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L’emergenza abitativa raccontata da chi la vive

5. Analisi di un caso: emergenza abitativa a Pisa Alcuni dati e riflessioni.

5.3 I dati qualitativi rilevati e strutturazione della griglia delle interviste semi strutturate

5.3.1 L’emergenza abitativa raccontata da chi la vive

Qui di seguito verranno riportati i dati qualitativi emersi nelle quattro interviste somministrate ad utenti in quel momento in carico per problematiche socio-abitativo. Si tratta: di un nucleo straniero con quattro figli (di cui una ancora minorenne), di un nucleo italiano composto da una signora di 63 anni che vive da sola, di un nucleo straniero con due figlie di cui una con grave disabilità e di un nucleo monogenitoriale composto dalla madre e due figlie (di cui una minorenne).

In merito alla modalità con cui i nuclei sono entrati in contatto con la sottoscritta (in qualità di intervistatrice) è possibile individuare atteggiamenti diversi. C’è chi ha visto questa possibilità come l’occasione per ricevere una maggiore attenzione nei confronti della propria situazione di emergenza abitativa (“se vuole vedere, venga pure anche a casa”) e chi, invece, dopo un’iniziale diffidenza circa il dover parlare della propria condizione, è riuscito ad aprirsi nel corso dell’intervista e a parlare di esperienze che, pur non riguardando direttamente l’attuale condizione di emergenza abitativa, hanno segnato gravemente la sua esistenza.

Si fa presente che, al fine di tutelare la privacy delle storie raccontate, saranno utilizzati nomi di fantasia.

La storia di vita

Le storie di vita incontrate durante le interviste sono di diversa natura, ma sono tutte accomunate da una situazione di povertà che non riguarda solo gli aspetti economici. C’è chi ad esempio affronta un viaggio dal Bangladesh con l’intento di migliorare le proprie condizioni di vita e chi invece arriva dalla Macedonia con l’obiettivo di scappare da una condizione di povertà. E poi c’è chi, con

la volontà di ricostruire una rete familiare, torna a Pisa, dopo aver vissuto per anni in una città del Nord di Italia. E ancora chi si trova da anni sul territorio, ma, a fronte della separazione coniugale, vive una condizione di marginalità sociale.

Sono vite in movimento, costrette ad un continuo “adeguarsi” da una situazione all’altra.

Maria vive da sola da circa tre anni, da quando la figlia, appena diventata maggiorenne, ha lasciato la casa in cui vivevano insieme: “c’erano problemi tra di noi e lei ha deciso di fare la sua strada. Da quando non c’è più la situazione è cambiata in peggio. Mi sono trovata sola, a Pisa, dove ormai non avevo più nessun contatto, dopo 20 anni passati su un altro territorio. Sono venuta qui proprio per far contenta lei, per farla riavvicinare ai suoi fratelli [la signora aveva avuto una precedente relazione prima di quella che ha portato alla nascita della figlia], ma tutto è andato male […] Non me lo perdonerò mai di essere tornata a Pisa.”

“Io sono del Bangladesh [racconta Selina, ragazza di 20 anni] e la mia famiglia è composta dai miei genitori, dai miei fratelli e dalla mia sorella [unica minore del nucleo]. Io sono qui da 12 anni, mentre mio babbo è arrivato in Italia nel 2000 come richiedente asilo”.

Ibram riferisce di essere arrivata a Pisa dalla Macedonia nel 2000 insieme alla moglie: “Vedevamo la luce in fondo al tunnel”.

Marta racconta che tutto è cambiato da quando è in entrata in crisi con l’ex-marito: “abbiamo provato a risolvere i nostri problemi per il bene dei nostri figli e poi non c’è stato più niente da fare”.

Le condizione economiche

Le condizioni economiche dei nuclei intervistati sembrano aver risentito in modo significativo della crisi economica in essere, delle dinamiche relazionali familiari e dei trasferimenti da un territorio all’altro. E’ possibile rilevare un generale peggioramento delle condizioni economiche di tutti i nuclei intervistati nell’ultimo periodo. Per quanto riguarda i nuclei stranieri, si tratta di strutture familiari dove solo il capo famiglia maschio è stato per lungo tempo impegnato in una condizione lavorativa stabile con profili medio bassi (commerciante e autotrasportatore). Mentre, per quanto riguarda le famiglie italiane, nel caso della signora che vive da sola, quest’ultima non ha mai avuto un percorso di lavoro stabile (solo lavori occasionali nel settore dell’assistenza); invece la signora che vive con le figlie ha da sempre lavorato con contratti regolari e ha perso il lavoro solo negli

ultimi anni (lavorava nel settore impiegatizio di un’azienda).

Ed infine solo i nuclei italiani risultano attualmente beneficiari della misura REI140, mentre un nucleo straniero non ha ancora fatto domanda e l’altro non ha i requisiti per potervi accedere. Maria racconta che da quando la figlia si è trasferita per conto proprio non è più riuscita a far fronte alle spese quotidiane: “prima, anche se con lavori occasionali, lavoravamo entrambe […] forse lei più di me, così che è giovane qualcosa trovava sempre”. Maria nel corso degli anni ha anche intrapreso una formazione per ricevere l’attestato di operatore socio sanitario e ha quindi quasi sempre lavorato nel campo dell’assistenza, anche se il suo sogno sarebbe stato quello di lavorare con i bambini.

Selina afferma: “Prima andava bene, avevano due negozi, un internet point e uno di generi alimentari […]. Poi negli ultimi anni è peggiorata, i clienti non ci sono […]. Il guadagno non è tanto, poi siamo in sei, dobbiamo pagare affitto di casa, luce… gas va bene ora non ce lo abbiamo gas, usiamo la bombola di gas da quando abbiamo avuto il distacco” .

Ibram riferisce: “Quando sono arrivato in Italia c’era tanto lavoro e non ho avuto problemi ad inserirmi anche se con contratti a scadenza. E poi, da quando è iniziata la crisi dell’azienda per cui lavoravo da anni, non mi hanno più chiamato […] non avevano più gli stessi lavori di prima [...] ed ora noi viviamo solo con la pensione della bimba ”.

Marta, invece, ha sempre lavorato nel settore impiegatizio di alcune aziende del territorio: “Dopo il diploma non ho fatto fatica a trovare lavoro […] ho sempre cercato l’indipendenza con l’intento di costruirmi la mia famiglia. Dopo il licenziamento ho svolto solo lavori occasionali, ad esempio in questo periodo mi occupo di assistenza ad una persona anziana […] purtroppo anche il mio ex marito è disoccupato e quindi non può provvedere al pagamento del mantenimento.

140A tale riguardo si ricorda che il Reddito d’Inclusione (REI) è stata introdotto con il decreto legislativo n ° 147/2017, come misura attiva volta a sostenere economicamente i soggetti in condizione di disoccupazione in cambio della loro disponibilità a partecipare a progetti di inclusione nel mercato del lavoro. Per poter presentare domanda è necessario, insieme ad altri requisiti che non saranno qui elencati, non beneficiare di nessun ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria e, in aggiunta a ciò, per gli stranieri è indispensabile avere un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo. In merito a questi due requisiti è possibile compiere una breve analisi su alcune problematicità che esprimono. In primo luogo per avere il beneficio in esame è necessario aspettare 20 giorni per la fine dell’istruttoria e quindi, chi sta beneficiando della Naspi o altro ammortizzatore, deve aspettare l’ultima riscossione prima di poter presentare domanda, con la conseguenza di correre il rischio di rimanere un periodo senza nessun tipo di sostentamento. In secondo luogo, per quanto riguarda il permesso di soggiorno Ue di lungo periodo, questo viene concesso solo nei casi in cui si sia in grado di dimostrare un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e di avere un l’alloggio congruo, in termini di spazi abitativi, alle esigenze del proprio nucleo. Questo ultimo aspetto, almeno per quanto riguarda i soggetti in condizione di emergenza abitativa, si può supporre di difficile applicazione.

Le condizioni abitative

Per le condizioni abitative non è possibile individuare percorsi comuni tra i diversi nuclei intervistati: c’è chi ha cambiato molte case da quando si è distaccato dal nucleo di origine e chi, invece, dopo la migrazione in Italia, ha abitato sempre nella stessa abitazione. C’è chi ha vissuto il passaggio dal campo Rom ad una casa “a tutti gli effetti” e chi invece per necessità ha dovuto lasciare l’abitazione di proprietà della famiglia per approdare all’affitto.

Ciò che si rileva è che in tre casi intervistati si tratta di abitazioni non adeguate alle esigenze del nucleo (presenza di barriere architettoniche, umidità e problematiche strutturali). Invece in un caso, anche se l’abitazione prevede standard abitativi adeguati, al fronte delle ristrettezze economiche il nucleo dichiara di non essere in grado di riscaldare gli spazi adeguatamente negli ultimi anni.

Maria racconta che, prima di arrivare nell’alloggio dove vive adesso, viveva in un’abitazione di proprietà di un amico di suo figlio per la quale pagava un affitto mensile di euro 500 senza contratto. Più volte aveva chiesto al proprietario di stipulare il contratto di locazione e quest’ultimo, nonostante le tante promesse, non si era mai attivato in tale direzione. “Un giorno leggo sul giornale che chi non ha un contratto di locazione può denunciare il proprietario alle Agenzie delle Entrate e quindi decido di informarmi e di procedere […] Sa a quanto mi hanno portato l’affitto? A euro 40 al mese sulla base del valore catastale […] ma poi, alla scadenza del contratto, consigliata anche dal sindacato, ho deciso di cambiare casa […] mi avevano detto che la legge sarebbe cambiata”.

Selina racconta che da quando sono arrivati in Italia hanno sempre vissuto in quella casa. “Prima l’affitto era settecento al mese e poi piano piano è aumentato fino a 900 [...]. La casa può andar bene, solo che non abbiamo il riscaldamento, non abbiamo l’acqua calda, non abbiamo il gas e poi le scale sono troppe alte e miei genitori hanno tutti e due problemi a salire […] e poi non riusciamo a chiuderla perché le porte sono rotte, ma nel quartiere non abbiamo paura. È sicuro”. Aggiunge dettagli al racconto, dicendo che la casa in Bangladesh era peggio: “abitavamo con dei parenti di mio padre e quindi avevamo un’unica stanzina per tutta la famiglia”.

Ibram e la sua famiglia appena arrivati in Italia sono andati a vivere nel campo rom e poi subito dopo è nata la prima figlia. “Eravamo giovani, avevamo solo 23 anni […] la felicità di avere il primo figlio […] quando Gabriela aveva un anno ci eravamo resi conto che c’era qualcosa che non andava […] c’era un altro bambino nel campo e quello si vedeva che era normale […] a Gabriela è stata riconosciuta una disabilità e noi abbiamo capito che non potevamo più stare nel campo”. In

realtà hanno impiegato diciassette anni prima di riuscire a cambiare la propria condizione abitativa. Infatti lo scorso gennaio hanno ricevuto l’assegnazione straordinaria di un alloggio popolare. “Rispetto al campo, va molto meglio […] ora abbiamo una casa vera […] la casa che ci hanno dato non è adeguata per nostra figlia perché, siccome la mia figlia ha dei problemi a deambulare […], gli spazi sono ristretti, non adeguati alla sua disabilità”.

Marta, appena sposata, è andata a vivere nell’abitazione dei genitori che poi, nel 2014, è stata messa all’asta a fronte dell’indebitamento del marito, incline al gioco d’azzardo. “Sì, la mia casa mi manca, ma è legata anche a tanti brutti ricordi che mi fanno male […] quando ero adolescente in quella casa c’è stato un mio parente che mi ha fatto tanto male […] e quindi, quando passo di lì, quella casa, quel palazzo, quella strada mi fanno morire dentro”. Marta, dopo il pignoramento dell’abitazione di famiglia, ha trovato una nuova abitazione a euro 500 al mese. In quel periodo era ancora sposata. “La casa sarebbe grande, ma non riusciamo ad utilizzarla tutta […] ho spostato la camera da letto di mia figlia maggiore in salotto perché nella sua stanza c’era troppo umidità”.

La condizione di emergenza abitativa: rete di supporto (famiglia, istituzioni, no profit)

Anche per quanto riguarda l’insorgere della condizione di emergenza abitativa, le situazioni si differenziano. C’è ad es. chi ha avuto lo sfratto e chi invece non l’ha mai avuto; chi ha sentito l’esigenza di intraprendere un percorso di crescita culturale che offrisse più garanzie nei confronti dei figli e chi si è trovato ad affrontare il pignoramento dell’abitazione.

Quello che invece accomuna tutti è il fatto di non avere al momento una rete familiare solida che li possa sostenere in questo periodo di fragilità.

Per quanto riguarda i nuclei stranieri c’è in primis la lontananza della famiglie di origine, che comunque affermano di avere condizioni economiche peggiori di quelle dei parenti in Italia. Tuttavia gli stranieri considerano la condizione in cui si trovano, seppur caratterizzata da ristrettezze, un miglioramento rispetto a quella in cui erano costretti a vivere nei Paesi di origine. Per quanto riguarda i nuclei italiani, in entrambi i casi si tratta di donne sole che vivono con i figli dopo la separazione dal marito o dal compagno, o comunque l'allontanamento di un altro membro della famiglia, il che le ha esposte ad una situazione di vulnerabilità a rischio di emarginazione. Rispetto alle storie raccontate si può evidenziare un leggero peggioramento rispetto alle condizioni economiche di partenza. Infatti, in entrambi i casi, pur provenendo da famiglie di origini modeste (in un caso si tratta di genitori gestori di una trattoria e nell’altro di un nucleo dove solo il padre ha lavorato in modo continuo in un’azienda come operaio), sembravano avere raggiunto nel corso degli anni una serena stabilità (per un periodo entrambe sono state proprietarie dell’immobile dove

vivevano). Le vicende che si sono susseguite nel corso della vita sembrano averle indebolite ed entrambe confermano che il fatto di non poter contare sui familiari (in un caso deceduti e nell’altro interessati da gravi problematiche relazionali) le ha rese ancora più vulnerabili.

Maria prima di lasciare l’alloggio denunciato all’Agenzia delle Entrate era già in carico al Servizio Sociale per problematiche economiche e ogni tanto riceveva un contributo economico finalizzato al pagamento delle utenze. Quando ha capito che avrebbe dovuto lasciare la casa, ha condiviso questa sua preoccupazione con la sua Assistente sociale di riferimento e quest’ultima ha previsto un progetto socio-abitativo che prevede un contributo ad integrazione del pagamento dell’affitto. “La casa che ho trovato è bellina […] dovrei pagare 450 al mese, ma grazie all’aiuto del servizio pago solo euro 250 escluse le utenze […] per me è tanto […] dal mio lavoro di badante ci ricavo 600 euro al mese e toglierci tutti i mesi quella cifra mi pesa”.

Per quanto riguarda la relazione con il suo nucleo di origine, racconta di essere figlia unica e di avere entrambi i genitori deceduti. Racconta che, dopo la fine della relazione con il primo marito, con il quale “mi sono sposata solo per uscire di casa” (da questa relazione erano nati due figli), è andata a vivere in un altro territorio a seguito dell’inizio di una nuova relazione, dalla quale è nata un’altra figlia. Dopo la fine anche di questa seconda relazione, attraverso dei contatti che aveva, si è trasferita in un altro territorio; là riferisce di aver trovato una reale serenità per alcuni anni, interrotta dalla richiesta della figlia di riunirsi ai fratelli a Pisa.

Il nucleo di Selina ha ricevuto lo sfratto nel 2013 dopo circa un anno che non pagava più l’affitto di euro 900 al mese. Anche i suoi familiari erano già in carico al Servizio e venivano sostenuti sporadicamente con qualche aiuto economico, ma poi, quando si sono trovati con lo sfratto, si sono rivolti di nuovo al Servizio ed all’Ufficio Casa, affiancati dall’Associazione territoriale Prendo Casa141. A quel punto hanno partecipato al Bando di Morosità Incolpevole, perché sono stati in grado dimostrare una riduzione dei redditi. I servizi e la famiglia hanno trovato un accordo con il proprietario, che ha ritirato lo sfratto e ha abbassato l’affitto ad euro 320 al mese: di cui euro 200 garantiti dal servizi ed euro 120 corrisposti direttamente dalla famiglia.

Per quanto riguarda il nucleo di origine, i nonni di Selina vivono in Bangladesh. In realtà lei riferisce che è attualmente in vita solo la nonna materna, quest’ultima non ha le condizioni economiche per sostenerli.

141 Prendo Casa è una realtà territoriale molto attiva nelle tematiche legate all’emergenza abitativa: organizza ad

Ibram, da quando è emersa la disabilità della figlia, ha cominciato ad attivarsi per trovare un’altra soluzione abitativa. Prima ha provato nel mercato privato, ma ha trovato non poche ostilità legate alla sua nazionalità e all’assenza di contratti di lavoro stabili; poi negli anni, con l’Assistente Sociale con la quale era entrato in contatto per la disabilità della figlia, ha provato ad accedere agli alloggi in emergenza abitativa. Ha ricevuto l’alloggio lo scorso gennaio. Dovrebbe pagare euro 40 al mese, al momento riferisce di non riuscire a corrisponderli.

La famiglia di Ibram vive in Macedonia: al momento ha ancora la mamma anziana che percepisce “una pensioncina, dovremo essere noi ad aiutare lei”.

Per Marta, nonostante la nuova abitazione in affitto, i problemi non si sono fermati. Nel 2017 ha ricevuto lo sfratto perché, a fronte della perdita del lavoro e della separazione dal marito, non è più riuscita a far fronte al canone di locazione. “Appena ho ricevuto lo sfratto mi sono messa in contatto con i Servizi Sociali […] era la prima volta che lo facevo. Attraverso di loro ho beneficiato di un rallentamento della procedura di esecuzione e nel mentre avevo già fatto domanda di casa popolare […] Ora finalmente siamo prossimi all’assegnazione”.

Marta ha un rapporto con la famiglia di origine connotato da forte conflittualità: la signora ha subito una situazione di violenza in adolescenza e rispetto a tale esperienza, ancora oggi, riconosce che i suoi genitori non l’hanno tutelata a sufficienza. Quindi anche l’attuale rapporto con l’anziana madre è inficiato da tale esperienza. “Non sarei mai potuta tornare a vivere con loro”.

La conoscenza della rete dei servizi e la consapevolezza dei suoi limiti

Per quanto riguarda quest’area tematica, almeno tre nuclei appaiono abbastanza informati sulla rete dei servizi e sembrano avere intrapreso una relazione di tipo collaborativo con il Servizio Sociale, che riferiscono essere in linea con le loro aspettative. Sembrano essere consapevoli della generale mancanza di risorse e quello che si aspettano dai servizi non è tanto una soluzione dei loro problemi, ma piuttosto un percorso di affiancamento. Un nucleo sembra vivere con particolare imbarazzo l’approccio ai servizi, anche se riferisce che senza il loro sostengo non sa cosa avrebbe fatto. Un altro invece sembra conoscere bene i servizi della rete assistenziale, ma sembra essere meno incline a intraprendere percorsi di attivazione per la ricerca di un nuovo lavoro.

Maria riferisce di essersi rivolta ad altri servizi di natura istituzionale (Centro per l’impiego, ecc.), ma di non potersi rivolgere a servizi delle Associazioni: “qui a Pisa mi conoscono tutti, ed anche se sono venti anni che sono fuori, sa questa gente mi ferma per dirmi tu sei la figlia di […] e la nipote di […]. Quello che mi pesa di più è sentirmi scivolare la dignità addosso […] e poi alla fine mi

dispiace, perché se andassi ad esempio alla Caritas potrei riceverei di più rispetto a quello con cui vivo adesso”.

Selina si è diplomata in odontotecnica e vorrebbe trovare lavoro in questo settore. Racconta di essersi rivolta al Centro per l’impiego e di essersi informata presso il Servizio civile nazionale. La famiglia beneficia solo dei servizi erogati dal Servizio Sociale.

Ibram dice di essere in contatto con il Centro per l’impiego, ma non ne riconosce l’utilità perché riferisce che, in tutti questi anni da disoccupato, non gli si è mai prospettata una valida alternativa. Dal contatto con l’assistente sociale si aspettava “ di parlare per i nostri problemi che ci abbiamo e di essere ascoltati e magari di essere accolti per quello che ci aspetta […] Purtroppo non sempre è così, ad esempio ora mi hanno dato una casa che però non va bene per Gabriela e la sua disabilità ed ora non posso neppure fare il cambio perché sono cambiati le regole per potere accedere alle case in emergenza. […] Questo a noi dispiace, noi vogliamo che Gabriela possa vivere come una ragazza normale […] Noi non siamo chiusi e vogliamo che lei stia insieme agli altri, sai quante volte noi andiamo in Piazza dei Miracoli a guardare i turisti, vogliamo che lei impari a conoscere il mondo ”.