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Ambiguità: commento al taglio socialdemocratico del libro di M Young

L’ambiguità, la distorsione e il ribaltamento dell’accezione critica

2.1. Ambiguità: commento al taglio socialdemocratico del libro di M Young

Come abbiamo brevemente potuto constatare attraverso il commento al sito

Meritocrazia.com nell’introduzione a questo capitolo, “The Rise of the Meritocracy”

di Michael Young è andato incontro a sostanziali fraintendimenti. Come nota Briggs (2006), l’intento principale della distopia di Young era quello di mettere in guardia gli esponenti del Partito Laburista – del quale l’autore faceva parte – a proposito dei rischi nascenti dalla strutturazione di una società che si basasse su un rigido sistema di assegnazione di consistenti ricompense al merito individuale: secondo il sociologo inglese, l’ideologia meritocratica, se portata alle sue estreme conseguenze, non avrebbe prodotto l’effetto ridurre il divario esistente tra la classe privilegiata e quella meno privilegiata, bensì avrebbe creato condizioni favorevoli alla nascita di un nuovo tipo di gerarchia – nei fatti, non dissimile dalla precedente.

Tuttavia, pur essendo chiaro l’intento di Young, il suo pensiero è stato, storicamente, più frainteso rispetto a quanto, in realtà, sia stato capito. Come sottolinea Littler (2017: 36), tuttavia, questo potrebbe essere attribuito a un atteggiamento ambiguo dello stesso Young: nell’introduzione alla seconda edizione del suo

bestseller, Young scrive che il libro “intended to present two sides of the case – the case against as well as the case for a meritocracy”. In questo senso, lo stesso Young

non si dichiara radicalmente contro l’ideologia meritocratica, poiché una declinazione di quest’ultima in senso non distopico potrebbe effettivamente portare alla dismissione

31 del sistema ereditario dei privilegi. Tuttavia, Young è altrettanto chiaro quando si tratta di sottolineare le possibili degenerazioni della meritocrazia (Young, 1958: 122–123):

Ora che gli individui vengono classificati secondo l’intelligenza, la distanza tra le classi è diventata inevitabilmente maggiore. (…) Come possono tenere in piedi un dialogo con le classi inferiori, dal momento che parlano un altro linguaggio, più ricco e più preciso? (…) alcuni membri della meritocrazia (…) si sono fatti un tale concetto della loro importanza da perdere ogni simpatia per le persone che dirigono (…). Ma anche la situazione delle classi inferiori è diversa. (…) Non devono forse ammettere di avere una posizione inferiore non, come nel passato, perché gli venivano negate le possibilità, ma perché sono inferiori? Per la prima volta della storia umana l’uomo inferiore non ha a portata di mano alcun sostegno per il suo amor proprio.

Probabilmente, le cause del fraintendimento di Young non devono essere ricercate solamente, come fa Littler (2017), nella sua breve introduzione alla seconda edizione di “The Rise of the Meritocracy”. Piuttosto, è possibile che la prima parte del saggio- romanzo di Young si sia prestata ad essere fraintesa per il taglio aggressivo con cui descrive la società degli anni Cinquanta.

Come abbiamo visto, la prima parte del libro è una descrizione – dal punto di vista privilegiato di un cittadino inglese del futuro – della società contemporanea a Young. Il fatto che il sociologo britannico non abbia risparmiato critiche al sistema classista allora in vigore, ha fatto sì che la nozione di ‘meritocrazia’ venisse declinata nel senso di un’opposizione illuminata a quello stesso sistema. Ad esempio, Young (1958: 82) scrive (anticipando, in un certo senso, l’analisi dell’influenza implicita del capitale culturale sulla valutazione degli studenti nelle scuole francesi proposta da Bourdieu & Passeron [1971]):

Inconsciamente gli insegnanti favorivano il ragazzo appartenente alla loro stessa classe (…). I test dell’intelligenza, più liberi da preconcetti, erano proprio strumenti di giustizia sociale: un dato di fatto che nemmeno i più fanatici socialisti di quell’epoca potevano totalmente ignorare.

O ancora (Young, 1958: 72):

Il movimento a favore delle scuole uniche fece qualcosa di più che minacciare il livello delle classiche. (…) Sapendo che i figli non avrebbero ricevuto che un’istruzione di second’ordine, i genitori forniti di larghi mezzi non avrebbero certamente rinunciato ad acquistare i vantaggi dell’istruzione privata; e l’uguaglianza delle opportunità sarebbe rimasta un bel sogno.

Passaggi come questi sono facilmente fraintendibili e, soprattutto, strumentalizzabili, poiché – con il pretesto di discutere delle ingiustizie di una società passata (lo

32 ricordiamo, il finto-Young scrive dal 2033) – criticano la struttura della società contemporanea e sembrano contrapporvi la giustizia dell’ordine meritocratico, grazie al quale si sarebbe arrivati a concepire una società più giusta. Effettivamente, la linea tra il taglio ironico-satirico di Young e l’elencazione semi-seria dei potenziali vantaggi di una meritocrazia, in questi passaggi, si assottiglia.

In particolare, è utile rilevare come Young, nell’ultima citazione riportata, sembri opporre il vecchio sistema di casta – basato sullo sfruttamento del potenziale economico e familiare per perpetuare la situazione di vantaggio attraverso l’istruzione dei figli – al raggiungimento del traguardo dell’uguaglianza delle opportunità, che potrebbe scaturire da un sistema meritocratico. Come vedremo nel prossimo paragrafo, questo slittamento concettuale si configura come un passo fondamentale verso la declinazione odierna del termine ‘meritocrazia’. La lettura di Young, in questo caso, si presta molto bene all’utilizzo da parte di un’ideologia socialdemocratica che non metta in discussione l’impianto liberale della società, della politica e dell’economia. Non a caso, come fa notare Littler (2013), il New Labour di Tony Blair9, negli anni Novanta, adotta una versione non-satirica del termine ‘meritocrazia’, per fondare un tipo di partito che si faccia, da un lato, portatore delle istanze dei più svantaggiati, ma che, dall’altro lato, continui a rimanere inserito in quadro ideologico che non metta in discussione l’impostazione capitalista e liberale dell’economia di mercato. E, nonostante l’articolo di giornale pubblicato da Young sul The Guardian (2001), poco prima della sua morte, per commentare l’uso distorto che Blair stava facendo del termine ‘meritocrazia’, sia estremamente chiaro ed esplicito nella critica che muove, la concezione mainstream è rimasta quella proposta da Blair. Come nota lo stesso Young, la ‘sua’ creazione è stata vittima di un fraintendimento generalizzato e sconvolgente:

I have been sadly disappointed by my 1958 book, The Rise of the Meritocracy. I coined a word which has gone into general circulation, especially in the United States, and most recently found a prominent place in the speeches of Mr Blair.

9 Un’analisi dell’influenza delle politiche di Blair sulla concezione odierna del termine ‘meritocrazia’

33 The book was a satire meant to be a warning (which needless to say has not been heeded) against what might happen to Britain between 1958 and the imagined final revolt against the meritocracy in 2033.

Much that was predicted has already come about. It is highly unlikely the prime minister has read the book, but he has caught on to the word without realising the dangers of what he is advocating.

In sintesi, possiamo rilevare come l’uso originale del termine ‘meritocrazia’, da parte di Young, non sia stato privo di ambiguità: il sociologo inglese non condanna in toto una società che premi il merito individuale; la sua critica, piuttosto, si rivolge a un tipo di società che combatta una struttura classista per proporne un’altra non dissimile. Nelle sue parole (ibidem): “It is good sense to appoint individual people to jobs on

their merit. It is the opposite when those who are judged to have merit of a particular kind harden into a new social class without room in it for others.” Ecco che, del

ragionamento di Young, è stata colta soltanto la prima parte, operando una sorta di censura sul fondamentale contenuto della seconda. Per questo motivo, come sarà spiegato nel prossimo paragrafo, si è reso possibile lo shift concettuale che ha assimilato la nozione di ‘meritocrazia’ a quella di ‘uguaglianza delle opportunità’, in opposizione alla concezione socialista (come la ritiene Bell [1972]) di ‘uguaglianza dei risultati’.