L’ambiguità, la distorsione e il ribaltamento dell’accezione critica
2.2. Distorsione: D Bell e la spinta verso l’uguaglianza delle possibilità
“The post-industrial society, in its logic, is a meritocracy”: così Daniel Bell10, in un articolo intitolato “On Meritocracy and Equality (1972: 30), accoppia esplicitamente l’ascesa della società post-industriale con un’ideologia fortemente meritocratica. Per comprendere al meglio, tuttavia, il significato dell’affermazione di Bell, occorre riferirsi brevemente al quadro teorico e al periodo storico in cui si inserisce.
Bell, nel suo celeberrimo “The Coming of Post-Industrial Society” (1973), utilizza l’espressione “società post-industriale” per riferirsi a un tipo di società che, dal secondo dopoguerra in poi, è andata configurandosi in modalità inedite rispetto al
10 Daniel Bell (1919 – 2011) è stato un influente sociologo americano, professore ad Harvard e reso
celebre dalla sua definizione di “società post-industriale” (The Editors of Encyclopaedia Britannica, 2018a).
34 passato. Rispetto alla società industriale, nella quale il potere era detenuto e utilizzato da una borghesia proprietaria dei mezzi di produzione, quella post-industriale si caratterizza per la crescente importanza del valore della conoscenza. In effetti, lo sviluppo industriale necessita sempre più di una conoscenza tecnologica che avanzi a ritmi esponenziali: il progresso scientifico, in questo senso, diventa un corollario imprescindibile del successo economico11. Per Bell, a causa di questo cambiamento, la configurazione delle élites sarebbe mutata verso la costituzione di una classe dominante di tecnocrati, i quali avrebbero raggiunto la propria posizione grazie al valore del proprio sapere tecnico e scientifico.
La citazione che apre questo paragrafo, tuttavia, non è tratta dal libro seminale di Bell. Gli spunti più interessanti riguardo al tema della meritocrazia, infatti, si trovano nell’articolo, meno conosciuto, pubblicato sulla rivista The Public Interest nel 1972. Come nota Littler (2017), questo articolo è, forse, il punto di snodo fondamentale per comprendere la transizione della parola ‘meritocrazia’ da oggetto satirico a corollario del neoliberismo.
Bell (1972), partendo dalla descrizione degli intenti distopici di “The Rise of the
Meritocracy”, cerca di decostruire l’insieme che le critiche socialiste dell’epoca
muovevano alla nozione di ‘meritocrazia’. Secondo Bell, la logica della società post- industriale è necessariamente meritocratica, poiché le ricompense assegnate agli individui e il loro status deriverebbero, in prima istanza, dalle loro competenze tecniche, acquisite attraverso un percorso scolastico dal quale, in sostanza, sono state rimosse tutte le barrire d’ingresso: “A meritocratic society is a ‘credentials society’ in
which certification of achievement – through the college degree, the professional examination, the license – becomes a condition of higher employment” (ibidem: 34).
Nella sua logica, dunque, associare un sistema di alte ricompense al contributo che ognuno apporta al progresso complessivo della società post-industriale risulta non solo un incentivo utile al fine di mantenere alti la produttività e il tasso di innovazione, ma si configura come un’operazione che risponde a un vero e proprio principio di giustizia
morale; perché – se le opportunità di accesso ai percorsi di specializzazione sono state
11 Possiamo, qui, rilevare una similitudine col pensiero di Young (1958), quando, in “The Rise of the Meritocracy”, la necessità di essere competitivi sul mercato internazionale viene individuata come la
35 democraticizzate – allora la logica meritocratica non può essere costituita come portatrice di ingiustizia, ma – al contrario – deve essere valutata come un meccanismo che premia coloro che, nel gruppo dei pari, vengono riconosciuti trasversalmente come i migliori (ibidem: 66). Non è possibile riscontrare, dunque, nessuna contraddizione – come vorrebbero proporre i movimenti socialisti (descritti da Bell attraverso l’etichetta di “contemporary populism” [ibidem: 65]) – tra il principio di giustizia e quello di
meritocrazia; nelle parole di Bell (ibidem: 67):
The quality of life in any society is determined, in considerable measure, by the quality of leadership. A society that does not have its best men at the head of its leading institutions is a sociological and moral absurdity. Nor is this in contradiction with the fairness principle. One can acknowledge, as I would, the priority of the disadvantaged (with all its difficulty of definition) as an axiom of social policy, without diminishing the opportunity for the best to rise to the top through work and effort. The principles of merit, achievement, and universalism are, it seems to me, the necessary foundations for a productive – and cultivated – society.
Ecco che la logica meritocratica diviene mitologia: è possibile, per i migliori, completare la scalata verso la vetta della gerarchia sociale attraverso il duro lavoro e il talento. I fattori che determinano le condizioni materiali che influiscono sull’effettiva possibilità di realizzare il sogno della mobilità ascendente non vengono problematizzati; Bell si limita a constatare come l’istruzione sia divenuta più aperta e come il sistema delle quote possa costituire una sufficiente garanzia di non- discriminazione nei confronti delle minoranze.
Dal suo punto di vista, la critica socialista-populista “in its desire for wholesale
egalitarianism, insists in the end on complete levelling. It is not for fairness, but against elitism; its impulse is not justice but ressentiment.” (ibidem: 65). In questo
senso, ciò che starebbero, in realtà, chiedendo i socialisti sarebbe l’uguaglianza dei
risultati in opposizione all’uguaglianza delle opportunità, cercando di proporre uno
slittamento del principio del “from each according to his ability, to each according to
his ability” verso il principio di “from each according to his ability, to each according to his need”, utilizzando, come (falsa) giustificazione morale, il fatto che coloro che
risultano svantaggiati dalla logica meritocratica si trovano in una posizione di svantaggio per ragioni che sfuggono al loro controllo (ibidem: 57). Secondo Bell, le argomentazioni principali della critica socialista sarebbero da rintracciare nel pensiero di John Rawls, il quale rigetterebbe l’idea di ‘meritocrazia’ poiché violerebbe il
36 concetto di giustizia sociale (Bell, 1972). Nelle stesse parole di Rawls (1971: 73–74): “Equality of opportunity means an equal chance to leave the less fortunate behind in
the personal quest for influence and social position.”12 Per Bell, posizioni simili a quelle di Rawls finirebbero per indicare – con esiti disastrosi – l’ideale liberale dell’uguaglianza delle opportunità come responsabile della creazione di nuove gerarchie ugualmente ingiuste rispetto alle precedenti. Al contrario, Bell crede fermamente nella giustizia morale di un sistema di stratificazione sociale che preveda dei moderati differenziali di privilegi in accordo col merito individuale.
Tuttavia, le falle del ragionamento di Bell possono essere elencate come segue:
1. Bell non coglie l’arbitrarietà della definizione di ‘merito’, che viene – di fatto – meramente associato al contributo (non direttamente misurabile) di ognuno al progresso tecnologico della società post-industriale;
2. il sociologo di Harvard sottovaluta la rilevanza di fattori che si svincolano, oggettivamente, da ciò che può essere definito come ‘merito’ (si veda, ad esempio, McNamee [2018] sul ruolo determinante della fortuna sulle traiettorie delle carriere lavorative);
3. la questione della discriminazione e del dislivello dei punti di partenza per la competizione verso un ruolo di prestigio viene sistematicamente sottovalutata e brevemente liquidata;
4. come nota Littler (2017: 40–41), Bell scrive in un periodo in cui coloro che venivano lasciati indietro da un’etica competitiva-individualistica trovavano protezione attraverso uno stato sociale ancora forte (pur se prossimo all’inizio della sua sistematica dismissione). Non a caso, Bell conclude il suo articolo auspicando la realizzazione di una “just meritocracy” (Bell, 1973: 64) – una “giusta meritocrazia” che mitighi il risentimento dei “populisti” attraverso l’assegnazione di un “social minimun” (ibidem: 67) come risarcimento per gli inevitabili differenziali di benessere creati da un impianto meritocratico;
12 È interessante mettere in parallelo questa affermazione di Ralws con una citazione tratta dalla
distopia di Young (1958: 133): “Una volta che tutti i geni stiano nell’élite, e tutti gli stupidi tra i
lavoratori, quale significato può avere l’uguaglianza?” Con amara ironia, Young descrive la paradossale
37 5. il sociologo americano prende come dato-per-scontato il fatto che il progresso della società in generale coincida con un progresso trasversale del benessere collettivo; in realtà, Bell non problematizza le circostanze che vedono aumentare, insieme ai tassi di innovazione e ai redditi complessivi delle nazioni, anche l’apertura della forbice delle disuguaglianze (cfr. McNamee, 2018; Sen, 2000). In questo senso, non tutti beneficiano ugualmente del progresso tecnologico collettivo; al contrario, se poniamo come crescenti le disuguaglianze, possiamo logicamente dedurre che coloro che si trovano al confine inferiore della gerarchia sociale si trovino spesso a discapitarci (almeno in termini relativi).
Nonostante questi limiti del lavoro di Bell, il suo pensiero è stato un punto di svolta fondamentale in relazione alla concezione contemporanea di ‘meritocrazia’. Le ragioni del suo successo, probabilmente, sono da ricercarsi in un’affinità elettiva tra lo spirito del neoliberismo e l’impianto mitologico della meritocrazia, che – più di tutto – nutre l’ancestrale speranza degli individui di migliorare le proprie condizioni. L’ideologia meritocratica è funzionale al mantenimento di una situazione che, nonostante gli squilibri esistenti, viene percepita come equilibrata; le disuguaglianze vengono tollerate nell’illusio (Bourdieu, 2005; Wacquant, 1989) di potersi ritrovare, un giorno – attraverso i propri meriti –, all’apice della stessa gerarchia che, nel presente, ci relega al suo margine inferiore; e godere, in questo modo, di tutti i vantaggi che, al momento, ci sono preclusi.
Come abbiamo avuto modo di constatare, il pensiero di Bell ha enormemente distorto la questione meritocratica, mettendola esplicitamente in relazione alla creazione di un sistema in cui il concetto di giustizia sociale viene sovrapposto all’ideale dell’uguaglianza delle opportunità. Ecco che, nel prossimo paragrafo, parleremo del ribaltamento concettuale che ne è storicamente conseguito.
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2.3. Ribaltamento: l’appropriazione del termine ‘meritocrazia’ da parte della