3. La trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze abitative
3.1 L'influenza dell'origine sociale sui percorsi abitat
Come già enunciato nel primo capitolo, l’abitare è una dimensione importante delle condizioni di vita e del benessere individuale, ed alcuni studiosi sostengono che abbia anche delle ripercussioni sui processi di autodeterminazione degli individui. Nonostante ciò, un diritto sociale così importante, ad oggi, non beneficia di un assetto politico che consenta di dare a tutti i cittadini le stesse possibilità in termini di accesso ad un alloggio in grado di soddisfare le diverse esigenze familiari.
Come scrive Esping-Andersen, “le opportunità di vita degli individui rimangono fortemente condizionate dall'estrazione sociale, come all'epoca dei loro nonni92”, e questo è quanto accade anche rispetto all'abitazione. Il che significa che ad esempio il fatto di possedere una determinata casa, dislocata in un determinato territorio, garantisce condizioni di vita migliori rispetto quelle di cui altri usufruiscono. Pertanto, anche se tradizionalmente le analisi sugli aspetti distributivi delle disuguaglianze economiche si sono concentrate sul reddito, recentemente alcuni studi93 [Tosi 1984, Barbagli et al. 2003; Bernardi e Poggio 2004] hanno avvertito la necessità di riconoscere come, anche la ricchezza patrimoniale, acquisisca un ruolo determinante nella produzione delle differenze di classe. Nella molteplicità delle forme in cui si possono manifestare le disuguaglianze derivanti dai diversi livelli di ricchezza, la casa rappresenta sicuramente un elemento centrale nel contesto italiano, in quanto, come già descritto nel primo capitolo, rappresenta i 4/5 dell'intero patrimonio familiare.
L’accesso alla casa di proprietà può avvenire in vari modi: in alcuni casi ad esempio si può acquisire un’abitazione di proprietà subito dopo aver lasciato la famiglia di origine ed, in altri, dopo essere stati per molti anni in affitto. Si diventa proprietari di un immobile attraverso vari percorsi: alcuni comprano un immobile, altri lo ricevono sotto forma di dono o eredità ed infine c’è chi lo costruisce direttamente.
In qualsiasi modo ciò avvenga, gli studi94 ci dicono che la famiglia svolge un ruolo importante nel soddisfare i bisogni abitativi dei suoi componenti.
Alcuni studi individuano significative differenze tra i Paesi del Nord e del Sud Europa. Ad esempio si ritiene che la correlazione tra classe sociale di origine e la possibilità di disporre di una casa di 92 Esping-Andersen, G., & Mestres, J., Ineguaglianza delle opportunità ed eredità sociale, «Stato e mercato», XXIII
(2003), 1, pp. 123-152.
93 Brandolini, A., Cannari, L., d’Alessio, G. , & Faiella, I. (2006). Household wealth distribution in Italy in the 1990s.,
in: Wolff, E. N. (a cura di), International Perspectives on Household Wealth, Cheltenham, Edward Elgar Publishing Limited, «Economic Journal», CXXI (2011), pp. 225-245.
proprietà è molto stretta nei Paesi del Nord Europa, ma non è così lineare in un Paese come l’Inghilterra. I giovani inglesi, anche se figli di proprietari, svolgono solitamente una prima esperienza in affitto al fine di acquisire attraverso il lavoro le risorse necessarie per prevedere un successivo acquisto di immobile.
Nei Paesi del Sud Europa, essendoci una grande percentuale di proprietari, la connessione tra classe sociale elevata dei genitori e possibilità di usufruire di un’abitazione a titolo gratuito è meno forte. E’ molto probabile che un giovane italiano, anche se appartenente ad un classe sociale più bassa, possa fin da subito disporre di un alloggio in proprietà.
Constato ciò c’è da dire che, chi non ha tale possibilità in Italia, ha forte difficoltà ad intraprendere percorsi alternativi. In quanto, come già più volte ricordato, il mercato degli affitti, oltre ad essere quantitativamente carente, è caratterizzato da canoni di locazione molto elevati. Anche approdare alla proprietà in generale, quindi attraverso risorse proprie o grazie al sostegno delle famiglie è abbastanza difficile. Infatti, come ci mostrano i dati raccolti nel rapporto redatto dal Ministero delle Finanze nel 201195 in merito alla presenza di locatori sul territorio nazionale, coloro che detengono la gran parte del patrimonio immobiliare italiano sono nella maggioranza dei casi individui appartenenti alla classe d’età anziana e cioè quella che varia dai 51 ai 70 anni (900 mila). Seguiti da circa 2 milioni di proprietari che invece hanno un’età compresa tra i 31 e 50 anni.
In netta inferiorità sono i giovani proprietari: sono quasi 584 mila quelli che hanno tra i 21 e i 30 anni, e solo 20 mila quelli che hanno un’età inferiore ai 20 anni. Tutto ciò a testimonianza di una dimensione relativamente contenuta dei giovani proprietari di immobili.
Anche l’analisi dei canoni di locazione conferma tale tendenza. Infatti si osserva una relazione positiva tra l’aumentare dell’età dei locatori e l’ammontare dei canoni percepiti dichiarati. I proprietari degli immobili locati che hanno meno di 20 anni ricavano dall’affitto in media all’anno 6,2 mila euro, mentre coloro che hanno un’età superiore ai 70 anni percepiscono in media 11,7 mila euro. Tutto ciò ad ulteriore conferma del fatto che i proprietari più anziani sono in possesso degli immobili che hanno maggiore valore di mercato e ciò si riflette anche sui canoni di locazione medi percepiti, che sono appunto più alti.
Tale dato è anche confermato dall’analisi delle classi di reddito di appartenenza dei proprietari di immobili e dei locatari.
Oltre un terzo dei proprietari di immobili96 che hanno concesso abitazioni in affitto, e quindi si presume avere un ulteriore abitazione oltre a quella dove vivono, si concentra nella classe di reddito
95 http://www.finanze.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/statistiche/Gli_immobili_in_Italia_2011_- _ capitolo_5.pdf (consultato il 19/05/2018) 96 http://www.finanze.it/export/sites/finanze/it/.content/Documenti/statistiche/Gli_immobili_in_Italia_2011_- _capitolo_5.pdf (consultato il 19/05/2018)
compresa tra i 10 e i 26 mila euro annui; seguono coloro che dichiarano un reddito compreso tra i 26 e i 55 mila euro annui (che sono circa il 29% del totale).
I locatari appartengono invece per lo più a classi di reddito più basse: il 67% di essi dichiara un reddito inferiore ai 26 mila euro annui.
La famiglia97 rispetto all’abitare può svolgere una molteplicità di funzioni e, come sostiene il 64,2% dei genitori intervistati da Censis98, “è in grado di affrontare autonomamente i rischi cui i figli potrebbero andare incontro nel futuro, rimarcando però la solitudine in cui si trovano ad operare e in particolare l'assenza di una rete istituzionale - pubblica e privata - che accompagni il nucleo famigliare anche nella costruzione del benessere economico dei figli99”.
Ad esempio, la famiglia di origine può garantire la condivisione del proprio alloggio nel caso in cui i giovani non abbiamo un’indipendenza economica che garantisca loro di far fronte alle spese abitative. Infatti i giovani italiani, che non possono beneficiare di un’abitazione di proprietà o del sostegno economico dei familiari, difficilmente riescono ad adottare strade alterne: fra queste ad esempio la possibilità di accedere a case di edilizia popolare oppure disporre delle risorse economiche che consentano loro di procedere all’acquisto di un immobile. La conseguenza di ciò è rimanere a casa con i genitori (famiglia lunga100) fino ad un’età media di 30,1 anni101 . Questo è quanto rilevato da Eurostat, che ci colloca al quarto posto in merito all’età media in cui i giovani escono dalla casa di origine, seguiti da Malta con i 31,8 anni. La media europea invece si attesta a 26,1 anni e ci sono paesi, come la Finlandia, dove l’età media di uscita di casa è di 21 anni.
Il dato dell’età media in cui i giovani in Italia decidono di lasciare la casa familiare è più alto nei maschi (31,3 anni) che nelle femmine (29 anni). Altro dato significativo è che l’età media risulta in continua crescita a partire dal 2006.
In Italia la famiglia diventa così l’unica vera risorsa su cui i giovani singles e le giovani coppie possono contare per raggiungere l’indipendenza abitativa.
Da alcuni rilevazioni compiute dall’Istat nel 2014102, emerge, che, il 62,5% dei giovani italiani che hanno un’età compresa tra i 18 e i 35 anni vivono ancora con i genitori. Nello specifico si tratta: nel 35,5% dei casi di studenti, nel 29,7% di giovani disoccupati ed infine nel 31,8% di lavoratori che, probabilmente anche a causa di contratti di lavoro precari, sono costretti a permanere presso la casa di famiglia.
97 Mencarini, L., & Tanturri, M. L., Una casa per diventare grandi. I giovani italiani, l'autonomia abitativa e il ruolo
della famiglia d'origine, «Polis», XX (2006) 3, pp. 405-430.
98 Indagine condotta di concerto a Zurich Italia nel 2003.
99 http://www.censis.it/7?shadow_comunicato_stampa=4765 (consultato in data 08/06/2018) 100 Mencarini, L., & Tanturri, M. L., Una casa…, cit.. p. 405
101https://www.lenius.it/eta-media-di-uscita-di-casa/ (consultato in data 19/05/2018)
102 http://www.repubblica.it/economia/2016/09/24/news/istat_casa_giovani-148434273/?refresh_ce (consultato in data
Se effettuiamo una comparazione con il contesto europeo, come mostra il grafico sotto riportato, emerge che nei paesi del Sud-Europa le difficoltà abitative incontrate dai giovani sono più frequenti rispetto a quelle che si verificano in altri Paesi europei e che per di più sono in costante crescita tra il 2007 e il 2011.
Figura 3.1 La percentuale di giovani tra i 18-29 anni che vive con la famiglia di origine in Europa
Fonte:https://www.theguardian.com/news/datablog/2014/mar/24/young-adults-still-living-with-parents-europe- country- breakdown (consultato il 19/05/2018)
In realtà, la famiglia svolge un ruolo fondamentale “di paracadute” anche per gli individui appartenenti ad altre coorti di età: gli anziani e gli adulti. Per ciò che concerne gli anziani si può osservare che, alla morte del partner, essi decidono di rientrare a far parte del nucleo familiare dei figli al fine di beneficiare delle prestazioni di cura necessarie oppure mettere a disposizione le proprie risorse economiche ed umane (difficoltà di gestione dei tempi di cura e lavoro per i genitori). La coabitazione tra familiari riguarda infine anche quei casi in cui, a fronte di una separazione o di una variazione occupazionale che sono state causa di una riduzione del reddito, si è costretti a rivedere le scelte abitative poste in essere fino a quel momento, ed in alcuni casi tali scelte prevedono un rientro presso la casa dei genitori (boomerang kinds103).
La famiglia di origine, oltre a svolgere un ruolo di riparo dall'esposizione a situazioni di povertà o esclusione sociale, come già annunciato poco sopra, sostiene in modo rilevante l'accesso alla casa di proprietà dei discendenti in favore dei quali mette a disposizione parte delle proprie risorse. Le risorse economiche, un terreno dove costruire, il lavoro volontario dei familiari volto a processi di
auto-costruzione o addirittura il trasferimento a titolo gratuito di un immobile del patrimonio familiare sono sostegni che hanno permesso al 40% delle famiglie italiane104 neo-spostate di beneficiare di una casa di proprietà. Se poi includiamo in questo computo la percentuale di individui che, dopo aver lasciato la casa dei genitori, è diventata proprietaria, allora la percentuale dei soggetti che hanno potuto usufruire di un aiuto sale a quasi il 55%.
Diversi studi affermano che la probabilità di ricevere a titolo di donazione un immobile è maggiore tra coloro che provengono da famiglie benestanti; è dunque facile intuire come i trasferimenti intergenerazionali riproducano il sistema delle disuguaglianze sociali già esistenti all’interno della società in un sistema dove le politiche abitative non sono in grado attuare una reale redistribuzione delle risorse all’interno della collettività.
Ad ulteriore dimostrazione della riproduzione delle disuguaglianze sociali già presenti nella società, vi è il fatto che il titolo di godimento dell’abitazione di differenti generazioni appartenenti allo stesso nucleo rimane costante nel corso del tempo.
E’ inoltre interessante evidenziare che il processo di trasmissione intergenerazionale, in uno studio di Eu-Silc del 2011105, è stato anche analizzato in termini di relazione positiva tra il reddito da lavoro dei figli e la capacità reddituale dei loro genitori. Nello specifico è stato affermato che il reddito lavorativo individuale sia il risultato, non solo del talento e dell’impegno messo in campo dai singoli individui, ma anche delle opportunità di cui si è potuto beneficiare dalla famiglia di origine sia in termini di condizioni patrimoniali che di capitale umano e sociale. Tra i Paesi Ocse tale correlazione risulta molto elevata nel Regno Unito ed Italia, mentre non lo è in Paesi come la Norvegia e la Danimarca. Sempre nella stessa ricerca è emerso che il livello professionale dei genitori ed il titolo di godimento dell’abitazione in cui si vive sono correlati significativamente con il reddito dei figli. Ed infine un ulteriore variabile presa in esame è il titolo di studio dei genitori, ed anche per questo caso, per quanto riguarda l’Italia, emerge che esso assume una rilevanza particolarmente discriminante. Infatti gli individui che hanno almeno un genitore con livelli di istruzione medio-alti dispongono di un redditto del 29 e del 26 percento più elevato rispetto a chi ha i genitori con livelli di istruzione bassa.
Tornando ad analizzare il sostegno delle famiglie di origine alle neo-famiglie emerge che, tale dinamica pur da sempre in essere, ha ripreso vigore negli ultimi anni a fronte delle trasformazioni socio-economiche in corso. Viceversa, negli anni '70-'80, frazioni della classe sociale medio- impiegatizia hanno potuto decidersi per l'acquisto dell'alloggio in quanto incentivate da condizioni favorevoli del mercato finanziario e da una serie di politiche pubbliche a sostegno della proprietà 104Barbagli, M., Castiglioni, M., & Dalla Zuanna, G., Fare famiglia in Italia: un secolo di cambiamenti. Bologna, il
Mulino, 2003.
nel momento del decollo del mercato degli immobili. Tale coorte d'età, pur non avendo completamente maturato i livelli di risparmio necessari per far fronte ai prezzi delle abitazioni, che in quel momento storico erano superiori al valore dei redditi, ha optato per la proprietà ed ha raggiunto livelli di indebitamento preoccupanti.
Ad oggi “la proprietà facile di quegli anni” sembra essere divenuta una realtà molto lontana. Di tale periodo storico restano invece presenti gli effetti negativi del processo di indebitamento attivato per acquistare gli immobili. Tali effetti negativi sono ulteriormente aggravati dall’aumento dei prezzi delle transizioni immobiliari, dalla crescente insicurezza lavorativa, dall’aumento del costo della vita accompagnato da una costante riduzione del potere di acquisto delle famiglie, dalle trasformazioni delle strutture familiari in atto che non hanno fatto altro che peggiorare le possibilità di accesso alla casa di proprietà attraverso il credito bancario.
In virtù della situazione delineatasi, che vede gli attuali giovani avere scarse possibilità di entrare nel mercato finanziario senza un garante stabile a fronte dell'instabilità occupazionale che li caratterizza, la famiglia è tornata a rivestire un ruolo fondamentale nella possibilità di accesso alla proprietà.
La famiglia di origine, oltre a svolgere un ruolo di sostenitrice di fatto nel diventare proprietari dell'immobile in cui si vive, influenza gli atteggiamenti dei figli rispetto alla preferenza del titolo di godimento dell'abitazione [Henretta 1984].
Se è vero che la casa rappresenta una valida fonte di accumulazione di ricchezza ed è un simbolo di benessere e prestigio, dall’altra comporta anche aspetti negativi: fra i quali ad esempio i costi di trasferimento da sostenere al momento della successione. Abitare in una casa d’affitto piuttosto che di proprietà può avere alcuni vantaggi: maggiore flessibilità, soluzioni transitorie e mobilità geografica. Chi preferisce l’affitto infatti non necessariamente esprime una carenza di risorse, ma, ad esempio, la scelta di non volersi radicare stabilmente in un luogo, almeno per una certa fase del corso di vita. Sulla base di tale interpretazione, gli studiosi ipotizzano che coloro che vivono in affitto possono appartenere a due classi sociali opposte. Da un lato infatti tale scelta può essere dettata da una carenza di risorse, e questo concerne le classi sociali più basse, dall'altro le famiglie delle classi più elevate possono spingere i figli a seguire percorsi di crescita lavorativa, acquisiti anche tramite la mobilità tra aree geografiche.
Stessa considerazione può essere svolta per ciò che riguarda la possibilità di avere un’abitazione in proprietà in un sistema abitativo ancora oggi caratterizzato da notevolissimi ritardi nell’attuazione della pianificazione urbanistica e da una generale tolleranza legislativa nei confronti del fenomeno di abusivismo edilizio. Tali aspetti hanno lasciato una sostanziale libertà di azione alle famiglie
italiane che, specie nel Sud, “arrangiandosi” attraverso pratiche di autocostruzione degli immobili, hanno permesso ai discendenti di avere una casa di proprietà in economia.
Dunque, i meccanismi di influenza delle preferenze da parte delle famiglie di origine possono agire in direzioni opposte e la forza della relazione fra classe sociale e proprietà o affitto non è così lineare e scontata.
In anni più recenti uno studio italiano che ha per oggetto il ruolo dei trasferimenti intergenerazionali per l’acquisto della casa di proprietà in relazione alla classe di origine è quello della sociologa Marianna Emanuela Filandri.
Tale studio ha utilizzato, come base di partenza, i dati raccolti dall'Indagine Longitudinale delle
Famiglie Italiane (Ilfi): uno studio panel prospettico articolato in cinque rilevazioni (avvenute nel
1997, 1999, 2001, 2003 ed infine 2005). Attraverso questa indagine sono state raccolte informazioni retrospettive relative a tutti gli eventi rilevanti accaduti ai membri del campione nel periodo compreso fra la data della loro nascita e la data dell'intervista. Lo scopo di ciascuna delle cinque rilevazioni successive è stato quello di aggiornare tali informazioni, registrando tutti gli eventi rilevanti accaduti ai membri del campione nel periodo compreso fra la data dell'intervista precedente e la data dell'intervista finale.
Per ciò che concerne le variabili, la studiosa ha costruito quale variabile indipendente l’origine sociale degli individui, ricavata dall’occupazione più elevata tra quelle dei genitori. Le variabili dipendenti individuate sono invece state: il titolo di godimento dell’abitazione e la probabilità di ricevere un aiuto da parte dei familiari per l’acquisto della casa di proprietà.
A conclusione del lavoro svolto, la ricercatrice ha riportato i seguenti risultati empirici: i figli delle classi più abbienti hanno più probabilità di ricevere donazioni dalle famiglie di origine per l'acquisto della casa ed anche l'entità di tali trasferimenti è influenzata dall'origine sociale, mentre i figli delle famiglie operaie hanno una maggiore probabilità di vivere in affitto.
Nonostante tali risultati, la ricercatrice conclude rilevando che uno studio sulle disuguaglianze sociali in termini di accesso alla casa di proprietà necessita di una disponibilità di dati tali che permettano di praticare approcci longitudinali e multi-dimensionali, dando conto dei diversi ambiti e tempi nei quali possono manifestarsi le disuguaglianze abitative.