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Principio di non discriminazione in base alla nazionalità: analisi del caso Garcia Avello contro lo Stato

Rapporto tra diritto all’identità personale e diritto al nome in ambito internazionale

6. La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in riguardo alla trasmissione del cognome

6.1. Principio di non discriminazione in base alla nazionalità: analisi del caso Garcia Avello contro lo Stato

belga

La Corte di giustizia non ha ancora elaborato molte pronunce relative al diritto al nome. Si tratta, però, di un tema destinato ad assumere progressivamente maggiore rilievo, data la vastità dei flussi migratori all’interno dell’Unione europea, il conseguente aumento dei casi di figli nati da coppie aventi nazionalità diversa o residenti in uno Stato membro diverso da quello di origine, e la coesistenza di differenti sistemi nazionali di attribuzione del cognome.

Va ricordato che, allo stato attuale, le norme sull’attribuzione del cognome di una persona rientrano tra le competenze degli Stati membri. Questo tuttavia non impedisce che possa venire in rilievo il diritto comunitario.

La Corte, infatti, pur dovendo fare attenzione a non eccedere in misura non necessaria nella competenza degli Stati membri nelle questioni di diritto internazionale privato, è tenuta a non indebolire il concetto di cittadinanza dell’UE, che rappresenta lo «status

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fondamentale dei cittadini degli Stati membri»280, e a non svuotare di

significato i diritti da esso derivanti.

Nel caso Garcia Avello281, il Conseil d’État belga aveva proposto un

ricorso pregiudiziale, chiedendo alla Corte di valutare la compatibilità della prassi amministrativa belga, che respinge abitualmente il cambiamento del cognome di figli con doppia cittadinanza282, con i

principi di diritto comunitario in materia di cittadinanza dell’UE e di libera di circolazione delle persone regolati agli articoli 12 e 17 del Trattato CE.

Nel caso di specie, i figli, nati in Belgio da padre spagnolo e da madre belga, erano stati registrati all’atto di nascita con il cognome del padre (Garcia Avello).

Nella documentazione dell’Ambasciata di Spagna in Belgio, però, erano stati registrati con il primo cognome del padre seguito dal cognome della madre, secondo il sistema spagnolo (Garcia Weber). Per evitare che i figli avessero cognomi diversi nei due ordinamenti, i genitori avevano quindi chiesto alle autorità belghe di procedere alla sostituzione del secondo cognome paterno con quello della madre, per far sì che avessero lo stesso cognome in Belgio e in Spagna.

Tale cambiamento veniva loro rifiutato, in quanto contrastava con i modello di trasmissione del cognome che in Belgio prevedeva l’attribuzione esclusiva del patronimico.

Secondo l’ordinamento belga l’assegnazione del solo cognome paterno è connessa al principio di immutabilità del cognome, ritenuto fondamentale ai fini della conservazione dell’ordine sociale. Tra gli argomenti presentati a difesa delle posizioni del Belgio, vi era l’esigenza di favorire l’integrazione degli stranieri nel paese, grazie ad un sistema univoco di attribuzione del nome283.

280 Corte di giustizia, sentenza del 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk, in Racc., I-6193,

punto 31; cfr. anche Corte di giustizia, sentenza dell’11 dicembre 2007, causa C-291/05, Eind, in Racc., I10719, punto 32.

281 Corte di giustizia, sentenza del 2 ottobre 2003, causa C-148/02, Garcia Avello, in Racc., 2003 I-

11613.

282 La prassi amministrativa belga si fonda sulla Convenzione dell’Aja del 1930 che fa prevalere,

nel caso di persona avente più cittadinanze, quella del foro.

283 C. Bassu, Nel cognome della madre. Il diritto alla trasmissione del cognome materno come

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Pronunciandosi sul caso in esame284, la Corte ha ritenuto che il diritto

comunitario venisse in rilievo poiché i due minori possedevano la cittadinanza dell’UE. Pur constatando che l’attribuzione del cognome rientrava tra le competenze degli Stati membri, ha sottolineato che l’esercizio di tali competenze deve avvenire nel rispetto del diritto comunitario, e, più in particolare, del diritto a non subire alcuna discriminazione sulla base della nazionalità.

I giudici di Lussemburgo hanno, infatti, affermato che i cittadini belgi, titolari di cognomi diversi a causa della doppia nazionalità, incontrano difficoltà peculiari285, derivanti dalla loro situazione, che li

contraddistingue da coloro che hanno soltanto la cittadinanza belga. La Corte ha quindi concluso che, in virtù del principio di non discriminazione, non si potevano trattare situazioni diverse in maniera uguale286.

Nel caso in esame, l’applicazione del principio di non discriminazione prescinde dall’accertamento relativo alla violazione di una libertà economica specifica. A differenza di altre pronunce riguardanti la doppia cittadinanza287, la sentenza Garcia Avello si caratterizza per

284 Come emerge dalla sentenza, la situazione dei soggetti con doppia cittadinanza è differente

rispetto a chi è solo cittadino belga. La diversità dei cognomi dei cittadini con doppia cittadinanza si presta a generare inconvenienti tanto professionali quanto privati (i minori infatti risultavano chiamarsi Garcia Avello in Belgio e Garcia Weber in Spagna) derivanti dalle difficoltà di disporre, in uno stato membro di cui hanno cittadinanza, degli effetti giuridici di atti o di documenti redatti con il cognome riconosciuto nell’atro Stato membro del quale possiedono la cittadinanza. Il principio di non discriminazione e l’esigenza di garantire i diritti derivanti dalla cittadinanza europea sono gli strumenti di cui la Corte di Giustizia si serve per pronunciarsi in merito a una materia, il diritto al nome, in cui non ha una competenza specifica diretta.

285 La diversità dei cognomi può infatti generare per gli interessati seri inconvenienti tanto di

ordine privato quanto di ordine professionale.

286 Corte di giustizia, sentenza Garcia Avello, punto 31 e ss. La posizione sostenuta dallo Stato

belga è apparsa quindi errata perché sproporzionata; la Corte ha infatti ritenuto che il principio dell’immutabilità del cognome, invocato a sostengo della propria tesi dal governo belga e qualificato come principio fondamentale dell’ordinamento sociale volto a prevenire i rischi di confusione in merito all’identità o alla filiazione delle persone, non fosse un principio tanto indispensabile da non poter ammettere una prassi diversa da quella tenuta dalle autorità belghe.

287 Si veda ad esempio: Corte di giustizia, sentenza del 19 gennaio 1988, causa C-292/86, Gullang,

in Racc., p. I-111; Corte di giustizia, sentenza del 7 luglio 1992, causa C-369/90, Micheletti, in

Racc., p. I- 4239; Corte di giustizia, sentenza del 2 ottobre 1997, causa C-122/96, Saldanha, in Racc., p. I-5325; Corte di giustizia, sentenza del 12 maggio 1998, causa C-336/96, Dame Gilly, in Racc., p. I-2793.

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l’assenza di un reale “movimento”288, ovvero di un effettivo

spostamento delle persone interessate dal giudizio, da uno Stato membro ad un altro. La fattispecie in esame, infatti, si colloca all’interno di uno Stato membro ed il collegamento con il diritto comunitario è dato dalla doppia nazionalità.

La combinazione cittadinanza europea - principio di non discriminazione è il mezzo utilizzato dalla Corte per garantire il rispetto di un diritto fondamentale, il diritto al nome, non espressamente richiamato289.

In seguito a tale sentenza, nella giurisprudenza italiana, il Tribunale di Bologna con decreto del 9 giugno 2004290 applica i principi enunciati

dalla Corte di giustizia.

Con tale decreto il Tribunale di Bologna, sulla scia della citata pronuncia Garcia Avello, accoglie il ricorso dei due coniugi, uno cittadino italiano e l’altro di cittadinanza spagnola.

Si afferma che la doppia cittadinanza del minore legittima i suoi genitori a pretendere che vengano riconosciuti nell’ordinamento italiano il diritto e la tradizione spagnoli, per cui il cognome dei figli si determini attribuendo congiuntamente il primo cognome paterno e materno; solo così sono garantiti al minore il diritto ad avere riconosciuta nell’ambito dell’Unione europea una sola identità personale e familiare e ad esercitare tutti i diritti fondamentali attribuiti da ciascuna delle normative nazionali, spagnola ed italiana, cui è legato da vincoli di pari grado e intensità.

Di conseguenza, è ritenuta ammissibile l'istanza per la correzione di un atto di nascita di un minore di doppia cittadinanza italiana e spagnola, nato in Spagna ed iscritto nei registri dello stato civile spagnoli con il doppio cognome, a cui in sede di trascrizione dell'atto di nascita l'ufficiale di stato civile italiano abbia attribuito (ex art. 98 D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) il solo cognome paterno, in

288 P. Bonetti, L'uso della lingua negli atti e nella comunicazione dei poteri pubblici italiani,

Giappichelli editore, 2016, 216-227.

289 Già l’Avvocato generale Jacobs nel caso Konstantinidis aveva parlato di cittadinanza dell’UE

come della sorgente di una serie di diritti fondamentali; Corte di giustizia, sentenza del 30 marzo 1993, causa C-168/91, Konstantinidis, in Racc., p. I-01191.

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conformità alle norme del nostro ordinamento. Il combinato disposto degli articoli 12 e 17 CE, così come interpretati dalla Corte di giustizia, non consente alle autorità amministrative di uno Stato di limitare gli effetti della cittadinanza dell'altro Stato membro, e, dunque, di imporre, contro la volontà dell'interessato, la normativa interna a rettifica degli effetti derivanti dall'applicazione della normativa di un altro Stato membro.

Per completezza va ricordato che dopo la sentenza Garcia Avello, la Corte è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con il divieto di discriminazione e con i diritti di cittadinanza stabiliti dal Trattato CE di una normativa nazionale riguardante la determinazione del cognome di un minore nella sentenza 27 aprile 2006, causa C-96/04, Standesamt Stadt Niebüll291.

La questione sostanziale sollevata era se le norme sulla scelta della legge applicabile potessero condurre ad una determinazione fondata esclusivamente sulla legge dello Stato di appartenenza del minore, in questo caso la Germania, prescindendo dal diritto dello Stato di nascita, nella fattispecie la Danimarca, con la conseguenza che il nome risulta diverso nei due ordinamenti giuridici.

La Corte non si è, tuttavia, ritenuta competente a pronunciarsi, in quanto la questione era stata sollevata da un organo che non esercitava funzione giurisdizionale.

L’Avvocato generale si era espresso chiaramente riguardo l’incompatibilità con gli artt. 17 CE e 18 CE di una normativa di uno Stato membro che non consenta ad un cittadino dell’Unione europea, il cui nome sia stato legittimamente registrato in un altro Stato membro, di ottenere il riconoscimento di tale nome ai sensi della legge del proprio Stato.

Secondo l’avvocato, infatti, «al di là degli aspetti pratici, che possono oscillare dal semplice inconveniente al problema estremamente grave, nel clima di sospetto instauratosi in seguito ai fatti dell’11 settembre 2001, il nome di una persona è un elemento fondamentale

291 Corte di giustizia, sentenza del 27 aprile 2006, causa C-96/04., Standesamt Stadt Niebüll, in

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dell’identità e della vita privata, la cui tutela è ampiamente riconosciuta nelle costituzioni nazionali e nei trattati internazionali», risultando «del tutto incompatibile con lo status e con i diritti di un cittadino dell’Unione europea che, per utilizzare i termini impiegati dalla Corte, è «destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri», essere obbligati a portare nomi diversi ai sensi delle leggi di Stati membri diversi».

6.2. Principio di libera circolazione delle persone: analisi del

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