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L’originario art 2103 c.c

2.4 Il diritto al lavoro e alla formazione nelle fonti sovranazionali

3.2.2. L’originario art 2103 c.c

La versione dell’art. 2103 c.c. risultante dal Codice civile del 1942, dopo aver stabilito che il

lavoratore «deve essere adibito alle mansioni per cui è assunto» (c.d. principio della contrattualità

delle mansioni), aggiungeva poi che, salvo patto contrario («se non è convenuto diversamente»), il

414 Non è un caso che è lo stesso comma 6 dell’articolo in commento parla esplicitamente di «professionalità». 415

Si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a tutte le questioni inerenti alla concorrenza e all’utilizzo, durante e dopo il rapporto di lavoro, delle conoscenze e competenze acquisite e, in particolare, al patto di non concorrenza di cui all’art. 2125 c.c. Al riguardo, giova richiamare quell’orientamento giurisprudenziale che prende come parametro di riferimento tale concetto per determinare la validità del suddetto patto: esso, infatti, deve ritenersi nullo “allorché la sua

ampiezza sia tale da comprimere la esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale”, onde il giudice deve procedere a tale accertamento “in relazione alla concreta personalità professionale dell'obbligato” (cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., n. 13282/2003; n. 10062/1194; n.

1017/1966).

416

La prima disciplina organica del contratto di apprendistato risale addirittura al periodo corporativo (vd. r.d.l. 21 settembre 1938, n. 1906, convertito nella l. 2 giugno 1939, n.739), una disciplina specifica la si trova nel Codice civile del 1942 (artt. 2130-2134), poi oggetto di riforma da parte della l. 9 gennaio 1955, n. 25.

417 Già a metà anni ’60 era sottolineato in dottrina che alcuni contratti collettivi dell’epoca mostravano una tendenza a

che “la funzione dell’addestramento si inserisca persino nella struttura del normale contratto di lavoro, entri a far

parte del contenuto negoziale”, cfr. M. RUDAN, Il contratto di tirocinio, Giuffrè, Milano, 1966, pp. 470 e ss., come richiamata in U. CARABELLI, Organizzazione del lavoro e professionalità, cit., pp. 89-90.

418 Già negli anni ’90 era diffusa la prassi di apporre al contratto di lavoro innovative clausole contrattuali quali, ad es.,

quei patti di stabilità in favore del datore di lavoro che assicurano uno scambio tra formazione (resa necessaria dal progresso tecnologico), sotto forma di training di qualificazione o riqualificazione professionale, contro l’impegno del lavoratore a prestare servizio per una certa durata commisurata al tempo necessario all’ammortamento dei costi di formazione, cfr, L. MENGONI, Diritto civile, cit., p. 8.

datore di lavoro poteva, «in relazione alle esigenze dell’impresa», adibire unilateralmente il

prestatore a mansioni diverse, sempre nel rispetto della retribuzione in godimento (in caso di

demansionamento) o corrispondente alla mansione (più alta) assegnata nonché della posizione

sostanziale all’interno dell’impresa («purché essa [n.d.r.: la mansione diversa] non importi una

diminuzione nella retribuzione o un mutamento sostanziale nella posizione di lui»).

Pertanto, l’originario art. 2103 c.c. obbligava il datore di lavoro ad assegnare al lavoratore

mansioni ricomprese nell’oggetto del contratto di lavoro (erano questi i confini in cui operava il

potere direttivo) ma, allo stesso tempo, lo autorizzava – salva la diversa pattuizione tra le parti – ad

esercitare il c.d. jus variandi

419

a condizione che tale potere fosse funzionale alle esigenze

dell’impresa, non importasse una diminuzione della retribuzione né un mutamento sostanziale della

posizione del lavoratore

420

.

Erano questi i requisiti e, quindi, al contempo i limiti

421

– invero non esplicitati in modo chiaro

dal legislatore

422

– del potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente l’oggetto del

contratto. Potere che, con tutta evidenza, si differenziava notevolmente dal potere direttivo, se non

altro per il suo carattere “eccezionale” e la diversa funzione.

Ed infatti, la ricostruzione dottrinaria tradizionale (precedente allo Statuto dei lavoratori)

considerava come oggetto del contratto di lavoro l’insieme delle mansioni di assunzione (pattuito),

all’interno del quale venivano “scelte”, di volta in volta durante lo svolgimento del rapporto, dal

datore di lavoro per il tramite del potere direttivo (appunto “specificativo”); al contrario, il potere di

modifica unilaterale delle mansioni era ritenuto un potere autonomo e diverso dal potere direttivo

sia per natura (diritto potestativo) che per carattere (potere ritenuto – come sopra visto –

“eccezionale”) e funzione

423

.

D’altro canto, occorre altresì sottolineare che i limiti sopra analizzati riguardavano

esclusivamente le modifiche unilaterali delle mansioni e non anche quelle consensuali: queste

pattuizioni erano, infatti, ritenute ammissibili e non soggette a limitazioni, stante la piena

disponibilità della materia da parte dell’autonomia privata

424

.

419 Lo jus variandi rappresenta un’“anomalia” storica ma necessaria all’interno del rapporto di lavoro rispetto al

principio generale dei contratti, secondo cui l’oggetto può essere modificato solo consensualmente, cfr. C.PISANI, Lo

jus variandi, cit., pp. 1114 e ss. che richiama V. ROPPO, Il contratto, …, Milano, p. 555, secondo il quale tale potere si presenterebbe come “un’offesa al principio del vincolo”.

420 Proprio questa norma, che consentiva al datore di lavoro la derogabilità (unilaterale) rispetto all’accordo delle parti

in materia di mansioni, ha portato parte della dottrina a rinvenire un “vistoso cedimento” alla concezione del contratto, cfr. R. SCOGNAMIGLIO, La natura non contrattuale del lavoro subordinato, cit., p. 3 dell’estratto.

421

Parte della dottrina ha messo in discussione la reale esistenza, nella pratica industriale e nella contrattazione collettiva, del divieto di diminuzione della retribuzione, cfr. U. ROMAGNOLI, Art. 13, cit., p. 221.

422 È stata, infatti, la dottrina, più che la giurisprudenza, a provare a precisare tali limiti, cfr. per un tentativo in tal senso

G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp. 287 e ss. e 327 e ss. In particolare, Giugni aveva distinto tra mutamenti unilaterali delle mansioni che dovevano ritenersi limitati nel tempo (c.d. temporaneità) e sul piano professionale (c.d. affinità con le mansioni di assunzione) e trasferimenti definitivi che dovevano essere necessariamente oggetto di consenso anche da parte del lavoratore (pp. 377 e ss.).

423 Cfr., per tutti, M. P

ERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, cit., pp. 194-196 nonché M. MARAZZA, Saggio

sull’organizzazione del lavoro, cit., p. 298, il quale osserva che a partire dagli anni ’80 la dottrina procede ad una

rivisitazione del rapporto tra potere direttivo e jus variandi, in realtà – come avremo modo di vedere – quelle (ri)considerazioni erano state avanzate già dai primi commentari dello Statuto dei lavoratori (cfr. par. n. ….).

424 Cfr. F. C

La giurisprudenza dell’epoca riteneva, infatti, legittima una modifica consensuale in pejus delle

mansioni e della retribuzione anche nel caso in cui il consenso fosse stato espresso tacitamente dal

lavoratore mediante la continuazione di fatto del rapporto di lavoro.

Tale orientamento era, però, particolarmente criticato in dottrina giacché qualsiasi mutamento

disposto unilateralmente dal datore di lavoro poteva risultare legittimo in forza della (probabile)

acquiescenza del lavoratore in quanto “indotta” dal timore di perdere l’occupazione in presenza di

una libertà di licenziamento

425

.

Ed infatti, altra autorevole dottrina ha messo in luce i nessi all’epoca intercorrenti tra regime di

recedibilità ad nutum (artt. 2118 e 2119 c.c.) ed originario art. 2103 c.c. e poi tra art. 18 ed art. 13

St. lav

426

.

Sarebbe stata così proprio l’incapacità

427

dell’art. 2103 a governare e controllare, entro limiti

tollerabili, la discrezionalità del datore di lavoro nell’esercizio del potere di modifica delle mansioni

a far intervenire il legislatore nazionale, nonostante i pregevoli tentativi della contrattazione

collettiva di introdurre norme e misure volte a riequilibrare l’assetto di interessi in gioco

428

.