L’approccio critico alla meritocrazia: lo stato generale del dibattito
4.1. La mancanza di un dibattito strutturato in Italia
Come abbiamo già avuto modo di accennare, la meritocrazia non risulta un tema di analisi tanto centrale quanto ci si potrebbe aspettare per quanto riguarda la comunità scientifica sociologica. Questo è vero soprattutto in Italia: le pubblicazioni che propongono una lettura critica – e non meramente allineata al senso comune (come quella di Abravanel [2008]) – dell’ideologia meritocratica risultano numericamente scarse. Per questo, l’obiettivo principale del lavoro svolto per questa tesi di laurea è quello di sottoporre un argomento sostanzialmente nuovo e originale all’attenzione dei sociologi italiani. In questo paragrafo, mi occuperò di stilare una breve rassegna bibliografica dei contributi disponibili sul tema della meritocrazia i cui autori si siano mossi nell’ambito accademico nostrano. Purtroppo, i contributi redatti da sociologi non sono molti; l’analisi dell’ideologia meritocratica sembra avere più rilevanza per i filosofi o per gli storici delle dottrine.
79 In generale, è possibile notare come i contributi sul tema della meritocrazia siano piuttosto recenti (a dimostrazione del fatto che vi sia un’attenzione crescente nei suoi confronti) e come le critiche a proposito dell’ideologia meritocratica muovano più facilmente da posizioni vicine a quelle di Young (1958), molto spesso citato come ‘padre fondatore’ del dibattito e utilizzato come primo esempio per riportare il fraintendimento creatosi attorno alla nozione di ‘meritocrazia’ (cfr. Albanese, 2013; Barone, 2012; Brigati, 2015; Cingari, 2013, 2015a, 2015b, 2017; Maccabelli, 2011; Raciti, 2013; Tognon, 2016), piuttosto che da posizioni simili a quelle di Hayek (1960).
Essendo lo scopo principale di questa trattazione quello di proporre una lettura dell’ideologia meritocratica come forma di dominio simbolico – e non quello di proporre una review bibliografica sul tema –, il criterio adottato in questa sede per parlare del contesto italiano sarà quello della sinteticità; si privilegerà un tipo di analisi tematica dei contributi più rappresentativi – ovvero, quelli che sono stati più citati nella comunità scientifica.
La maggioranza degli autori italiani che si sono occupati di meritocrazia in termini critici fanno riferimento a un background di tipo filosofico. Il primo contributo rilevante che possiamo rintracciare è una monografia curata da Barrotta (1999)35 dal titolo “I demeriti del merito”. La critica di Barrotta è l’unica che parte da un punto di vista simile a quello utilizzato da Hayek (1960) nella sua critica al merito come criterio allocativo. Barrotta si occupa di decostruire la visione della meritocrazia come corollario dell’ideologia liberale: dal suo punto di vista, il funzionamento del libero mercato verrebbe irrimediabilmente compromesso dall’utilizzo degli schemi meritocratici, i quali – pur sembrando aderire all’individualismo liberista – nascondono, in realtà, valori collettivisti che si configurerebbero come l’esatto opposto della nozione del liberalismo economico. Quest’ultimo, infatti, si caratterizzerebbe per la sua radicale essenza anti-egualitaria e, di conseguenza, anche antimeritocratica (Barrotta, 1999). La concezione di ‘meritocrazia’ di Barrotta, dunque, ricalca quella diffusa nel senso comune: una concezione di ‘meritocrazia’ come motore redistributivo e come possibilità di accesso al movimento d’ascesa nella gerarchia
80 sociale. Barrotta, infatti, non contesta la verità del potenziale egualitario dell’ideologia meritocratica; al contrario, basa la sua critica proprio su una visione della meritocrazia che vede incompatibile con il regime puro di libero mercato. In questo senso – seppur con scopi diversi – l’analisi che viene proposta del concetto di ‘meritocrazia’ non varia molto dalle concezioni mainstream che sono state diffuse in proposito dalla retorica politica che abbiamo analizzato nel Capitolo 3.
Altri due contributi rilevanti, scritti da filosofi, in relazione al tema della meritocrazia, sono quelli di Brigati36 (2015) e di Tognon37 (2016). Nel caso del secondo, il focus dell’analisi si concentra sul delicato rapporto tra democrazia e meritocrazia. In una presentazione del suo volume, Tognon si esprime come segue38:
Se la tentazione meritocratica, che è sempre espressione di una determinata cultura sociale, pretende di sostituire con il proprio sistema di valori, modellato sul successo di una minoranza, quello molto più delicato delle democrazie di massa, si rischia un corto circuito tra il mercato e la politica, tra i valori civili e il denaro.
Secondo Tognon, dunque, la compatibilità tra meritocrazia e democrazia non andrebbe presa come un dato-per-scontato; soprattutto, quando la retorica meritocratica è funzionale all’affermazione di criteri di selezione o di differenziazione in ambiti come la salute o l’istruzione pubblica, i quali andrebbero – al contrario – tutelati in modo radicalmente egualitario e sottratti alle logiche competitive del merito.
Un punto di contatto tra il lavoro di Tognon e quello di Brigati (2015) è l’interrogativo che entrambi si pongono sulla natura del ‘merito’. La nozione di ‘merito’, infatti, risulterebbe scarsamente problematizzata; ma, nonostante la difficoltà di tradursi in un dato oggettivo, verrebbe ugualmente presa come un dato-per-scontato prerazionale. Il merito si potrebbe descrivere come una “scatola nera” di cui istintivamente si riconosce il contenuto, ma di cui non sapremmo analiticamente distinguere i componenti. Il pericolo di una retorica di questo tipo starebbe nel fatto di portare alla riproduzione o alla creazione ex novo di logiche di discriminazione che si ancorano al concetto di ‘meritevole’; discriminazioni che potrebbero avere un impatto
36 Professore Associato di Filosofia Morale, Università di Bologna.
37 Professore Ordinario di Storia dell’Educazione e di Pedagogia Generale, Università LUMSA di
Roma.
38 Presentazione disponibile da: http://www.academia.edu/23421991/INTRODUZIONE_a_La_
81 molto concreto e molto rilevante sulla vita delle persone, come – ad esempio – nell’ambito della salute.
Per quanto riguarda l’orizzonte sociologico, il lavoro più noto (tra i pochissimi disponibili) è forse quello di Barone39 (2012). Barone si occupa di analizzare la dimensione morale del merito e di evidenziare come, spesso, venga strumentalizzata al fine di giustificare e rendere accettabili le disuguaglianze causate dal regime di libero mercato. Seguendo il pensiero economico di Rawls (1971), Barone sottolinea come l’ideologia meritocratica potrebbe funzionare solamente nel caso in cui i benefici tratti dalla disuguaglianza delle ricompense servissero a generare degli utili che venissero redistribuiti interamente all’interno della stessa collettività da cui sono scaturiti. In questo senso, la meritocrazia si declinerebbe come un mezzo per raggiungere uno scopo di benessere collettivo – contrariamente a quanto accade oggi, ovvero il tempo in cui la meritocrazia è vista come un fine da raggiungere per l’appagamento di un senso di giustizia morale di tipo estremamente individualista. Il lavoro di Barone si concentra, poi, su un’analisi del sistema dell’istruzione in Italia, per rilevare come la retorica meritocratica si scontri, nei fatti, con un allarmante immobilismo. In questo senso, Barone si focalizza sull’importanza di sviluppare una politica effettiva sul potenziamento delle pari opportunità – ricalcando, in questo modo, la proposta di Bell di una “just meritocracy” (1972).
Più radicale è l’analisi proposta da Cingari40 (2013, 2014, 2015a, 2015b, 2017), storico delle dottrine, il cui lavoro è, probabilmente, anche il più esteso in lingua italiana per quanto riguarda il tema della meritocrazia. Cingari si concentra – come fa anche Littler (2013, 2017) – sulla relazione tra meritocrazia e neoliberismo. Nella visione di Cingari, la meritocrazia va intesa come una sorta di “teodicea della
disuguaglianza” (Cingari, 2015b: 97), che serve a neutralizzare retoricamente le
potenzialità di conflitto derivanti dal capitalismo: “Oggi – come nell'Ottocento il self-
help – l’ideologia del merito giustifica la nuova disuguaglianza del nuovo ordine neo-
39 Professore Ordinario di Sociologia dell’Educazione presso l’Observatoire Sociologique du
Changement de Sciences Po. Precedentemente, Professore Associato presso l’Università di Trento.
40 Professore Ordinario di Storia delle Dottrine Politiche presso l’Università per Stranieri di Perugia.
Il Professor Cingari si è reso disponibile a rispondere direttamente a delle mie domande sulla sua interpretazione dell’ideologia meritocratica e molti dei suoi contributi citati in Bibliografia mi sono stati messi a disposizione direttamente da quest’ultimo.
82 liberista” (Cingari, 2013: 164). Questo sarebbe possibile poiché l’ideologia
meritocratica, naturalizzando il merito e le posizioni di vantaggio che ne scaturiscono (in modalità che ricordano, nella loro struttura, il pensiero razzista [ibidem]), permetterebbe di accettare l’esistenza del privilegio, poiché offrirebbe modalità pacificate per fronteggiare il problema della disuguaglianza. In questo senso, si potrebbero spiegare gli approcci totalmente acritici all’ideologia meritocratica, come quello di Abravanel (2008), secondo cui – riprendendo un passo già citato nel paragrafo 3.3.2 – “(…) mentre nelle società feudali, schiaviste, castuali, la
diseguaglianza giustifica privilegi ingiusti, nelle società meritocratiche la diseguaglianza è considerata «giusta» in quanto basata sulle «pari opportunità e la «mobilità sociale»” (Cingari, 2013: 170); oppure, come quello di Giuliano Da Empoli
(2000), secondo il quale, come riporta ancora Cingari (2013: 165):
(…) la società non doveva accollarsi il problema dei fallimenti individuali [poiché] la flessibilità andava vissuta come una grande opportunità, dato che le fluttuazioni della finanza e le possibilità offerte dalla rete, consentivano alle persone intraprendenti e di talento di mettersi sul mercato e vincere la lotta per la vita, come avviene nella Silicon Valley.
Da questo punto di vista, la relazione tra neoliberismo e ideologia meritocratica diviene particolarmente evidente: entra in gioco, addirittura, la proiezione immaginativa della Silicon Valley; un mondo pacificato dove l’estrema competizione premia – al di là di ogni possibilità di verbalizzare una critica a questa narrazione idilliaca – il talento e i meriti individuali; una visione-arcobaleno nella quale i severi differenziali nelle posizioni di partenza vengono annullati dalla dolce retorica (ovvero, dalla dolce violenza) sull’uguaglianza delle possibilità, le quali verrebbero dilatate a dismisura grazie all’ossimoro di mondi virtuali in espansione (quelli della rete e della finanza) che, attraverso la magia del profitto, si trasmutano in un paradiso terreste. La democraticità delle possibilità di accesso a questi mondi rimane un assioma e, come tale, taken-for-granted. Per questo motivo, in un mondo che offre a tutti delle generose opportunità di mobilità ascendente, ognuno è radicalmente responsabile del proprio fallimento o del proprio successo.
In riferimento ad altri contributi italiani che adottino un approccio critico nei confronti della meritocrazia, sempre Cingari (ibidem: 172) fa notare come “l’unico
83 numero del 2011 della rivista Paradoxa, dedicato alla diade «merito-uguaglianza».”
Il numero in questione, curato da Mathieu (2011), si compone di contributi eterogenei dal punto di vista teorico e delle visioni proposte. Il filo rosso del fascicolo si può riassumere nel tentativo di ricomporre la relazione tra merito e uguaglianza, in una visione che – nonostante il dibattito e i disaccordi tra gli stessi autori che hanno partecipato alla stesura inviando i propri contributi – mette in discussione la natura dell’assunto secondo cui il ‘merito’ sarebbe un criterio etico-morale che bisognerebbe seguire per stabilire l’entità dei differenziali di retribuzione lavorativa. La maggior parte degli scritti che sono contenuti in questo volume provengono da filosofi o da scienziati politici: ancora una volta, si rileva una certa latitanza dei contributi sociologici.
Gli altri interventi in lingua italiana inerenti al tema della meritocrazia derivano da autori con background differenti e spesso esterni al mondo accademico. Questo tipo di scritti nascono con finalità maggiormente divulgative e non scientifiche. Possiamo citare, come esempi, gli scritti di Albanese41 (2013) o di Raciti42 (2013), nei quali si tenta di decostruire la mitologia meritocratica portando una serie di esempi pratici sull’inconsistenza della nozione di ‘merito’ e cercando di dimostrare come un’impostazione meritocratica frammenti le possibilità di organizzare delle class-
actions che mirino alla richiesta di un tipo di uguaglianza sostanziale (e non
meramente formale).
In conclusione, possiamo schematicamente sottolineare quanto segue:
1. nonostante si possa notare una carenza generalizzata di contributi in relazione a un tipo di lettura critica dell’ideologia meritocratica, è possibile affermare che siamo davanti a una tendenza che vede un numero crescente di intellettuali italiani rivolgere la propria attenzione nei confronti del tema;
2. infatti, la maggior parte dei contributi sono stati pubblicati negli ultimi cinque anni;
41 Giornalista e scrittore italiano, laureato in Lettere e Filosofia presso l’Università degli Studi La
Sapienza di Roma.
42 Politico italiano, militante, fin da giovanissimo, nelle file del Partito Democratico. Deputato alla
84 3. tuttavia, nel contesto italiano, si contano solamente pochissime pubblicazioni
dal taglio sociologico;
4. in generale, le critiche vengono rivolte alla presunta naturalità del merito come criterio allocativo e si cerca di ricostruire il rapporto esistente tra merito, uguaglianza e democrazia;
5. manca, in questo senso, un’analisi di come l’ideologia meritocratica possa fare presa e su chi – e, in tal senso, in quali modalità venga silenziosamente riprodotta. Quest’ultimo punto è particolarmente rilevante per la mia tesi di laurea, in quanto, proponendo una lettura della meritocrazia come forma di dominio simbolico e facendo riferimento, come vedremo nel paragrafo 4.3, a degli interessanti spunti offerti dalla psicologia sociale, mi propongo di dare una spiegazione proprio agli inconsapevoli meccanismi di riproduzione della disuguaglianza e – soprattutto – a come sia possibile che questi meccanismi vengono riprodotti, in modo paradossale, anche dal basso.