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2. Politica estera italiana post res perditas (1943-47)

2.3. L’Età adulta: gennaio-dicembre

La scissione socialista a Palazzo Barberini (20 gennaio ‘47), da cui nascerà il Partito Socialista Democratico Italiano, porrà fine al soggiorno di Nenni a Palazzo Chigi. Nel paese si crea scompiglio: cade il secondo governo De Gasperi (10 luglio 1946-28 gennaio 1947) e molti deputati si dimettono. Di nuovo ci si affida al leader democristiano per risolvere la crisi. E’ significativo che in un momento di incertezza politica ma anche internazionale (la parentesi socialista agli esteri non cambia le sorti dell’Italia, decise alla conferenza dei 4 e ribadite a quella dei ventuno), il capo del governo dimissionario, incaricato di comporre una nuova maggioranza, lasci il paese. Ma De Gasperi ha una meta precisa: gli Stati Uniti. Dal 5 al 15 gennaio intraprende un viaggio nel cuore degli States, riportato dettagliatamente al MAE232. De Gasperi è accolto personalmente dall’ambasciatore Dunn, che non si recava di persona ad accogliere i suoi ospiti da prima della guerra e da vari funzionari della direzione affari politici, a Washington incontra membri del Senato (tra cui il candidato alla presidenza Taft e Vandemberg, presidente del Senato e della Commissione senatoriale per gli Affari Esteri ), del Dipartimento di Stato, l’ammiragli Leahy e Nimita, giornalisti come Lippman e Reston del New York Time, visita luoghi simbolici della storia americana (tomba di George Washington, monumento al milite ignoto, dove è accolto dagli onori americani, salve d’uso,plotone d’onore con la bandiera italiana, banda della marina ecc), partecipa alla seduta del Congresso (6 gennaio),nella posizione d’onore, sul “floor”, vicino al seggio presidenziale, e infine ha vari colloqui con importanti figure politiche, il segretario del tesoro, i sottosegretari di stato Acheson e Clayton, il segretario di stato dimissionario Byrnes (con cui parla 6 volte in tutto), il 7 parla anche con Truman. Prima di lasciare la città De Gasperi è invitato alla prestigiosa Georgetown University e alla seduta straordinaria dell’Unione Panamericana. A Chicago De Gasperi incontra il sindaco e le autorità locali, tra cui il cardinale Stritch. Così a Cleveland, dove al Forum offerto da “Time Magazine” De Gasperi parla di una necessaria revisione dei trattati. A New York incontra il repubblicano Dewey, già candidato presidenziale nelle elezioni del 1944, con Taft e Vandemberg, “la triade più in vista del partito repubblicano” come sottolinea Tarchiani. De Gasperi tornerà poi a Washington per parlare con Byrnes e ripartirà per l’Italia. Concludendo il suo rapporto

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Varsori “De Gasperi, Nenni, Sforza” sta in Power in Europe... e Pietro Nenni I nodi della politica estera italiana, SugarCo, 1974

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Tarchiani è colpito dal fatto che queste personalità così eminenti non abbiano accennato alla questione del trattato di pace e vuole sottolineare la calorosità dell’accoglienza ricevuta dal presidente e dalla sua delegazione, soprattutto da parte delle masse italo-americane, presenti in ogni parata, ad ogni arrivo o partenza, ad ogni ricevimento pubblico dell’on. De Gasperi. Tutto ciò ha dato un carattere “storico” “(-- -)all’evento che chiude definitivamente il deprecato, tormentato periodo di una guerra insana ed inizia una nuova fase di sempre maggiore amicizia tra due Nazioni basata sulla reciproca fiducia e nel mutuo rispetto (…) E’ stata sostanzialmente creata una piattaforma sulla quale si potrà, è da sperare, cominciare a costruire solidamente, se vorremo e sapremo utilizzare adeguatamente i mezzi coerenti, adeguati agli scopi da raggiungere”. Tarchiani riporta con gioia un pezzo del comunicato ufficiale del Dipartimento di stato sulla visita: “L’italia, stabile e democratica, nuovamente svolgerà una parte importante in un mondo pacifico.” Sicuramente il viaggio dell’on. De Gasperi ha facilitato la comprensione reciproca dei due paesi: i delegati italiani comprendono che se l’Italia mostrerà un governo stabile in grado di saper gestire gli aiuti economici, otterrà l’incondizionato appoggio statunitense, mentre gli States si convincono che la stagnazione economico-politica nella penisola è da imputare solo esclusivamente ai comunisti. In più con la visita di De Gasperi l’Italia ottiene 100 milioni di dollari negoziati in forma di crediti per la ricostruzione (ne otterrà altri 176 il 17 novembre 1947 grazie all’azione di Tarchiani). Si può parlare di guadagni in termini economici per l’Italia? In termini politici? In termini culturali? Dal punto di vista economico Varsori233 suggerisce che questi crediti arrivavano in ritardo ed erano una goccia nell’oceano messi a confronto con gli enormi problemi della bilancia dei pagamenti italiana, la cessione di dollari a credito da parte dell’alleato statunitense era piuttosto un elemento, un fattore, di propaganda, come afferma anche Pastorelli234. Dal punto di vista politico De Gasperi ottenne quello che cercava già dal novembre ‘46, quando le elezioni amministrative a Roma avevano fatto registrare un’importante battuta d’arresto al suo partito: cioè l’appoggio statunitense alla Democrazia Cristiana. Così il vantaggio politico andò ai democristiani che divennero interlocutori privilegiati di Washington, ottenendo così uno status egemonico nazionale e internazionale. Durante l’esperienza dei negoziati sulla forma del trattato di pace italiano, De Gasperi sperimenta fisicamente e personalmente la vicinanza degli Stati Uniti, i quali avevano fatto da mediatori tra le richieste francesi e quelle italiane per i territori in Piemonte e Valle d’Aosta235 in più si erano dimostrati disponibili nelle persone del sottosegretario Byrnes, dell’ambasciatore Dunn, del capo delle Commissione Alleata Ellery Stone, quantomeno ad ascoltare le richieste italiane236. Questa vicinanza tra

233 Varsori Antonio (a cura di), Storia della politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-1957)… 234

Pastorelli Pietro, La politica estera italiana nel secondo dopoguerra, il Mulino, 1987 235

Memorandum dell’Acting Secretary of State Joseph C. Grew delle conversazioni tra Truman, l’ambasciatore francese Henri Bonnet e il ministro degli Esteri francese M. Bidault “(…) it would be well to refer to the fact that French troops are still occupying areas in northwestern Italy contrary to the direction of Commander in Chief and that they have apparently refused to move. The French in this case are doing just about what Tito is doing in Trieste e Venezia-Giulia (…)in other words they are occupying territory, the ultimate possession of which is under dispute, and they are thereby prejudicing the ultimate settlement of these metters at the eventual peace conference”. FRUS, 1945, Diplomatic Papers, Europe, vol. IV, Italy, p. 1003

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il primo ministro e gli ambienti di Washington cresce dopo il viaggio oltreoceano del gennaio ‘47. Inoltre è importante ricordare tutto ciò risaltasse ancora di più in un panorama internazionale costellato da potenze più che ostili, velatamente indifferenti all’Italia. La Gran Bretagna si era dimostrata fredda di fronte al tentativo italiano di trattare con la Jugoslavia, mentre nella Commissione per le colonie perseguiva duramente i suoi interessi, i quali consistevano nella totale scomparsa dell’Italia dal Mediterraneo e l’acquisizione in conto riparazioni di una grossa fetta della flotta italiana. Gli ambienti del Foreign Office, inoltre, continuavano a criticare le lamentele degli italiani contro il trattato237. L’Unione Sovietica per parte sua continuava ad attaccare l’Italia: la Pravda definiva la penisola uno stato ex-fascista238. Sembra quindi che l’alleato statunitense si dimostrasse l’unico in grado di fornire l’appoggio internazionale che l’Italia necessitava per rientrare su un piano di parità nello scenario mondiale. Si viene quindi a creare una solidarietà tra Roma e Washington che, però, si concretizza in un appoggio all’on. De Gasperi e al suo partito. Infatti il primo ministro si presenta come l’unico interlocutore credibile, il garante della stabilità politica ed economica dell’Italia. Il leader della DC aveva intuito la necessità di un appoggio internazionale per raggiungere un primato nazionale, quale paese migliore se non gli Stati Uniti potevano fornire quest’appoggio, vista la posizione egemonica sullo scenario mondiale, la fratellanza ideologica, la vicinanza americana nella negoziazione dei trattati. La scelta dell’Occidente della D.C. fu quindi una scelta inevitabile, fornita dal contesto internazionale, per cui gli Usa si presentavano come l’unico interlocutore possibile, ma compiuta per scopi perlopiù politici239. Questa non fu una scelta ma una conseguenza inevitabile: “The Christian Democrats leaders were fully convinced that in order to maintain power it was essential to weld a new political social bloc guaranted on the international level by the United States as a power which manifested its undeniable intentions to maintain hegemony over Western Europe and its will to oppose the Soviet Union globally240”.

Questo allineamento era soggetto a due condizioni di esistenza che si verificarono nel 1947 e lo resero più forte, quanto meno costante, seppur soggetto a cali di intensità: “Although De Gasperi was forced to concentrate his attention on the problem of peace treaty, he was soon to be called upon to resolve another question: the choice between East and West. Such a decision, however, could be made only after the achievement of certain conditions: reinforcement of De Gasperi’s internal position and the assumption by the United States of precise commitments regards to Italy, going well beyond economic

94. Così molte voci dell’opinione pubblica italiana: Giorgrio Pace “Il blocco orientale-il blocco occidentale” , Corriere della Sera, ASMAE, A.R., b. 326 f. Collezione di telegrammi spediti per corriere al MAE

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Hoyer Millar: “Dovrebbe anche essere ficcato nella testa del conte Carandini che gli italiani invece di lamentarsi circa i termini del trattato di pace, dovrebbero ringraziare la loro buona sorte per non trovarsi nella stessa posizione di Germania e Austria” PRO FO 371 ZM 2547/1/22 17 luglio 1946. L’ambasciatore a Roma, Noel Charles, scrive a Bevin il 13 luglio 1946: “possiamo ricordare agli italiani del loro comportamento prima del settembre ‘43, che due anni di cobelligeranza non possono cancellare (vedi Germania) o possiamo sottolineare che la pace è questione di compromessi (vedi Russia)” La Gran Bretagna infatti oscilla tra un atteggiamento ostile, ampiamente condiviso nei quadri militari, e uno paternalistico “da Grande Potenza”, superiore alle istanze nazionalistiche di un popolo “ciarlatano”. Storia della politica estera italiana nel secondo dopoguerra

(1943-1957)… p 211-213.

238”

Pravda” 15 gennaio 1947 in La politica estera italiana e l’Unione Sovietica (1944-1948)… p.45 239 “La scelta dell’Occidente della DC” in Power in Europe.p.68

aid and the vague benevolence shown at the peace conference. These conditions were to be verified in the course of 1947241”.

Quindi se si può parlare di scelta per l’Occidente della Democrazia Cristiana non si può parlare di scelta dell’Occidente per l’Italia, che, appunto, era composta anche dai leader comunisti e socialisti (sempre al governo) ancora arroccati nel neutralismo, e dai funzionari di Palazzo Chigi (Ministero degli Esteri), i quali, invece, si limitavano a trarre il massimo vantaggio dalle relazioni bilaterali che la penisola manteneva ancora in piedi con i paesi sudamericani, con l’Est, con gli stati europei ecc..Certo, per quanto riguarda la DC, l’opinione di Varsori è che il dilemma insito nella scelta tra Est e Ovest non si fosse mai posto, ma non si può parlare di una scelta per l’Occidente dell’Italia intera, dell’Italia nel senso di quei personaggi politici e diplomatici che compivano le scelte internazionali in nome dell’Italia e che determinavano, con le loro scelte, la politica estera del nostro paese.

Negli ambienti del Ministero degli Esteri c’era chi rimaneva critico, come Quaroni, a quel tempo ambasciatore a Mosca, che era scettico riguardo alla verbosità degli Stati Uniti, infatti alle varie assicurazioni verbali e alle dichiarazioni di solidarietà non erano seguite azioni concrete alla conferenza di Parigi242 .

Del resto come afferma Di Nolfo: “Alla vigilia del famoso viaggio di De Gasperi negli Stati Uniti il processo di reinserimento dell’Italia nel sistema occidentale era già avvenuto e richiedeva soltanto alcune sanzioni esterne243.” Per reinserimento qui si intende l’entrata dell’Italia in quel sistema di relazioni tra gli stati aldiquà dell’Elba, soprattutto con gli Stati Uniti, il quale assumerà forme diverse a seconda dei periodi. Perché avviene questo reinserimento? Perché l’apparato politico italiano aveva già scelto la collaborazione con gli Stati Uniti, animato soprattutto da considerazioni appunto politiche. Infatti la scelta non fu motivata tanto dall’arrivo di aiuti, il cui peso per il periodo in questione è stato ridimensionato dalla storiografia, ma dalla volontà di sfruttare una finestra che Washington aveva aperto, a seguito di sue proprie considerazioni, sull’Italia (forte peso della comunità italo-americana, importanza di ricostruire finanziariamente l’Europa, la possibilità di trattative economiche con l’Italia da una posizione elevata, l’attenzione ad alcuni prodotti della penisola come i beni industriali)244. Il guadagno per i democristiani è soprattutto politico: con l’appoggio degli Stati Uniti si rafforza un certo tipo di sistema politico, basato sulla coalizione delle forze conservatrici con gli ambienti progressisti, militari, del Vaticano, industriali, ma anche professionisti e operai qualificati, artigiani ai quali si rivolge l’ala sinistra della DC. Questo sistema si era già venuto a creare a tutto vantaggio dei democristiani con 241

Ibidem

242 “l’esperienza fin qui fatta ha dimostrato che essi (gli Stati Uniti) siano leoni a Washington e pecore alla conferenza.” ASMAE, A.R., b. 326 f. Collezione telegrammi spediti per corriere al MAE Quaroni a Ministero degli Esteri 20 aprile 46. 243

Di Nolfo Ennio La Guerra Fredda e l'Italia in Storia della politica estera italiana nel secondo dopoguerra (1943-

1957).p.76

244 Di nuovo rimando al libro di Del Pero L’alleato scomodo…Vedremo anche più avanti come gli Stati Uniti si interesseranno progressivamente alla penisola, con l’intensificarsi del pericolo comunista: in questo caso le ragioni strategiche si

dimostreranno preponderanti in quanto l’Italia, con un forte partito comunista e una posizione geografica delicata, rischiava di cadere in mano sovietica.

la “ritirata strategica delle sinistre”, ma con il crescere del committement statunitense si rinforzerà creando un circolo che si autoalimenta: “i caratteri assunti nel 1947 dal sistema politico italiano e poi sostanzialmente preservati fino alla crisi del regime centrista, non erano determinati dall’appartenenza dell’Italia alla NATO, ma determinarono un certo modo di appartenere dell’Italia alla NATO245.” Quindi nonostante la diplomazia non avesse ancora preso posizione di fronte all’appartenenza occidentale e soprattutto all’intensificarsi dei rapporti con gli Stati Uniti, grazie all’azione del governo (De Gasperi) e grazie all’apertura degli Usa si determina una direttrice statunitense della nostra politica estera. Negli anni a venire perdureranno o meglio si solidificheranno le condizioni di esistenza di questa direttrice: la Democrazia Cristiana con il suo progetto di politica estera rimarrà al potere fino al 1953, inoltre i democristiani scopriranno progressivamente i vantaggi dell’alleanza americana mentre gli States si convinceranno dell’importanza strategica dell’Italia. Sarebbe però un errore interpretare la nostra politica estera secondo gli schemi dell’atlanticismo e dell’occidentalismo che vedono nella direttrice statunitense l’elemento trascinatore, determinante della nostra azione internazionale246. Infatti alla direttrice americana, alla scelta per gli Stati Uniti, si affiancheranno altre direttrici, altre scelte, spesso in contraddizione con la linea filo-statunitense di De Gasperi. La politica estera italiana non era determinata soltanto dall’apparato governativo; personalità rilevanti, figure storiche del mondo diplomatico collaboravano nel compiere scelte importanti, nel dettare linee di condotta, nel riorientare l’azione internazionale italiana. Così nella nostra politica estera, per quanto riguarda il periodo dal 1943 al 1947, coesistono, lottano, si contraddicono più direttrici, in primis quella statunitense e quella orientale, richiesta a gran voce da Quaroni e da Brosio.

Tornando ai fatti storici: stabilizzatosi il quadro politico italiano, nel febbraio 1947, si forma una nuova maggioranza con DC, PCI, Psi con De Gasperi ancora nelle vesti di capo del governo (febbraio-giugno 47). In questo frangente agli esteri viene nominato Carlo Sforza, già ministro degli esteri sotto Giolitti. Di lui Luciolli ricorda che lo chiamavano il “Conte Io, dicevano che portava in giro la sua testa come se fosse il Santissimo Sacramento, irridevano la sua vanità” inoltre Sforza “nutriva verso il personale diplomatico un’antipatia profonda. In lui l’ostilità dell’antifascista verso chi aveva servito il regime fascista era aggravata dall’astio del diplomatico di carriera per i colleghi che avevano fatto della carriera uno strumento di quel regime”. Del resto l’onorevole si era dimostrato troppo intelligente “per non accorgersi che il Ministero era in larga parte composto da ottimi elementi, ai quali mancava solo una guida esperta e imparziale, ed era troppo onesto per non trarre da questa constatazione le conseguenze opportune247”. Grazie a lui infatti, come abbiamo visto, il corpo diplomatico venne riorganizzato e difeso dalla politicizzazione. Sforza aveva condotto durante il suo esilio negli Stati Uniti il movimento “Free Italy” mentre al suo rientro in Italia non aveva scelto la via della politica. Infatti, essendo un membro del partito repubblicano: “sembrava completamente distaccato dalla realtà dei partiti di massa,

245

La Guerra Fredda e l'Italia…p. 83

246 La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale (1943-53)…p.78 247

e così dalla realtà della nuova Italia emersa dalla Resistenza e dalla Liberazione. Sforza, legato al passato pre-fascista e alla vecchia politica delle alleanze, non era considerato un uomo capace di interpretare la politica estera che doveva essere rinnovata rispetto al periodo Liberale. Ci sembrava anche troppo radicato nelle sue vecchie posizioni, sospettato di una parzialità a priori per l’Occidente248”. L’ambasciatore inglese a Roma il 2 febbraio 1947 riferisce “localmente si dice che [Sforza] sarà un leccapiedi conveniente per il lavoro di firmare i trattati di pace249”. Invece è proprio per questo che De Gasperi sceglie il Conte: Sforza nelle sue memorie racconta che De Gasperi l’aveva mandato a chiamare gli ultimi di gennaio proponendogli il Ministero, ma aveva premesso chiaramente che una volta nominato, avrebbe dovuto immediatamente firmare la pace. Sforza ribadisce il suo convincimento a firmare “per far ritornare l’Italia sul piano di dignità nazionale e internazionale (….) e facilitare il tentativo delle grandi potenze inteso a comporre un nuovo assetto mondiale e un nuovo equilibrio di forze250” .La convinzione del neo-ministro è quella di usare tutto ciò che poteva reinserire l’Italia nel contesto mondiale in una posizione di parità, evitando pur sempre un’impostazione nazionalistica “cioè autarchica, cioè antidiplomatica”. Bruno Pagani definisce e sostiene la posizione di Sforza: “dobbiamo basare la nostra politica estera su questa posizione: essere presenti e partecipare qualsiasi siano i termini della cooperazione internazionale che si stanno discutendo o sulla base dei quali si sta agendo251” .Con la “pace punitiva” l’Italia deve accettare la perdita di Briga, Tenda e Moncenisio (ai Francesi), la spartizione di Trieste e la totale decurtazione del proprio patrimonio coloniale, in più dovrà fornire 3/4 della sua flotta in conto riparazioni agli Stati Uniti, alla Francia, all’Inghilterra e all’Urss oltre che agli oneri delle riparazioni. In sondaggio riportato da Power in Europe, il 54% degli italiani la mutilazione più penosa è rappresentata dalla Venezia-Giulia, mentre il 14% ritiene più dolorosa la perdita di Briga, Tenda e Moncenisio mentre il 18% delle colonie, il 14% non ha opinioni in merito. Dividendo gli italiani per mestiere sono gli uomini di chiesa che sentono decisamente di più la perdita della Venezia-Giulia (69%), come gli impiegati (59% del totale)i disoccupati (59%) e i liberi professionisti (60% del totale degli intervistati)252. La perdita della Venezia Giulia è una ferita grave per l’Italia e soprattutto per l’elettorato della DC. Non è facile convincere l’opinione pubblica della necessità di queste perdite. Nitti e Croce253 si schierano apertamente contro la firma dei trattati. Mario Massiroli scrive sul Messaggero “(il trattato) è una spoliazione e un ingiustizia(…) ha rappresentato il puro e semplice annichilimento dell’Italia, non come grande potenza, ma come un potere autonomo (….) L’Italia non è più uno stato indipendente, ma è qualcosa a mezza strada tra l’Egitto e l’India (…) Non permettiamo loro di dirci che la Pace di Parigi curerà l’Italia dalla malattia imperialista, dato che l’Italia non è mai stata imperialista. L’espulsione dell’Italia dall’Africa significa annichilimento, la sua

248

Storia del dopoguerra: dalla Liberazione al potere della D.C…p. 100

249 Power in Europe..p. 100 nota 34

250

Cinque anni a Palazzo Chigi…p. 11

251

Sta in Power in Europe… p 420 nota 44. 252

Power in Europe.p…211

separazione dalla storia, perché un popolo moderno può vivere solo su scala mondiale254”. Così anche Ferruccio Parri commenta “ dopo l’appropriazione di Briga e Tenda e dopo l’accettazione di altre