggressore dell’Unione Sovietica, paese macchiatosi di un crimine incancellabile, furono aperte le porte di Mosca e fu concessa l’opportunità di negoziare un trattato commerciale.