5. Analisi di un caso: emergenza abitativa a Pisa Alcuni dati e riflessioni.
5.3 I dati qualitativi rilevati e strutturazione della griglia delle interviste semi strutturate
5.3.2 L’emergenza abitativa raccontata da chi lavora nel settore
Si è voluto realizzare un ulteriore approccio a questa problematica, sia per una necessità di natura pratico-organizzativa sia per la volontà di portare alla luce un altro aspetto del problema, certi del fatto che la percezione dell’esperienza fatta è anche influenzata dal tipo di contatto instaurato con l’utenza. Proprio in tale prospettiva abbiamo ritenuto necessario distinguere i dati rilevati nelle interviste effettuate a chi lavora a stretto contatto con l’utenza da quelli emersi dalle interviste somministrate a chi invece svolge essenzialmente solo un ruolo di coordinamento nel servizio in cui è impiegato. E’ inoltre da aggiungere che anche metodologicamente è preferibile poter descrivere un fenomeno da più punti di vista al fine di rilevare meglio il funzionamento dei modelli di presa in carico.
• L’emergenza abitativa raccontata dalle Assistenti sociali territoriali
Le due Assistenti sociali territoriali afferiscono all’area Anziani e Salute Mentale. Entrambe, per la funzione svolta, hanno un continuo contatto con l’utenza ed elaborano, sulla base di un condivisione con l’utenza, progetti socio-abitativi volti al superamento della condizione di fragilità. Di seguito verranno riportati i dati qualitativi emersi nel confronto con le stesse al fine di evidenziare come e in che modo questo tipo di problematica coinvolga anche l’utenza appartenente a queste due aree.
Ruolo ed organizzazione di appartenenza
l’altra area Salute Mentale della “SdS” di Pisa.
La volontà di intervistare tali colleghe nasce dall’intento di andare ad indagare come l’utenza anziana e psichiatrica entri o meno in contatto con il Servizio dedicato alle problematiche di emergenza abitativa, visto anche il fatto che sono state intervistati direttamente solo i nuclei che afferiscono all’area “Famiglie e Minori”. A tale riguardo si deve segnalare il fatto che le colleghe hanno manifestato un forte senso di isolamento rispetto ad altre aree di utenza; hanno ad es. sottolineato che le aree cui afferiscono, non avendo per loro natura un carico di lavoro particolarmente elevato, sembrano risvegliare meno interesse da parte dei politici che, quando devono elaborare progetti o programmare giornate di formazione, tendono a dare priorità a tematiche non direttamente coinvolte con gli anziani e gli psichiatrici.
La percezione del fenomeno e le tendenze in corso
Entrambe affermano di non aver osservato un incremento di utenza rispetto alle loro reciproche aree di intervento negli ultimi anni. Dall’area della Salute Mentale viene riferito quanto segue: “non sono tante le famiglie che abbiamo in carico e che si trovano in una condizione di emergenza abitativa. Solitamente si tratta di persone che vengono già da famiglie con disagio ed hanno già assegnato una casa popolare”. Anche nell’Area Anziani, la situazione è analoga: “Si tratta di famiglie o con problemi economici o che appartengono a famiglie multiproblematiche. Ad esempio io ho in carico un signore che è stato in carcere e suo figlio è adesso in carcere […].”
Tipologia di utenze e capacità di resilienza
La tipologia di utenza psichiatrica che si trova con maggiore probabilità a vivere una condizione di emergenza abitativa riguarda adulti soli. “Sono persone sole, tanti Italiani.”. Al contrario, nel caso degli anziani c’è si una buona presenza di individui che vivono soli, ma anche di soggetti che si trovano a vivere con i figli disabili. Anche in questo caso viene confermata una netta prevalenza di Italiani. Un altro dato che è interessante sottolineare è che un buon numero di utenti appartenenti alle aree che vivono un disagio abitativo sono già assegnatari di un alloggio popolare.
In entrambe le aree si tratta sopratutto di soggetti che provengono da profili professionali medio bassi. Per gli anziani l’intervistata riferisce: “solitamente si parla di persone che vivono con delle pensioni sociali o di scarsa entità. Non hanno alle spalle una storia contributiva stabile e ciò che determina e pesa di più sulla loro condizione di emergenza abitativa sono la carenza di risorse economiche e l’assenza di una rete famigliare su cui poter contare”. Per gli psichiatrici la situazione è leggermente diversa: “ci si può trovare davanti persone povere e che provengono da famiglie già
esse con precarie condizioni economiche […] ma anche persone ricche che, proprio a fronte della patologia, sono stigmatizzate dalle famiglie di origine, e quest’ultime, pur di non avere più niente a che fare con loro, decidono di non sostenerli nemmeno economicamente […] Quello che incide di più sugli psichiatrici e la loro condizione di emergenza abitativa è la patologia, la perdita di un lavoro e la mancanza di una rete familiare […] sono persone sole che hanno bisogno di capire che possono convivere con la patologia”.
Struttura del servizio ed efficacia/efficienza degli interventi
Per entrambe le aree, per ciò che concerne le problematiche abitative, afferiscono all’U.F. Alta Marginalità e quindi le prestazioni esigibili sono regolamentate iscritte all’interno del Regolamento Emergenza abitativa di cui si è già parlato nel paragrafo precedente. In riferimento a come tali prestazioni soddisfino gli stati disagio incontrati sul territorio emergono da parte delle assistenti sociali non poche perplessità. Dalla Salute Mentale viene riferito che “il pacchetto di interventi per l’emergenza abitativa non è in grado di rispondere al disagio abitativo dei nostri utenti […] la gran parte delle volte siamo noi ad elaborare progetti personalizzati sulla base delle risorse che afferiscono al Budget di Salute o su Fondi Regionali […] si tratta di risorse che provengono dal settore sanitario attraverso le quali riusciamo a mettere a sistema dei progetti di “Appartamento supportato”. Si tratta di un’esperienza di coabitazione tra pazienti dove viene garantita la presenza di personale dedicato, costituito ad es. da educatori, assistenti sociali, psicologi, infermieri e avvocati. Quest’ultima figura svolge un ruolo particolarmente importante perché ad esso è attribuita la funzione di amministratore del progetto, in quanto gli utenti hanno perso qualsiasi capacità contrattuale, e quindi nessuno, anche a fronte della patologia, darebbe loro un’abitazione in affitto”. Un’ulteriore criticità evidenziata riguarda il fatto delle responsabilità. Riferisce l’as: “sapendo che non li possiamo lasciare per strada, sia per motivi di incolumità pubblica che per motivi di sicurezza individuale degli utenti, sembra che il sistema deleghi sempre il servizio specifico a individuare una soluzione”.
Circa l’area Anziani invece si riferisce che “gli interventi di emergenza abitativa ad oggi previsti risultano poco adeguati per chiunque, tanto più per gli anziani, i quali proprio per loro natura necessitano di sicurezze al fine di limitare l’ansia già presente. Ed invece quello che noi possiamo fare, come operatori, è ad esempio rimandare lo sfratto senza però dare delle risposte concrete al bisogno prospettato”.
Relazione di aiuto e processo empatico
viene riferito da parte dell’As della Salute mentale: “ Vanno sostenuti, hanno poco potere contrattuale e riconoscimento […] solitamente vengono stigmatizzati dalla società e dalle stesse famiglie. Gli va insegnato a rivolgersi ai servizi […] Per loro la perdita della casa è aggravata dalla patologia e molte volte non sono in grado di rielaborarla. La casa per loro diventa il loro mondo”. Per quel che riguarda l’Area Anziani l’As osserva: “rimangono destabilizzati dal senso di incertezza con cui sono costretti a convivere […] la loro casa è il frutto di una vita di ricordi”.
Prospettive future
Dall’area della Salute Mentale emerge la convinzione che in futuro il servizio sarà sempre più coinvolto in tali problematiche in quanto c’è la tendenza all’emarginazione del disagio. “Il nostro obiettivo è la deistituzionalizzazione e prevenire l’istituzionalizzazione […] Vivere in autonomia nonostante la patologia”. Dall’area anziani la posizione è opposta: si ritiene che il servizio non subirà un incremento di tali situazioni grazie al fatto che gli anziani, potendo usufruire di una pensione, si vedono garantiti un minimo di entrate stabili.
•L’emergenza abitativa raccontata da due Coordinatori di servizio che afferiscono a due
istituzioni diverse: Società della Salute ed Associazione Caritas.
Di seguito saranno riportati i dati qualitativi emersi nell’intervista somministrata a due esponenti appartenenti a queste due differenti istituzioni: un’Assistente Sociale (d’ora in avanti As), membro della Commissione Emergenza Abitativa della “SdS” di Pisa, e il Coordinatore del Centro di Ascolto della Caritas Diocesana di Pisa. Entrambi nel loro operato svolgono una funzione che non sempre li espone ad un contatto diretto con l’utenza. Questo aspetto vale sopratutto per l’As intervistata.
Ruolo ed organizzazione di appartenenza
Il coordinatore della Caritas è presente dal 2005 nella realtà associativa ed ha da sempre svolto attività di coordinamento di altri operatori, servizio civilisti e volontari. L’As, invece, riveste questo incarico nella Commissione Tecnica dal 2001, ovvero da quando, con la costituzione della “SdS”, le politiche abitative del Comune sono state trasferite al nuovo modello organizzativo. Prima di allora, e nello specifico dal 1998, l’As era impegnata nell’Ufficio delle politiche abitative del Comune di Pisa, prima con contratti a termine, che negli anni si sono trasformati in un contratto a tempo indeterminato di cooperativa. In questo passaggio l’As ha perso “la presa in carico del territorio” per essere impiegata in questo ruolo di coordinamento e di rappresentanza della “SdS” in sede di Commissione di emergenza abitativa.
In riferimento al loro operato rispetto alle situazioni di emergenza abitativa emerge che l’As, in virtù della propria professionalità, è chiamata ad esprimere pareri tecnici sui casi esaminati in Commissione e segnalati dalle As territoriali; mentre il Coordinatore Caritas ci tiene a sottolineare il fatto che il suo ente non ha uno sportello dedicato a questo tipo di problematiche, ma si trova ad entrare in contatto con svariate tipologie di disagio. Solitamente, con l’accesso allo Sportello, si ha una “mini” presa in carico dell’utente, e la tendenza che viene seguita è quella di “non dare risposte immediate al fine di evitare ripercussioni sui singoli operatori e che il caso diventi solo di chi l’ha ascoltato, la tendenza operativa è quella di condividere al fine che il caso sia di tutti”. Dopo il primo contatto gli operatori si riuniscono in un’équipe con l’intento di confrontarsi sulle situazioni di disagio che sono emerse.
La percezione del fenomeno e le tendenze in corso
In merito al disagio abitativo, entrambi gli operatori confermano la loro percezione di un fenomeno in costante aumento da 10 anni a questa parte. Nello specifico l’As rileva quanto segue: “dal ’98, lavorando in Comune, seguivo situazioni di difficoltà storiche e croniche. Si trattava per lo più di cittadini pisani con una storia pregressa. Dai 30 casi di allora siamo passati a circa 150 casi attualmente beneficiari di un contributo ad integrazione dell’affitto e quindi in condizione di sfratto”.
Tipologia di utenza e capacità di resilienza
“L’utenza è prevalentemente rappresentata da stranieri”, afferma l’operatore Caritas, “ma negli ultimi dieci anni vi è stato anche un significativo aumento di Italiani”. Aggiunge inoltre che “nel 70% dei casi l’utenza che si rivolge a Caritas è già in carico ai servizi e la struttura familiare più rappresentata è quella dei nuclei con figli minori a carico. […] C’è chi si rivolge in autonomia attraverso un passa parola o chi è inviato direttamente dai servizi sociali”.
L’As invece si ferma a riflettere sul fatto che “l’evoluzione dell’utenza è determinata dal cambiamento delle capacità economiche, e quindi il passaggio dal benessere alla marginalità non è più un fatto eccezionale. Può capitare a qualsiasi nucleo dove una perdita del lavoro o un altro evento ti getta in una condizione di povertà che solo alcuni mesi prima non avresti pensato. Aumentano per esempio situazioni che erano arrivate a possedere un alloggio, ma che per mancanza di reddito non riescono più a far fronte alle spese e quindi sono costrette a vivere uno sfratto. La popolazione che può incappare nella perdita dell’alloggio non ha più una connotazione così chiara […] Probabilmente sono più stranieri. È comunque da spiegare che chi è in carico ha almeno un Permesso di Soggiorno di due anni e quindi si presuppone anche una certa stabilità sul territorio”.
Rispetto ai profili formativo-professionali e al titolo di godimento dell’abitazione, entrambi gli operatori concordano: si tratta di individui con profili medio-bassi che vivono in affitto.
L’operatore Caritas sottolinea che solitamente sono gli stranieri ad avere titoli di studio più elevati che non riescono però per vari motivi (burocratici o legati a difficoltà ad affrontare economicamente un percorso dispendioso di riconoscimento) a far valere sul territorio nazionale; mentre per quanto riguarda gli Italiani “dal 2008 con la crisi del settore dell’edilizia abbiamo visto tornare persone che erano impiegate in questo ramo e che erano ormai anni che non entravano in contatto con noi.[...] Solitamente la gran parte di loro vive in affitto e addirittura è in crescita anche la porzione di soggetti che vivono in alloggio popolare, ma non riescono a far fronte alle spese abitative”. L’As afferma che si tratta sopratutto di “operai, muratori con contratti di lavoro poco stabili che nel 90% dei casi vivono in alloggi presi in affitto”.
In merito alla capacità di resilienza dei nuclei in carico emerge, dal punto di vista dell’As, che “nella presa in carico spesso si scopre che una povertà economica è accompagnata da una povertà di relazione, di circuiti ed una povertà culturale”, ma che comunque quello che pesa di più nel rischio di scivolare in percorsi di povertà abitativa è il lavoro. “Fintanto che hanno una capacità economica, riescono a mettere in atto strategie; nel momento in cui viene loro a mancare questo, tutto il corollario che intorno li sosteneva (quindi anche la rete familiare) aumenta le problematiche”. Come a dire che il nucleo cui viene a mancare una fonte di reddito stabile ha una maggiore probabilità di sperimentare anche problematiche di natura relazionale: insorge ad esempio “reciproca animosità ed aumentano i dissidi”. “Difficilmente hanno una famiglia che li sostiene, ed essa, pur non essendo nella loro particolare situazione, non ha le capacità per far loro superare lo stato di bisogno”. La situazione sembra essere ulteriormente aggravata per quei “nuclei [che non sono] autoctoni e ai quali in queste situazioni viene a mancare la rete che un cittadino italiano, toscano, pisano può avere”. Stessa visione da parte dell’Operatore che, portando ad esempio la misura economica REI, riferisce che “a distanza di un anno dalla sua attivazione tante persone che hanno i requisiti non hanno fatto domanda. […] Molte volte è anche una povertà di risorse e strumenti”. Aggiunge inoltre che la differenza, a parità di condizioni, riguarda le capacità personali degli individui: “certo è che chi ha la possibilità di avere un sostegno da parte della famiglia è più avvantaggiato e riesce a tamponare alcune situazioni [... ] Nel target che incontriamo noi non ci sono famiglie di origine benestante, ma sono probabilmente già famiglie con le loro difficoltà e che quindi aiutano per quanto possono aiutare […] Non ho mai incontrato persone che avevano la famiglia di origine che riusciva a pagare il loro affitto”. In merito alla capacità del servizio di mettersi in contatto con la famiglia di origine, l’operatore riferisce che non è una prassi operativa così diffusa perché sono le famiglie stesse, che nel momento della presa in carico, ostacolano questi tipo di contatti: “credono
di dover mostrare meno di quello che hanno e vogliono tenerci all’oscuro di alcuni aspetti, certi di poter ricevere di più”.
E infine, rispetto alla percezione che hanno di ogni servizio preso in esame, emerge che il Servizio Sociale è visto come un “trampolino di lancio” che certifica una condizione di bisogno che garantirà l’assegnazione dell’alloggio popolare; alla Caritas invece, cui pure ci si rivolge per problematiche abitative, non si chiede il pagamento dell’affitto, ma si vuole poter usufruire suo tramite di alcuni “interventi tampone” che ad esempio garantiscano di evitare il distacco delle utenze.
Struttura del servizio ed efficacia/efficienza degli interventi
I servizi erogati dalla “SdS” in materia di emergenza abitativa sono definiti all’interno dello specifico Regolamento di cui abbiamo discusso poco sopra. L’As evidenzia che nell’ultimo periodo i criteri per poter accedere al sistema dei servizi dell’emergenza abitativa sono diventanti più rigidi (cfr. quanto descritto nel paragrafo precedente): “si tratta di una scelta politica che ha l’intento di privilegiare chi ha intenzione di stabilizzarsi sul territorio”. In merito alle modalità operative della Commissione, emerge che il lavoro svolto è di rete in quanto al proprio interno sono presenti esponenti che rappresentano il Comune ed esponenti che rappresentano l’Azienda Sanitaria. Una volta analizzate le situazione ed evidenziati i nuclei che vertono nelle condizioni più critiche, quest’ultimi vengono portati all’attenzione della Commissione territoriale, all’interno della quale sono presenti i sindacati degli inquilini, i rappresentanti dei proprietari ed esponenti della Prefettura. Caritas, rispetto questa tipologia di disagio, ha la disponibilità di sei alloggi nella località di Pontasserchio che però ormai da alcuni anni sono occupati dalle stesse persone. In riferimento all’assenza del turnover, l’operatore ci spiega “che non è mai stato fatto un vero progetto di uscita con i servizi, risultano persone che non hanno gli strumenti per vivere in autonomia e noi, come associazione di volontariato, non vogliamo essere responsabili del loro sfratto”.
L’Associazione, oltre a garantire il servizio del Centro di Ascolto, negli ultimi anni ha messo a sistema un emporio di generi alimentari che, “a differenza del pacco alimentare (modalità organizzativa precedente), permette alle famiglie di poter scegliere i generi sulla base dei propri gusti. È più dignitoso e si evita di correre il rischio che alcuni beni siano gettati via”. All’emporio si accede con una carta-punti erogata direttamente dall’Associazione sulla base del criterio di accesso di un Isee non superiore ad euro 8.000. Ogni situazione viene poi valutata singolarmente in sede di équipe degli operatori, e quindi è possibile anche andare in deroga a tale requisito. Il punteggio viene determinato sulla base dell’Isee, il numero di componenti del nucleo familiare e anche tenendo conto dei lavori occasionali svolti dai suoi membri. Altra novità nel ventaglio dei servizi erogati sono i prestiti sociali senza tasso di interesse sulla base della convenzione con la Regione
Toscana. L’operatore Caritas sottolinea che, rispetto all’erogazione di questi servizi, l’istituzione cerca di compiere un lavoro di rete con le varie parrocchie della città al fine di scoraggiare chi già benefici del servizio a rivolgersi ad altre attività associative, questo allo scopo di evitare che ci sia “chi prende dieci e chi non prende niente”. Aggiunge inoltre che la Caritas è impegnata anche in uno scambio continuo con il servizio pubblico e che tale condivisione funziona bene proprio perché “si lavora in autonomia senza mettere voce in capitolo rispetto al lavoro dell’altro”. Al momento sono presenti solo consuetudini operative e non veri e propri protocolli condivisi al fine di compiere un reale lavoro di rete. Tali consuetudini si presentano comunque necessarie, visto che nella maggioranza dei casi gli utenti sostenuti sono gli stessi, ciò al fine di prevenire e perseguire comportamenti inclini a usufruire in modo improprio degli aiuti degli enti da parte degli utenti. Infine, in merito all’efficacia dei servizi erogati, entrambi gli operatori concordano sul fatto di non riuscire ad approdare a prestazioni risolutive. L’As afferma che il proprio intervento è di tipo emergenziale, mentre la criticità del sistema sta nel fatto che ci sono a Pisa alloggi popolari vuoti che devono essere ristrutturati e non possono essere assegnati. “Gran parte delle situazioni a noi in carico possono trovare la soluzione definitiva solo nel momento in cui [i richiedenti] ricevano l’assegnazione dell’alloggio popolare.” Anche da parte di Caritas si conferma un ripresentarsi