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Analisi del diritto al nome in ambito internazionale

Rapporto tra diritto all’identità personale e diritto al nome in ambito internazionale

5. Analisi del diritto al nome in ambito internazionale

Il diritto al nome, come abbiamo visto, rappresenta un diritto fondamentale della persona anche nell’ ambito dell’ordinamento internazionale.

Il nome, infatti, è disciplinato da numerose convenzioni270 di diritto

internazione e internazionale privato e allo stesso tempo è oggetto di protezione per mezzo di alcuni strumenti internazionali di tutela dei diritti fondamentali, che ne mettono in evidenza la sua dimensione di identità personale dell’individuo.

In ambito internazionale sono presenti normative che vanno a tutelare il diritto di ogni persona di vedersi attribuire un nome in maniera da poter preservare la propria identità personale.

L’articolo 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici ne è un esempio in quanto stabilisce che «tutti i bambini debbono essere iscritti nei registri di stato civile immediatamente dopo la nascita e debbano portare un nome».

Allo stesso modo, la Convenzione del 18 dicembre 1979 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna, all’articolo 16, par. 1, lettera g), stabilisce che gli Stati contraenti assicurino gli stessi diritti al marito e alla moglie anche in relazione alla scelta del cognome.

La Convenzione dell’ONU del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo ribadì, all’articolo 8 n. 1, un’analoga previsione prescrivendo che « gli Stati contraenti dovevano impegnarsi a rispettare il diritto del fanciullo e a preservare la propria identità, ivi compreso […] il suo nome […] senza ingerenze illegali ».

270 Come ad esempio: la Convenzione di Istanbul del 4 settembre 1958 relativa al cambiamento di

nomi e cognomi, la Convenzione di Berna del 13 settembre 1973 relativa all’indicazione dei nomi e dei cognomi nei registri di stato civile, la Convenzione di Monaco di Baviera del 5 settembre 1980 sulla legge applicabile ai nomi e ai prenomi, la Convenzione dell’Aja dell’8 settembre 1982 relativa al rilascio di un certificato di diversità di nomi di famiglia e la Convenzione di Antalya del 16 settembre 2005 sul riconoscimento dei nomi.

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5.1. La giurisprudenza delle Corti sovranazionali operanti

nell’ambito europeo

La giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte di giustizia, rispetto ad alcuni ordinamenti nazionali, è più flessibile nell’attribuzione del cognome materno ai figli.

L’aspetto che le differenzia in questo ambito è l’approccio con cui esse si pongono nel confronti del diritto al nome.

Le basi giuridiche da cui partono le due Corti sono differenti e da ciò ne consegue che esse spesso pervengono a risultati diversi.

Da diversi anni, però, hanno cercato di coordinarsi271 in maniera tale

che ciascuna di esse tenga in adeguata considerazione la posizione e le motivazioni dell’altra al fine di evitare antinomie giuridiche.

Entrambe le corti, infatti, nel valutare la richiesta del ricorrente, non danno molto rilevo alla portata del diritto al nome, quanto piuttosto alle conseguenze della sua violazione.

Partendo dall’analisi della Convenzione europea notiamo che essa non contiene una disposizione specifica riguardante il « diritto al nome» ma, attraverso l’articolo 8 CEDU possiamo desumere che nome e cognome sono « strumenti d’identificazione personale e di collegamento alla famiglia»272.

La Corte è ben consapevole dell’interesse sociale e privato che riveste il diritto al nome e delle differenze giuridiche e socioculturali che possono crearsi tra nazionalità diverse.

Per tale ragione, la Corte considera legittime le giustificazioni poste dalle legislazioni nazionali riguardo alle restrizioni in materia di attribuzione, cambiamento, conservazione dei nomi e si limita a concentrare il suo sindacato sulla proporzionalità delle misure273.

271 Tale coordinamento è insito nell’articolo 6 comma 2 TUE: “L'Unione aderisce alla Convenzione

europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati”.

272 Tale articolo è stato adottato ad esempio nella seguente sentenza CEDU: CtEDU, 22 febbraio

1994, n. 16213/90, Burghartz v. Switzerland, www.echr.coe.int.

273 C. Honorati, Diritto al nome e all’identità personale nell’ordinamento europeo, Giuffrè Editore,

2010, 113; G. Rossolillo, L’identità personale tra diritto internazionale privato e diritti dell’uomo,

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Fino al 2009, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la disciplina del nome non faceva parte delle materie spettati all’Unione Europea274 ma, nonostante questo, furono numerosi gli interventi

attinenti al diritto della famiglia275.

La Corte di giustizia iniziò ad esercitare le sue competenze in ambito di diritto della famiglia e delle persone in base agli scopi deducibili dai Trattati276.

274 C. Honorati, Diritto al nome e all’identità personale nell’ordinamento europeo, op. cit., 8. 275 Su tale argomento di veda: S. Carbone e I. Queriolo, Diritto di famiglia e Unione europea,

Torino, Giappichelli, 2009.

276 È noto come i Trattati istitutivi della Comunità europea non attribuissero, né attribuiscano

oggi, alle istituzioni comunitarie una specifica competenza in materia di diritto di famiglia: il diritto sostanziale di famiglia è stato – ed è – tradizionalmente appannaggio del diritto statale, il quale disciplina le relazioni familiari ispirandosi a principi e modelli culturali, sociali, etici e religiosi spesso differenti, quando non addirittura opposti. Con gli anni però c’è stato il tentativo di assicurare un coordinamento reale ed efficace tra le varie normative nazionali condotto, in primo luogo, dal diritto internazionale privato e processuale, da un lato, e da specifiche convenzioni internazionali, bilaterali e multilaterali, dall’altro. In questo scenario un certo spazio ha iniziato a ritagliarsi anche il diritto comunitario. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona nulla ha mutato in punto di attribuzione all’Unione di una specifica competenza in materia di diritto di famiglia. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea conserva, infatti, un silenzio pressoché totale sul tema, fatta eccezione per l’odierno art. 81 (corrispondente all’art. 65 TCE, che risulta in parte modificato): tale disposizione, nel prevedere la competenza dell’Unione a sviluppare una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, anche attraverso l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, precisa che “le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale”, fatta salva la possibilità per il Consiglio di adottare, su proposta della Commissione, “una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria”. Brevi riferimenti al diritto di famiglia sono altresì contenuti, oltre che nell’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – il quale, sulla scorta di quanto previsto dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, riconosce il diritto di ogni individuo al rispetto della propria vita privata e familiare –, negli artt. 9 e 33 della stessa: il primo stabilisce che «il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio»; il secondo prevede che la protezione della famiglia è garantita sul piano giuridico, economico e sociale, e che, «al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni individuo ha il diritto di essere tutelato contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio». Nella Carta sono, invero, rintracciabili altre norme che interessano la vita familiare. Oltre al generale divieto di discriminazione sancito dall’art. 21, l’art. 14, nel disciplinare il diritto all’istruzione, stabilisce, tra l’altro, che il diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche, deve essere rispettato secondo le leggi nazionali che ne

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La competenza interna degli Stati riguardo a tali materie, però, restava ben salda.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona non viene sostanzialmente modificato il quadro normativo descritto.

Oggi l’articolo 81 par. 3 TFUE (ex articolo 65 CE) prevede che le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transazionali siano stabilite dal Consiglio, il quale delibera con una procedura speciale, all’unanimità e previa consultazione del Parlamento Europeo.

Il requisito dell’unanimità richiesta per deliberare in materia dimostra una chiara volontà degli Stati di conservare una propria sovranità riguardo a tale argomento.

Nonostante questo contesto, apparentemente preclusivo, la Corte di giustizia277 è intervenuta più volte sulle normative nazionali, seppur

disciplinano l’esercizio. Se, dunque, non esiste una completa e organica disciplina comunitaria del fenomeno familiare (tuttora essenzialmente ascrivibile alla competenza dei singoli Stati membri), ciò che esiste è una serie di atti (a carattere vincolante e non) di origine comunitaria variamente incidenti sul diritto di famiglia. Sia pure con una certa approssimazione, tali atti possono essere suddivisi, a seconda dell’ambito materiale di disciplina, tra quelli riguardanti il tema della cooperazione giudiziaria in materia civile (tra cui particolare rilievo assumono il Regolamento (CE) 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che ha abrogato il regolamento (CE) n. 1347/2000; il Regolamento (CE) 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; il Libro verde della Commissione sul conflitto di leggi in materia di regime patrimoniale dei coniugi, compreso il problema della competenza giurisdizionale e del riconoscimento reciproco, del 17 luglio 2006); gli atti concernenti il tema della libera circolazione delle persone (su tutti, la Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che ha modificato il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed ha abrogato le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE); la normativa in tema di immigrazione ed asilo (tra cui, in particolare, la Direttiva 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare); la normativa antidiscriminatoria (in particolare, la Direttiva 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000 che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro); la normativa sui funzionari dell’Unione europea (in particolare il Regolamento CE, CECA, Euratom n. 628/2000 del Consiglio, del 20 marzo 2000, recante modifica del regolamento CE, Euratom, CECA n. 259/68 che definisce lo statuto dei funzionari delle Comunità europee nonché il regime applicabile agli altri agenti di tali Comunità).

277 Si veda ad esempio nei casi: Casati, CGCE 11 novembre 1981; Schempp, C-403/03, 12 luglio

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in maniera indiretta, andando a disporre l’eliminazione delle normative non conformi.

Il desiderio di trasmettere ai figli anche il cognome della madre è stato oggetto di numerosi ricorsi all’autorità giudiziale soprattutto in merito a problematiche derivanti dal divieto di discriminazione in base alla cittadinanza e alla libertà di circolazione.

Ne consegue che la Corte di giustizia potrà svolgere soltanto un interevento indiretto finalizzato alla salvaguardia dei principi fondamentali dell’ordinamento.

Come possiamo notare, le Corti affrontano la materia del diritto al nome in relazione ai diritti fondamentali in maniera diversa e questo lo possiamo notare nelle sentenze da loro affrontate.

6. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione

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