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Punto di vista della Corte Costituzionale

Il diritto al nome nella giurisprudenza italiana

2. Punto di vista della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale è stata interpellata più volte in merito alla legittimità dell’attribuzione automatica del cognome paterno ai figli nati da una coppia sposata, alla luce dei principi di eguaglianza e parità di genere sanciti all’articolo 29 Cost.

La Corte costituzionale, già prima della sentenza del 2016, aveva ritenuto che non vi fosse spazio per una vera e propria censura del principio che impone l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio.

Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 586 del 1988, riguardante la mancata previsione della facoltà per la madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi, si sosteneva che incidere su questa previsione, affermandone l’incostituzionalità, avrebbe comportato, come è scritto nella pronuncia della Corte,

« introdurre un diverso sistema di determinazione del nome »94 ,

svolgendo un’attività di tipo manipolativo, esorbitante i poteri della Corte, attività questa di assoluta competenza del Legislatore.

La Corte, infatti, aveva affermato che « la mancata previsione della facoltà per la madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi e per questi di assumere anche il cognome materno, non contrasta né con l'art. 29 Cost., in quanto viene utilizzata una regola radicata nel costume sociale, come criterio di tutela dell'unità della famiglia fondata sul matrimonio né con l'art. 3 Cost., in riferimento ai figli adottivi, poiché la preclusione vale anche per questi ultimi, secondo la corretta interpretazione dell'art. 27 della legge n. 164 del 1983.

Peraltro, l'opportunità di introdurre un diverso sistema di determinazione del nome (quale nella specie, quello del doppio cognome) ugualmente idoneo a salvaguardarne l'unità senza comprimere l'eguaglianza dei coniugi, è una scelta che rientra nelle competenze esclusive del legislatore.

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Ci troviamo perciò davanti ad una manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 73 del R.D. 9 luglio 1939 n. 1238 sull'ordinamento dello stato civile, degli artt. 6, 143-bis cod. civ., dell'art. 236 cod. civ., dell'art. 237, secondo comma, cod. civ. e dell'art. 262, secondo comma, cod. civ., in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 Cost.».

2.1. Analisi della sentenza della Corte Costituzionale n.

61/2006

Il fulcro del ragionamento della Consulta in merito alla questione della trasmissione del cognome ai figli lo troviamo all’interno della sentenza della Corte Costituzionale del 16-02-2006, n. 6195 con la

quale essa riafferma la propria posizione con maggior fermezza, evidenziando l’incompatibilità della norma in esame con i valori costituzionali della uguaglianza morale e giuridica dei coniugi.

Tale sistema di attribuzione del cognome viene definito come il

« retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale

affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna » ma, ciononostante, la questione viene dichiarata inammissibile, ritenendola riservata alla discrezionalità del legislatore, in quanto per superare tale problematica vi sono molteplici soluzioni96 e l’esercizio di “un’attività creativa” preclude

che la decisione possa essere della Corte97.

95 Corte cost., 16-02-2006, n. 61, in Corriere Giur., 2006, 4, 552.

96 Nella sentenza del 2006 n. 61, al punto 2.1. del considerato in diritto, infatti, la Corte precisa

che “sarebbe possibile, e probabilmente consentaneo all'evoluzione della coscienza sociale, sostituire la regola vigente in ordine alla determinazione del nome distintivo dei membri della famiglia costituita dal matrimonio con un criterio diverso, più rispettoso dell'autonomia dei coniugi, il quale concili i due principi sanciti dall'art. 29 della Costituzione, anziché avvalersi dell'autorizzazione a limitare l'uno in funzione dell'altro”.

97 La Corte, mentre da una parte certifica una situazione di contrarietà della normativa censurata

alla Costituzione, dall'altra avverte che “non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato”, soprattutto perché, in fattispecie come quella in esame, il riconoscimento dell'incostituzionalità è plateale e quindi investe il Legislatore

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Al secondo paragrafo seguiva una considerazione della Corte: « [n]è può obliterarsi il vincolo, il quale i maggiori Stati europei si sono già adeguati,posto delle fonti convenzionali, e in particolare dell’art. 16, comma 1, lettera g) della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna […], che impegna gli Stati contraenti ad adottare tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti personali e, in particolare, ad assicurare gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome »98.

La Corte, come vediamo, richiama principi di diritto internazionale, riconoscendo una sorta di precedenza agli strumenti internazionali che disciplinano espressamente la scelta del cognome da attribuire ai figli in ragione della parità tra madre e padre ma, nonostante questo, pronunciò l’inammissibilità della questione, in quanto implicante scelte discrezionali di esclusiva competenza del legislatore.

E’ dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt. 143-bis, 236, 237, secondo comma, 262, 299, terzo comma, c.c., e 33 e 34 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre, anche qualora i coniugi abbiano manifestato una diversa volontà, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29, comma 2, Cost. Per la Corte Costituzionale, in assenza di una modifica legislativa, il figlio deve assumere il cognome paterno.

del compito di intervenire. G.P. Dolso, La questione del cognome familiare tra Corte

costituzionale e Corte europea dei diritti dell’uomo, in Giur. cost., n. 1/2014, 738.

98 Corte cost., sent. del 2006, par. 2.2.; M.N.Bugetti, Attribuzione del cognome ai figli e principi

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2.2. Sentenza della Corte Costituzionale n. 278/2013

Una delle ultime sentenze riguardanti il processo di valorizzazione del diritto all’identità personale è la sentenza n. 278 del 22 novembre 201399, in cui la Corte afferma il diritto del figlio a conoscere le

proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale, quale « elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona».

In questa prospettiva la Corte ha riconosciuto il diritto di mantenimento dell’originario cognome del figlio, anche in caso di modificazioni dello status derivanti da successivo riconoscimento o da adozione.

Tale cognome originario, infatti, si configura come tratto identificativo della sua personalità100.

In tale sentenza la Corte afferma che sia costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2 e 3 Cost., l'art. 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall'art. 177, comma 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nella parte in cui non prevede,attraverso un procedimento stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre, che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 - sulla richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.

Va riaffermato il nucleo fondante della scelta adottata nella sentenza n. 425 del 2005, volto a preservare i valori di primario risalto, quali la salvaguardia della vita e della salute, essendo questi, in definitiva, i beni di primario rilievo presenti sullo sfondo di una scelta di sistema improntata nel senso di favorire, per sé stessa, la genitorialità naturale. Ma, in questa prospettiva, anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini - e ad accedere alla propria storia

99 Corte cost., 22 novembre 2013, n. 278, in Foro It., 2014, 1, 1, 4.

100 Sul punto si veda: Corte cost., 23 luglio 1996, n. 297, in Corriere Giur., 1996, 10, 1181; Corte

cost., 11 maggio 2001, n. 120, in Giur. It., 2001, 2238 e infine Corte cost., 24 giugno 2002, n. 268, in Corriere Giur., 2002, 9, 1225.

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parentale - costituisce un elemento significativo nel sistema costituzionale di tutela della persona, come pure riconosciuto in varie pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e poi affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 278/’13.

Il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale.

Sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della verifica di cui innanzi si è detto101.

3. Il cognome materno alla luce del caso Cusan e Fazzo

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