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2. Politica estera italiana post res perditas (1943-47)

2.1. Gli albori (1943-45)

Mussolini viene arrestato il 25 luglio 1943 e il Maresciallo Badoglio prende le redini del governo, intanto da Lisbona l’ambasciatore Lanza d’Ajeta, che aveva parenti negli Stati Uniti e conosceva il Segretario di Stato Summer Welles, comincia a sondare gli alleati per porre fine alle ostilità. Roberto Guariglia, che era stato nominato ministro degli Esteri agli inizi di febbraio, continua le conversazioni con i tedeschi e si incontra, accompagnato dal generale Ambrosio, il 6 agosto a Tarvisio con Ribbentrop e Keitel per negoziare il rimpatrio di truppe italiane dalla Francia e dalla Croazia. Guariglia inoltre denuncerà l’entrata clandestina di truppe tedesche nel Nord Italia. Intanto un diplomatico italiano a Tangeri, Berio, il 5 agosto inizia il negoziato con la Commissione Unificata Alleata per produrre un armistizio126. Alla Conferenza di Quebec Churchill e Roosvelt discutono il futuro dell’Italia, optando, come ricorda Luciolli, per l’unconditional surrender. La testimonianza di Luciolli è interessante, per avere un’idea della visione d’insieme, dell’interpretazione politica che alcune frange mondo diplomatico davano a quegli eventi: “dopo qualche giorno [dal 25 luglio] cominciai a pensare che si fosse finalmente presentata all’Italia e agli anglo-americani l’occasione di compiere un’operazione politico- militare d’enorme importanza e cioè di far coincidere la capitolazione italiana con lo scardinamento del 126

J.B. Duroselle (trad. Pietro Pastorelli) Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, LED Edizioni Universitarie di Lettere Economia e Diritto, 1998

sistema difensivo tedesco in Italia e nei Balcani” dopo la richiesta di collaborazione da parte di Badoglio gli angloamericani sono disorientati “ ma da un lato erano incapaci di improvvisare un piano strategico diverso da quello che avevano già e che comportava lo sbarco a Salerno. D’altro lato non riuscivano a intendere che in quel momento gli interessi italiani coincidevano con i loro. Pertanto, interpretando l’aspirazione italiana a cooperare con loro come uno stratagemma di un governo ancora fascista e desideroso di procrastinare o attenuare la propria rovina, si trincerarono dietro la formula “unconditional surrender” (---) Cosicché il crollo del regime fascista non avrebbe fruttato loro militarmente nulla più di quanto avrebbero ottenuto anche senza di esso127” . Luciolli dimostra di avere una visione tecnica, “de-ideologizzata” sulla situazione internazionale: anche nelle pagine precedenti il diplomatico non si dispera per il crollo del regime né ostenta un forte antifascismo, preferisce continuare nello spirito di servizio a favorire gli interessi del suo paese che adesso sono un armistizio giusto e la sconfitta dei tedeschi. Servizio è una parola ricorrente nelle biografie dei funzionari del Ministero, che la usano per qualificare la nuova professione a cui dedicheranno la loro vita, proprio come i vecchi príncipi quattrocenteschi e il loro “servigio” alla causa del sovrano o della repubblica. Nella biografia non c’è un punto di rottura psicologico, Luciolli continua appunto a servire gli interessi del suo paese che non è più una dittatura fascista, ma un regime militare: ritorna quello che dicevamo a proposito dell’epurazione, il corpo diplomatico non era autenticamente fascista, piuttosto un’elite conservatrice che accettava di servire un dittatore o un militare, il monarca, chiunque rappresentasse gli interessi della Patria. Sicuramente un elemento che contraddistingue il mondo diplomatico è la fedeltà

all’interesse nazionale, fedeltà che nel periodo post-fascista porterà a molti funzionari seri problemi con

la giustizia. Tornando strettamente ai fatti e all’interpretazione che ne dà Luciolli, è evidente come il diplomatico non tenga conto di tutti i fattori internazionali che determinavano l’azione angloamericana: un’invasione italiana, inglese ed americana nei Balcani sarebbe stata intollerabile per i sovietici, i quali avevano messo in chiaro accuratamente il discorso sulle “sfere d’influenza” già alla conferenza di Tehran128. Luciolli dimostra di avere una visione ancora “provincialistica” della situazione mondiale, non si tratta di conciliare gli interessi di una nazione con quelli di un’altra, considerando gli angloamericani come l’espressione di una linea politica, su un piano di rapporti bilaterali, oramai agire sullo scenario internazionale significa andare a toccare gli interessi anche di altri paesi, magari geograficamente e culturalmente lontani ma ugualmente presenti, pronti a far valere il proprio peso politico-militare. Di nuovo la diplomazia rimane ancorata ad un modo di guardare il mondo oramai superato e incompatibile con una realtà che andrà sempre più complicandosi verso la Guerra Fredda. La storia contemporanea, come afferma Petracchi129, è storia internazionale, ma questo Luciolli come altri diplomatici di carriera, non l’avevano capito ed affrontarono le sfide di quegli anni di Ricostruzione con

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Palazzo Chigi anni roventi…p.130

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Sulla definizione delle sfere di influenza e il dibattito tra le tre Grandi Potenze vedi Bettanin Fabio, Stalin e l'Europa: la

formazione dell’impero esterno sovietico 1941-1953, Carrocci, 2006

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una consapevolezza, con una visione del mondo orientata, come nel passato, sull’Italia e sull’interesse nazionale.

Il 15 agosto il generale Castellano, capo dello Stato Maggiore del generale Ambrosio, va a Madrid dove si incontra prima con l’ambasciatore inglese Samuel Hoare, poi con i generali Badell Smith (Stati Uniti) e Strong (Gran Bretagna). Con questi discute il testo dell’armistizio breve, mentre i generali rimandano ai rispettivi governi la stesura dell’”armistizio lungo”, comunicato a Castellano il 19 agosto. Badoglio autorizzerà Castellano a firmare l’armistizio breve il 2 settembre, il 3 a Cassabile l’Italia si arrende agli Alleati130. Al momento dell’annuncio radiofonico dell’armistizio, l’8 settembre, il re e il governo fuggono da Roma a Brindisi.

Inizia così il processo di ricostruzione dell’apparato diplomatico. Il due settembre 1943, quando la guerra imperversava sul fronte occidentale e Stalingrado era sotto assedio, gli alleati, sbarcati ormai da due mesi in Italia, ricevono una nota, presso il Comando Unificato Alleato in cui si legge: “dato l’arrivo a Brindisi di un gruppo di funzionari diplomatici e rappresentanti consolari rinasce il Ministero degli Affari Esteri”. Quello che prima era la Sezione Esteri dell’Ufficio Affari Civili del Capo del Governo diventa un organismo ministeriale. Così era rinato anche il governo italiano: funzionari dell’apparato statale e militari erano rimasti compatti e dopo la liberazione si erano ritrovati ed avevano ricominciato la loro attività dirigenziale. La sezione esteri di questo governo si era agganciata soltanto più tardi, quando il numero di diplomatici e consoli a Brindisi aveva raggiunto una quantità sufficiente a riprendere il lavoro “non perché vi fossero reali necessità al momento, ma per ricreare una struttura in vista del ritorno a Roma131”.

Mentre non si può parlare ancora di una ricostruzione al livello politico perché fino al 22 aprile 1944 alla guida del paese rimarrà un governo militare con una visione politica ristretta, che puntava soltanto alla sopravvivenza e alla preservazione della monarchia. Proprio perché è l’apparato diplomatico a riformarsi per primo, nelle sue strutture e soprattutto in continuità con le direttive del passato: molti dei funzionari del passato regime, La Terza, Prunas, Quaroni, Lanza d’Ajeta, sono rimasti operativi, continuando ad attuare una qualche forma di azione politica. In realtà nonostante la rinascita embrionale di un amministrazione interna non c’è un organismo o una figura che dia continuità all’azione diplomatica dei singoli: Lanza d’Ajeta continua a cercare il contatto con gli alleati, Luciolli racconta di aver incontrato il comandante inglese cercando di strappare qualche agevolazione per la minoranza italiana a San Sebastiano, Quaroni in Afganistan cerca di informarsi dagli inglesi.

A mettere ordine al caos arriva la nomina di Renato Prunas a Segretario Generale. Secondo Gianluca Borzoni, l’autore di un’opera illuminante sul diplomatico sardo132, Badoglio scelse Prunas per una serie di ragioni: in primis la vicinanza fisica del diplomatico, in servizio a Lisbona, la sua buona carriera e la 130

Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni…p.351

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Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni…p.353

giovane età (51 anni) inoltre la sua conoscenza del mondo inglese e francese anche grazie all’amicizia con Massigli e Bonnet. Inoltre Prunas aveva legami stretti con i paesi latini data l’esperienza portoghese ed era estraneo ad ogni diretto coinvolgimento con il fascismo (aveva però, come gran parte dei diplomatici la tessera del PNF). Spulciando le carte del Ministero però è evidente come in certi ambienti si preferisse a Prunas il più pratico e schietto Pietro Quaroni, funzionario d’ambasciata a Kabul. Poi, un po’ per la lontananza del diplomatico un po’ per l’opposizione inglese (secondo Enrico Serra Quaroni aveva causato non pochi guai alla Corona in Afganistan) si scelse il più giovane funzionario sardo. L’incarico di Prunas si inserisce in un momento di estrema tensione tra gli Alleati e il governo Badoglio, infatti con la Conferenza di Malta era nato il Comitato Consultivo per l’Italia (Gran Bretagna, Urss, Usa, CLN francese) che stringeva ancora di più le morse del controllo alleato, affiancandosi alla Commissione Alleata, inoltre Badoglio stesso aveva proposto Dino Philipson, un diplomatico, come parte italiana del Comando Supremo Alleato di Algeri, ma la sua proposta era stata rifiutata in quanto Philipson non era un militare. Prunas aveva in realtà protestato dicendo che l’armistizio parlava di un rappresentante italiano ad Algeri e non ne specificava la natura, ma sembra che, come per quanto riguarda le trattative per l’armistizio, gli alleati in questo frangente vogliano parlare soltanto con militari italiani. Di nuovo, accusa Prunas, siamo di fronte ad un’interpretazione restrittiva dell’armistizio. Del resto per il Segretario Generale, la diplomazia non dovrebbe concentrarsi su Algeri ma su Brindisi, sulla Commissione Alleata per riuscire a prendere parte ad alcune delle sue neonate sottocommissioni, le quali si occupavano più direttamente dei problemi italiani133. Badoglio allora tenta la strada del Comitato Consultivo, proponendo al vice presidente della ACC il nome di Pranas, ma anche su questo gli alleati appongono il loro rifiuto, che come sempre per intercessione americana non vuole apparire come una brusca chiusura: infatti viene proposto a Badoglio di intervenire alla riunione dell’organo, i primi di gennaio 44, accompagnato dai segretari (che saranno Cuomo, Eugenio Reale, Jung e Prunas).134 In questa preziosa occasione Badoglio ribadisce la volontà di allargare le basi del suo governo ai partiti antifascisti e ricorda la cobelligeranza italiana, un leitmotiv della diplomazia italiana.

In una situazione di “Italia minorenne” come ricorda Badoglio, Prunas segue la linea del generale ma ricerca anche un canale d’azione tutto suo: l’autonomia del Segretario Generale è un caso unico della storia del Mae, il decreto del 1 novembre ‘43, stabiliva che il SG doveva firmare tutti i documenti del MAE e svolgere parti delle funzioni del ministro (il quale era rimasto a Roma, dopo la caduta di Mussolini, e al momento non poteva esercitare le sue funzioni a causa dell’occupazione tedesca, appena gli alleati entrarono nella città Roberto Guariglia fu infatti destituito e l’incarico ad interim andò allo stesso Badoglio. Egli non poteva del resto occuparsi compiutamente di tutto e delegò parte dei suoi obblighi a Prunas). Così Prunas si convinse, secondo Roberto Gaja135, che l’obiettivo principale della

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Sta in DDI, serie X vol I Prunas a Badoglio 29 novembre ‘43 D.83 e 2 dicembre ‘43 D. 86. 134

Renato Pruans diplomatico…p.88

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R Gaja, L’Italia nel mondo bipolare. Per una storia della politica estera italiana, Bologna, il Mulino, 1995, p. 277

diplomazia doveva essere quello di far riconoscere agli alleati il cambiamento di campo operato dall’Italia e come conseguenza inevitabile ottenere il reinserimento dell’Italia nella società internazionale. Un canale importante secondo il diplomatico doveva essere quello francese, insieme a quello sovietico: Francia e Urss “erano le due grandi nazioni (…) delle quali si poteva intuire l’atteggiamento di sospetto e di sfavore verso il monopolio anglosassone negli affari italiani136”. Prunas tentò un primo passo parlando con Massigli, membro francese del Comitato Consultivo e per questo alloggiato a Brindisi, il 6 dicembre ‘43: il SG accenna alla comune discendenza latina, al problema africano (non era chiaro se il trattato franco-italiano per Tunisi del 1896 fosse o meno ancora in vigore), al comune isolamento mentre dichiara il ritiro di pubblicazioni antifrancesi infine viene decisa una linea di comunicazione diretta tra i due paesi, il generale Castellano ad Algeri doveva essere informato dai francesi della situazione presso gli organismi alleati, mentre Panafieu sarebbe stato il referente del governo di Parigi in Italia. Castellano riferirà direttamente a Prunas e al fidato consigliere Manzini, Badoglio non doveva essere direttamente interpellato. Con l’Unione Sovietica Prunas aveva avuto i primi contatti tornando a Brindisi passando da Algeri: si era convinto che l’Urss non tollerava l’esclusione dal suolo italiano e che quindi fosse opportuno iniziare una qualche forma di dialogo coi sovietici. Così chiede udienza al delegato dell’Urss presso il Comitato Consultivo, Vyšinskij. Questi però al momento è tornato in patria e sarà di nuovo in Italia solo a inizi gennaio ‘44, in occasione della riunione del comitato e soltanto dopo aver viaggiato per il paese testandone gli umori politici. L’11 gennaio ‘44 avviene il colloquio, Vyšinskij è “serio, pacato, riflessivo, male informato ma volenteroso di capire”, Prunas gli parla dei prigionieri e dei beni italiani in Urss infine del ritorno di Togliatti137. Lo stesso giorno il SG incontra di nuovo Massigli a Ravello, il francese è particolarmente interessato alla situazione economica dell’Italia: Prunas sa che la Francia vuole più di tutto assicurarsi le riparazioni. Il giorno seguente incontra Vyšinskij a Salerno e lo convince ad avanzare la proposta di riconoscimento diplomatico, la quale non poteva certo venire dall’Italia. Secondo Borzoni Prunas guarda non solo agli effetti in politica internazionale del gesto (possibilità di far leva sul crescere dell’influenza sovietica che gli alleati non possono eguagliare perdurando il regime di armistizio/resa incondizionata) ma anche di politica interna, ovvero la possibile “pacificazione” del PCI e l’eventualità di un allargamento di governo.

Il 4 marzo Bogomolov, succeduto a Vyšinskij, chiede un colloquio con Badoglio in cui esprime il rifiuto russo ad assumersi la paternità dell’eventuale apertura diplomatica. L’impressione che ricava Prunas di Bogomolov è quella di un funzionario, un burocrate, fortemente ostile agli Stati Uniti. Il SG confida in

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ASMAE, Archivio del personale, serie I, II versamento b. 106 f. I-P-17 appunto di Prunas 23 novembre ‘43

137 Palmiro Togliatti il 9 dicembre aveva inviato una lettera a Prunas in cui chiede di essere rimpatriato. Prunas chiede informazioni ad Ankara (Rocco) il quale risponde il 23 dicendo che sono circa 150 gli esuli antifascisti, molti in Siberia. Intanto Badoglio, riflettendo l’opinione dei servizi segreti britannici, fa sapere che non vuole troppi rimpatri, teme che i rimpatriati siano “agenti bolscevichi”. Il telespresso da Ankara con il numero preciso dei richiedenti (numero che se conosciuto probabilmente avrebbe allarmato Badoglio) arriverà soltanto il 10 gennaio 1944, ma la decisione è già presa, il 29 dicembre Prunas comunica all’ambasciata turca che Togliatti può rientrare con tutti quelli che sono con lui a patto che essi comunichino il proprio nome alle autorità competenti. Il telegramma arriverà ad Ankara solo ai primi di gennaio 1 9 4 4 e le operazioni si avvieranno a fine mese. Renato Prunas diplomatico…p 101

questo antiamericanismo e il 7 marzo fa avere al diplomatico sovietico la lettera in cui si chiedeva di nuovo l’apertura di relazioni dirette, Bogomolov temporeggia e intanto chiede una base aerea tra Bari e Brindisi per mantenere i contatti coi partigiani titini.138 L’8 marzo a Palazzo Chigi inizia la ricerca di un possibile candidato per la missione sovietica e Prunas fa il nome di Pietro Quaroni.

L’11 marzo Bogomolov consegna a Prunas la risposta sovietica: dopo aver preso in esame la richiesta italiana, l’Urss aveva deciso di accettare l’apertura di un canale diplomatico139.Così il Segretario Generale riferisce l’iniziativa anche agli alleati e negli stessi giorni parla con Samuel Reber, vice-capo della sezione politica della ACC: il governo italiano comunica ai sovietici la generica volontà di un riavvicinamento, volontà più volte espressa anche nei confronti di altri governi delle Nazioni Unite, la risposta sovietica è stata inaspettata, un segno di apertura che dovrebbero imitare gli angloamericani . Reber allora si convince che l’iniziativa è sovietica, l’Italia non poteva rifiutare in quanto la richiesta era stata formulata da un governo alleato per cui Roma non aveva infranto il testo dell’armistizio che vietava all’Italia di intraprendere ogni azione internazionale senza interpellare l’ACC. Il 13 marzo anche i sovietici riferiscono dell’iniziativa, presentandola come richiesta italiana: Bogomolov parla con Reinhardt e Mac Millan al Comitato Consultivo140, ma al Foreign Office il punto di vista sovietico non sembra credibile, come nel caso dell’Egitto e dell’Iraq l’Urss aveva lanciato il sasso e nascosto la mano. Anche gli americani sembrano credere alla versione di Prunas, tra l’altro l’unica che evitava di presentare l’iniziativa come una violazione dell’armistizio. Tra le polemiche, il 14 marzo viene pubblicato il comunicato ufficiale del ristabilimento delle relazioni tra Italia e Unione Sovietica, nel testo però l’iniziativa si presentava come il frutto di una richiesta italiana formulata a Bogomolov il 7 marzo. Prunas continua a sostenere che la lettera del 7 marzo esprimeva la generica volontà di un miglioramento dei rapporti e che suddetta lettera era stata interpretata in senso estensivo dal governo di Mosca.

Dopo l’annuncio del 14 Eden, ministro degli esteri inglese, reagisce duramente: il governo monarchico- militare capeggiato da Badoglio, su cui Chuchill aveva investito tutta quanta la sua fiducia, li aveva traditi. Il 15 marzo al Comitato Consultivo Massigli, Macmillan, Reinhard si scagliano contro Bogomolov il quale dipinge tutta quanta la vicenda come una cosa di minore importanza e di nuovo ribadisce che l’iniziativa era stata italiana. Prunas, però, con Harold Caccia (membro inglese dell’ACC) e Reber, continua sulla sua posizione: l’Unione Sovietica con il suo gesto si era collocata su un piano estremamente più propizio e più solido rispetto agli alleati, “inchiodati entro la gabbia dell’armistizio” “e della ACC” “cioè sul duro, illiberale, inintelligente, terreno della resa senza condizioni141.”Quello che

Prunas vuole più di tutto non è tanto stabilire di chi sia la paternità dell’iniziativa, argomento da cui vuole sviare l’attenzione dei suoi interlocutori, ma dare un contenuto reale alla cobelligeranza, 138

ASMAE , Archivio del personale, serie I, II versamento b. 106 f. I-P-17 139

DDI, serie X, vol. I Prunas a Badoglio 11 marzo 1943 D. 159 140

FRUS, 1944, The British Commonwealth and Europe, vol III, Harriman (ambasciatore in Urss) a Cordell Hull (Segretario di Stato), 13 marzo, p. 1046-47

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abbandonando il paradosso italiano di essere sia cobelligerante che nemico sconfitto. Gli americani sembrano più propensi ad ascoltare le ragioni italiane142, gli inglesi, turbati anche dalla nebulosità dell’accaduto, inviano Eden ad Algeri per insistere energicamente sull’illegalità del passo fatto dagli italiani i quali non avevano l’autonomia per riprendere di loro iniziative le relazioni diplomatiche con qualsiasi altro paese. Il 25 marzo Mason MacFarlane, nuovo vice presidente dell’ACC, si incontra con Badoglio e gli ricorda che l’Italia non ha il diritto di prendere parte ad accordi senza consultare la ACC, in Gran Bretagna infatti il ricordo della guerra fascista è ancora vivo e forte e non si possono ancora ignorare queste voci dell’opinione pubblica, “l’albero dell’amicizia non ha messo ancora solide radici”143

. Dopo l’incontro viene redatto un memorandum che riassume le posizioni degli anglo- americani.

Continuano i rapporti con la Russia, nel colloquio tra Bogomolov e Prunas il 27 marzo vengono approvati i rispettivi ambasciatori, Kostylev a Roma e Quaroni a Mosca. Il SG però non può che rifiutare la richiesta sovietica di un appello agli slavi in Italia perché combattano i tedeschi a fianco di Tito. Simile appello infatti sarebbe stato un invito ad abbandonare il Regio Esercito per combattere nelle truppe partigiane jugoslave ed avrebbe quindi autorizzato implicitamente la diserzione. Inoltre gli angloamericani non vogliono impiegare sul campo le forze militari italiane, meno che mai a fianco di Tito. In generale, dopo il memorandum del 25 marzo, per l’Italia non è possibile andare oltre lo scambio di ambasciatori con l’Urss e le relazioni italo-sovietiche subiscono subito una fase d’arresto.

Il valore simbolico, però, del gesto compiuto, a detta degli italiani, dall’Urss viene spesso rievocato nelle discussioni con gli alleati: il 31 marzo nei colloqui tra Prunas e Ricca, addetto allo Strategical