Da tempo e da più parti, è stata sottolineata l’inidoneità – dovuta ad una serie di ragioni che
verranno analizzate nel dettaglio nel prosieguo
761– degli attuali sistemi di classificazione e
inquadramento del personale di fonte collettiva ad individuare con certezza le mansioni esigibili ma
anche a rispecchiare fedelmente (e governare proficuamente) la reale organizzazione del lavoro
all’interno delle moderne imprese.
Senza pretesa di esaustività, è a questo punto necessario ripercorrere a grandi linee l’evoluzione
storica dei sistemi di classificazione e inquadramento dei lavoratori nel nostro Paese per meglio
comprendere la situazione attuale. Ciò nella consapevolezza che lo sviluppo nel tempo della
classificazione delle prestazioni lavorative non solo dipende (inevitabilmente) da variabili politiche,
economiche, sindacali
762e di mercato del lavoro ma riflette anche o, comunque, è in stretto
collegamento con l’evoluzione delle strutture tecnologico-produttive delle imprese e dei vari settori
merceologici e finanche del sistema capitalistico
763. In altri termini, nessuna classificazione dei
lavoratori – come nessuna organizzazione del lavoro – è neutrale dinanzi ai problemi e alle
questioni che intende risolvere, ma costituisce l’esito di un compromesso, di un patto “storico”
condizionato dai rapporti di forza tra imprese e sindacato
764.
Ciò posto, occorre, innanzitutto, rilevare che l’inquadramento dei lavoratori, o meglio delle
mansioni, in categorie, qualifiche e gradi appartiene ad una fase già evoluta della regolamentazione
760 Onde, l’oggetto del contratto di lavoro, di solito, non sarebbe «determinato» ma soltanto «determinabile» (art. 1346
c.c.), cfr. in tal senso M. PERSIANI, Lineamenti del potere direttivo, in in M. PERSIANI,F.CARINCI (diretto da), Trattato
di diritto del lavoro, Vol. IV, Tomo I, M. MARTONE (a cura di), Contratto di lavoro e organizzazione, Cedam, Padova, 2012, p. 418. Tuttavia, è stato anche evidenziato che i sistemi di classificazione del personale elaborati dalla contrattazione collettiva, oggetto del rinvio da parte del contratto individuale di lavoro ai fini dell’individuazione delle mansioni di assunzione, raggruppano una pluralità di attività lavorative tra loro molto diverse, con il conseguente rischio che il rinvio risulti del tutto generico, cfr. M. BROLLO,M.VENDRAMIN, Le mansioni del lavoratore, cit., p. 527.
761 Le principali cause della “crisi” degli attuali sistemi di inquadramento sono state ricondotte dalla dottrina ad una
molteplicità di fattori: innovazione tecnologica ed organizzativa, cambiamento dei costumi e dei gusti, elevata competizione, globalizzazione, crisi economico-finanziaria, ecc. sono soltanto alcuni fenomeni che avrebbero rivoluzionato i modelli produttivi, con inevitabile incidenza sui compiti in concreto affidati ai lavoratori. Ed infatti, ormai da decenni, le imprese avvertono l’esigenza di accrescere la polivalenza professionale e la capacità di adattamento dei lavoratori: a partire dagli anni ’70, infatti, la capacità al “mestiere” tradizionale ha lasciato il campo all’attitudine polivalente che rende possibile l’adattamento del lavoratore alle innovazioni tecnologiche e ai mutamenti intervenuti sul piano della organizzazione del lavoro, cfr. G. GIUGNI, Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, cit., p. 5.
762 Per un’analisi incentrata sulla connessione tra innalzamento delle qualifiche e conflittualità sindacale (in particolare
operaia), cfr. U. ROMAGNOLI, Lavoratori e sindacati, cit., p. 97, secondo il quale lo slittamento verso l’alto delle qualifiche operaie e lo scivolamento verso il basso di quelle impiegatizie di quegli anni fosse dovuto principalmente ad una forte combattività sindacale degli operai e, quindi, ad una superiore forza contrattuale di questa categoria rispetto a quella impiegatizia.
763
È questo il fondamentale rilievo contenuto in G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, Il Mulino, Bologna, 1974, p. 67 e 70.
764 È questa una tesi di fondo diffusa in letteratura, cfr. F. C
ARINCI, L’evoluzione storica, cit. p. 19 e i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
del lavoro subordinato, che – proprio perché già “diviso” e reso complesso dai primi modelli
produttivi del Novecento – necessitava di una “classificazione” anche al fine dello “scambio”
765.
Ed infatti, nel periodo precorporativo la contrattazione collettiva aveva posto soltanto le
premesse per il successivo sviluppo della politica delle categorie e delle qualifiche in Italia: a partire
dal 1906 si iniziano a distinguere, nel settore industriale ed esclusivamente ai fini retributivi
(oggetto principale della contrattazione di quegli anni), gli operai in tre raggruppamenti: gli
specialisti, i manovali e gli operai individuati con un mestiere denominato a seconda dell’attività
svolta (ad es. tornitori, trapanatori, ecc.)
766. In altri settori, i sistemi di classificazione dei lavoratori,
sempre ed esclusivamente a fini retributivi, è in base al mestiere (ad es. manovale, muratore, ecc.),
in taluni casi suddiviso in categorie (ad es. manovale di prima o seconda categoria)
767.
In quel periodo, infatti, l’organizzazione e la classificazione del lavoro subordinato era
prerogativa esclusiva di un potere unilaterale e discrezionale (se non arbitrario) del datore di lavoro,
il quale era soltanto tenuto a specificare al momento dell’assunzione la categoria o qualifica
assegnata al lavoratore
768.
Di contro, e salvo le eccezioni richiamate alla nota n. …, la figura impiegatizia era invece
oggetto di un intervento legislativo ad hoc (d.l.lt. n. 112/1919 e r.d.l. n. 1825/1924).
Occorre anche ricordare che nel nostro Paese non si è mai affermato un sindacato “di mestiere”
ma piuttosto “di classe”. Ed infatti, la contrattazione collettiva, sviluppatasi prima a livello zonale,
poi a livello provinciale e, infine, a livello nazionale (dopo la prima guerra mondiale), a partire
dagli anni ’20 ha accolto la classificazione degli operai e la summa divisio tra professionalizzati o
qualificati (capaci di svolgere un “mestiere qualificato”) e non, introducendo così le nozioni
fondamentali di categorie e qualifiche aventi carattere “comparativo” nel senso che erano
classificabili e distinguibili lungo una scala graduata in funzione del loro contenuto professionale
più o meno elevato (e quindi non sulla base del “mestiere”)
769.
Nel periodo corporativo l’assetto dato alla contrattazione collettiva, divisa per settori
merceologici e categorie professionali, rendeva ancora più rigida l’articolazione della
classificazione dei lavoratori, pur arricchita da sotto-categorie operaie ma anche impiegatizie (vd. i
contratti corporativi dell’industria meccanica e metallurgica del 1936 e quello per gli impiegati
765 Cfr. sul punto R. S
COGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., pp. 150-151 dove è contenuta una ricostruzione del quadro normativo e sindacale dei primi anni ’30 del Novecento.
766 Per una dettagliata ricostruzione su questo periodo, cfr. G. V
ENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., pp. 67-68, dove è ricordato che i contratti collettivi del settore industriale del primo decennio del ‘900 alle tradizionali classificazioni per mestieri iniziavano ad accostarsi le distinzioni tra operai qualificati e manovali. Nulla, invece, era stabilito per gli impiegati, i quali nel settore industriale erano, all’epoca, pochi e poco sindacalizzati, pertanto la disciplina era lasciata all’autonomia individuale. Di contro, nel settore del commercio era sviluppata la regolazione di queste tipologie di lavoratori (si pensi, ad es., ai vari accordi degli impiegati e commessi del commercio stipulati il 3.6.1909 a Torino e il 29.11.1909 a Genova).
767
È questo il caso del settore dell’edilizia, cfr. G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., p. 72.
768 Emblematica, in tal senso, la seguente clausola collettiva: «Le categorie delle lavoranti saranno formate dagli
industriali e da queste accettate senza controllo, ritenendosi l’operato degli industriali inappellabile», vd. Concordato del 13.10.1910 fra sindacato tortellinaie e gli industriali paste alimentari di Bologna, riportato in G. VENETO,
Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., p. 71, nota 10.
769 Il primo concordato nazionale dei metalmeccanici del 1919 prevedeva, ai fini dell’individuazione del salario e dei
cottimi, la distinzione tra manovali ed operai con «lavoro qualificato», cfr. G. VENETO, Contrattazione e prassi nei
dell’industria del 1937) e nuove figure che si defilavano da quella impiegatizia (i dirigenti e, nel
settore bancario e delle assicurazioni, i funzionari)
770.
A mano a mano si consumava la progressiva eclissi dei mestieri tradizionali a vantaggio
dell’emergere delle categorie e qualifiche intese come “carattere distintivo e graduante le capacità
del lavoratore in vista, da un lato di soddisfare nella divisione ed organizzazione scientifica del
lavoro le esigenze produttive e, dall’altro di inserirsi organicamente e funzionalmente nel ciclo
tecnologico e produttivo”
771.
E così, sino agli anni ’50-’60 del Novecento nella contrattazione collettiva nazionale (prima
corporativa e poi di diritto comune) le qualifiche (per la categoria operaia: specializzato, qualificato
e comune), quale formula classificatoria, indicavano soltanto la capacità di inserimento del
lavoratore all’interno del ciclo produttivo e il suo livello tecnico e organizzativo-produttivo (nel
senso di capacità decisionale e di autonomia)
772.
Senonché, ben presto ci si accorgeva che alcune figure operaie avevano gradi gerarchici ma
soprattutto una specializzazione ed esperienza tali da svolgere mansioni e funzioni ben simili, se
non superiori, a certi profili impiegatizi, da qui l’esigenza di creare nuove categorie “cuscinetto” tra
operai e impiegati (c.d. intermedi)
773.
In questo quadro, il Codice Civile del 1942 (le cui disposizioni si sono analizzate nel dettaglio
ai par. nn. …) si limitava a recepire principi e soluzioni ben radicate nel tessuto produttivo-
sindacale (quali la distinzione in categorie, le nozioni di mansioni, qualifiche e gradi, ecc.).
Tuttavia, nel periodo successivo all’entrata in vigore della Costituzione il sindacato, ancora non
così radicato e forte, era impegnato più nelle rivendicazioni salariali e di trattamento normativo che
non a contestare i criteri di classificazione e inquadramento dei lavoratori, ma anzi in alcuni settori
(emblematico il caso dell’industria) venivano introdotte nuove sotto-categorie (istituto già
770 Cfr. sul punto F. C
ARINCI, L’evoluzione storica, cit., p. 14.
771 In altri termini, anche gli operai qualificati, pur conservando formalmente il loro “mestiere” (ad es. tornitore), allo
stesso tempo vedono ridotta la loro attività a “unità di processo produttivo” e sono identificati per la loro capacità ad inserirsi in una fase del medesimo processo produttivo, cfr. G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., p. 78. L’Autore rileva che in alcuni accordi degli anni ’20: si inizia a profilare la distinzione tra operai e impiegati (vd. Accordo fra le Aziende del Gas d’Italia e la Federazione nazionale gasisti del 12.1.1920, che è interessante anche per la previsione di avanzamenti di categoria in relazione al merito e all’anzianità di servizio e per il riferimento ai mestieri ma all’interno di quattro categorie); si consolida una classificazione dei lavoratori per qualifica e non più per mestiere (vd. il fondamentale concordato per l’industria metalmeccanica e metallurgica del 1.10.1920 dove i lavoratori sono divisi in quattro gruppi: I) donne e garzoni; II) manovali comuni; III) operai non qualificati; IV) operai qualificati).
772
In altri termini, le qualifiche si riferivano al lavoratore “visto nella organizzazione aziendale (secondo i criteri della
maggiore o minore capacità decisionale ed autonomia)”, con conseguente elaborazione di raggruppamenti di mansioni
molto diversificate tra loro a scapito di una descrizione precisa della prestazione di lavoro. Un altro effetto “distorto” di un simile sistema era la circostanza che una medesima definizione (ad es. tornitore) venisse classificata in aziende appartenenti allo stesso settore produttivo in due qualifiche diverse (operaio specializzato e operaio qualificato) a seconda della tecnologia, più o meno avanzata, adottata (ad es. tornio automatico, semiautomatico, manuale, elettrico, ecc.) o della forza contrattuale dei lavoratori, cfr. G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., pp. 85-86.
773
Vd. Decreto Spinelli del 2 settembre 1945, la cui efficacia era però limitata alla Repubblica di Salò, dove si parlava di equiparati, figura poi recepita (non come categoria a sé stante ma come “superqualifica” operaia, cfr. sulla vicenda F. Carinci, L’evoluzione storica, cit., p. 15) con il termine intermedi negli Accordi interconfederali del 1946 e nei maggiori contratti collettivi dell’industria, cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., p. 152 nonché G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., pp. 81-83, secondo il quale la creazione degli intermedi è stata l’unica novità rilevante in materia dal primo periodo corporativo sino agli anni ’60, anche se ben presto, nella prassi aziendale, ha perso la sua funzione originale di indicare mansioni superspecializzate finendo per raggruppare ex operai promossi a capi-squadra o personale diplomato non ancora in grado di ottenere la qualifica impiegatizia.
contemplato dai contratti corporativi) e moltiplicati i raggruppamenti minori, ciò sempre all’insegna
di dati oggettivi ma astratti (le mansioni) e di strumenti convenzionali (i sistemi di inquadramento)
che ha comportato che il divario tra criteri di rilevazione e classificazione e realtà produttiva
diventasse sempre più ampio
774.
Risale ai primi anni ‘60 anche la rilevante emersione del livello aziendale della contrattazione
collettiva mediante un articolato sistema di rinvii, anche in materia di classificazione del personale
dal contratto nazionale a quello aziendale (c.d. contrattazione articolata)
775.
A cavallo tra fine anni ’50 e inizio anni ’60 alcune grandi imprese, soprattutto del settore
siderurgico, allo scopo di soddisfare esigenze di razionalizzazione e programmazione del processo
produttivo, adottavano (prima unilateralmente e poi attraverso appositi accordi collettivi) il c.d.
sistema di job evaluation
776che attraverso un complesso procedimento di descrizione, valutazione e
peso dei singoli posti di lavoro, anche in termini di responsabilità, aveva lo scopo (e la pretesa) di
oggettivizzare il lavoro e individuare esattamente la relativa retribuzione
777. Tutto ciò era
espressione di una ben precisa politica di organizzazione e direzione del personale: la progressiva
dissacrazione dei concetti di mansioni e qualifica
778.
All’inizio degli anni ’70, però, si inizia ad intravedere, per effetto della crescita economica,
sociale e culturale del Paese, dell’autunno caldo
779, dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori
nonché delle tendenze sviluppate dalla stessa contrattazione collettiva già prima della legge n.
300/1970, un processo innovativo che ha mutato profondamente i caratteri stessi del diritto del
lavoro nonché la disciplina in materia di mansioni, qualifiche e inquadramento del personale, con
774 Cfr. R. S
COGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., pp. 153-154, il quale sostiene che le distinzioni in categorie, ormai radicate nella coscienza sociale, influenzano altresì la struttura e l’azione sindacale nonché il contenuto dei contratti collettivi (essi contengono parti distinte dedicate alle figure degli impiegati, intermedi e operai o addirittura sono stipulati separatamente, come nel caso del settore dell’edilizia con i contratti collettivi del 3.12.1969 e del 19.12.1969).
775
Ha così avvio, anche a livello di impresa, la negoziazione collettiva sui temi inerenti ai sistemi di classificazione e inquadramento del personale, campo, questo, nel quale trovavano, sino ad allora, applicazione informali regole applicate unilateralmente dal datore di lavoro, pur sempre nell’ambito delle generiche e lasche declaratorie dei contratti collettivi nazionali, cfr. G. VENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., pp. 89-90, nota 43, dove si evidenzia che dagli anni ’20 sino al 1962-63, la contrattazione collettiva si svolgeva prevalentemente a livello nazionale.
776 In particolare, tale tecnica classificatoria e retributiva valutava oggettivamente la prestazione di lavoro, le mansioni,
con specifico riferimento alla posizione, al posto di lavoro del lavoratore all’interno dell’organizzazione (da qui la denominazione: c.d. job evaluation), cfr. sul punto già G. GIUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp.
54-57. Più nel dettaglio, la job evaluation si differenzia dal sistema tradizionale di classificazione in categorie per la tecnica classificatoria adottata: quest’ultima adotta un procedimento di sussunzione per cui la prestazione è ricondotta ad una norma definitoria (la categoria, la qualifica, ecc.) che stabilisce i requisiti delle mansioni ad essa appartenenti (c.d. classificazione definitoria); la job evaluation, invece, accoglie un procedimento analitico, e cioè nell’ambito della singola organizzazione del lavoro ciascuna prestazione-tipo viene analiticamente descritta, scomposta nei suoi fattori (ad es. tipo professionale, responsabilità, rischio, ecc.) e valutata o meglio pesata sulla base di una serie di valori (la somma dei valori da poi il valore globale della prestazione che permette l’inserimento in una scala di valori retributivi prestabiliti).
777 È stato osservato che tali sistemi erano sicuramente più fedeli e aderenti alla realtà aziendale, però di fatto
producevano un’accentuata materializzazione e monetizzazione del lavoro umano sempre più legato e confinato al “posto di lavoro”, tant’è che ben presto il sindacato iniziava a contestare il metodo della job evaluation, cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., pp. 157.
778 Cfr. G. V
ENETO, Contrattazione e prassi nei rapporti di lavoro, cit., p. 88.
779 Per una ricostruzione analitica delle vicende di relazioni industriali di quegli anni, cfr. M. P
ACI, Mercato del lavoro, in Quad. rass. Sind., CELLA, Divisione del lavoro e iniziativa operaia, De Donato, Bari, 1972
“progressivo disfacimento delle antiche categorie, strumenti e quasi simboli di una considerazione
esclusivamente patrimonialistica del lavoro dipendente”
780.
In particolare, le innovazioni di quegli anni hanno avuto ad oggetto: la revisione e diminuzione
del numero delle categorie
781, la formazione di scale integrate tra operai, impiegati e intermedi (c.d.
inquadramento unico)
782, la modifica dei criteri di passaggio da una categoria all’altra
783e dei modi
di classificazione della prestazione e dei lavoratori (svalutazione del grado gerarchico e maggior
rilievo del contenuto professionale)
784, impegni in materia di mansioni
785; tutte innovazioni, queste,
che avevano come tema di fondo l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del principio della
tutela e dello sviluppo della professionalità
786.
Con specifico riferimento all’inquadramento unico, che ha trovato definitiva consacrazione
nella tornata contrattuale 1973-1974, occorre anzitutto far presente che esso è stato introdotto,
sull’onda lunga della spinta egualitaria di quegli anni
787, proprio al fine di superare l’antica
dicotomia (anche normativa) tra operai ed impiegati
788. Allo stesso tempo, esso ha comportato una
tendenziale
789riconsiderazione (se non superamento) delle categorie di operaio e impiegato,
entrando ben presto in collisione con l’art. 2095 c.c.
790, con conseguente emersione di altre
distinzioni rilevanti ai fini del trattamento economico e normativo
791. In altri termini,
780
Cfr. cfr. R. SCOGNAMIGLIO,Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., p. 169.
781 L’esigenza era, infatti, quella di sopprimere le categorie dal contenuto professionale non ben definito, basso o
addirittura nullo, cfr. G. GIUGNI, Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, in Riv. giur. lav. e pr. soc., 1973, I, pp. 6-7.
782
La graduale fusione tra le due carriere (operaia ed impiegatizia) in una scala unitaria era già affiorata in alcuni contratti collettivi degli anni ’50-’60, tuttavia ciò non vuol dire che è stata superata la distinzione di cui all’art. 2095 c.c., cfr. G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp. 37-38 e la bibliografia ivi richiamata. Il dato saliente dell’inquadramento unico è l’aver accorpato in un unico sistema di classificazione mansioni operaie ed impiegatizie e averle inserite nei medesimi livelli con conseguente equivalenza (ai fini retributivi) delle stesse, cfr. sul punto R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., p. 159. Tuttavia, la convivenza di mansioni operaie ed impiegatizie avviene, per lo più, nei livelli medio-bassi e non anche in quelli più alti, cfr. R. NUNIN, La
classificazione dei lavoratori subordinati, cit., p. 499.
783
Una delle principali novità della contrattazione collettiva dei primi anni ’70 è infatti la previsione di nuove modalità di “carriera”: a) previsione di passaggi di categoria (c.d. categorie di parcheggio) o semplicemente aumenti retributivi (c.d. accrescimento professionale orizzontale) per decorso del tempo senza effettivo mutamento di mansioni; b) previsione di passaggi automatici a mansioni superiori; c) istituzione di procedimenti per l’assegnazione di mansioni superiori, cfr. G. GIUGNI,Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, cit., pp. 8-9.
784 L’ipotesi di progressione di carriera più innovativa è, infatti, quella conseguente ad un miglioramento dello
svolgimento dell’attività lavorativa che comporta anche un miglioramento della professionalità, della perizia (riferita alle stesse mansioni), cfr. G. GIUGNI,Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, cit., p. 13. Proprio la perizia o
diligenza, riferita alle mansioni ma non identificabile con esse, è diventata in quegli anni un ulteriore fattore di classificazione delle mansioni utilizzato dalla contrattazione collettiva.
785 Ad es. impegno dell’azienda a realizzare mutamenti di mansioni al fine di incrementare i contenuti professionali
della prestazione, rotazione su mansioni di diverso valore o omogenee (c.d. job rotation) al fine di ridurre le conseguenze negative della ripetitività o per ampliare la professionalità del lavoratore, G. GIUGNI,Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, cit., p. 9; R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., pp. 157-158.
786 Cfr., fra gli altri, G. G
IUGNI, Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, cit., pp. 3-10.
787 In tal senso F. C
ARINCI, L’evoluzione storica, cit., p. 13.
788
In tal senso cfr. G. GIUGNI, voce Mansioni e qualifica, cit., p. 7 dell’estratto.
789 Vi è pure chi ha parlato della “morte” del contenuto precettivo dell’art. 2095 c.c., cfr. M.V. B
ALLESTERO, voce
Operaio, in Enc. giur., vol. XXX, Giuffré, Milano, 1980, p. 252; contra F. CARINCI, L’evoluzione storica, cit., p. 14.
790 Ed infatti, nei sistemi di classificazione e inquadramento si sono intrecciati le precedenti sotto-categorie
(impiegatizie, intermedie e operaie) vanificando così la rigida sequenza gerarchica contenuta nell’art. 2095 c.c., cfr. F. CARINCI, L’evoluzione storica, cit., p. 20.
791 Essendo accorpate nel medesimo livello di inquadramento mansioni operaie e impiegatizie, esso non è più
l’inquadramento unico avrebbe di fatto fotografato e sancito una situazione di fatto
792. Tuttavia,
l’inquadramento unico è stato anche additato quale il principale fattore della rigidità della struttura
salariale in Italia nonché del distacco tra professionalità e retribuzione
793.
Già è stato fatto cenno alla costante svalutazione del mestiere dovuta al progresso tecnologico e
alla automatizzazione dei processi produttivi, fenomeni che rendevano possibili all’interno delle
organizzazioni del lavoro occasioni di lavoro specifiche e irripetibili altrove anche se spesso di
carattere semplice e ripetitivo
794. A questo punto, occorre però anche menzionare ciò che è stata
definita la “crisi delle qualifiche”. Tale “crisi”, dovuta alla struttura del mercato del lavoro
dell’epoca
795ma anche all’azione sindacale
796, consisteva nel fatto che le qualifiche tradizionali,
sino ad allora previste nei contratti collettivi, non rispecchiavano più le mansioni ma soprattutto le
effettive capacità professionali rinvenibili nelle realtà produttive
797. La conseguenza ultima di tali
fenomeni era che le qualifiche erano ormai diventate “scatole vuote”, meri nomina juris non più in
della prestazione lavorativa, cfr. R. NUNIN, La classificazione dei lavoratori subordinati, cit., p. 500, secondo la quale