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Emergenza abitativa a Pisa. L'influenza della famiglia di origine sulle carriere abitative.

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione

pag. 3

1. Il disagio abitativo e l’emergere dei nuovi rischi sociali

“ “ 6

1.1 Abitare in Europa “ “ 9

1.2 Evoluzioni e sviluppo delle nuove forme di povertà abitativa “ “ 15

1.3 La condizione di unaffordability “ “ 24

1.4 Il sovraffollamento abitativo “ “ 28

2. Regimi di Welfare ed evoluzione delle politiche abitative “ “ 31

2.1 Come cambiano gli interventi delle politiche abitative nel corso del tempo “ “ 34 2.2 Il Social Housing ed alcuni modelli nel dettaglio: Danimarca, Regno Unito e

Germania “ “ 39

2.3 Il caso italiano “ “ 50

3. La trasmissione intergenerazionale delle disuguaglianze abitative “ “ 62 3.1 L'influenza dell'origine sociale sui percorsi abitativi “ “ 63

4. Emergenza abitativa e interventi rivolti al superamento dello stato di disagio

abitativo in Toscana

“ “ 70

4.1 Il contesto socio-economico e produttivo “ “ 71

4.2 Il disagio abitativo in Toscana “ “ 77

4.3 Le politiche regionali per la casa “ “ 79

5.

Analisi di un caso: emergenza abitativa a Pisa. Alcuni dati e riflessioni.

“ “ 88

5.1 Presentazione del campione “ “ 88

5.1.1 Analisi dei modelli di intervento “ “ 92

5.2 Emergenza abitativa ed interventi erogati: alcuni dati a confronto “ “ 94 5.3 I dati qualitativi rilevati e la strutturazione della griglia delle interviste

semi-strutturate “ “ 96

5.3.1 L’emergenza abitativa raccontata da chi la vive “ “ 97 5.3.2 L’emergenza abitativa raccontata da chi lavora nel settore “ “ 105

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5.3.3 Analisi delle carriere abitative e dei modelli di presa in carico pag. 113

Conclusioni

“ “ 118

Bibliografia

“ “ 124

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Introduzione

In Italia il 73% delle famiglie vive in una casa di proprietà. Questo dato potrebbe indurre a pensare che l'emergenza abitativa non sia una problematica sociale attualmente presente nel contesto nazionale. Alcuni dati oggettivi ci dimostrano invece che non è così: infatti il perdurare della crisi economica, l'instabilità del mercato del lavoro e le trasformazioni all’interno delle strutture familiari hanno influenzato la possibilità di disporre di una situazione abitativa stabile nel corso del tempo e determinato un significativo incremento di coloro che si trovano costretti a vivere in condizioni di disagio abitativo.

Il presente lavoro si propone di affrontare tale tematica attraverso un’analisi delle dinamiche europee ed italiane relative al disagio abitativo e di prendere in esame l’evoluzione delle politiche pubbliche messe in atto per far fronte a tale fenomeno. Sarà inoltre effettuato uno studio su un caso specifico al fine di mostrare come il sistema dei servizi territoriali cerchi di far fronte alle nuove forme di povertà abitativa.

Nello specifico, l’obiettivo della tesi sarà quello di raccogliere informazioni in merito alla presenza di tale fenomeno sul territorio di Pisa con l’intento di verificare in che modo le politiche locali siano in grado di “adattarsi” alla crescente e diversificata utenza che si rivolge ai servizi. Sarà inoltre eseguito un esame dei percorsi biografici di un campione di nuclei attualmente in carico al Servizio Sociale della “Società della Salute” di Pisa (da ora in poi, Sds) nell’ambito delle problematiche abitative al fine di determinare in quale misura la famiglia di origine possa o meno incidere sui percorsi di emergenza abitativa.

Gli sfratti per morosità e l’insolvenza delle rate dei mutui contratti per l’acquisto della casa costituiscono situazioni in costante incremento, che investono anche fasce della popolazione che fino ad ora non erano abituate a vivere tali condizioni di fragilità. In aggiunta a questi eventi è da sottolineare il fatto che la condizione di emergenza abitativa riguarda anche coloro che, pur avendo la possibilità di disporre di un’abitazione, vivono uno stato di affordability (incidenza superiore al 40% del canone di locazione sul proprio reddito mensile), di sovraffollamento oppure hanno la loro dimora in un’abitazione che non rispetta standard strutturali minimi adeguati.

Se teniamo presente il verificarsi di questa grande varietà di condizioni di emergenza abitativa, ci rendiamo conto che la definizione di tale stato di disagio è destinata ad avere confini labili laddove si sia in presenza di una tipologia di utenza fortemente diversificata.

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vivere una condizioni di emergenza abitativa, dall’altro le politiche abitative si trovano ad affrontare un periodo di austerità: è infatti in forte calo la realizzazione di quegli alloggi sociali che in passato costituivano la risposta che per eccellenza era stata adottata al fine di far fronte a questo disagio. Tale deficit sembra essere determinato dalla contrazione degli investimenti in questo settore, dal processo di privatizzazione degli alloggi sociali e dalla crescente richiesta degli stessi da parte di quelle famiglie che non riescono più a far fronte ai canoni di locazione nel mercato privato.

A fronte delle dinamiche sopra descritte, l’accesso alla casa torna ad essere una questione sociale prioritaria strettamente connessa con la collocazione dei singoli nel mercato del lavoro, con i guadagni che vengono riscossi e con l’origine sociale della famiglia di appartenenza. Proprio in virtù di ciò, a partire dall’inizio del nuovo secolo, studiosi italiani come Poggio e Baldini hanno cominciato ad affrontare il tema della casa e delle politiche abitative sotto il profilo delle disuguaglianze sociali e della riproduzione delle stesse.

Al fine di analizzare tali dinamiche all’interno di un contesto territoriale specifico saranno raccolti dati quantitativi sul numero di nuclei analizzati da parte della Commissione Emergenza Abitativa della “Sds” di Pisa, sul numero di richieste presentate alla Commissione Prefettizia, sul numero di accessi al Bando Morosità Incolpevole e sul numero di domande presentate per l’“Agenzia Casa” negli ultimi anni. Saranno inoltre presentati dati qualitativi, raccolti attraverso un questionario semi-strutturato e riguardanti i percorsi di vita di quattro nuclei familiari ad oggi in carico al Servizio Sociale della “Sds” di Pisa, tutto ciò al fine di evidenziare gli aspetti biografici, socio-economici e lavorativi caratterizzanti le varie famiglie unitamente al percorso intrapreso con la rete dei servizi territoriali. Saranno infine eseguite quattro interviste semi-strutturate a quattro osservatori privilegiati e ben informati sul tale tematica: un funzionario pubblico del Comune di Pisa, un dipendente dell’Associazione Caritas Pisa e due Assistenti Sociale del territorio.

Obiettivo del I Capitolo sarà quello di tratteggiare un quadro generale dell’attuale condizione abitativa dei cittadini europei, per passare poi più nel dettaglio al contesto nazionale, al fine di evidenziare eventuali mutamenti sopravvenuti nel corso del tempo, quali trasformazioni di natura socio-economica e demografica, e la tipologia delle diverse forme di disagio abitativo. Nel II capitolo saranno invece analizzate le politiche abitative italiane e la loro evoluzione nel corso del tempo. Sarà inoltre messo a confronto il Welfare State italiano con altri tre modelli di social housing esemplificativi di tre regimi di Welfare1. Nel III capitolo si concentrerà l’attenzione sull’analisi di

1 Esping-Andersen, G., Le nuove sfide per le politiche sociali del XXI secolo, in: «Il Mulino», XXV (2005), 2, pp.

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alcune ricerche che, nel contesto nazionale, hanno messo in relazione lo status sociale della famiglia di origine ed i percorsi di acquisizione dell’abitazione con l’intento di evidenziare i limiti dei modelli di policy nel livellare le disuguaglianze sociali già presenti nella società. Nel IV capitolo, dopo aver compiuto una ricognizione generale del fenomeno in Toscana e un’analisi delle politiche regionali, saranno riassunti i dati quantitativi e qualitativi raccolti nel corso dell’indagine svolta presso il Servizio Sociale della “Sds” di Pisa. Infine, nelle conclusioni, sarà possibile rielaborare i principali dati emersi nel corso dell’intera indagine, cercando di definire le dinamiche del fenomeno del disagio abitativo a Pisa, individuando al tempo stesso le criticità e segnalando le possibili linee di miglioramento da attuare nel sistema dei servizi, il tutto al fine di elaborare risposte sempre più efficaci, specialmente in relazione alla popolazione più vulnerabile che probabilmente non può contare su un risolutivo sostegno familiare.

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L’esistenza dell’uomo si consuma, per buo-na parte, entro lo spazio abitativo. Tempo e spazio sono legati. Se non c’è più il tempo, lo spazio si svuota e se non c’è più lo spazio il tempo scorre faticosamente, poiché la casa può essere intesa come un’estensione dei no-stri corpi. La mancanza di un’abitazione a volte è frutto della scelta personale di chi de-sidera una vita errabonda; in altri casi, invece, dipende dall’assenza dei mezzi necessari per affrontare i relativi costi ed allora il tempo del soggetto diventa precario e si trasforma in qualcosa di cui si rischia di non apprezzare il valore perché vivere è qualcosa da fare doma-ni, quando se ne avrà la possibilità e la vita appare, dunque, altrove. Chiarella, P. , Il Diritto alla Casa: un bene per altri beni, Trieste, EUT Università di Trieste, 2010.

1. Il disagio abitativo e l’emergere dei nuovi rischi sociali

La possibilità di disporre di un alloggio adeguato rappresenta una dimensione importante dell'essere cittadino ed incide in modo significativo sulla qualità della vita e sul vivere un adeguato processo di inclusione all'interno della società. Come scrive Palvarini nella sua tesi di dottorato Il disagio

sociale nelle regioni italiane tra povertà economica e deprivazione abitativa “la casa è da

considerarsi come un’area di welfare, poiché è l’ambito nel quale trova risposta un’ampia gamma di bisogni primari di tipo sociale, economico e simbolico” [Palvarini 2006]. Ed ancora parafrasando Teresio Poggio è possibile dire che l’abitazione non soddisfa solo esigenze di riparo, ma “costituisce la struttura all’interno della quale avviene la riproduzione domestica, […] il luogo dove si svolgono le attività familiari di cura e lo spazio della socialità più intima2.

In virtù di ciò va tenuto presente che le politiche rivolte all'abitare non consentono solo il soddisfacimento di un bisogno primario quale l'abitazione, ma influenzano aspetti ben più ampi che riguardano fenomeni di natura socio-economica e politica3.

In passato all'interno del concetto di esclusione abitativa4 venivano fatte rientrare le situazioni che riguardavano un numero ristretto di persone, le quali vivevano un'esistenza ai margini della società e venivano identificate con il termine di “senza dimora”. Nello specifico si trattava di tutti coloro che, oltre a vivere una situazione di inadeguatezza sul piano delle risorse economiche,

2 Poggio, T., La casa come area di welfare, «Polis» XIX (2005) 2, pp. 279-308. 3 Ranci, C., Pavolini, E., Le politiche di welfare, Bologna, Il Mulino, 2015.

4 Marcetti, C., Housing frontline. Inclusione sociale e processi di autocostruzione e autorecupero. Firenze, University

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sperimentavano altre forme di disagio di natura sociale o socio-sanitaria tanto da avviarsi ad una vita in strada. Per le caratteristiche di cronicità che accomunavano la loro situazione di disagio, erano destinatarie di interventi di natura prevalentemente assistenziale (dormitori, mense ecc). Ad oggi questa tipologia di utenza è tutt'altro che scomparsa, ma si accompagna con nuovi bisogni abitativi che hanno reso il bacino di utenza fortemente differenziato al proprio interno. A fianco delle manifestazioni più acute del disagio abitativo che riguardano coloro che vivono una condizione di deprivazione assoluta, vi sono famiglie che sperimentano forme meno visibili di disagio. In particolare si tratta di coloro che non solo vivono una condizione di ristrettezza economica, ma sono sottoposti a situazioni di precarietà che riguardano l'ambito lavorativo e relazionale.

Al fine di riconoscere ed analizzare le nuove forme di disagio abitativo e di sopperire al fatto che tale fenomeno per molti anni non è stato affrontato dalla letteratura specialistica, la Feantsa (Federazione Europea delle Organizzazioni Nazionali che Lavorano con i Senza Dimora) si occupa, a partire dal 1989, di elaborare report annuali sulle condizioni di disagio abitativo in Europa. Dal lavoro svolto dalla Federazione è emersa la necessità di definire la condizione di homelesseness (termine utilizzato per individuare la condizione di disagio abitativo) in modo ampio e dinamico al fine di raggruppare al proprio interno le diverse condizioni vissute dai soggetti ed individuare i percorsi e le traiettorie che li hanno condotti in stato di disagio. In tali report sono incluse “sia le persone che sono senza tetto, sia le persone che sono senza dimora, sia le persone che vivono in abitazioni insicure e inadeguate5” .

Il processo definitorio elaborato da Feantsa ha portato nel 2005 ad una classificazione concettuale delle condizioni di disagio abitativo attraverso l'individuazione di specifici indicatori. Tale classificazione prende il nome di Ethos6, acronimo inglese traducibile con “Tipologia europea sulla condizione di senza dimora e sull’esclusione abitativa”, ed ha come obiettivo quello di fungere da quadro comune di riferimento a livello europeo nella definizione e nella misurazione delle situazioni di povertà abitativa.

La concettualizzazione parte dal presupposto che l'abitare sia una condizione imprescindibile dell'inclusione sociale e che il vivere una condizione di homelessness sia un'esperienza di natura transitoria e dinamica, alla quale è necessario dare risposta attraverso politiche che non si concentrino solamente sulla sua manifestazione7.

Nello specifico, la classificazione individua tredici livelli di povertà abitativa raggruppati in quattro

5 http://www.feantsa.org/download/it___8942556517175588858.pdf (consultato 15/01/2017) 6 European Typology on Homeless and Housing Esclusion.

7 Lodi Rizzini, C., Il social housing ei nuovi bisogni abitativi. Maino F. e Ferrera M., a cura di, Primo rapporto sul

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macro-aree (senza tetto, senza casa, sistemazione insicura, sistemazione inadeguata), i quali hanno una maggiore probabilità di insorgere nel caso in cui non vi sia una delle tre condizioni sottoelencate:

• essere in possesso oppure usufruire di uno spazio abitativo decente a soddisfare i bisogni dell'individuo e dei suoi familiari;

• possedere uno spazio che garantisca adeguati livelli di privacy e la creazione/conservazione di relazioni sociali;

• poter godere, per se stessi e per la propria famiglia, dello spazio abitativo in via del tutto esclusivo e sicuro.

Tabella 1.1 Ethos – Classificazione Europea sulla grave esclusione abitativa e la condizione di persona senza dimora

SENZA TETTO SENZA CASA SISTEMAZIONE

INSICURA SISTEMAZIONEINADEGUATA

1. Persone che vivono in strada o in sistemazioni di fortuna; 2. Persone che ricorrono a dormitori o a strutture di accoglienza notturna; 3. Ospiti in strutture per persone senza dimora; 4. Ospiti in dormitori e centri di accoglienza per donne; 5. Ospiti in strutture per immigrati, richiedenti asilo, rifugiati; 6. Persone in attesa di essere dimesse da istituzioni; 7. Persone che ricevono interventi di sostegno di lunga durata in quanto senza dimora 8. Persone che vivono in sistemazioni non garantite; 9. Persone che vivono a rischio di perdita l’alloggio; 10. Persone che vivono a rischio di violenza domestica; 11. Persone che vivono in strutture temporanee non rispondenti agli standard abitativi comuni; 12. Persone che vivono in alloggi impropri; 13. Persone che vivono in situazioni di estremo affollamento

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(http://www.feantsa.org/download/it___8942556517175588858.pdf consultato in data 19/06/2017) Anche l'Italia ha deciso di fare propria questa classificazione al fine di individuare e monitore tali situazioni di disagio abitativo. Nello specifico, la prima volta che è stata utilizzata questa modalità di classificazione è stato nel 2001 nella ricerca condotta dal Ministero delle Politiche Sociali, Istat, Caritas Italia e Fio.PSD8 sulle persone che vivono senza fissa dimora in Italia.

Come si evince dall'operato di Feantsa a livello europeo e di Fio.PSD, Federcasa, Caritas a livello italiano o comunque da tutte le realtà organizzative impegnate sui territori nell'affrontare le forme di esclusione sociale e di povertà abitativa, la questione casa è “rientrata” a far parte delle agende politiche dei governi europei e viene definita la “nuova questione abitativa9”. Nuova in quanto, con il consolidamento dei moderni Welfare State e la dinamica espansiva della spesa pubblica sotto la spinta di tassi di crescita economici mai sperimentati, si pensava che la questione casa e i bisogni correlati ad essa sarebbero stati completamente riassorbiti grazie alla massiccia offerta quantitativa di nuove abitazioni (pubbliche e soprattutto private). Invece l’estensione di situazioni di rischio anche a fasce della popolazione fino ad allora ritenute in grado di sostenere in autonomia i costi legati alla casa, ha profondamente messo in crisi le tradizionali risposte delle politiche pubbliche all’emergenza abitativa. Tale dilatazione dell’area del “sociale” ha richiesto alla letteratura scientifica di affrontare il tema non avvalendosi solamente di statistiche e dati quantitativi, ma rivolgendo uno sguardo ravvicinato e partecipe alle persone, ai luoghi, alle condizioni sociali e materiali che determinano povertà ed esclusione abitativa.

Di seguito verrà effettuata una breve analisi dei processi in corso in Europa che hanno portato all’insorgere delle nuove forme di disagio abitativo, partendo dallo sviluppo del sistema economico, che ha avuto tra le varie conseguenze un significativo aumento del numero di abitazioni e di proprietari delle stesse, per arrivare agli esiti della crisi economica (precarietà mercato del lavoro e riduzione reddito disponibile della famiglie) ed all’emergere dei nuovi rischi sociali (immigrazione, atomizzazione delle famiglie).

1.1 L'abitare in Europa

Tra la metà degli anni Cinquanta ed il 1980, grazie ad una generale crescita economica, la gran parte dei Paesi europei conobbe una forte espansione del settore edilizio, che portò ad incrementare il numero di abitazioni disponibili per ogni abitante: si passò da 380 abitazioni ogni 1000 abitanti

8 Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora è una associazione che persegue finalità di solidarietà

sociale nell’ambito della grave emarginazione adulta e delle persone senza dimora.

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nel 1980 a 470 nel 201210.

Un ulteriore conseguenza di quello che viene definito il Trentennio Glorioso11 dagli economisti ha riguardato l'aumento delle famiglie europee che hanno avuto la possibilità di procedere all’acquisto della casa. Questa circostanza è stata determinata da molteplici fattori di natura politico-economica e demografica.

Fino agli anni Ottanta gli Istituti di Credito erano vincolati a specifici tassi d’interesse da applicare ai mutui concessi, con la conseguenza che chi voleva indebitarsi per acquistare la casa doveva avere a disposizione un sostanzioso acconto e poteva indebitarsi per una percentuale relativamente bassa rispetto al reddito percepito; da quegli anni in poi è iniziato un processo di deregolamentazione finanziaria12 . Con questo termine si intende una serie di innovazioni di prodotti finanziari che hanno portato all'erogazione di mutui anche a famiglie con precarie capacità di rimborso, grazie a garanzie come l’ipoteca sulla casa acquistata (tale tipologia di prestito negli USA è stata definita

subprime).

In merito alle politiche pubbliche a sostegno della proprietà è da ricordare che a partire dagli anni Novanta, la gran parte dei Paesi OCSE ha fatto un significativo uso degli sgravi fiscali sugli interessi dei mutui (tale sostegno tuttavia è andato diminuendo nel corso degli anni), il che significa che il costo finanziario di un mutuo poteva essere ridotto grazie alle detrazioni fiscali concesse al mutuatario, beneficiando di una riduzione dell’imposta Irpef. Tuttavia le forme di generosità degli sgravi fiscali variavano da Paese a Paese. Ad esempio nei Paesi Bassi e in Grecia gli interessi sul mutuo della prima casa erano interamente deducibili, mentre in Paesi come l’Italia, la Svezia e la Finlandia lo erano solo parzialmente.

Fenomeni quali l’invecchiamento della popolazione, la deregolamentazione finanziaria, il miglioramento delle condizioni di reddito e l’aumentata capacità di risparmio delle famiglie sono stati accompagnati da politiche pubbliche europee rivolte a sostenere la proprietà con l’assunto di base che “la proprietà delle abitazioni rafforza l’interesse delle famiglie nella società”13.

Politiche pubbliche14 che tendono o facilitano l’acquisto dell’abitazione piuttosto che l’affitto rafforzano alcuni processi piuttosto che altri. Innanzitutto la casa rappresenta una potenziale accumulazione di risorse nel ciclo della vita e quindi politiche rivolte alla promozione della proprietà possono essere viste come alternative ad un robusto sistema pensionistico di protezione

10 http://www-3.unipv.it/ingegneria/copisteria_virtuale/turri/M.%20Baldini-La%20casa%20degli%20italiani.pdf

(consultato in data 01/01/2017)

11 Definito dagli storici il perido comprensivo degli anni 1945-1975.

12 Glyn, A.. Capitalismo scatenato. Globalizzazione, competitività e welfare. Milano, Francesco Brioschi Editore,

2007.

13 Farina, F., Franzini, M., La casa, il benessere e le disuguaglianze, Milano, EGEA, 2015. 14 Ranci, C., Pavolini, E., Le politiche di welfare…cit.

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sociale in età avanzata. Inoltre la casa può rappresentare un importante settore di investimento che va ad incidere e migliorare il benessere economico della famiglia. Questo ad esempio è accaduto in Paesi come l’Italia, dove l’acquisto dell’abitazione è stato visto per un lungo periodo come un investimento sicuro e destinato a rivalutarsi nel tempo. Infine politiche che incentivano la proprietà piuttosto che altri tipi di godimento della stessa possono avere un effetto rilevante anche sotto il profilo socio-economico. La casa ed il rapporto di possesso con essa spesso rappresentano un elemento costitutivo dell’identità degli individui ed influenzano anche l’orientamento politico. A tale riguardo sono interessanti gli studi di Malpass e Murie15 che dimostrano come alla fine degli anni Settanta del secolo scorso la scelta dei conservatori inglesi di privatizzare parte del patrimonio pubblico abbia portato al trasferimento verso il Partito Conservatore di una parte di elettorato solitamente di sinistra.

Il risultato conseguito, a fronte delle dinamiche sopra descritte, è che ad oggi quasi il 70% delle famiglie europee vive in una casa di proprietà e addirittura il dato italiano risulta essere il più alto: il 73% delle famiglie vive in un'abitazione propria16 (sclerosi proprietaria17) e tale percentuale di popolazione è principalmente situata nelle regioni meridionali.

Figura 1.1.1 Tasso Proprietà Immobiliare nei Paesi dell'Unione Europea (dati aggiornati al 2013)

Fonte: https://www.idealista.it/news/immobiliare/residenziale/2015/09/07/117581-percentuale-proprietari-di-casa-in-europa?gallery-item=1) (consultato in data 25/04/2017)

15 Kemp, P., Housing allowances in comparative perspective, Bristol, Policy Press, 2007.

16 https://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2015/11/23/casa-italiani-proprietari-solo-15esimi-in-ue_2efcc338-daab-4a05-9038-de289e5e923f.html (consultato in data 01/01/2017)

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E' possibile osservare, dai dati Eurostat riportati nella Figura 1.1.1, che la Romania è il primo paese con la quasi totalità di persone che abitano in una casa di proprietà, seguita da Spagna (77,7%), Grecia (75,8%), Portogallo (74,2%) ed Italia (73,0%); mentre la maggior parte di famiglie che abitano in affitto vivono in Germania (52,6%), Austria (57%) e Danimarca (63%).

Rispetto al titolo di godimento dell’abitazione in cui si vive è possibile evidenziare alcune differenze sulla base della collocazione geografica18 del Paese preso in esame. Nello specifico sembra che il vivere in un’abitazione di proprietà sia più caratteristico dei Paesi dell’Europa Meridionale, dove l’economia è fortemente legata al settore agricolo ed alla proprietà del “mattone”; nei Paesi dell’Europa Settentrionale si è invece maggiormente consolidata una cultura dell’industrializzazione che comporta elevati tassi di mobilità.

Per quanto riguarda il mutuo in sospeso19 sull’abitazione di proprietà in cui si vive, si rileva che nei paesi ex comunisti dell’Europa Centrale e Orientale la percentuale di proprietari senza mutuo è molto elevata. Nello specifico in Romania si attesta al 73.5%, e tale situazione risulta spiegabile dal fatto che, alla caduta dell’Unione Sovietica e dei Regimi Comunisti negli anni Novanta, è stata offerta agli inquilini la possibilità di acquistare le abitazioni in cui risiedevano a un prezzo molto basso. All’estremo opposto vi sono i paesi nordici, che registrano una percentuale molto bassa di case di proprietà senza alcun mutuo pendente: la Danimarca intorno al 15%, l’Olanda al 9.8%, la Svezia al 9.2%. Il caso italiano si colloca in posizione centrale rispetto alle realtà sopra evidenziate: circa il 20% delle famiglie proprietarie hanno il mutuo da pagare.

Da alcuni studi emerge che vi sono anche significative differenze di natura demografica20 tra chi è proprietario della casa in cui vive e chi è invece affittuario o usufruttuario. Infatti la casa rappresenta il bene di investimento per eccellenza della popolazione europea over 50 e costituisce più della metà della ricchezza posseduta dagli anziani europei. Anche su questo fronte è possibile osservare alcune differenze tra i paesi membri. Ad esempio in Danimarca, Svezia e Svizzera la popolazione anziana ha un patrimonio diversificato, in cui la casa rappresenta il 60-65% della ricchezza, mentre in Italia e Spagna la proprietà immobiliare costituisce i 4/5 del patrimonio. Nello specifico, in merito all’età, è da sottolineare che in Italia circa 13 milioni di immobili21 sono di proprietà di individui che hanno un’età superiore ai 51 anni, mentre solamente 1 milione di immobili sono di proprietà di soggetti che hanno un’età compresa tra 20 e 30 anni. Si evince che gli

18 http://www.federcasa.it/documenti/archivio/federcasa_i_numeri_della_casa.pdf (consultato in data 01/05/2017) 19 http://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/03/19/case-proprieta-affitto-litalia-arriva-leuropa-dellest/ (consultato in

data 06/05/2017)

20 Vignoli D., Tanturri M.L, Acciai F., Home bitter home? Gender, living arrangements, and the exclusion from

homeownership among older Europeans, in «Genus», 72 (2016).

21 https://www.idealista.it/news/immobiliare/residenziale/2010/07/08/10191-le-case-in-italia-facciamo-il-punto

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anziani europei vivono nella maggioranza dei casi in una casa di proprietà e addirittura nei Paesi dell'Europa Meridionale questo fenomeno riguarda l’80% della popolazione anziana. Questo dato probabilmente scaturisce dal fatto che, nel corso della vita lavorativa, hanno avuto una certa stabilità economica, che ha consentito loro di procedere all’acquisto della casa oppure quest’ultima è stata semplicemente ereditata dai familiari defunti.

Le differenze, tra proprietari e non, sembrano essere anche di genere. Ad esempio in Europa gli uomini rispetto alle donne hanno una probabilità maggiore di accedere ad un'abitazione di proprietà. Questo dato si spiega con il fatto che le donne nel corso della vita hanno generalmente redditi da lavoro più bassi e percorsi di carriera lavorativa meno lineari e caratterizzati da frequenti interruzioni, in corrispondenza di eventi quali il matrimonio, la prima maternità o la nascita di altri figli. Per ciò che concerne le modalità di acquisizione della casa di proprietà vi sono significative differenze: solitamente le donne la ereditano dal marito defunto.

Da alcune ricerche è emerso che la qualità della vita aumenta quando si diventa proprietari di un'abitazione e questo perché solitamente le case di proprietà sono più spaziose e accessoriate e dislocate in zone più accoglienti. E’ indubbio riconoscere alla casa anche un valore affettivo e soprattutto questo vale per gli anziani, che, terminata l'età lavorativa, vi passano molto tempo. Ed infine sempre in merito all'accesso alla proprietà22, nel riconoscere un significativo incremento di proprietari in Europa negli ultimi anni, è utile ricordare che ciò non ha coinvolto, almeno in Italia, in egual misura tutte gli strati della popolazione, ma ha riguardato sopratutto i redditi medi ed alti. In merito a questa considerazione, è possibile osservare come nel nostro Paese non è cambiata la quota di famiglie più povere che vivono in affitto. Infatti se quarant'anni fa il mercato dell'affitto era caratterizzato dalla presenza del 48% delle famiglie operaie e del 44% delle famiglie di impiegati ed insegnati, ad oggi la situazione è completamente mutata e vi è solo il 19% delle famiglie appartenenti alle categorie impiegati ed insegnati contro il 39% dei nuclei operai. Questo dato a testimonianza del fatto che chi vive in affitto è in media, rispetto al totale della popolazione, molto più povero di un tempo.

Se passiamo ad analizzare la condizione degli inquilini23 europei invece, che caratterizza circa il 29,4% della popolazione, è da sottolineare il fatto che il 18,4% di essi vive in un’abitazione affittata a prezzi di mercato, mentre solo l’11% vive in un alloggio gratuitamente o per il quale paga un canone agevolato.

22 Baldini, M., Le politiche abitative in Italia, in: «Il Mulino», (2010) 3, pp. 407-415. 23 http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-statistical-books/-/KS-DZ-14-001

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Figura 1.1.2 Distribuzione della popolazione per titolo di godimento (2012)

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-statistical-books/-/KS-DZ-14-001 consultato il 15/12/17)

Gli alloggi sociali in locazione rappresentano più del 50% del mercato complessivo degli affitti in Olanda, in Austria, nel Regno Unito e nei Paesi dell'Europa orientale, mentre in Paesi come Danimarca, Germania, Svizzera, Italia il settore degli alloggi sociali in locazione è piuttosto marginale.

Se andiamo ad analizzare in modo più dettagliato la situazione dei locatari24 in Italia rispetto ad alcune caratteristiche di natura reddituale e socio-demografica, emerge il fatto che la gran parte di essi ha un’età superiore ai 70 anni, si tratta prevalentemente di uomini divorziati (in linea con la tendenza giuridica che vede solitamente assegnare la casa coniugale alla moglie ed i figli), che vivono sopratutto nelle aree del centro Italia; dove il 31,8% di essi dichiara un reddito annuale tra i 10 ed i 26 mila euro.

Al fine di concludere la presente disamina sull’abitare in Europa vengono riportati i dati Eurostat raccolti nel 2012 in merito alla tipologia di alloggio in cui vivono i cittadini europei. Dalla rilevazione emerge che il 41.3 % degli Europei vive in un appartamento, il 34,1% in un’abitazione indipendente ed 24 % in un immobile semi-indipendente (cfr. fig. 1.2).

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Figura 1.1.3 Distribuzione della popolazione per tipo di alloggio

Fonte: Eurostat (http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-statistical-books/-/KS-DZ-14-001 consultato il 15/12/17)

La percentuale di persone che vivono in un appartamento riguarda oltre il 60% della popolazione in Paesi come Lituania, Spagna ed Estonia. In Svezia, Danimarca, Romania e Ungheria, Slovenia e Croazia più della metà della popolazione vive in una casa indipendente. La casa semi- indipendente invece è più diffusa in Irlanda, Olanda ed Inghilterra.

1.2 Evoluzioni e sviluppo delle nuove forme di povertà abitativa

Se da un lato negli ultimi decenni vi è stato un aumento delle persone che vivono in una casa di proprietà, dall'altro è possibile evidenziare un peggioramento delle condizioni abitative di chi si trovava già in una situazione di fragilità nel periodo antecedente all’insorgere della crisi economica; oppure si possono segnalare situazioni, che, proprio a fronte di tale recessione, hanno sperimentato per la prima volta la condizione di povertà abitativa.

L’aumento della povertà e delle disuguaglianze nelle economie sviluppate è una tendenza in atto da molto tempo, da sempre placata grazie allo sviluppo industriale del periodo post-bellico. Le società dei Trenta Gloriosi erano fondate su un massiccio intervento pubblico in campo economico e regimi di piena occupazione maschile di tipo industriale. Tutto ciò produceva una rigida divisione di classe25, che nonostante ciò, non determinava una situazione di disuguaglianze economiche grazie all’espansione dei sistemi di welfare finalizzati alla tutela di specifiche categorie ed alla crescita dei salari industriali. Questo risultato è stato prodotto anche a fronte di una progressiva istituzionalizzazione dei conflitti sociali che ha equilibrato le tensioni attraverso una regolamentazione pubblica dei mercati di lavoro (norme e accordi tra le parti finalizzati a tutelare la

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continuità del posto di lavoro). Anche l’organizzazione sociale della vita quotidiana era fondata su una rigida divisione di genere, dove vi era il capofamiglia come unico percettore di reddito.

A cominciare dagli anni Settanta le basi sociali ed economiche dell’assetto sopra descritto cominciarono a venire meno. Se il periodo di massimo sviluppo era caratterizzato da elevati tassi di crescita del PIL nazionale dei Paesi europei e dall’incremento dei salari e dei programmi di welfare garantiti, dagli anni successivi in poi si osservò quella che venne definita una fase di stagflazione26 o meglio, un generale rallentamento della crescita economica causato dall’accresciuto costo del lavoro e l’aumentata competizione internazionale, che ha richiesto l’attuazione di politiche di restrizione e austerità.

Le conseguenze rilevanti della trasformazione economica in atto hanno riguardato: l’indebolimento del regime di piena occupazione, la delocalizzazione, la riduzione della domanda di lavoro a bassa specializzazione e l’incremento dei tassi di disoccupazione della forza lavoro sopratutto maschile. Pertanto i lavoratori meno qualificati, i giovani e le persone in cerca di occupazione hanno visto aumentare il rischio di cadere in povertà e la possibilità di sperimentare una condizione di disoccupazione di lunga durata oppure di woorking poor27. Con quest'ultimo termine si intende la condizione di coloro che, pur lavorando con un contratto regolare, hanno un reddito al di sotto del 60% del reddito mediano, quest’ultimo inteso come il reddito che divide la metà inferiore dalla metà superiore della scala dei redditi nazionali.

In merito ai woorking poor, dai dati raccolti da Istat, emerge che l’incidenza della povertà assoluta diminuisce con l'aumentare dell'età del familiare lavoratore di riferimento e col suo titolo di studio (se si ha un diploma, l'incidenza è poco più di un terzo di quella rilevata per chi ha al massimo la licenza elementare). Invece si amplia l’incidenza della povertà assoluta tra le famiglie con un’unica persona di riferimento occupata (da 5,2% nel 2014 a 6.1% nel 201528), in particolare se si tratta di un operaio (da 9,7% a 11,7%). Rimane invece contenuta tra le famiglie ove almeno un familiare percettore di reddito sia assunto ed inquadrato come dirigente o impiegato.

Altro fenomeno che ha caratterizzato gli ultimi decenni è stato l’aumento dell’occupazione temporanea. A fronte della profonda ristrutturazione organizzativa del sistema produttivo, vi è stato un ricorso massiccio all’esternalizzazione di servizi e attività e l’introduzione di rapporti lavoro caratterizzati dalla massima flessibilità. Come è facile dedurre l’insorgere della grande recessione ha determinato un’amplificazione degli effetti negativi dei processi in atto, rimuovendo qualsiasi freno all’espansione della povertà e dell’esclusione sociale dei soggetti più deboli.

26 Judt, T., Postwar: A history of Europe since 1945. Londra, Penguin Group, 2011.

27 https://www.eurofound.europa.eu/observatories/eurwork/comparative-information/working-poor-in-europe

(consultato il 08/02/2018)

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Come si può immaginare, tale situazione non ha come risvolto esclusivamente la capacità o meno di acquistare alcuni beni, bensì, come scrive Robert Castel nel libro L’insicurezza sociale “ l’incapacità di guadagnarsi da vivere lavorando rimette in questione il registro dell’appartenenza sociale dell’individuo che traeva dal salario i mezzi del suo sostentamento, rendendolo incapace di governare la sua esistenza a partire dalle proprie risorse”[Castel:23].

Nel quadro delineato, tra le altre cose, è possibile dunque osservare anche l’aumento delle disuguaglianze di reddito all’interno di molti Paesi Europei.

La transizione verso un sistema economico post-industriale ha portato allo sviluppo del settore terziario, all’interno del quale, oltre alla crescita di occupazione ad alta qualificazione, si è potuto osservare un incremento di posti di lavoro poco retribuiti e di bassa qualità.

Il tutto ha determinato un contesto socio-economico caratterizzato da forti disuguaglianze sociali e da un sistema salariale fortemente polarizzato tra alti e bassi salari. Il coefficiente Gini29, che è appunto la più nota misura di disuguaglianza che va a calcolare la redistribuzione dei redditi all’interno di un determinato Paese, mostra un trend in crescita30. I maggiori incrementi, a cui è associata una crescita della disuguaglianza nella distribuzione delle risorse economiche di oltre 4%, riguardano la Finlandia, la Germania, la Svezia e l’Italia. Quest’ultima, che aveva già dei livelli di disuguaglianza economica e sociale molto elevati a metà degli anni Ottanta, ha ulteriormente accentuato questa caratteristica.

Ad aggravare ulteriormente la situazione di coloro che vivono un’esperienza di ristrettezza economica e di insicurezza lavorativa-relazionale vi sono le dinamiche del mercato immobiliare. Infatti la generale riduzione dei redditi medio-bassi e del potere di acquisto di alcune famiglie europee sono accompagnati da un aumento dei prezzi delle case, dei canoni di locazione e dei relativi costi di costruzione delle abitazioni.

L’aumento dei prezzi delle case sembra in parte essere giustificato dall’aumento della domanda di prestiti rivolti all’acquisto della casa (meccanismo dell'auto-sostentamento31, cui è già stato fatto accenno nella parte introduttiva del capitolo). Tra le altre cose, tale aumento dei prezzi ha determinato una moltiplicazione del valore immobiliare che, ad esempio, tra il 1997 ed il 2005 ha raggiunto il 192% in Irlanda, il 154% in Inghilterra, il 145% in Spagna e l’87% in Francia e Italia32.

29 Il coefficiente Gini può variare tra 0 e 1 (qualche volta è moltiplicato per 100, ottenendolo su scala 0 a 100). Un

indice basso indica la tendenza all’equidistribuzione, 0 indica la perfetta uguaglianza, mentre un valore alto indica una forte disuguaglianza, 1 indica la massima concentrazione.

30 Carbone, D.,Ceravolo, F., Crisi economica e diseguaglianze sociali. La situazione italiana nello scenario europeo,

presentato al Convegno nazionale AIS-ELO, Cause e impatto della crisi: individui, territori, istituzioni, Cosenza, 27-28. settembre 2012.

31 http://campus.unibo.it/200534/1/Week%2004%20-%20Crisi%20e%20gestione%20della%20crisi.pdf (consultato il

06/05/2017)

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Per ciò che concerne il caso italiano33 e l’andamento dell’indice dei prezzi, è da sottolineare che, nonostante la crisi del settore edilizio (come testimonia la riduzione del numero di permessi richiesti per costruire), i prezzi delle nuove costruzioni sono in aumento. Tale dato sembra spiegabile se si esamini il ruolo giocato dalle banche: queste ultime hanno infatti finanziato in modo massiccio le nuove costruzione nel momento di massima espansione del settore e le imprese, con esse indebitate, si sono trovate costrette a non ridurre i prezzi degli immobili di loro proprietà in quanto sarebbero incorse nel rischio che gli istituti di credito avessero chiesto la restituzione dei prestiti, per cui si sarebbe dato il via ad una spirale di progressiva svalutazione dei crediti concessi. Diversa la situazione degli immobili già esistenti, relativamente ai quali è possibile osservare una riduzione dei prezzi dal 2010 al 2014. Tale tendenza scoraggia quei proprietari di immobili che non hanno un’impellente necessità di liquidità a procedere alla vendita.

L'innalzamento dei prezzi delle case è stato determinato anche da altri tipi di fattori34, in quanto è da considerare che la relazione che lega l’alloggio ai suoi fruitori è di natura biunivoca: da una parte i cambiamenti demografici influenzano la domanda degli alloggi, dall’altro l’offerta degli stessi può avere delle conseguenze sull’aumento della popolazione.

In merito all’offerta degli alloggi e le conseguenze che essa ha avuto sulle scelte abitative di alcune fasce della popolazione, è da ricordare come in parte anche la presenza di alloggi economicamente accessibili possa aver influenzato e reso attrattive alcune città europee per le persone extracomunitarie.

Altro fenomeno di natura demografica che influenza la domanda di alloggi è l’aumento del numero di famiglie (o processo di atomizzazione35), che è determinato da una serie di fattori di natura diversa. Infatti l’aspettativa di vita, il tasso di divorzi e separazioni, il tasso di fertilità hanno avuto delle significative influenze sulla famiglia, che hanno portato ad un rapido aumento del numero delle stesse, ma ad una diminuzione della loro dimensione.

Il numero totale delle famiglie in Europa è aumentato da circa 193 milioni nel 2005 a 202,8 milioni nel 2009. Se andiamo ad osservare nello specifico il caso italiano36, dai dati raccolti da Istat, emerge che, dal 2000 al 2007, il numero delle famiglie è cresciuto di oltre 2 milioni, mentre il numero medio dei componenti di una famiglia è passato da 2,52 del 2003 a 2,44 del 2007. L’atomizzazione della famiglia italiana è certamente un fenomeno che interessa tutto il territorio nazionale, pur presentandosi in maniera più incisiva nelle regioni del centro nord rispetto a quelle del sud.

Come si può dedurre le conseguenze negative che hanno interessato il ciclo immobiliare che si è

33 http://www.lavoce.info/archives/31904/nuova-vecchia-casa-costa-sempre-troppo/ (consultato in data 10/09/2017) 34 http://www.federcasa.it/news/osservatorio_casa/01_Research_Briefing_UE_Casa_e_accessibilit%C3%A0.pdf

(consultato in data 12/08/17)

35 http://www.federcasa.it/circolari/2008/11/119b.pdf (consultato in data 12/08/17)

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innescato nel periodo pre e post l’insorgere della congiuntura economica hanno investito tutti i soggetti che lo costituiscono.

A fronte dell'incremento del valore immobiliare, i proprietari sono stati indotti a dare la loro proprietà in garanzia al fine di ottenere ulteriori prestiti, aumentando così il loro stato di indebitamento; e nonostante i mutui per l’acquisto di una casa abbiano vissuto le condizioni migliori di sempre, le famiglie si sono indebitate in modo eccessivo e per periodi troppo lunghi. Con la conseguenza che, nel momento in cui vi sono state le prime tensioni finanziarie, l’accesso al credito è diventato più oneroso e di difficile onorabilità da parte dei debitori..

Pertanto a fronte di un aumento generale dello stato di indebitamento dei cittadini europei (secondo i dati della Banca di Italia dal 1997 al 2004 l’indebitamento complessivo delle famiglie per acquistare un alloggio è cresciuto di ben 4 volte, passando da 40 a 160 miliardi di euro) e dell'incapacità di onorare gli impegni finanziari, in alcuni Paesi europei, è stato possibile osservare un incremento delle situazioni di pignoramento. Ad esempio, nei Paesi dell’Est Europa, l’impossibilità di compiere la manutenzione ad abitazioni di scarsa qualità a causa dell’aumento dei costi ha portato i proprietari ad indebitarsi notevolmente tanto da non essere più in grado di far fronte alle spese legate all’alloggio, incorrendo nell’esperienza del pignoramento (ad esempio in Bulgaria dal 2011 al 2013 la percentuale di popolazione che ha sperimentato tale situazione è incrementata del 46.5%).

Anche a Cipro, Irlanda, Lituania, Spagna ed Olanda, gli anni della crisi, hanno portato un significativo incremento di tali fenomeni. Questo perché non vi erano presenti robusti programmi di prevenzione ed hanno inoltre risentito maggiormente della politica europea Troika37.

La Spagna ha da sempre un numero di pignoramenti molto elevato che in media si attesta a 50.000 all’anno; addirittura nel 2012 ha raggiunto il picco di 75.000.

Per quanto riguarda le esecuzioni immobiliari in Italia invece, sulla base di una ricerca svolta da ACCORD38 nel 2014, sembrano aver riguardato circa 5.500 casi e cioè una media di quasi 20 al giorno, con un incremento del 11% rispetto al 2013.

Tuttavia, non ovunque, la crisi economica ha automaticamente fatto incrementare il numero di pignoramenti. Ci sono significative differenze scaturite dalle politiche attuate in materia. A tale esempio, la Grecia, che sicuramente rappresenta uno delle nazioni maggiormente colpite dalla crisi economica, non ha visto l’aumento del fenomeno. Grazie alla legge Chatzidakisi, che impedisce di mettere all’asta la casa di residenza di un cittadino non in grado di pagare il debito del mutuo alla

37 Con il termine Troika si intende la politica europea che ha seguito della recessione si è occupata dei piani di

salvataggio dei paesi all’interno della zona euro il cui debito pubblico è in crsi, concedendo prestiti ed esigendo in cambio politiche di austerità.

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banca, ed alla legge Katseli, che ha deliberato in merito alla possibilità che venga rinegoziato il debito con una rata più bassa da parte del debitori, 60.000 cittadini greci nell’arco temporale 2011-2013 sono stati protetti dal pignoramento dell’abitazione.

Insieme al pignoramento, l'altro fenomeno che prevede il rilascio obbligato dell'immobile è lo sfratto e rispetto ad esso la Feantsa rileva che nel 2012 l’esperienza dello sfratto è vissuta in Europa dallo 0.14%39 della popolazione ed è particolarmente diffusa in Paesi come Lusseburgo, Regno Unito, Belgio e Francia. Prendendo in esame questi Paesi40, emerge che il Lussemburgo ha più che raddoppiato il numero degli sfratti negli ultimi 10 anni. In Belgio l’80% degli sfratti avviene nei

confronti dei locatari che abitano in alloggio affittati a canone di mercato a fronte del fatto che interrompono il pagamento dell’affitto. Per quanto riguarda invece il contesto francese è da sottolineare che gli sfratti che sono stati costanti dal 1960, hanno subito negli ultimi anni una sostanziale impennata e sono passati da poco più di 1000 sentenza di sfratto per morosità all’anno a circa 123.000. Circa la metà riguardano cittadini che abitano in alloggi sociali, questo a dimostrazione del fatto che non vi sono significative differenze tra chi vive in affitto di mercato oppure sociale, ma sembra appunto che in entrambi i casi l’incapacità di far fronte al pagamento dell’affitto scaturisce da un incremento dei canoni di locazione. Stessa situazione per la Gran Bretagna dove negli ultimi anni gli sfratti hanno raggiunto i 42.000 all’anno ed hanno riguardato rispettivamente sia il settore privato che quello pubblico. La difficoltà nel pagare l’affitto sembra scaturita sia dal costo dell’affitto, ma anche dalle spese legate al suo mantenimento.

In merito all'Italia41 è possibile evidenziare come l’incremento degli sfratti sia contraddistinto dall’effetto combinato di una serie di fenomeni di varia natura: abitativi, sociali, economici e finanziari.

Prima di tutto è bene ricordare che la procedura di sfratto si articola in tre fasi distinte: emissione di provvedimenti di sfratto, richieste di esecuzione ed esegui-mento dello sfratto.

Rispetto alle tre fasi sopra elencate, da una rilevazione effettuata dal Ministero dell’Interno nel 201642 emerge che vi sono stati nell'anno precedente: 61.718 provvedimenti di sfratto (1 ogni 419 famiglie), 158.720 richieste di esecuzione ed infine 35.336 sfratti eseguiti. Circa le esigenze che hanno portato i proprietari a richiedere i provvedimenti di sfratto viene rilevato che in 2.539 casi vi erano necessità specifiche da parte del locatore, in 4.350 casi si trattava di finita locazione ed in

39 http://www.feantsa.org/download/gb_housing-exclusion-report_complete_20178613899107250251219.pdf

(consultato in data 05/10/17)

40 https://www.rosalux.eu/fileadmin/user_upload/resisting_evictions_across_europe.pdf (consultato in data 05/10/17) 41 http://www.regione.toscana.it/documents/10180/23550/la-Toscana-degli-sfratti.pdf/96ec2975- 246b-473d-a2d6 -

2132a6a7fbbd;jsessionid=A2D565EFA4B0DAA6BBD704F2934ABBFC.web-rt-as01-p2?version=1.0 (consultato in data 05/10/17).

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54.829 l’istanza di provvedimento di sfratto era stata determinata dalla morosità dell’affittuario. Se andiamo ad analizzare l’evoluzione del fenomeno nel nostro Paese nel periodo 2005-2016, si nota che i provvedimenti di sfratto emessi mostrano un andamento più o meno costante dal 2005 al 2007, passando da 45.815 a 43.869; dal 2008 al 2014 si evidenzia, al contrario, una tendenza all’incremento decisamente incisiva che ha portato ad un aumento degli stessi del 47,8%. Situazione equivalente per ciò che concerne gli sfratti eseguiti attraverso l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario, emerge infatti che dal 2006 al 2014 siamo passati da 22.278 a 36.348 con un aumento percentuale pari al 62%.

Analizzando le cause che nel tempo hanno determinato i provvedimenti di sfratto, è possibile evidenziare che i provvedimenti per finita locazione diminuiscono nel corso degli anni, ma sono accompagnati da un aumento di quelli per morosità che, già nel 1999 registrano un picco a seguito della liberalizzazione del mercato degli affitti (Legge 431/1998), e poi in modo ancora più significativo dal 2006 a causa delle prime influenze della crisi, passando infatti dai 2.895 del 2005 ai 4.867 del 2011.

Come si evince dall'analisi dei dati riportati, con l'insorgere delle crisi finanziaria, i cittadini europei che per varie ragioni (economiche, familiari) non riescono ad accedere alla casa di proprietà senza mutuo hanno forti difficoltà a trovare valide alternative e sono costretti a sacrificare la qualità del proprio abitare o ad affrontare spese abitative che le espongono a vivere condizioni di povertà. A testimonianza di ciò, il rapporto Living condition in Europe43, redatto da Eurostat nel 2014, mostra che, nell’arco temporale 2005-2012, il numero di europei che corrono il rischio di vivere in una condizione di povertà o di deprivazione materiale è in aumento. Per quanto riguarda la condizione di deprivazione materiale si intende, come specificato in letteratura, la situazione in cui un individuo non riesca ad accedere a 3 elementi dei totali successivamente elencati: una settimana di vacanza all’anno, la possibilità di avere una dieta variegata, uno non adeguato spazio abitativo rispetto alla composizione del nucleo e ben riscaldato, beni durevoli (come la lavatrice, la televisione a colori, il telefono e la macchina), non abbiamo inoltre la capacità di pagare il mutuo o l’affitto oppure qualsiasi spese necessaria per il mantenimento quotidiano. La condizione di severa deprivazione si verifica invece nel momento in cui un individuo non ha la capacità di accedere a 4 elementi rispetto ai totali sopra elencati.

La percentuale più alta di popolazione che sperimenta una condizione di povertà e deprivazione materiale si trova nei Paesi dell’Est Europa, ad esempio in Lituana, Ungheria, Romania, e, con un valore ancora più alto che si attesta al 44,1 % della popolazione, in Bulgaria. All’opposto, nei Paesi del Nord Europa come Finlandia, Danimarca, Olanda, Lussemburgo, Svezia e Svizzera è più

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difficile trovare individui che sperimentano tali situazioni di disagio. Nell’Europa Meridionale un Paese contrassegnato da un significativo incremento di situazioni di grave vulnerabilità è la Spagna. Il rischio di cadere in povertà, nel 2012, riguardava circa il 24,8% della popolazione europea (125 milioni di persone) e nella maggioranza dei casi si trattava di: una donna, un giovane adulto, un genitori single con figli minori a carico, un individuo con bassi livelli di istruzione o disoccupato.

Figura 1.2.1 Persone a rischio di povertà e relativo stato economico e demografico

Fonte: http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-statistical-books/-/KS-DZ-14-001

All’interno del rapporto sopra citato si pone anche l’accento su come la categoria dei genitori single con figli minori a carico sia la più vulnerabile e maggiormente a rischio di vivere una condizione di povertà. Il 47,9% delle famiglie presenti in Bulgaria ha una struttura familiare di questo tipo, seguita dalla Romania con una percentuale che si attesta al 46,8. All’estremo opposto c’è la Finlandia, dove tale situazione riguarda solo il 12,9% delle famiglie.

Un’altra tipologia di soggetti a rischio di disagio sono coloro che vivono da soli, e questa categoria, in Paesi come la Slovenia, Croazia, Romania, Lituania e Bulgaria, riguarda oltre il 40% della popolazione.

Sempre all'interno del rapporto, si evidenzia che in Europa sono prevalentemente presenti due tipologie di strutture familiari: adulti singoli e coppie senza figli.

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Figura 1.2.2 Tipologia di struttura familiare maggiormente a rischio di povertà

Fonte: Pariniani, P., Cara dolce casa. Come cambia la povertà in Italia dopo le spese abitative Paper presentato alla III Conferenza annuale ESPAnet Italia. Napoli, 2010.

Queste due categorie riguardano sia giovani che adulti e sono cresciute più rapidamente rispetto alle altre. Tali strutture familiari risultano anche essere quelle più colpite dall’instabilità economica in quanto, sopratutto per gli adulti soli che solitamente sono anziani, necessitano di soluzioni abitative adeguate in termini di prezzi accessibili e di una gamma di servizi erogati in grado farli rimanere il più lungo possibile presso il proprio domicilio. In merito al processo di invecchiamento44 ed alla presenza di individui anziani sul territorio europeo, è da evidenziare che in Europa la popolazione sta crescendo lentamente rispetto ad altri Continenti ed è la più anziana del mondo, con il 17,4% di persone che hanno più di 65 anni.

Al fine di concludere emerge che la deprivazione monetaria e materiale che stanno vivendo i cittadini europei negli ultimi anni mette a dura prova la loro capacità di conservare l’ambiente abitativo dove vivono o di avere condizioni abitative adeguate.

Come dimostrano le ricerche condotte da Eurostat, vi sono due importanti elementi45 che pesano di più sulle “famiglie fragili” che vivono in affitto a prezzi di mercato: l'incidenza delle spese abitative sul bilancio familiare (unaffordability) ed il sovraffollamento abitativo.

44 http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Population_statistics_at_regional_level/it (consultato in

data 15/08/17)

45 Palvarini, P., Cara dolce casa. Come cambia la povertà in Italia dopo le spese abitative Paper presentato alla III Conferenza annuale ESPAnet Italia. Napoli, 2010.

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1.2.1 La condizione di unaffordability

L’abitazione è tipicamente la principale voce di spesa di una famiglia e costituisce il secondo fattore, dopo il reddito, che determina le risorse disponibili per affrontare tutti gli altri consumi. Con il concetto di unaffordability si intende la situazione in cui le spese abitative incidono oltre il 40% sul reddito familiare mensile.

La definizione di ciò che appartiene alla categoria di spese abitative varia in tutta Europa; possiamo comunque dire che solitamente le spese prese in considerazione negli housing studies per quanto riguardano le famiglie che vivono in affitto sono: il canone di locazione, quello condominiale, le tasse legate alla residenza (tassa sui rifiuti) e le utenze. Nel caso in cui la famiglia viva in un'abitazione di proprietà sono prese in esame le spese sostenute per la proprietà, la manutenzione e l'affitto imputato46. Per ciò che concerne le famiglie che hanno un mutuo attivo sulla casa, viene inclusa tra i costi abitativi la frazione della rata destinata al pagamento degli interessi, mentre è esclusa la quota di rimborso del capitale, poiché l’acquisto della casa viene considerato come un investimento.

I cittadini Europei spendono in media più di un quinto del loro reddito mensile (22,9%) per la loro condizione abitativa. E’ inoltre da evidenziare però che i costi sostenuti per l’alloggio in rapporto al reddito disponibile dei soggetti a rischio di povertà sono quasi il doppio della media globale (40,4%).

L’Housing Cost Overburden Rate, che è l’indice che mostra la percentuale di popolazione che ha

una spesa per l’abitazione che supera il 40% del proprio reddito disponibile, ci dice che nel 2012 l’11% della popolazione europea verteva in questa condizione e che nel 39,1% dei casi si trattava di coloro che avevano un reddito inferiore al 60% del reddito mediano equalizzato.

Tale indice è relativamente basso (fino ad una massimo di 4.5%) in Paesi come Francia, Slovenia, Lussemburgo, Finlandia, Cipro e Malta. Mentre ha raggiunto punti percentuali molto più elevati in Paesi come la Svizzera, Lituania, Belgio, Polonia, Repubblica Ceca, Norvegia. Supera il 13% della popolazione in Danimarca, Germania, Romania, Bulgaria, Olanda, Spagna ed Ungheria. Solo in Grecia riguarda oltre il 30% della popolazione.

Le differenze riscontrate tra i vari Paesi riflettono le diverse politiche nazionali adottate dai governi. E’ comunque da sottolineare che, passando dal 2008 al 2012, si è registrato un incremento generalizzato di 0.7 pp di questo indice sulla media europea. Se andiamo ad osservare la situazione di ogni singolo Paese è possibile evidenziare che in Italia e Finlandia è diminuito di -0.2 pp e di -2.8

46 Questo corrisponde alla “spesa che la famiglia avrebbe dovuto sostenere se avesse dovuto affittare, ai prezzi vigenti

sul mercato immobiliare, un’unità abitativa equivalente a quella che possiede o di cui usufruisce” (Cutillo e Di Laurea 2006)

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pp nella Repubblica Ceca. All’opposto è stato registrato un aumento di 4.1 pp in Lituania, 4.2 pp in Spagna, 4.3 pp in Estonia; ancora più significativa è la situazione della Grecia, che ha vissuto un incremento di 10.9 pp dell’indice in esame.

Se invece torniamo ad analizzare l’indice di affordability, come rilevato da Eurostat47, emerge che la spesa per l'alloggio incide sul totale delle spese delle famiglie europee in media per il 21%. Questo a testimonianza del fatto che mediamente le abitazioni in Europa sono disponibili a prezzi relativamente accessibili.

Grafico 1.2.1.1 Spesa per la casa sul totale delle spese delle famiglie europee (2004)

Fonte:http://www.federcasa.it/news/osservatorio_casa/01_Research_Briefing_UE_Casa_e_accessibilit%E0.pdf

Tuttavia vi sono delle significative differenze tra i vari Paesi, tanto che è possibile individuare tre gruppi diversi. Tra i Paesi con le spese più elevate sono riscontrabili: Danimarca, Svezia, Belgio, Italia, Finlandia, Repubblica Slovacca, Lettonia, Germania, Francia, Repubblica Ceca, Estonia e Paesi Bassi. In un altro gruppo, tra il 15% e la media UE, possiamo individuare il Lussemburgo e la Grecia. Ed infine, tra i Paesi in cui le spese per l’alloggio non sembrano essere molto alte, troviamo Malta, Portogallo, Cipro e Lituania.

Se si tiene conto del titolo di godimento48, come già ricordato in precedenza, è possibile evidenziare come le famiglie in affitto a prezzi di mercato siano costrette a sostenere costi molto più elevati in tutti i Paesi Europei. Nello specifico le famiglie affittuarie a prezzo di mercato devono affrontare costi abitativi che incidono drasticamente sul loro reddito familiare (33,4%), mentre le famiglie che

47 http://www.federcasa.it/news/osservatorio_casa/01_Research_Briefing_UE_Casa_e_accessibilit%C3%A0.pdf

(consultato in data 15/08/17)

48 http://www-3.unipv.it/ingegneria/copisteria_virtuale/turri/M.%20Baldini-La%20casa%20degli%20italiani.pdf

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abitano in alloggi a canone agevolato (27.3%) o che abitano in comodato gratuito (18.4%) hanno un’incidenza significativamente più bassa imputabile a tali costi.

Emerge inoltre che chi ha un'abitazione di proprietà con il mutuo (20,3% ) si trova con più probabilità costretto a sostenere spese abitative alte rispetto a chi non ha il mutuo sulla casa (16%). C’è da dire che la differenza più significativa è riscontrabile tra chi vive in affitto a prezzo di mercato e chi a canone agevolato.

Proprio in merito ai costi legati all’abitare ed al rispettivo titolo di godimento emerge, dai dati Istat raccolti nell'anno 201549, che in Italia una famiglia proprietaria ha una spesa mensile per l'abitazione di euro 255 (l’incidenza di tale spesa sul reddito mensile è pari a 9,8%), mentre una famiglia affittuaria ha una spesa mensile per l'abitazione di euro 567 con un’incidenza sul reddito mensile pari al 30,7%.

Se andiamo ad analizzare nello specifico l’ammontare delle spese abitative in Europa possiamo osservare inoltre che, insieme ad un generalizzato aumento dei prezzi delle case e dei canoni di locazione delle sesse, vi è stato un aumento della tassazione sulle abitazioni50 scaturito dalla necessità dei governi di risanare il debito pubblico, riscuotendo entrate in modo efficacie da beni immobili e stabili quali le abitazioni. Le abitazioni hanno una duplice natura in quanto sono allo stesso tempo un bene di consumo e d’investimento, ciò non ne facilita l’analisi dei vari sistemi di tassazione immobiliare che caratterizzano i Paesi Europei.

Di seguito verranno riportati solo alcune considerazioni generali sul tema ed alcuni dati a testimonianza dell’aumento della pressione fiscale negli ultimi anni.

Prima di tutto è utile ricordare che vi sono tre ambiti di tassazione: imposte sul reddito prodotto dall’immobile, imposte sul valore patrimoniale dell’immobile ed infine imposte sui trasferimenti degli immobili.

Come già ricordato poche righe sopra, ed in linea con le raccomandazioni europee, che chiedono ai Paesi Membri di spostare la pressione fiscale dal lavoro e capitale ai consumi ed agli immobili, anche l'Italia ha visto aumentare negli ultimi anni la tassazione sugli immobili tanto che nel 2015 si attestava al 3,5% sul Pil, collocandosi al 3° per la tassazione sugli immobili in Europa.

Il prelievo sulla proprietà immobiliare è stato sostanzialmente stabile fino al 2007, poi, nel 2012, attraverso le modifiche introdotte dal D.L. 201/2011 “Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità' e il consolidamento dei conti pubblici” la quota del prelievo immobiliare sul gettito totale è più che raddoppiata.

Se andiamo ad effettuare una superficiale panoramica sulla tassazione immobiliare in Europa, è

49 http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_TITGODABIT (consultato in data 06/07/2017) 50 http://www1.finanze.gov.it/finanze2/immobili/contenuti/immobili_2017.pdf (consultato in data 01/12/17)

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possibile osservare che, tra 2010 ed il 2015, la quota di prelievo è rimasta stabile in Paesi come la Germania e la Francia; mentre è aumentata lievemente in Spagna e diminuita nel Regno Unito che comunque partiva da livelli di tassazione elevati.

Anche in merito alla tassazione è utile osservare come vi sia in atto, almeno per quanto riguarda il sistema fiscale italiano, alcune discriminazioni tra locatori, proprietari e mutuatari: come se l’attuale assetto premiasse “chi ha di più rispetto a chi ha di meno” [Poggio 2010].

Nello specifico chi vive in locazione paga le tasse sul reddito destinato all’affitto secondo le aliquote standard, in quanto nella definizione dell’affitto i locatori includono i vari costi compresa la tassa di proprietà che devono pagare (Ici, Imu e successive denominazioni). L’esito è che chi vive in affitto paga indirettamente questa tassa che è invece abolita per chi vive in proprietà.

Mentre chi vive in proprietà, data la sottostima dei valori di mercato nelle rendite catastali, paga una tassa poco più che simbolica sull’affitto imputato ovvero sul reddito derivante dall’investimento nella casa. Anche la tassa di proprietà, se in vigore e applicabile, è tipicamente modesta rispetto alla tassazione sui redditi.

Ed infine tra le famiglie proprietarie non vi è alcuna distinzione nella definizione della base imponibile tra chi è proprietario e chi sta pagando ancora un mutuo. Ulteriore considerazione da svolgere è che chi ha contratto un mutuo gode di alcune agevolazioni fiscali sugli interessi pagati, ma anche in questo caso, chi paga più interesse e quindi ha una maggiore capacità di acquisto e reddito, beneficia maggiormente di questa misura.

Ed infine altro paradosso in termini di giustizia ed equità fiscale riguarda il fatto che, chi riceve la casa in dono, non è costretto a pagare nessuna tassazione; al contrario chi ci accede con risorse proprie deve invece pagare le tasse sul reddito dedicato a questo investimento.

Un’altra voce di spesa che ha un importante incidenza sull’insieme delle spese abitative sono le utenze. Per queste ultime è possibile osservare lo stesso trend di crescita dei costi osservabile per i tributi. I prezzi al consumo del gas e dell'energia elettrica51 in Europa sono aumentati e continuano ad aumentare, ma anche per questo caso vi sono notevoli differenze tra i vari Stati.

Per quanto riguarda il costo del gas possiamo osservare che in Romania, Slovenia ed Estonia si registrano i prezzi più bassi; mentre i più alti sono riscontrabili in Svezia, Danimarca e Grecia, contro la media europea che nel 2012 si attestava a 7,2 euro per 100 Smc consumati.

Anche per ciò che concerne l’energia elettrica è possibile osservare che in Paesi come la Bulgaria (9,6 € per 100 kWh), Romania (10,8) ed Estonia (11,2) i prezzi in bolletta sono più bassi, mentre in Danimarca (29,7 € per 100 kWh), Cipro (29,1 per 100 kWh), Germania (26,8 per 100 kWh) e Italia

51 http://www.parlamento.it/web/docuorc2004.nsf/4d9255edaa0d94f8c12576ab0041cf0a/37e67a949ca243ebc1257c70 003c9a14/$FILE/COM2014_0021_IT.pdf

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sono significativamente più alti a fronte della media europea, che nel secondo semestre del 2012 si attestata ad euro 19,7 ogni 100 kWh consumati.

In alcuni casi, per ovviare al fatto di sostenere costi per l’abitazione in cui si vive che vanno ad incidere in modo significativo sul reddito disponibile mensile, le famiglie optano per soluzioni abitative non idonee alla grandezza del nucleo familiare e sperimentano una condizione di sovraffollamento.

1.2.2 Il sovraffollamento abitativo

Con questo termine si intende la situazione in cui non vi è almeno una stanza per la coppia centrale ed una stanza per ogni altro membro della famiglia che abbia compiuto il dodicesimo anno di età. I dati raccolti da Eurostat52 evidenziano che il 17% della popolazione europea sperimenta tale condizione ed i due Paesi opposti, per rilevanza di tale situazione, sono: il Belgio (1,6%), dove è raro effettuare un’esperienza di sovraffollamento, mentre in Romania (51,6%) è molto diffusa. In generale risulta che il sovraffollamento abitativo è diffuso sopratutto nell’Est e nel Sud Europa (Italia compresa) ed è più facile da sperimentare nelle aree ad alta densità abitativa piuttosto che nei centri extra-urbani.

In riferimento al contesto italiano, emerge che negli ultimi anni le coabitazione tra le famiglie sono triplicate, passando dalle 236.064 del 2001 alle 695.908 del 2011, con una crescita pari al +194,8%53. In Italia le famiglie che coabitano sono circa 2,8% del totale delle famiglie in abitazione e nel Centro Italia la percentuale si attesta ad un valore più alto della media nazionale (3,9%). In merito all'ampiezza delle abitazioni emerge che, in Europa, gli immobili hanno uno spazio abitativo in media di 95.9 metri quadrati. Anche rispetto a questo parametro è possibile evidenziare alcune differenze da un Paese all'altro: ad esempio in Romania, Lettonia e Lituania le abitazioni non superano in media i 60 metri quadrati; all’opposto si collocano i Paesi del Nord Europa, dove ad esempio il Lussemburgo raggiunge il tetto massimo di 131.1 m2 e Cipro con una media di 141.4 m2.

La grandezza dell’abitazione in cui vivono i cittadini europei sembra essere correlata al titolo di godimento che hanno sull’abitazione. Eurostat ci presenta una situazione dove chi vive in una casa di proprietà ha in media uno spazio di 96.8 m2, un po meno rispetto a chi sulla casa di proprietà paga il mutuo (la grandezza media si attesta a 119.6 m2). In merito agli inquilini, è osservabile che

52 http://ec.europa.eu/eurostat/web/products-statistical-books/-/KS-DZ-14-001 (consultato in data 09/06/2017) 53 http://www.caritasitaliana.it/caritasitaliana/allegati/6257/Presentazione_Un_difficile_abitare.pdf (consultato in data

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