2.4 Il diritto al lavoro e alla formazione nelle fonti sovranazionali
3.1.5. Rapporto e contratto di lavoro: le ricostruzioni tradizionali e quelle “alternative”
3.1.5.2 L’oggetto del contratto di lavoro subordinato
Tutti i contratti, siano essi tipici o atipici, devono avere un oggetto (art. 1325, comma 1, n. 3
c.c.), il quale deve essere «possibile» e lecito» ma anche «determinato o determinabile» (art. 1346
c.c.).
L’oggetto del contratto di lavoro subordinato
359, cioè la cosa e/o il comportamento che
costituiscono il punto di riferimento materiale dell’assetto contrattuale, è duplice: da un lato, la
prestazione di lavoro, dall’altro la retribuzione, trattandosi appunto del comportamento e della cosa
cui tendono gli interessi tipici delle parti
360.
Con riguardo alle questioni relative al contenuto e all’oggetto del contratto di lavoro,
autorevole dottrina già negli anni ’60 aveva affrontato queste problematiche in un testo che è tuttora
una pietra miliare della materia
361.
357 È questa la ricostruzione di S. M
AGRINI, voce Lavoro (contratto individuale di), cit., par. 6, con la conseguenza che “l'interesse alla disponibilità del comportamento del lavoratore e l'interesse alla retribuzione esauriscono d'altro canto
la sfera degli interessi giuridicamente protetti con il contratto di lavoro, e segnano i limiti dello schema causale di questo, mentre ogni altro interesse perseguito dalle parti non può avere rilevanza giuridica se non come motivo, o come elemento accidentale del negozio concreto”. Per l’Autore sarebbero così estranei a tale schema sia “l'interesse del datore di lavoro imprenditore al coordinamento del comportamento del lavoratore con altri analoghi comportamenti, ai fini di un proficuo svolgimento dell'attività produttiva, o più in generale quello del datore di lavoro al conseguimento dell'opera o del servizio dei quali la prestazione di lavoro costituisce fattore essenziale dal punto di vista tecnologico ed economico; sia l'interesse del prestatore di lavoro alla esecuzione della prestazione, il quale può assumere rilevanza soltanto in quanto sia dedotto come motivo comune determinante del concreto negozio”.
358 Cfr., sul punto, sempre S. M
AGRINI, voce Lavoro (contratto individuale di), cit., par. 8, il quale sostiene, comunque, che l’irriducibile antinomia tra disciplina contrattuale e disciplina legale non contraddice la nozione moderna di contratto nella quale la fonte privata e la fonte legale convergono e partecipano entrambe alla costruzione del regolamento contrattuale.
359
Peraltro, “oggetto del contratto”, “oggetto dell’obbligazione” o “della prestazione” sarebbero tutti concetti che descrivono la medesima realtà, ossia designano il comportamento dovuto dal debitore seguito da un risultato economico (art. 1174 c.c.) seppur da punti di vista differenti, cfr. M. PERSIANI, Contratto di lavoro e organizzazione, cit., pp. 133- 134.
360
Cfr. S. MAGRINI, Lavoro (contratto individuale di), cit., par. 13.
361 Il riferimento è a G. G
IUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene, Napoli, 1963. Successivamente, Giugni ritornerà ad occuparsi della materia per verificare se i risultati della sua prima ricerca fossero ancora validi alla luce dell’evoluzione del sistema normativo, cfr. G. GIUGNI, voce Mansioni e qualifica, in Enc. Dir., vol. XXV, 1975.
Gino Giugni partendo dal dato normativo (all’epoca l’art. 2103 c.c. nella sua versione
originale) evidenziava che tale disposizione nello stabilire che «il prestatore di lavoro deve essere
adibito alle mansioni per cui è stato assunto» ha acquisito al linguaggio legislativo l’espressione
che, nella pratica aziendale e sindacale di quel periodo, valeva a designare la prestazione dedotta nel
contratto di lavoro
362. In altri termini, per Giugni le mansioni di assunzione di cui fa riferimento il
primo comma dell’art. 2103 c.c. altro non sarebbe che una variante terminologica per indicare
l’attività convenuta e, quindi, l’oggetto dell’obbligazione di lavorare
363.
Peraltro, per Giugni l’attività lavorativa non può essere definita concettualmente come un a
priori rispetto al rapporto in cui la stessa è stata dedotta: soltanto quando il facere è dedotto contro
retribuzione e sotto vincolo di subordinazione che siamo in presenza di un rapporto di lavoro
subordinato, di conseguenza qualsiasi attività di mero facere (purché possibile e lecita) può
costituire l’oggetto di un siffatto rapporto
364.
Chiarito il contenuto della prestazione di lavoro, l’Autore contrastava parte della dottrina che
tendeva a definire il contenuto di tale obbligazione spostando l’accento su altre connotazioni: ora
sul dato naturalistico
365, ora su un dato socio-economico (la qualifica o la capacità tecnico-
professionali), ora infine su un dato attinente all’organizzazione del lavoro (il “posto” di lavoro)
366.
Senonché, ad avviso di Giugni la qualifica costituisce la posizione giuridica fondamentale del
lavoratore da cui deriva una serie di doveri/diritti inerenti al rapporto di lavoro. Le categorie si
determinano sulla base delle mansioni e delle qualifiche e consentono di individuare alcuni aspetti
del trattamento c.d. normativo del lavoratore, sia esso stabilito su base legislativa oppure su base
contrattuale.
È stato, tuttavia, osservato che la ricostruzione tradizionale (Giugni) secondo cui i modelli di
prestazione sono individuati mediante l’utilizzo di archetipi professionali ideali, generalmente ed
astrattamente esistenti nel mercato del lavoro, sarebbe ora messa in discussione dal divario sempre
362
G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., p. 3. In particolare, secondo la scienza dell’organizzazione dell’epoca:
- la mansione o le mansioni (termini interscambiabili) indicavano il “compito”, unità elementare e indivisibile in cui è scomponibile il “posto” o, meglio, la “posizione” (declinabile anche come “funzione”), o l’insieme di compiti attribuiti al lavoratore nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Tale nozione poteva, infine, essere descritta come una combinazione di fasi, di operazioni e, infine, di movimenti elementari;
- la posizione individuava, a sua volta, l’attività da svolgere, data come costante una determinata organizzazione del lavoro e una determinata distribuzione dei singoli prestatori nell’ambito di essa.
363 In tal senso G. G
IUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., p. 7. Tutti gli altri tentativi di ricostruire diversamente l’oggetto dell’obbligazione principale del lavoratore subordinato, secondo Giugni, o erano da respingere in quanto non rigorosi oppure erano “mere varianti descrittive, prive di originali deduzioni positive” in quanto tali potevano anche essere “accettate o respinte, senza che si pongano vere e proprie alternative di conoscenza giuridica,
ma solo di mezzi di esposizione del concetto” (op cit., p. 11).
364 I tentativi compiuti dai vari scrittori (in Italia vd. L. Barassi, Il contratto di lavoro, 1915) di definire il lavoro in sé e
per sé deducendone la nozione dalle scienze naturali o dalla fenomenologia economico-sociale sono stati insoddisfacenti o di scarso rilievo per la costruzione giuridica, cfr. ancora G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto
di lavoro, cit., pp. ... In definitiva, le “mansioni” indicate nell’art. 2103 c.c. non solo possono inerire a qualsiasi lavoro,
ma più genericamente a qualsiasi facere, perché è la deduzione di questo in tale tipo di contratto che lo qualifica come lavoro (subordinato) e non viceversa.
365 Ad esempio, le energie lavorative, F. C
ARNELUTTI, Studi sulle energie come oggetto di rapporti giuridici, in Riv. dir.
comm., XI, 1913, pp. 384 e ss.
366 Secondo Giugni, la ragione d’essere di tali teorie risiedeva nella diffusa esitazione a riconoscere che l’attività possa
rappresentare esaurientemente il contenuto della obbligazione; aveva un suo peso inoltre lo stato più arretrato della costruzione delle prestazioni di facere rispetto alle prestazioni di dare (posto che queste ultime hanno come solido punto di ancoraggio alla realtà naturale la realtà del bene-cosa), ecco l’esigenza di simmetria e la ricerca dell’oggetto distinto dell’attività.