La meritocrazia nella retorica politica: la crescita del mito
3.3. Il caso italiano: la figura di Berlusconi e il Movimento 5 Stelle
Il caso italiano, probabilmente, presenta un’articolazione diversa da quelli statunitense e britannico appena presi in esame. Il dibattito teorico e politico in relazione al tema della meritocrazia, in Italia, è stato sicuramente meno vivace e meno documentato rispetto a quanto è accaduto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Soprattutto, i contributi accademici e critici nei confronti del tema della meritocrazia sono di gran lunga più rari e meno pregnanti rispetto ai contributi anglosassoni (cfr. paragrafo 4.1). Tuttavia, la mancanza di un’attenzione specifica nei confronti del caso italiano non
60 costituisce la prova di una scarsa rilevanza dell’ideologia e della mitologia meritocratiche nel nostro Paese. L’ideologia meritocratica, anche in Italia, si costituisce come un valore-guida al quale le cognizioni comuni si riferiscono con un discrimine candidamente positivo. Basti pensare alla recente proposta del Movimento 5 Stelle – quando ancora si doveva formare l’ultimo governo, dopo le elezioni del 4 marzo 2018 – di creare un “Ministero della Meritocrazia”21. Se il partito italiano che rappresenta il 32,68%22 di coloro che si sono recati alle urne ha sentito la necessità di dedicare un Ministero alla meritocrazia, allora possiamo dedurre che la mitologia meritocratica sia largamente diffusa – e scarsamente problematizzata – anche in Italia.
Nei tre paragrafi successivi, l’attenzione sarà, inizialmente, focalizzata sul contesto storico e politico italiano degli anni Novanta, in riferimento, in particolar modo, allo scandalo di “Tangentopoli” e all’inchiesta “Mani Pulite”. La fine della Prima Repubblica ha lasciato delle ferite aperte nell’immaginario collettivo d’Italia; e questa circostanza ha rappresentato un terreno particolarmente fertile per la crescita di un tipo di ideologia che si costituiva come l’esatto contrario del ‘clientelismo’.
Nel secondo paragrafo, ci concentreremo sulla figura di Silvio Berlusconi e su come la mitologia del self-made man che si è creata attorno a lui sia il riflesso di una tendenza verso l’esaltazione delle qualità individuali del talento e del merito. Quest’ultimo, abbinato all’etica del duro lavoro, nell’accezione proposta da McNamee (2018), rappresenta una chiave di volta cognitiva decisiva per l’operazione che porta a sottostimare gli effetti dei fattori ambientali (come abbiamo visto nel paragrafo 3.1) e, di conseguenza, a sovrastimare quelli dei meriti individuali sulle possibilità di avere successo. In seguito, ci soffermeremo ad analizzare la versione salvifica di ‘meritocrazia’ proposta da Roger Abravanel nell’omonimo bestsseller del 2008. Il pensiero di Abravanel è stato di importanza seminale per la diffusione di una versione
21 Si vedano, a titolo di esempio:
Il Fatto Quotidiano: https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/22/m5s-nel-governo-ombra-ci-
saranno-anche-ministero-alla-famiglia-e-alla-meritocrazia-e-donne-nei-ruoli-chiave/4181123/ – consultato il 4 dicembre 2018;
Il Corriere della Sera: https://www.corriere.it/elezioni-2018/notizie/di-maio-pronta-squadra-
governo-m5s-donne-ministeri-chiave-342e049e-1808-11e8-b6ca-29cefbb5fc31.shtml – consultato il 4 dicembre 2018.
22 Fonte: https://www.ilsole24ore.com/speciali/2018/elezioni/risultati/politiche/static/italia
61 assolutamente positiva dell’ideologia meritocratica in Italia; non a caso, Abravanel è stato consulente per il Ministero dell’Istruzione dell’ultimo governo Berlusconi (cfr. Cingari, 2013) e, tutt’ora, tiene una video-rubrica online sulla web-tv del Corriere
della Sera intitolata “Merito e Regole”23, nella quale si occupa di proporre, con cadenza grossomodo settimanale, degli interventi che ‘infantilizzano’ e banalizzano la questione meritocratica, poiché si basano su retoriche candidamente naïf mutate dal ‘buon senso’ comune, e che rendono la riflessione sulla meritocrazia una questione squisitamente pop.
Nell’ultimo paragrafo del capitolo, infine, verrà proposta un’analisi della struttura interna del Movimento 5 Stelle e di come la retorica meritocratica venga utilizzata dal Movimento in senso oppositivo nei confronti della “casta”, delle “élites” e del “sistema”, in una sorta di bias che cristallizza il ‘merito’ come un criterio allocativo radicalmente oggettivabile, ma che – al contrario – finisce per riprodurre le solite condizioni di disuguaglianza e di privilegio esistenti. In questo senso, da un lato, il pensiero alla base del Movimento pentastellato cerca di definirsi in termini anti- sistemici; mentre, dall’altro lato, sposa gli stessi criteri simbolici adottati dalla cultura ‘dominante’ – ovvero, gli schemi strutturali proposti da quella stessa cultura dalla quale dichiaravano di voler prendere le distanze. In questa accezione, l’intento del Movimento 5 Stelle di creare un “Ministero della Meritocrazia” appare come un qualcosa di poco lontano dalla versione santificata dell’ideologia meritocratica proposta da Abravanel.
3.3.1. L’ideologia meritocratica come reazione al clientelismo e al nepotismo
Il concetto di ‘meritocrazia’ viene spesso utilizzato come termine di paragone opposto a quelli di ‘nepotismo’, ‘clientelismo’, ‘particolarismo’ e così via (cfr. Abravanel, 2008). La forza dell’ideologia meritocratica risiede anche nel fatto di poter ritenere fondata, per certi versi, questa opposizione. In effetti, seguendo la teorizzazione di Bell sulla “just meritocracy” (1972) o quella di Giddens in relazione al ruolo redistributivo del welfare (1999, 2002), si può capire come la meritocrazia possa potenzialmente
62 declinarsi come uno strumento di giustizia morale che accoppia gli individui e le posizioni sociali attraverso criteri di selezione che si basano sul talento; e questo risulterebbe vero, se solo si potesse effettivamente creare un sistema utopico che riducesse a zero l’errore derivante dalla crescita in ambienti privilegiati o, al contrario, deprivati; e che, dunque, fosse in grado di eliminare l’interferenza dell’ambiente sullo sviluppo dei talenti delle persone: una società, in altre parole, che fosse in grado di offrire a tutti le stesse identiche possibilità di formazione, educazione e così via. Tuttavia, come abbiamo potuto constatare per i casi inglese e statunitense, la retorica politica ha spesso mirato a dipingere un quadro pacificato degli squilibri sociali derivanti dall’economia capitalista; e l’accento è stato posto sulla presunta verità di una struttura sociale che offre a tutti le medesime opportunità di avere successo – basti ricordare la “Aspiration Nation” di Cameron o il discorso inaugurale del 2013 di Obama (cfr. paragrafi 3.2.3 e 3.1.1). Questo tipo di narrazione ha fatto breccia nell’immaginario collettivo e il valore positivo della meritocrazia, di fatto, non viene interrogato; al contrario, diviene taken-for-granted e l’ideologia meritocratica si trasforma nell’esatto opposto concettuale del clientelismo e del nepotismo. Paradossalmente, come abbiamo già avuto modo di affermare, una retorica di questo genere nasconde tutta quella serie di meccanismi attraverso cui il merito – nelle parole di Young (1958: 106) – diviene “poco più di un rispettabile travestimento del
nepotismo”.
La società italiana ha molto sofferto per un tipo di organizzazione altamente nepotistica; addirittura, il modello di welfare italiano viene definito “welfare
particolaristico-clientelare” (cfr. Ascoli, 1984; Ferrera, 1984). Per quanto riguarda la
sfera politica, lo scandalo di “Tangentopoli” e la conseguente inchiesta, ribattezzata “Mani Pulite” e iniziata nel 1992, hanno segnato una ferita profonda nell’immaginario collettivo del popolo italiano. Non solo: le ripercussioni sullo stesso assetto politico sono state devastanti, e i due maggiori partiti dell’epoca – la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano – sono andati incontro a una rapida e inaspettata estinzione. Il vuoto lasciato dai due colossi è stato presto riempito da un nuovo partito nascente, capitanato da un famoso imprenditore milanese: Forza Italia di Silvio Berlusconi. I mutamenti provocati dagli scandali di quegli anni hanno avuto un impatto talmente forte sulle formazioni politiche (oltre ai casi già citati, possiamo ricordare lo
63 scioglimento del Partito Comunista Italiano e la sua confluenza nel Partito
Democratico della Sinistra; lo scioglimento del Movimento Sociale Italiano e la
creazione di Alleanza Nazionale; l’inedito successo della Lega Nord di Bossi) che gli storici, gli scienziati politici e i giornalisti hanno iniziato a parlare della nascita di una “Seconda Repubblica” (cfr. Colarizi & Gervasoni, 2012; Waters, 1994).
Come rileva Giglioli (1996: 390–91), il caso di “Tangentopoli” e l’inchiesta “Mani
Pulite” hanno avuto un’eco mediatica senza precedenti in Italia:
In late 1993 and early 1994, millions of Italian television viewers watched a highly unusual performance. For about three months RAI 3, one of the public channels, broadcast the Cusani trial in prime time, the first and biggest of the trials for corruption resulting from the judicial investigation Clean Hands, showing some of the most prominent Italian political leaders – former prime ministers, former ministers and the leaders of all the government parties – confessing to having illegally received huge sums of money from major public and private companies to finance their parties and their personal electoral campaigns. (…) The broadcast met with great success among the public. In spite of the competition of prime-time shows on other national television channels, it was watched on some evenings by over four million viewers and had a share of up to 16 per cent (…) the televising of the trial destroyed the aura of respect and deference surrounding important politicians (…).
La larga diffusione del “Processo Cusani”, attraverso il medium della televisione, ha contribuito in modo determinante alla causazione di un vero e proprio shock morale sull’opinione pubblica italiana.
Possiamo, dunque, intendere come le ferite aperte nell’immaginario collettivo dall’inchiesta “Mani Pulite” possano essersi configurate come un territorio particolarmente prezioso per la nascita e per l’affermazione di un nuovo tipo di ideologia che mirasse, nella retorica, a contrapporsi all’ormai vecchio sistema della Prima Repubblica. La meritocrazia, in questo contesto, ha trovato un terreno molto fertile per la sua totale declinazione in senso puramente oppositivo nei confronti delle pratiche clientelari e particolaristiche. L’ideologia meritocratica arriva, in tal modo, in Italia, senza passare per i canali della problematizzazione; arriva come un valore da abbracciare in modo acritico – una ricetta preziosa ed essenziale per il soprasso di un vecchio tipo di società corrotta e meschina.
64 3.3.2. Il berlusconismo, la mitologia del self-made man e la meritocrazia di
Abravanel
È un individuo geniale. È una persona che ha veramente dei tratti strabilianti, un self
made-man che riesce a costruire un'intera epopea della vita culturale nazionale.
Con queste parole, Nichi Vendola – leader dell’allora Sinistra e Libertà – descriveva Berlusconi nel marzo del 200924. Berlusconi è stato senz’altro una delle figure più importanti per quanto riguarda la storia italiana dagli anni Novanta in poi. Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, il businessman milanese entra in politica in un momento di grande sfiducia nei confronti dell’establishment. Tarchi (2002) fa notare come il Berlusconi dei primi anni Novanta possedesse tutte le caratteristiche che l’elettorato italiano, deluso e orfano dei riferimenti tradizionali, andava cercando in un nuovo leader: era un personaggio che poteva dichiararsi estraneo al contesto dell’élite politica del tempo (nonostante gli strettissimi rapporti, ad esempio, con Bettino Craxi25); incarnava lo stereotipo dell’uomo d’affari scaltro, arricchito grazie al suo talento, ma che non aveva abbandonato il suo territorio; possedeva un tipo di comunicazione paternalista e rassicurante.
Nel 1994, quando entra in politica, Berlusconi è un uomo dal successo grandemente affermato. Scrive Poli (1998: 271):
When he entered politics in 1994 at the age of 58, Silvio Berlusconi was a high-profile Italian entrepreneur. Founder, owner, and president of the Fininvest group, including 300 companies and 40,000 employees, he lived in the elitist Milanese countryside, in an eighteenth-century villa equipped with 30 television monitors, 52 telephones and 54 double-breasted bodyguards. He owned holiday mansions all over the world, went to the stadium on Sundays in his own helicopter to watch his own football team, had a beautiful blonde wife and five blonde children. (…) Proud and pragmatic, he never concealed his wealth, but transformed his own successes into a philosophy of life based on the virtue of hard work, optimism, self-confidence, efficiency, and fitness. In this invariably sun-tanned and affectedly smiling figure, some saw a kitsch parvenu, others the personification of their dreams of success and wealth.
Berlusconi, in questo senso, incarna il prototipo dell’uomo di successo che si è fatto da sé; è la prova vivente della realtà del “sogno americano”, veicolata dai film d’oltreoceano tanto popolari anche in Italia. Non a caso, è lo stesso Cavaliere a
24 Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/vendola-berlusconi-self-made-man-geniale-
e-strabiliante/ – consultato il 4 dicembre 2018.
25 Si veda, come esempio, l’interessante rassegna fotografica pubblicata da The Vision:
65 impegnarsi nel veicolare questo tipo di immagine mitologica (cfr. Amadori, 2002; Bickerton & Invernizzi Accetti, 2014), conscio della presa che avrebbe avuto sull’elettorato appartenente alla classe media italiana. Soprattutto, Berlusconi si trovava nella posizione di poter esercitare un’influenza mediatica pervasiva: essendo il proprietario di Mediaset, poteva sfruttare al massimo la potenza dei mezzi di comunicazione di massa per diffondere il suo verbo politico.
L’opera più significativa compiuta da Berlusconi in riferimento alla costruzione di un’immagine di sé come ‘imprenditore self-made di successo’ (che, tuttavia, rimane ancorato alle sue origini popolari) è senz’altro la divulgazione, nel 2001, del pamphlet “Una storia italiana”, recapitato per posta a milioni di famiglie. In questo opuscolo, il magnate di Arcore compie uno sforzo notevole per descrivere la sua figura attraverso l’utilizzo di una narrativa affettivamente iper-caricata; come notano Amadori (2002) e Ruggiero (2012), il tipo di narrazione adottata è particolarmente efficace, poiché si basa sulla giustapposizione di scorci sulla vita privata e di resoconti rielaborati di storie pubbliche (e, dunque, già note) a proposito della sua figura. Una sezione del pamphlet è particolarmente utile ai fini di questa trattazione26: quella intitolata “Costruire un
impero”. Questa sezione inizia con le seguenti parole: “Una storia da sogno americano, quella di Silvio Berlusconi. Una favola moderna che, come tutte le storie, rivela l’impegno, le incertezze, gli sforzi, il rischio, l’avvedutezza e la lungimiranza imprenditoriale di un uomo che, dal nulla, ha dato vita a uno dei più importanti gruppi imprenditoriali d’Europa.” La mitologia del “sogno americano” è espressamente
evocata da Berlusconi. Non solo, l’opuscolo continua narrando le eroiche gesta dell’uomo di “origini medio-borghesi” a cui niente è stato regalato. La seguente citazione è particolarmente interessante:
(…) nulla mi è stato facile – ammette Berlusconi – per arrivare, da figlio di un impiegato di banca, ho dovuto lavorare, lavorare e ancora lavorare. Mia madre mi ripete sempre: ‘È una condanna pesante la tua: non c’è niente di facile per te, devi conquistarti tutto con enorme fatica, con tanti sacrifici.’ E io rispondo. È vero mamma, è così: sempre sangue, sudore e lacrime. Ma questa è l’unica ricetta che conosco.27
26 È possibile consultare liberamente l’opuscolo sul web. Ad esempio, all’indirizzo: http://www.
madvero.it/pernondimenticarefile/unastoriaitaliana.pdf – consultato il 4 dicembre 2018.
27 Mentre sto scrivendo questo paragrafo, mi trovo in Inghilterra (presso la University of
Winchester) poiché sono risultato vincitore di un bando di Ateneo per svolgere una parte del mio periodo di tesi all’estero. In relazione all’ultima frase di questo passaggio, non ho potuto fare a meno
66 Possiamo descrivere la retorica di Berlusconi come una versione caricaturale dell’etica
del duro lavoro di cui parla McNamee (2018) in relazione all’ideologia meritocratica
americana (cfr. paragrafo 3.1). Berlusconi cerca di incarnare a tutti i costi la figura dell’uomo che si è fatto da sé e che arriva al successo nonostante le sue umili origini. In questo modo, la sua retorica si dota di una carica affettiva capace di scatenare meccanismi di immedesimazione da parte del suo elettorato. Questa serie di narrative, appositamente calibrate, ha contribuito a rendere Berlusconi l’homo novus di cui la politica italiana necessitava dopo gli scandali di “Tangentopoli” (Porro & Russo, 2000). Appare chiaro, dunque, come Berlusconi abbia rappresentato l’incarnazione del “sogno americano” – ovvero il sogno dell’uomo che, nonostante sia partito “dal nulla”, riesce a portare a compimento il sogno della scalata verso il successo, solamente grazie al proprio duro lavoro e al proprio talento.
Non a caso, l’ideale meritocratico veicolato dal berlusconismo ha trovato una sua espressione formale attraverso il bestseller pubblicato da Roger Abravanel nel 2008. Nel suo “Meritocrazia: Quattro proposte concrete per valorizzare il talento e rendere
il nostro paese più ricco e più giusto”, Abravanel – nota Cingari (2013: 165) –:
si fa esplicitamente fautore di un’«ideologia» che debba «mobilitare migliaia di italiani eccellenti» per «trasformare la cultura e i sistemi di valori». C’è in gioco un «homo novus»: definire, cioè «nuovi valori morali per influenzare comportamenti diffusi fra milioni di persone». Insomma, un vero e proprio progetto egemonico, che non esita ad auto-definirsi «ideologico». Il fine è produrre «leader eccellenti» nel settore pubblico e in quello privato, ma anche maggior «sviluppo ed eguaglianza sociale», sebbene su quest’ultimo punto la sua posizione sia ambivalente.
Per Abravanel, le disuguaglianze non sono un problema, poiché lo Stato, offrendo a tutti le stesse opportunità di partenza, non è responsabile per coloro che falliscono nell’impresa della mobilità ascendente. La meritocrazia assume, in questo modo, quel carattere morale che addirittura Hayek (1960) avrebbe fortemente criticato. In questo senso, la versione della meritocrazia proposta da Abravanel ha connotati molto somiglianti con il “cruel optimism” di cui abbiamo parlato in relazione a Cameron (cfr. paragrafo 3.2.3); sempre Cingari (2013: 170) scrive: “Secondo Abravanel, mentre
nelle società feudali, schiaviste, castuali, la diseguaglianza giustifica privilegi
di notare la sua somiglianza (troppo accentuata, per essere casuale) con la citazione di Winston Churchill stampata sulla banconota da 5 sterline: “I have nothing to offer but blood, toil, tears and
67 ingiusti, nelle società meritocratiche la diseguaglianza è considerata «giusta» in quanto basata sulle pari opportunità e la «mobilità sociale».”
Il pensiero di Abravanel è particolarmente importante per la politica di Berlusconi, poiché proprio quest’ultimo ha scelto l’autore del bestseller del 2008 come consulente per il Ministero dell’Istruzione durante il suo ultimo mandato da Presidente del Consiglio (ibidem). L’ideologia meritocratica del berlusconismo ha trovato applicazione concreta, ad esempio, attraverso la Riforma Gelmini (2008–2011), la quale sposa un ideale di meritocrazia rigido e acritico. Nelle parole della stessa ex- Ministra, la Riforma avrebbe dovuto configurarsi come “un evento epocale che
rivoluziona i nostri atenei e che permette all'Italia di tornare a sperare (…) L’Università sarà più meritocratica, trasparente, competitiva e internazionale. Il disegno di legge segna la fine delle vecchie logiche corporative: sarà premiato solo chi se lo merita.”28 La Riforma Gelmini, in effetti – in linea, grottescamente, con la distopia di Young (1958) – proponeva di assegnare delle borse di studio agli studenti che avessero ottenuto dei punteggi elevanti a una serie di test altamente standardizzati (ovvero, una trasposizione scolastica del test del QI).
Attraverso questo excursus sulla figura di Berlusconi e sul tipo di mitologia da quest’ultimo veicolata, abbiamo potuto constatare come l’ideologia meritocratica abbia avuto modo di permeare il tessuto connettivo del senso comune e dell’immaginario collettivo del contesto italiano. Il lungo consenso riscosso in passato – ma anche nel presente – dai partiti o dalle coalizioni capitanate da Berlusconi testimonia quanto questo tipo di propaganda e di retorica sia stato efficace al fine di riscuotere un consenso elettorale.
Come nel caso di Trump (cfr. paragrafo 3.3.1), ci troviamo davanti a un anacronistico “blue-collar billionaire” (Littler, 2017), che si fa portavoce di un’etica del duro lavoro attraverso la narrazione della propria storia personale, così da erigersi a simbolo irresistibile di un’ascesa grandiosa di tipo self-made; una narrazione, tuttavia, sulla quale viene operata una censura selettiva, che porta a sovrastimare enormemente il ruolo del merito e a sottostimare l’importanza di tutti gli altri fattori.
28 Fonte: https://www.repubblica.it/scuola/2010/07/29/news/riforma_universitaria_ultimo_roun
68 McNamee (2018: 83–85) si occupa di decostruire la mitologia dell’ascesa di Trump, rilevando come le sue origini familiari lo abbiano enormemente favorito nella costruzione del suo impero; per il caso di Berlusconi, mi limiterò a sottolineare come i contatti ambigui negli ambienti bancari di suo padre, Luigi Berlusconi, possano avere influito enormemente sulle sue iniziali possibilità di accedere a forme di credito che in molti (ad esempio, Veltri & Travaglio, 2001) non hanno esitato a definire più che sospette. In effetti, la Banca Rasini, presso cui Luigi Berlusconi prestava i suoi servizi