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Come cambiano gli interventi di politiche abitative nel corso del tempo

2. Regimi di Welfare ed evoluzione delle politiche abitative

2.1 Come cambiano gli interventi di politiche abitative nel corso del tempo

Il coinvolgimento dello Stato nelle politiche abitative è giustificato dal fatto che l’allocazione determinata dalle sole forze di mercato si rivela inefficiente e fonte di disuguaglianze sociali. Pertanto l’intervento pubblico attraverso politiche regolative, ad esempio attraverso sistemi di tassazione, trasferimenti monetari e la produzione oppure allocazione di risorse abitative, si pone l’obiettivo di redistribuire le risorse.

Gli interventi governativi in termini di politiche abitative, sia a livello nazionale che locale, sono in letteratura64 suddivisi tra strumenti che sostengono l’offerta di abitazione e strumenti che sostengono la domanda.

All’interno delle politiche a sostegno dell’offerta di abitazioni vengono fatti rientrare gli interventi in favore dell’affitto e della proprietà dei quali beneficiano i locatori/locatari, finanziatori e costruttori e che hanno "l’intento di supportare la produzione e la messa a disposizione di abitazioni"65.

Nello specifico, le azioni di policy che sostengono l’affitto sono: la concessione di sussidi ai costruttori privati sotto forma di sovvenzioni e mutui agevolati per la costruzione di nuovi alloggi in

62 Bauman, Z., Amore liquido: sulla fragilità dei legami affettivi, Bari, Laterza, 2006.

63 Esping-Andersen, G., Le nuove sfide per le politiche sociali del XXI secolo, in: «Il Mulino», XXV (2005) 2, pp. 181-

206.

64 Ranci, Pavolini, Le politiche di welfare... cit.

cambio di vincoli di destinazione di una parte di immobili a affitti calmierati; la fornitura diretta di alloggi da destinare all’affitto sociale; infine l’assegnazione di incentivi fiscali ai locatori ed un sistema che garantisca di poter ridisporre facilmente del proprio alloggio alla scadenza del contratto. Le politiche che incentivano la proprietà sono invece: la vendita di abitazione di edilizia pubblica (canale fortemente incentivato negli ultimi anni in tutta Europa a causa della crisi economica e della relativa riduzione di risorse pubbliche) e le agevolazioni ai costruttori privati sui costi di edificazione in cambio del vincolo che alcuni immobili siano venduti a prezzi contenuti. La scelta a favore dei primi due interventi a sostegno dell’offerta66, e più specificamente la fornitura diretta di alloggi in locazione, è mossa dalla volontà di incrementare quantitativamente lo stock abitativo ed è la strategia che ha caratterizzato le iniziative della maggior parte dei Paesi europei nel secondo dopoguerra (di cui parleremo più nel dettaglio alcune righe sotto). Le principali critiche mosse a tali interventi (in particolare alle politiche rivolte al sostegno dei costruttori) riguardano due questioni: si ritiene da un lato che gli alloggi sovvenzionati possono non venire destinati ai beneficiari dichiarati e dall'altro la possibile “segregazione spaziale” che questi interventi possono assumere, concentrando gli alloggi per individui indigenti nelle periferie dei centri urbani.

Nella seconda categoria troviamo invece i provvedimenti a sostegno della domanda di abitazioni che sono invece finalizzati alla riduzione dei costi abitativi per acquirenti e affittuari e si basano sostanzialmente su tre strumenti: la trasmissione di sussidi monetari (o meglio detto housing

allowances) finalizzati a sostenere i costi abitativi, regimi di imposta fiscale sulla tassazione

immobiliare favorevoli e la concessione di agevolazioni per l’accesso al mutuo ed al pagamento dello stesso.

Le housing allowance prendono spesso la forma di contributi a sostegno del pagamento dell’affitto e delle utenze ed hanno l’obiettivo di ridurre l’impatto che i costi abitativi hanno sul reddito disponibile delle famiglie. Questa tipologia di intervento è destinata ad essere sottoposta alla means

to test67 ed è caratteristica di un approccio di tipo selettivo piuttosto che universalistico. Ha il vantaggio di essere better targeted in quanto più o meno legata al reddito e ad altre caratteristiche del nucleo familiare, e più flessibile rispetto alle modifiche sia dei redditi che della dimensione del nucleo familiare, ma al tempo stesso presenta anche alcuni svantaggi, potendo determinare effetti inflazionistici e di poverty trap68 che incentivano comportamenti di “dipendenza da sussidio” [Ferrera 2006]. La questione si presenta ben più ampia ed un importante spunto di riflessione in merito viene concesso dal contributo di Esping- Andersen69. La programmazione di interventi

66 Poggio, T., La casa come area di welfare..., cit.

67 Alcock, P., Siza, R., Povertà diffuse e classi medie. Sociologia e politiche sociali, Milano, FrancoAngeli, 2010. 68 Saraceno, C., Il welfare. Bologna, il Mulino, 2013.

monetari a sostegno del reddito presenta il limite di dipendere da misurazioni del fenomeno di tipo

cross-sectional, o meglio basate sulla quantificazione puntuale dei soggetti che vertono in uno stato

di bisogno. I dati raccolti attraverso l’uso di questa tipologia di misurazione indicano la dimensione del problema, ma hanno un valore limitato nei processi di implementazione delle politiche sociali; in quanto non identificano i meccanismi che provocano l’entrata e l’uscita dei soggetti da particolari condizioni di disagio. Vi è, dunque, la necessità di disporre di informazioni (i cosiddetti dati panel e storie di vita) in grado di far conoscere le ragioni per cui alcuni soggetti restano più a lungo in una condizione di disagio piuttosto che altri.

Un altro tipo di sostegno della domanda abitativa è la tassazione favorevole che si realizza in termini di deducibilità delle imposte, di detrazioni dai redditi per le quote di affitto pagato e/o riscosso in base ai contratti regolarmente registrati, nonché di imposte sostitutive dell’IRPEF e delle addizionali per la parte derivante del reddito dell’immobile o di deduzione sugli interessi dei mutui. Ed infine, per ciò che concerne l’erogazione di agevolazioni per l’accesso ai mutui, gli Stati hanno proceduto all’acquisto di titoli emessi a fronte di mutui residenziali al fine di favorirne la concessione anche a famiglie senza stabili garanzie di restituzione.

Se andiamo ad analizzare come in Europa i Paesi Membri abbiano privilegiato una policy per il diritto alla casa piuttosto che un’altra, è possibile constatare che, dal Secondo Dopoguerra, vi sono stati quattro momenti storici nei quali si sono verificati cambiamenti in questo settore.

In primis, i periodi post-bellici sono stati caratterizzati da importanti finanziamenti e sovvenzioni statali diretti alla ricostruzione di abitazioni date in affitto a prezzi calmierati. Nello specifico, già a partire dal periodo post Primo Conflitto Mondiale, alcuni Paesi europei hanno utilizzato gli alloggi sociali in affitto quale strumento per risolvere la crisi edilizia ed affrontare i gravi problemi politici e sociali emergenti. All'epoca i progetti sociali erano rivolti prevalentemente alla classe lavoratrice di livello medio-alto e, generalmente, il sostegno aveva una durata limitata. L'attenzione degli Stati al tema si ripresenta nel Secondo Dopoguerra, quando la principale forma di disagio abitativo per gli Europei era derivata dalla mancanza di case, distrutte dal conflitto, o dalla presenza di vecchi immobili privi di standard minimi di qualità abitativa.

Un secondo momento di svolta si è avuto negli anni Settanta. Nel periodo del boom economico, una vasta disponibilità di alloggi, unita all'aumento dei redditi delle famiglie, porta ad avviare un processo di acquisto degli immobili, cosicché una buona fascia di affittuari diventa proprietaria dell’immobile dove già viveva. Prendendo ad esempio il Regno Unito, si evince che, fino agli anni Settanta, gli interventi sono stati fortemente sbilanciati verso i finanziamenti statali volti a garantire un sistema di nuove costruzioni di alloggi di edilizia pubblica. Dagli anni successivi in poi, iniziò una profonda trasformazione di tale sistema, che ha avuto come conseguenza la vendita stessa degli

alloggi sociali a prezzi inferiori (il così detto Right to Buy Act). Una trasformazione simile è avvenuta anche nei Paesi dell’Europa Orientale, dove, dopo la caduta dei regimi comunisti, si è avviato un processo di privatizzazione delle case popolari.

Per quanto riguarda l’Italia70, i fattori che hanno portato alla fuga dall’affitto sono stati molteplici. In primo luogo, nel 1978, la legge che ha introdotto l’equo canone e che ha fissato vincoli stretti sulla possibilità dei proprietari di incrementare il canone di locazione, ha portato molti proprietari a ritirare gli immobili dal mercato delle locazioni per venderli, visto che i margini di guadagno sull’affitto erano stati fortemente ridimensionati. In secondo luogo, a partire dagli anni Ottanta, l’offerta di case popolari è rallentata, sia a fronte del processo di vendita delle stesse ai privati sia per il ridotto investimento pubblico volto a sostenere nuove costruzioni. Tutto ciò ha costretto anche le famiglie più povere a trovare riparo nel mercato della proprietà, in quanto non vi erano valide alternative. Infine l’accesso alla proprietà è stato favorito dalla crescita dei redditi familiari e dall'introduzione di nuovi prodotti finanziari che hanno aperto le porte del credito a nuovi ed “incerti” mutuatari.

Più recentemente, un altro importante momento storico si ha a partire dagli anni Novanta, quando le politiche per la casa hanno conosciuto un momento di revisione e contrazione degli investimenti pubblici, a fronte dell’inflazione crescente che attraversava tutti i Paesi dell’Europa e non solo. La conclusione è stata una significativa riduzione dello stock di edilizia sociale, causati, come già enunciato poche righe sopra, sia da minori investimenti in questo settore sia dai processi di privatizzazione degli alloggi sociali. Un'ulteriore conseguenza della programmazione delle politiche sociali messe in atto ha riguardato l’introduzione di criteri maggiormente selettivi per poter diventare assegnatari di un alloggio popolare. Tutto ciò ha comportato il soddisfacimento e la stigmatizzazione di un gruppo ristretto di persone che, vertendo in una situazione di particolare fragilità, non potevano aspirare ad altre soluzioni abitative.

Tuttavia, tale approccio al fenomeno non è stato condiviso da tutti i governi, in quanto in alcuni Paesi, quali ad esempio Olanda e Austria, il forte coinvolgimento dello Stato si è protratto almeno fino ai tempi recenti.

Per quel che riguarda la condizione socio-economica delle famiglie, è osservabile che, in quegli stessi anni, i redditi hanno cominciato a crescere più lentamente a fronte di un'esplosione dei prezzi delle case. Pertanto le politiche pubbliche hanno risposto a tale situazione incentivando gli interventi monetari con l’obiettivo di sostenere i redditi delle famiglie economicamente più fragili e ridurre l’impatto delle spese abitative sul ménage familiare.

La diffusione di questo tipo di intervento71 può essere posta in relazione con due distinte necessità. La prima è di natura redistributiva: attraverso l'erogazione di benefici economici condizionati ad una verifica dei redditi è possibile orientare l'intervento pubblico verso le fasce di popolazione che si intende proteggere. La seconda si basa sul presupposto che i meccanismi del mercato siano il sistema più efficiente per soddisfare i bisogni abitativi, salvo ovviamente nel caso di famiglie a basso reddito, legittimate a ricevere il sostegno da parte dello Stato. Queste due argomentazioni a sostegno delle politiche rivolte alla domanda abitativa hanno trovato ampi consensi in molti Paesi europei; al punto che, hanno cominciato a diffondersi a partire dagli anni Settanta, ed oggi rappresentano uno dei pilastri delle politiche abitative.

Con l’insorgere della crisi economica nel 2008, le tendenze del periodo antecedente sono andate ulteriormente ad accentuarsi. Le politiche di costruzioni di nuovi alloggi sociali sono state quasi completamente sostituite dall’introduzione di misure di housing allowances a sostegno della domanda.

Il restringimento del campo d’azione delle politiche abitative, che non si rivolge più a tutta la società, ma solo ad alcuni gruppi di famiglie, ha comportato nuovi problemi. Infatti, da un lato i progetti dei promotori privati si sono sempre meno frequentemente rivolti alle famiglie a basso reddito e sempre più spesso sono stati indirizzati verso quelle di medio livello. Dall’altro lato, la domanda proveniente dalle famiglie a basso reddito, sempre più numerose nella maggior parte dei Paesi, non risulta possibile soddisfarla data la limitata offerta di alloggi sociali. Pertanto, sono in aumento i fenomeni di esclusione e polarizzazione sociale.

Al fine di far fronte ai nuovi bisogni emersi, la gran parte dei Paesi Europei ha risposto a tale emergenza trasferendo competenze e responsabilità in tema di politiche abitative dal livello centrale a quello regionale e locale. I cambiamenti nei processi di programmazione dell’edilizia sociale hanno visto assegnare una maggiore attenzione anche ai temi dello “sviluppo urbano sostenibile” e della “riqualificazione urbana”.

In linea generale si riscontra un cambiamento anche in merito alla sperimentazione di nuove forme di governace tra soggetti pubblici e privati ed un’adesione alla co-progettazione anche da parte dei soggetti del cosiddetto Terzo Settore (sussidarietà veritcale). Infatti il processo di privatizzazione coinvolge non solo la cessione di proprietà agli inquilini, ma anche il passaggio delle proprietà pubbliche a soggetti indipendenti quali associazioni, cooperative, società private e fondazioni. Prendono così forma esperienze di housing sociale, mosse dalla consapevolezza che le tradizionali politiche abitative, volte ad affrontare il disagio attraverso la sola fornitura di un alloggio, non sono più sufficienti. Si prospetta infatti la necessità di istituire un complesso sistema di politiche che

preveda l’incentivazione della coesione sociale e della partecipazione, il recupero dello stock immobiliare, la riqualificazione del contesto di riferimento, il risparmio energetico e l’offerta abitativa a determinate categorie di popolazione72. Nascono così in tutta Europa le prime forme di abitare condiviso e collaborativo fondate sui principi di mutuo aiuto che nella pratica si concretizzano in esperienze di cohousing o condominio solidale, dove gli abitanti dell’area residenziale sono chiamati a svolgere un ruolo attivo sia nella progettazione, realizzazione e manutenzione dell’opera edilizia. Come si faceva cenno poco sopra, tali esperienze non solo consentono di usufruire di un alloggio a prezzo calmierato, ma consentono anche di beneficiare di tutta un’altra gamma di servizi quali ad esempio la presenza di un gestore sociale. Quest’ultimo, nel caso in cui si tratti di un condominio solidale di anziani autosufficienti, può affiancare i residenti nello svolgere alcune attività della vita quotidiana (fare la spesa, pagare le bollette – welfare di prossimità).

Anche l’Italia ha cominciato a sperimentare questo tipo di progettazione che vede solitamente coinvolti soggetti pubblici e privati (Terzo Settore, Fondazioni bancarie ecc.), ma per il momento lo ha fatto in modo del tutto residuo e le esperienze di questo genere si sono concentrate sopratutto in alcune città del Nord.

E’ infine da sottolineare che, nonostante tali convinzioni di ri-progettazione delle politiche abitative si siano diffuse all’interno del contesto europeo, è possibile osservare che gli Stati europei hanno recepito ed organizzato in modo differente i programmi di housing sociale fortemente influenzati dal regime di welfare di appartenenza.

2.2 Il Social Housing ed alcuni modelli nel dettaglio: Danimarca, Regno Unito e