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Analisi delle carriere abitative e dei modelli di presa in carico

5. Analisi di un caso: emergenza abitativa a Pisa Alcuni dati e riflessioni.

5.3 I dati qualitativi rilevati e strutturazione della griglia delle interviste semi strutturate

5.3.3 Analisi delle carriere abitative e dei modelli di presa in carico

Come già ricordato in precedenza il campione intervistato è relativamente ristretto. Tale limitatezza è stata determinata da vari fattori: in primis le difficoltà di organizzazione temporale personale, in secondo luogo la scarsa adesione da parte degli utenti nel dare la disponibilità a partecipare. Tale dato viene registrato come una scarsa fiducia nel parlare di sé e dell’esperienza avuta con i servizi ad un membro del servizio stesso e come una difficoltà nel condividere aspetti relativi alla sensibile tematica dell’emergenza abitativa, che mette in gioco aspettative, preoccupazione e delusioni non sempre facilmente accettate. Detto ciò è comunque da mettere in evidenza il fatto che il campione, essendo al proprio interno variegato (nuclei in carico, assistenti sociali territoriali e coordinatori di servizio), ha permesso di far emergere aspetti interessanti e diversificati sulla base dei vari punti di vista emersi nelle interviste. Ciò ha consentito di individuare alcune costanti sia in merito alle dinamiche biografiche caratteristiche dei nuclei in carico sia in relazione alla percezione del fenomeno e all’idea condivisa degli operatori circa l’inefficacia degli attuali modelli di presa in carico da parte dei membri della rete dei servizi.

Gli aspetti più interessanti

In merito alle interviste ai nuclei è possibili rilevare che l’esperienza di emergenza abitativa è correlata con una moltitudine di fattori. Come si è potuto osservare, ciò che pesa di più sulla possibilità di cadere in una condizione di disagio abitativo sono gli aspetti economici, lavorativi e relazionali. Un peggioramento delle condizioni economiche può essere infatti determinato sia dalla

perdita del lavoro che dall’innescarsi di particolari dinamiche relazionali. In riferimento a questo ultimo aspetto si riportano i casi dei nuclei italiani dove si evince che una separazione, una conflittualità relazionale possono portare ad essere costretti a vivere da soli e a riorganizzarsi non potendo più contare sulle risorse dell’altro relativamente alla condivisione delle spese della vita quotidiana.

Altro dato rilevato è che i membri del campione solitamente hanno profili lavorativi medio bassi che, nella crisi economica in essere, non hanno loro consentito di riqualificarsi facilmente. In merito alla questione lavorativa e ai servizi deputati a farvi fronte è stata osservata una scarsa fiducia nei confronti del Centro per l’Impiego (=Cpi), unico vero ente titolato a sostenere gli individui nella ricerca attiva del lavoro. Quello che emerge è che ci sono utenti che non hanno mai preso contatto con tale servizio; mentre coloro che lo hanno fatto riferiscono da parte loro di non aver trovato in quell’organizzazione degli interventi finalizzati ad un reale superamento dello stato di disoccupazione. Anche se il campione intervistato è di modeste dimensioni, in tutti i nuclei è emersa una difficoltà anche lavorativa. Si deve anche evidenziare che nessuno di questi soggetti ha fatto cenno alla possibilità di usufruire dell’assegno di ricollocamento previsto all’interno del Piano Integrato per l’Occupazione della Regione Toscana. Il che pare evidenziare che i servizi previsti dal Cpi non sono sempre di facile fruizione.

Rispetto alla conoscenza delle reti dei servizi, sembra essere buona in tutti e quattro i casi intervistati; nonostante ciò, sono state rilevate alcune distorsioni. Per alcuni il rischio di essere etichettato come povero, venendo da un passato di tutt’altro genere, è troppo forte, tanto da far preferire di rinunciare alla possibilità di beneficiare di alcuni servizi presenti sul territorio. Rispetto a questo aspetto ci si potrebbe chiedere se, in qualche modo, i servizi delle Associazioni territoriali siano poco tutelanti nei confronti della privacy delle persone che seguono, o semplicemente se gli interventi siano erogati in modo tale che i cittadini possano facilmente intuire chi ne stia beneficiando. Un’altra distorsione osservata è la scarsa

In merito al titolo di godimento, tutti i nuclei al momento vivono in affitto e le spese abitative incidono drasticamente sui loro redditi mensili. Altro dato interessante da sottolineare è la forte discrepanza sussistente tra il canone di affitto calcolato sulla base delle leggi del mercato privato ed il canone di affitto quantificato sul reale valore catastale.

Rispetto alla condizione abitativa degli assistiti, in tutti i casi sono emerse problematiche strutturali rispetto all’alloggio in cui vivono; a ciò si aggiungono disagi che hanno a che vedere con l’inadeguatezza degli alloggi, che non vengono sentiti come una vera e propria casa: la casa infatti non rappresenta solo un luogo fisico dove abitare, ma assume aspetti ben più ampi, che danno uno specifico senso al proprio vissuto sia in termini positivi che negativi. In merito a ciò riporto le

riflessioni di Marta ed Ibram (cfr. il paragrafo interviste somministrate agli utenti). Per Ibram la casa rappresenta in senso lato il luogo di costruzione del benessere della sua famiglia (“mi piacerebbe avere una casa dove c’è uno spazio verde dove giocare”), mentre per Marta la casa di famiglia rappresenta un luogo di brutti ricordi dove non ha vissuto il senso di protezione di cui necessitava come adolescente.

Ed infine, da tutte le interviste effettuate ai vari nuclei emerge che in questi frangenti non vengono in alcun modo sostenuti dalla famiglia di origine. Detto ciò, si nota che i nuclei stranieri, pur nella difficoltà, percepiscono di aver intrapreso un “viaggio” di miglioramento delle proprie condizioni di origine, provenendo da Paesi caratterizzati da forti livelli di povertà assoluta; i nuclei italiani invece, pur appartenendo a famiglie di origine di modeste condizioni, hanno la consapevolezza di avere, nel corso del tempo, ulteriormente peggiorato le proprie condizioni “sociali ed economiche di partenza”.

Gli elementi emersi dalle interviste somministrate agli “addetti ai lavori” presentano alcune difformità sotto vari punti di vista.

In primis, rispetto alla percezione del fenomeno emergono versioni contrastanti. Infatti, se per

l’esponente della Commissione Tecnica (=Ct) e per il Coordinatore dei servizi Caritas è in corso un sostanziale incremento del fenomeno sul territorio, per le As territoriali impegnate in servizi specifici, a fronte dell’attuale organizzazione presente nei Servizi Sociali della “SdS” di Pisa, ciò non è vero. Per le loro specifiche utenze di riferimento, che ricordo essere psichiatrici ed anziani, non è stato osservato un aumento di casi sul territorio. In merito a questo aspetto le stesse intervistate affermano che il perdurare nel tempo di tali situazioni sembra essere determinato da alcune peculiarità della tipologia di utenza. In primo luogo ciò che emerge in entrambi i casi è che, in seno all’utenza, un buon numero di soggetti è già assegnatario di un alloggio popolare. Questo dato, che coincide con quanto rilevato anche a livello quantitativo (cfr paragrafo 5.1), mostra come gli assegnatari solitamente siano anziani soli, o comunque anziani genitori conviventi di figli psichiatrici. In virtù di ciò si presuppone che tale tipologia di utenza abbia meno difficoltà legate all’abitare e ai costi abitativi da sostenere. Tale protezione sembra essere determinata dai canoni di locazione degli alloggi popolari, che sono fortemente più bassi rispetto a quelli del mercato privato, e al contempo dal fatto che gli anziani, in quanto tali, beneficiano almeno di una pensione sociale; inoltre anche i figli, invalidi psichiatrici, godono quasi sempre della pensione di invalidità civile o addirittura dell’assegno di accompagnamento.

problematiche abitative, ci sono opinioni discordanti. La tipologia di utenza che ha maggiore probabilità di vivere tali condizioni viene individuata per Caritas senza dubbio nelle famiglie con minori straniere. Per l’esponente della Ct invece è difficile individuare un ideal tipo di utenza anche se conferma sostanzialmente la tendenza osservata da Caritas. Per l’As dell’area Salute Mentale si tratta sopratutto di persone sole, mentre per l’as degli anziani, non di rado le condizione di emergenza abitativa riguardano persone sole che hanno in carico ancora figli che si trovano in una condizione di invalidità.

Stessa disomogeneità è presente per gli addetti ai lavori anche rispetto alla percezione che hanno del proprio servizio in termini di efficacia/efficienza. Per Caritas le risorse, in senso lato, sono sufficienti, ciò che andrebbe rivisto è la progettazione dei servizi, che, a loro avviso, dovrebbe prevedere interventi ad hoc di accompagnamento a lavoro, con l’idea di fondo che, se si risolve la problematica lavorativa, anche gli altri bisogni sono soddisfatti. Per l’esponente della Ct ciò che andrebbe rivisto è il patrimonio immobiliare pubblico, unica vera risorsa tangibile ed efficace per far fronte all’emergenza abitativa. Come a sostenere che le risorse presenti nei servizi, in termini di contributi economici ecc., sono sufficienti, ma ciò che serve concretamente sono alloggi a basso costo. Le As del territorio invece concordano sul fatto che le policy di emergenza abitativa pensate fino a questo momento non sono adeguate. Entrambi condividono la necessità di prevedere politiche più personalizzate in grado di sostenere il nucleo non solo con la fornitura di un alloggio, ma anche con un “pacchetto di servizi” che lo sostenga in un percorso di autonomia.

Su due aspetti si trovano tutti d’accordo: i nuclei in carico sono fortemente destabilizzati dal vivere una situazione di emergenza abitativa e non hanno una famiglia di origine che li sostiene. Per Caritas, l’esperienza di emergenza abitativa ha connotati di forte demoralizzazione per gli utenti che la vivono. Ciò che hanno rilevato è anche il fatto che le famiglie vivono con forte disagio l’impossibilità di garantire ai figli una condizione di relativo benessere. Per l’As del Ct, la casa rappresenta il modo in cui ci presentiamo all’esterno, ed in virtù di ciò assume una particolare rilevanza anche rispetto alla costruzione del proprio sé. Per le As del territorio l’abitazione è fonte di certezza. Quindi, quando questa viene meno, si sviluppa per gli psichiatrici una forte sensazione di scompenso, perché è proprio nella casa che il più delle volte costruiscono il loro mondo. Per gli anziani essa rappresenta soprattutto il luogo del ricordo e la possibilità che la casa venga messa in discussione comporta per loro una forte fonte di angoscia.

In merito alle capacità di sostengo delle famiglie di origine, la percezione di questo aspetto da parte di tutti gli operatori intervistati è che non ci sia questa possibilità di aiuto per i nuclei in carico che vertono in condizione di emergenza abitativa.

Ct e l’As della Salute Mentale, l’emergenza abitativa sarà un tipo di problematica sulla quale saranno sempre più chiamati a collaborare. L’As degli anziani non crede invece che nel prossimo futuro si vivrà nel suo settore un incremento di tale problematica.

Conclusioni

In letteratura l’emergenza abitativa è un fenomeno che viene studiato nella maggior parte dei casi isolatamente. Si rileva infatti che, almeno per quel che riguarda il panorama italiano, solo alcuni studiosi hanno elaborato ricerche volte a tematizzare il fenomeno anche in relazione ad altre aree di Welfare. In merito a tale considerazione, lo studioso Teresio Poggio evidenzia il fatto che la casa e la sua localizzazione possono incidere su vari aspetti della vita dell’individuo. Infatti la casa è sicuramente un elemento costitutivo dello spazio sociale: ad es. una sua determinata localizzazione può più o meno incidere sulla possibilità di usufruire delle reti di relazioni sociali e di supporto informale. Non è un caso che per molti anni la tendenza delle famiglie italiane sia stata quella di andare a vivere vicino alle famiglie di origine: tale prossimità fisica consentiva infatti quella rete di scambio di aiuto che da sempre caratterizza il nostro modello di welfare (familista).

Oltre alla dimensione sociale della casa, è possibile individuarne anche una dimensione più specificamente economica. Questo perché, come si è visto dai dati riportati sia a livello internazionale che nazionale, le spese abitative incidono in modo determinate sulle voci di spesa che una famiglia deve affrontare nella quotidianità e, in virtù di ciò, influenzano anche le risorse economiche che rimangono a disposizione dei nuclei per affrontare le altre spese. La casa può assumere anche un valore di investimento sia in termini di affitto riscosso, se data in locazione, sia come accumulo di ricchezza destinata a rivalutarsi nel tempo, nel caso in cui vi sia un aumento del valore immobiliare. La casa infine può essere trasmessa tra generazioni e con essa anche tutti i benefici e le opportunità legati sia all’aspetto economico che alla dimensione sociale cui si faceva cenno poco sopra.

I dati analizzati a livello nazionale ci dicono che, in Italia, la gran parte dei nuclei residenti sono proprietari dell’immobile in cui vivono e sopratutto che la gran parte di essi, nelle ultime generazioni, ha ereditato l’alloggio dalla famiglia di origine. Come emerge anche dai dati rilevati a livello nazionale relativi all’alta incidenza dei costi abitativi di coloro che vivono in affitto a condizioni di mercato, si può constatare che chi non dispone di una casa di proprietà è maggiormente esposto a vivere condizioni di emergenza abitativa. Gli studi in tal senso, ovvero le ricerche che vanno ad analizzare come la famiglia di origine incida sui percorsi abitativi, sono pochi e oltretutto nemmeno di recente pubblicazione.

Seppure in riferimento ad un campione molto ridotto, l’obiettivo della presente tesi è stato quello di valutare in che misura le risorse familiare incidano sulle carriere abitative dei discendenti e di definire alcuni caratteri tipici dei processi che portano all’insorgere di una condizione di emergenza

abitativa. Il tutto in riferimento ad alcuni nuclei ad oggi in carico al Servizio Sociale della “SdS” di Pisa.

In sintesi, ciò che è emerso sembra poter mostrare come alcuni modelli di disagio abitativo caratterizzino in misura più o meno rilevante i percorsi di impoverimento dei soggetti con i quali si è entrati in contatto nel corso delle interviste. Un dato certo, confermato sia dagli utenti che dagli operatori di servizio, è che l’insorgere di un problema abitativo si presenta quasi sempre come conseguenza di una problematica lavorativa che, non garantendo più livelli di reddito adeguati al tenore di vita precedente, non permette di far fronte ai costi dell’abitare. A maggior ragione poi sono coloro che hanno perso il lavoro a correre il rischio di cadere in povertà, come dimostra il rapporto

Living Condition in Europe (cfr. cap. 2).

Un’aggravante è costituita poi dall’assenza o scarsezza di aiuti provenienti dalla rete familiare, che, vuoi per motivi geografici (vedi nuclei stranieri), vuoi relazionali (vedi nuclei italiani), vuoi economici, non garantisce quella protezione materiale che eviterebbe al nucleo di cadere nella condizione di più estrema precarietà, costituita dall’avvio della procedura di sfratto.

In tale ottica c’è inoltre da rilevare che il modello degli interventi attualmente in uso nelle politiche territoriali pisane prevede purtroppo l’attivazione della rete dei servizi solo nel momento in cui si ha la convalida della procedura di sfratto. Pertanto chi si trova in una condizione di difficoltà economica che non gli garantisce più di corrispondere il canone di locazione, se non ha la possibilità di contare sul sostegno materiale della famiglia di origine, può accedere unicamente a prestazioni che solo in parte riescono ad ovviare al disagio abitativo. Infatti le prestazioni per nuclei indigenti predisposte dai Servizi Sociali consentono ai richiedenti aiuto di ricevere fino ad un massimo annuo di contributo economico nella misura di euro 600 (vedi Regolamento generale per l’accesso alle prestazioni del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali142). Come si può dedurre se si esaminano i prezzi di mercato a Pisa, tale contributo non andrebbe nemmeno a sostenere, in molti casi, le spese per una mensilità di affitto. Oltre alla misura di cui sopra, i richiedenti possono accedere anche al “Bando di Integrazione affitto” predisposto dalla legge nazionale 431/98. In merito al contributo “Integrazione affitto” c’è da dire che tale misura non sembra assolutamente pensata per chi vive una condizione di emergenza abitativa. Può fungere solo da supporto per coloro che devono sostenere le spese di un affitto mensile che pesa abbastanza significativamente sul reddito familiare. Il contributo in sostanza offre la possibilità di alleggerire lo “sforzo economico” fatto nell’anno solare (viene accertato il pagamento dell’affitto tramite la consegna delle ricevute) attraverso l’assegnazione di una somma di denaro una tantum.

142 http://www.sds.zonapisana.it/index.php?option=com_content&view=article&id=702:regolamento-generale-per-l- accesso-alle-prestazioni-del-sistema-integrato-degli-interventi-e-dei-servizi-sociali-e-disciplinari-ad-esso- collegati&catid=115&Itemid=147 (consultato in data 25/11/18)

Ciò che emerge dunque dall’analisi delle dinamiche e dei processi di impoverimento in correlazione alle risposte pensate fino ad adesso dalla rete dei servizi è la presenza di non poche distorsioni. • La prima distorsione di funzionamento del sistema sta nel fatto che si può entrare in contatto con la rete dei servizi deputati all’emergenza abitativa solo dopo la fase di convalida dello sfratto. Questo significa per il proprietario sostenere costi amministrativi per l’avvio della procedura legale (il che determina una dispersione di risorse nel caso in cui il proprietario successivamente, beneficiando del “Bando di Morosità Incolpevole”, proceda alla sospensione). Dall’altra parte per gli utenti significa vivere una condizione di forte incertezza (vedi intervista As area Anziani), che non sempre sono in grado di gestire a causa dell’estrema complessità delle procedure messe in atto. Sicuramente sarebbe più utile sostenere l’utenza già nella fase antecedente alla convalida dello sfratto, ma con aiuti personalizzati e non emergenziali o ‘a tampone’, come quelli messi in campo fino ad ora (fra tali interventi ricordiamo ad es. l’albergazione nel caso in cui ci sia l’esecuzione dello sfratto oppure la concessione di un contributo di entità irrisoria rispetto al disagio economico espresso, contributo che permette unicamente di far fronte “a qualche spesa”). Alla base di tali inefficaci interventi sta la mancanza di una progettualità di lungo periodo e soprattutto l’assenza di un’adeguata valutazione dei motivi che hanno portato a innescare la situazione di bisogno [Maino, Ferrera 2013].

• In secondo luogo, la presenza di un modello di presa in carico “a prestazioni” [Villa 2009], che prevede la definizione di interventi di tipo standardizzato, non tiene conto delle specificità che invece caratterizzano le traiettorie di vita dei singoli nel corso dei processi di impoverimento. In relazione a questo aspetto si deve sottolineare come anche i nuclei in carico qui intervistati presentino una forte condizione di precarietà e mobilità sociale. Si tratta infatti di individui appartenenti alla cosiddetta classe media [Alock, Siza 2009] che, fino a che hanno avuto condizioni lavorative e relazioni stabili, non hanno sentito l’esigenza di entrare in contatto con i servizi. Alcuni di essi, che lo avevano già fatto in passato in via transitoria e per motivi contingenti (ad es. pagamento di un’utenza scaduta), da quando però si sono trovati a vivere uno sfratto e hanno rischiato realmente di finire nella condizione di non poter più disporre di un alloggio, si sono trovati costretti a ricorrere ai Servizi. In alcuni casi tuttavia essi si sono dovuti scontrare con la rigidità ed estrema burocratizzazione che caratterizzano l’assetto degli interventi ed inoltre non sono stati messi in condizione di muoversi liberamente in cerca di soluzioni alternative. Di questo parla ad es. Maria nella sua intervista, dicendo che tale modalità di assistenza le ha impedito “di sentirti libera”. Maria sogna infatti di spostarsi nuovamente in un altro territorio, ma l’attuale presa in carico non

glie lo consente: non le è permesso infatti di richiedere un contributo che la possa sostenere in