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L’analisi filosofica del fenomeno: la teoria (anche economica) delle capability

I temi della professionalità e della formazione del lavoratore suggeriscono preliminarmente di

(ri)considerare i nessi tra diritto, mercato e occupazione

109

.

Ed infatti, come già accennato nell’Introduzione, negli ultimi tre decenni la riflessione dei

giuslavoristi sembra essersi, infatti, spostata o, quantomeno, allargata al mercato del lavoro e al

“suo” diritto

110

.

Peraltro, già da tempo, è stata sottolineata la necessità di affrontare i problemi del lavoratore

come persona, ossia come “soggetto” e non solo come mero “oggetto” di sfruttamento del datore di

lavoro o di protezione da parte dell’ordinamento giuridico

111

.

Adottando tali prospettive, la formazione assurge allora a concetto ambivalente, perché duplice,

ma anche potenzialmente unificante. La formazione, infatti, costituisce, da un lato, un diritto sociale

della persona che permette di reperire e svolgere un determinato lavoro nel quale si realizza ed

eleva la personalità umana e professionale del lavoratore, dall’altro lato, essa è funzionale alle

esigenze dell’impresa in quanto volta a dotare il capitale umano della “competenza oggettiva”

necessaria

112

.

essere richieste al lavoratore, ma anche delle posizioni diverse che possono riflettere tanti fattori, tra cui anche le competenze. Ogni lavoratore potrebbe essere spostato da una posizione all’altra vedendo così incrementata la propria retribuzione che dovrebbe riflettere non tanto la tipologia del posto di lavoro, quanto la qualità della prestazione. Tuttavia, ciò potrebbe creare problemi e malumori perché legare la retribuzione alla qualità presuppone una valutazione, una misura del capitale umano. Al tal fine è, dunque, necessario introdurre strumenti di valutazione non solo il più possibile oggettivi e raffinati ma anche socialmente accettati e condivisi.

109 Cfr. B. C

ARUSO, Occupabilità, formazione e «capability» nei modelli giuridici di regolazione dei mercati del lavoro, in DLRI, 2007, n. 113, pp. 4-5. L’Autore rinviene la ragione di questo cambiamento di prospettiva nel fatto che le tre principali forze che minano il compromesso sociale incorporato nel diritto del lavoro post-costituzionale (offerta mondiale di forza lavoro, prolungamento delle aspettative di vita e innovazioni tecnologiche) fanno sì che le nuove minacce si spostano dai luoghi dove si svolge la prestazione in altri luoghi (mercati del lavoro e territori).

110 Il diritto del mercato del lavoro non è un diritto che guarda soltanto al micro, al privato (come il diritto del rapporto

di lavoro), ma anche al pubblico in quanto regola, in primo luogo, uno spazio spesso fisico talvolta immateriale (il mercato del lavoro), con particolare riguardo ai soggetti, pubblici o privati, che vi operano (centri per l’impiego, agenzie di somministrazione, Anpal, ecc.) e ai servizi (da ritenersi di carattere “pubblico” ed “essenziale”) e strumenti offerti per rendere ottimale l’incontro tra domanda e offerta di lavoro (servizi per il lavoro, politiche attive, assegno di ricollocamento, certificazione delle competenze, ecc.). Inoltre, è un diritto che instaura e disciplina rapporti interindividuali di tipo complesso perché involgono più soggetti (lavoratori, disoccupati, agenzie per il lavoro, centri per l’impiego, Inps, ecc.).

111 In tal senso G. V

ARDARO, Tecnica, tecnologia e ideologia della tecnica nel diritto del lavoro, in PD, 1, pp. 75 e ss.

112 Cfr. B. C

È qui che entra in gioco il concetto di capability

113

, utilizzato da diversi giuslavoristi al fine di

pervenire ad aperture cognitive inedite che permettano di comprendere, orientarsi e regolare al

meglio la nostra materia

114

.

Al riguardo, occorre ricordare che il concetto in commento scaturisce dalla teoria economica

utilitarista, in particolare dalla originale e alternativa (rispetto a quelle precedenti) teoria del

benessere e della giustizia sociale dell’economista e filosofo indiano Amartya Sen e della filosofa

americana Martha Nussbaum

115

. Tale termine-chiave è posto a fondamento di una teoria dello

sviluppo in cui l’idea di ricchezza non è confinata ad una semplice crescita del PIL o del reddito

individuale ma si estende al benessere, alla qualità della vita (non in astratto) ma riferita a

condizioni reali di esistenza delle persone

116

.

Un’idea di giustizia, quindi, collegata al necessario riposizionamento della idea di libertà

effettiva della persona situata collegata, a sua volta, ad un’idea di uguaglianza sostanziale di

risultato, ossia di reali capacità e possibilità delle persone di raggiungere obiettivi consapevolmente

scelti: in definitiva, si tratta non di una libertà intesa come assenza di vincoli o mera eguaglianza di

opportunità o parità di chance di partenza, ma libertà di scegliersi una vita cui si dà un valore

117

.

Però, un’autorevole dottrina ha avvisato che una cosa è fondare le politiche del lavoro sulla

capability for employment, che mira ad ampliare le capacità della persona di ottenere un lavoro

funzionale ad un reddito vitale, altra cosa è fondarle sulla capability for valuable work, ossia la

capacità di ottenere un lavoro adeguato al proprio progetto di vita che è anche capacità di scegliere

liberamente il proprio lavoro, di poter perseguire un personale progetto di apprendimento o di vita,

ecc.

118

.

In definitiva, la teoria delle capabiliy è una teoria economica interrelata ad una teoria filosofica

della giustizia e dell’uguaglianza che presuppone una governance e una regolazione diffusa,

decentrata e multilivello ma anche un approccio del giurista diverso (rispetto a quello neopositivista

113

La capability è, in primo luogo, combinazione, pertanto, ottimale di “funzionamenti”, ossia “stati di essere e di fare” dell’esistenza (stare in buona salute, cibarsi, curarsi, studiare, lavorare, partecipare alla vita della comunità, ecc.), cfr. B. CARUSO, Occupabilità, formazione e «capability», cit., pp. 12-13. L’Autore per far comprendere la differenza tra funzionamento e capability fa un esempio: lo stato di digiuno attiene al funzionamento alimentare, ma una cosa è digiunare per indigenza (mancanza di capability) altra digiunare per scelta.

114 Cfr., oltre al saggio di Caruso già citato, anche R. D

EL PUNTA, Brevi divagazioni sulle “capabilities”, in AA.VV.,

Formazione e mercato del lavoro in Italia e in Europa. Atti del XV Congresso nazionale di diritto del lavoro, S. Margherita di Pula (Cagliari), 1-3 giugno 2006, Aidlass Annuario di diritto del lavoro n. 41, Giuffré, Milano, 2007, pp.

277 e ss.; Id., Labour Law and the Capability Approach, in Intern. Journ. Comp. Lab. Law Ind. Rel., 2016, n. 4, pp. 383 e ss.;; R. PESSI, Persona e impresa nel diritto del lavoro, in AA.VV., Diritto e libertà. Studi in memoria di Mattia

Dell’Olio, Tomo II, Giappichelli, Torino, 2008, p. 1246.

115 Cfr. M.N

USSBAUM,A. SEN (a cura di), The quality of life, Oxford University Press, 1993.

116 Cfr. B. C

ARUSO, Occupabilità, formazione e «capability», cit., pp. 10-11.

117

In tal senso A. SEN, Lo sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2000, pp. 93 e 124 come richiamato da B. CARUSO, Occupabilità, formazione e «capability», cit., p. 11, note 40-41 e 44, il quale osserva che il concetto di capability contiene una concezione liberale (non libertaria né liberista) di “individualismo

responsabile”: ognuno ha la responsabilità di scegliere consapevolmente il proprio stile e progetto di vita.

118

Cfr. sempre B. CARUSO, Occupabilità, formazione e «capability», cit., pp. 13-14. In quest’ottica, la disoccupazione, pertanto, non è soltanto una condizione di povertà dovuta alla mancanza di redditi ma anche una condizione di povertà nel senso di “mancanza delle basilari capabilities” e, quindi, causa di “effetti debilitativi di larga portata sulla libertà

del singolo, sulla sua capacità di iniziativa e sulla sua professionalità” (indebolisce la capacità di cavarsela, la

sicurezza e la fiducia in sé, la salute psico-fisica) ma anche ha un impatto sulla “esclusione sociale”, cfr. A. SEN, Lo

sviluppo è libertà, cit., p. 20 e ss. Per Caruso, pertanto, le politiche di contrasto alla disoccupazione devono allora essere

non solo passive (trasferimenti monetari) ma soprattutto attive, ossia responsabilizzazione e attivazione della persona al fine di un’occupazione di qualità.

e neomonista) improntato al c.d. “diritto riflessivo”: i diritti e le norme non vanno considerati in

assoluto ma anche per le conseguenze che producono nella realtà

119

.

In questo quadro, la formazione può assurgere certamente a strumento di sviluppo delle

capability ed essere quindi funzionale all’accrescimento delle libertà (anche di scelta) della persona,

però dipende sempre come viene pensata e regolamentata.

Di certo, le politiche in materia di lavoro degli ultimi decenni hanno tentato di valorizzare e

incentivare la formazione dei lavoratori, però – è stato osservato – con atteggiamento e intento

politico non univoco. Ed infatti, da un lato, è senza dubbio presente nelle politiche europee (ma

anche nazionali) una concezione della formazione come “bene pubblico” riferito alle capability

della persona

120

, dall’altro lato, spesso l’enfasi delle istituzioni è stata posta su concetti quali

occupabilità e adattabilità nelle loro accezioni esclusivamente strumentali all’efficienza del

mercato e alle esigenze di produttività e concorrenza delle imprese, e cioè come valorizzazione

della (sola) competenza professionale del lavoratore funzionale ai richiamati interessi

121

.