2.4 Il diritto al lavoro e alla formazione nelle fonti sovranazionali
3.1.2. La genesi e le ragioni della creazione del contratto di lavoro come negozio autonomo
sconosciuta al Codice civile del 1865
272, compare per la prima volta nella legislazione e nella
dottrina italiana verso la fine dell’Ottocento. Essa, però, diventa soltanto nel XX secolo con la
definitiva affermazione della società di massa di tipo industriale
273, ed anche grazie all’opera di
Lodovico Barassi
274, espressione di uso comune, continuando tuttavia a conservare, per lungo
tempo, un significato tutto incerto
275.
In realtà, la “rottura epocale” con il passato
276si era già consumata nei codici civili liberali
ispirati dagli ideali della Rivoluzione francese del 1789 con l’adozione dello schema romano
(deformato) della locazione (delle opere) che doveva esaltare e, al contempo, salvaguardare la
libertà (più che altro negoziale) del lavoratore in nome del principio di uguaglianza formale (“qui
dit contractuel dit juste”)
277nonché l’economia di mercato
278.
272 Sulla falsariga del Codice napoleonico, il Codice civile del 1865 riconduce il rapporto di lavoro allo schema della
locazione. In particolare, l’art. 1570 distingueva all’interno della «locazione delle opere»: la locatio operarum (antesignano del lavoro subordinato) e la locatio operis (antesignano del lavoro autonomo). L’unica disposizione del Codice civile del 1865 che disciplinava la locazione di opere, oltre alla distinzione in tre specie recata all’art. 1627, era posta a tutela della libertà personale del lavoratore: «nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa» (art. 1628).
273
È, infatti, opinione condivisa in letteratura che la nascita del contratto di lavoro e, più in generale, del diritto del lavoro sia connessa con la prima rivoluzione industriale e con i fenomeni economico-sociali ad essa connessi, in particolare si tratterebbe di una “fondamentale scelta che gli ordinamenti giuridici dei Paesi europei avevano compiuto
di fronte ai problemi posti dalla rivoluzione industriale” cfr. S. MAGRINI, voce Lavoro (contratto individuale di), in
Enc. Dir., vol. XXIII, 1973, par. 1, nota 3, e la letteratura ivi richiamata.
274 Il riferimento è all’opera Il contratto di lavoro nel diritto positivo italiano (la prima versione è, infatti, del 1901, la
seconda, invece, completamente rivisitata è del 1915-1917). Il contratto di lavoro (che in Barassi è “unitario”, ossia non si riferisce al lavoro subordinato/autonomo) nasce come categoria a sé stante al fine di fornire al “rapporto giuridico fra
capitale e lavoro la sua rigorosa e scientifica costruzione giuridica”, cfr. L. BARASSI, Il contratto di lavoro nel diritto
positivo italiano, Milano, 1901, p. 10. Tuttavia, è stato anche evidenziato criticamente che Barassi non può essere
affatto considerato il fondatore del nuovo diritto, in quanto quello del lavoro è un “diritto della quotidianità” elaborato da un numero indefinito di soggetti (all’epoca: probiviri, compilatori di regolamenti aziendali, negoziatori dei concordati di tariffa, ecc.), cfr. U. ROMAGNOLI, voce Diritto del lavoro, in Enc. dir., Annali IV, 2011, p. 3-4 dell’estratto. Altri hanno, invece, evidenziato il merito di Barassi di aver individuato la differenza tra contratto di lavoro e locazione nella modalità della prestazione lavorativa, inseparabile dalla persona del lavoratore, che deve necessariamente rientrare nella posizione contrattuale, cfr. L. BARASSI, Il contratto di lavoro, cit., p, 468, come richiamato da L. MENGONI, Il contratto individuale di lavoro, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 2000, n. 86, 2, p. 183.
275 L’Enciclopedia giuridica italiana (1887) conteneva già la voce contratto di lavoro, inoltre l’espressione si ritrova
nell’art. 8 della legge n. 215 del 1893 sui probiviri, cfr. L. MENGONI, Il contratto di lavoro nel diritto italiano, in AA.VV., Il contratto di lavoro nel diritto dei Paesi membri della C.E.C.A., Lussemburgo, 1965, pp. 413-414. Quanto al significato “incerto”, l’Autore ricordava che la prima legislazione sociale ne faceva un uso molto limitato riferendosi prevalentemente al lavoro manuale («contratto di salariato»), per le prestazioni intellettuali, invece, fu utilizzata successivamente l’espressione «contratto d’impiego privato» (D.L. n. 112/1919, sostituito dal R.D.L. n. 1825/1924, convertito in legge n. 562/1926). Di contro, la dottrina (Barassi e Lotmar) aveva accolto una definizione amplissima in cui era ricompreso qualsiasi contratto che implicasse lo svolgimento di un’attività nell’interesse altrui mediante remunerazione, a prescindere dal carattere subordinato o autonomo.
276 Tale scelta del modello etico-sociale della locazione risulta essere un netto rifiuto della concezione corporativistico-
medievale secondo cui la prestazione di lavoro era manifestazione esteriore della sottoposizione del lavoratore ad un ordinamento professionale rigidamente organizzato in strutture gerarchiche nonché l’affermazione di una netta separazione fra vincolo personale e obbligazione di lavoro (concepita come effetto di un atto libero di disposizione delle proprie energie dietro corrispettivo), cfr. S. MAGRINI, Lavoro (contratto individuale di), cit., par. 1.
277 È questa la ricostruzione storica fatta da L. M
ENGONI, Il contratto di lavoro, cit., p. 416-418.
278
Cfr. L. MEGONI, Il contratto individuale di lavoro, in Giorn, dir. lav. rel. ind., 2000, n. 86, 2, p. 181. Ed infatti, l’economia di mercato richiedeva che tutti i fattori della produzione fossero trattati come merci, da qui l’astrazione, la descrizione fittizia del lavoro (delle energie lavorative in sé considerate e separate dalla persona del lavoratore) come
Tuttavia, questa impostazione – seppur in qualche modo espressione di un anelito di libertà
279–
presto, con l’evolversi della società e dei nuovi modelli di produzione della grande industria, rivelò
tutti i suoi limiti, sul piano tecnico (vivaci critiche sorsero in dottrina per la difficoltà di ammettere
che le energie psico-fisiche, separate dalla persona del lavoratore e destinate a consumarsi in modo
istantaneo, possano costituire oggetto di disponibilità a mezzo di un contratto e, quindi, assimilabili
ad un bene materiale oggetto dell'altrui godimento)
280ma soprattutto su quello sostanziale, giacché
“l’uguaglianza formale di fronte alla concorrenza, quando non sia sorretta da una certa
uguaglianza di potere economico, non prepara le vie della giustizia, ma apre la strada della
vittoria del più forte”, in altri termini “la libertà di scambio diventa un nudo nome, allorché una
delle parti non è in grado di resistere al bisogno dello scambio”
281.
Sarebbe quella appena descritta, allora, la mistificazione ideologica, la finzione
282del contratto
di lavoro come contratto tra eguali, l’apologia della libertà (illusoria) denunciata dalla più disillusa
dottrina
283.
In ogni caso, in Italia, dopo una prima stagione di (flebile ma comunque non trascurabile)
legislazione sociale
284fortemente radicata nel diritto pubblico e durante la seconda stagione
impregnata dai valori (secondo alcuni, non così incidenti sulla disciplina del rapporto di lavoro e,
comunque, quasi al tramonto
285) del fascismo
286, in particolare con l’adozione del Codice civile del
279 Lo stesso Giugni ha considerato la “finzione” contrattuale come “una prima, elementarissima garanzia della libertà
del lavoratore” che “stava a cuore allo Stato liberale, come sta a cuore allo Stato odierno”, cfr. G. GIUGNI,
Introduzione allo studio dell’autonomia collettiva, Giuffrè, Milano, 1960, p. 89. Altri hanno osservato, invece, che
l’autonomia contrattuale sarebbe servita per legittimare con il consenso la limitazione di fatto della libertà individuale nonché il potere di comando del datore di lavoro: “per soddisfare i bisogni primari di sopravvivenza senza infrangere
divieti divini e d’ordine pubblico, quegli uomini erano liberi nel senso che avevano la libertà di cessare di esserlo, accettando di lavorare alle dipendenze di altri uomini”, cfr. U. ROMAGNOLI, Diritto del lavoro, cit., p. 1 dell’estratto, il quale richiama anche A. SUPIOT, Homo juridicus. Saggio sulla funzione antropologica del diritto, Milano, 2006, pp. 104 e ss. per descrivere la diffidenza degli hommes de travail della prima modernità verso il contratto di “sudditanza” in cui la libertà si miscela con l’assoggettamento al potere di comando del datore di lavoro.
280
La manifesta fragilità dal punto di vista tecnico dello schema della locazione consisterebbe nel “ricorso alla
ipostatizzazione delle energie lavorative, considerate come prodotto definitivamente separato dalla sfera soggettiva del lavoratore”, cfr. S. MAGRINI, Lavoro (contratto individuale di), cit., par. 1. In altri termini, la difficoltà si annidava nell’ammettere che le energie psico-fisiche potessero essere assimilate ad un bene materiale oggetto dell'altrui godimento e, quindi, costituire un “oggetto” di disponibilità a mezzo di un contratto, cfr. R. SCOGNAMIGLIO, La natura
non contrattuale del lavoro subordinato, in RIDL, 2007, n. 4, pp. 379 e ss. (p. 2 dell’estratto).
281 Cfr. L. M
ENGONI, Il contratto di lavoro, cit., p. 417.
282 È lo stesso Redenti a parlare di “finzione contrattuale” quando sosteneva che fosse “una necessità […] considerare
(«fingere») libero il consenso dell’operaio, come di qualunque altro contraente”, cfr. E. REDENTI, Massimario della
giurisprudenza dei probiviri, Roma, 1906, p. 21, nota 5.
283 Cfr. U. R
OMAGNOLI, Diritto del lavoro, cit., p. 2 e 15 dell’estratto, dove rileva che “mentre è vero che
l’autodeterminazione dell’individuo presuppone la libertà contrattuale, non è vero che la libertà contrattuale garantisca l’autodeterminazione dell’individuo”. Romagnoli critica, inoltre, quella da lui definita “egemonia gius- privatistica” dei primi del Novecento che, esaltando la figura del contratto di lavoro, avrebbe prodotto una “mono- cultura del lavoro” lontana dal reale rapporto di lavoro e riduttiva dei valori incorporati nello stesso in quanto muove da
premesse ideologiche proprie di questo ambito disciplinare. In altri termini, il dato di realtà “ignorato” dalla dominante cultura giuridica sarebbe quello che il rapporto di lavoro è regolato da norme dettate non dal contratto di lavoro) e quindi dalla volontà delle parti contraenti) ma dall’esterno, da altre fonti (in primis legge e contrattazione collettiva).
284 Leggi n. 3657/1886, n. 242/1902, n. 489/1907 e n. 818/1907 in materia di lavoro dei fanciulli e delle donne; legge n.
90/1898, in materia di infortuni sul lavoro; legge n. 295/1893 di istituzione del collegio dei probiviri; legge n. 489/1902 sul riposo settimanale obbligatorio; d.lgs. n. 112/1919 e r.d.l. n. 1825/1924 in materia lavoro d’impiego privato.
285 L’ideologia fascista sembra, comunque, aver influenzato parte della dottrina successiva, la quale ritenne di aderire
alle teorie istituzionalistiche secondo cui l’inserzione nell’impresa del lavoratore era sufficiente a far sorgere il rapporto di lavoro, ciò indipendententemente dalla stipula di un contratto, cfr. M. PERSIANI, Considerazioni sulla nozione e sulla
1942, è avvenuto il definitivo distacco del contratto di lavoro dallo schema della locazione quale
conseguenza della rivalutazione della personalità del lavoro ma non anche quale abbandono della
valutazione oggettiva del lavoro come bene di scambio
287.
Ed è proprio attraverso il principio personalista, affermato con forza anche nella successiva
Costituzione del 1947 (cfr. supra Cap. II, par. 2.1) che avrà un’influenza determinante sulle opzioni
interpretative delle disposizioni in materia di lavoro del medesimo Codice civile del 1942, che il
diritto del lavoro assumerà una propria autonomia e specialità rispetto al diritto delle merci
collocandosi in una posizione intermedia tra diritto dei beni e diritto delle persone
288.
Questa posizione intermedia di “oscillazione” senza tregua tra diritto dei beni e diritto della
persona scaturirebbe, secondo alcuni, dalla “irrisolta contraddizione genetica” del diritto del lavoro,
frutto della modernità, e delle sue “invenzioni”: da un lato, il configurare il lavoro come entità
economicamente valutabile e distinguibile dal soggetto che ne dispone in base ad un contratto;
dall’altro lato, l’invenzione del lavoratore come soggetto astratto
289.
Secondo altri, invece, la peculiarità del diritto del lavoro è quella di essere investito del compito
di superare l’antitesi tra le due idee che conferiscono al rapporto di lavoro un carattere misto
(rapporto patrimoniale e personale): da un lato, l’idea classica del lavoro (“oggettivizzato”) come
bene di scambio avente un prezzo di mercato; dall’altro lato, l’idea di lavoro come manifestazione
della personalità del lavoratore e vincolo personale di collaborazione
290.
Benché sia stato sostenuto che “il diritto del lavoro è nato contro l’imperialismo del
contratto”
291e “si è sviluppato da una posizione polemica e protestataria nei confronti del diritto
civile”
292, la “separazione” del diritto del lavoro rispetto al diritto comune dei contratti e delle
obbligazioni è avvenuta proprio in forza dell’enfatizzazione del principio etico della personalità del
lavoro, e cioè dell’immanenza della persona del lavoratore nel contenuto del rapporto, contro la
concezione patrimoniale ed egualitaria del diritto civile che ricostruisce tutti i rapporti alla stregua
di “scambi” tra due proprietari
293.
funzione del contratto di lavoro subordinato, in AA.VV., Studi in onore di Tiziano Treu, Jovene, Napoli, 2011, Tomo
II, p. 712, e i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
286 Cfr., sul punto, U. R
OMAGNOLI, Diritto de lavoro, cit., par. 5, dove spiega con dovizia di argomentazioni la ragione per cui in materia di lavoro la periodizzazione rigida in pre- e post-corporativismo è approssimativa ed ingannevole, dovendosi preferire l’espressione “microdiscontinuità” per descrivere l’evoluzione del diritto dl lavoro.
287 Cfr. L. M
ENGONI, Il contratto di lavoro, cit., p. 418. In dottrina, si deve a Lotmar (Der Arbeitsvertrag nach dem
Privatrecht des deutschen Reiches, vol. I, Leipzig, 1902) la costruzione del contratto di lavoro come categoria
autonoma rispetto alla locatio operarum che implicava un’astrazione. In realtà, non esiste il lavoro, ma esistono uomini che lavorano che impegnano nel rapporto di lavoro non qualcosa che appartiene al loro patrimonio, e quindi l’avere, ma l’essere, secondo il noto insegnamento di F. SANTORO PASSARELLI, Spirito del diritto del lavoro, in Il diritto del lavoro, 1948, I, pp. 273 e ss.
288
Cfr. L. MENGONI, Il contratto di lavoro, cit., p. 418 che richiama il pensiero di Lotmar.
289 Cfr. U. R
OMAGNOLI, voce Diritto del lavoro, in Enc. Dir., Annali IV, 2011, p. 1 dell’estratto-
290 Da qui anche la difficoltà del giurista a trovare nuovi strumenti di valutazione adeguati per questo ramo del diritto,
cfr. L. MENGONI, Il contratto di lavoro, cit., pp. 419-420.
291
A. LYON-CAEN, Actualité du contrat de travail, in Droit social, 1988, p. 540.
292 Cfr. L. M
ENGONI, Diritto civile, in L. MENGONI,A.PROTO PISANI,A.ORSI BATTAGLINI, L’influenza del diritto del
lavoro su diritto civile, diritto processuale civile, diritto amministrativo, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1990, n. 45, 1, pp.
5-6.
293
Ibidem. Mengoni sosteneva che il problema del diritto del lavoro è tutto nel “correggere la logica tradizionale del
contratto, non di rifiutarla”. Di conseguenza, “il diritto del contratto di lavoro resta e non può non restare una disciplina fortemente deviante dal diritto comune dei contratti: una disciplina che ormai tutti riconoscono autonoma”
E così, anche grazie ai principi affermati nella Costituzione repubblicana, e dopo una breve
parentesi in cui sembravano prevalere le c.d. teorie istituzionalistiche che ponevano l’accento su
alcune disposizioni del Codice civile (in primis l’art. 2086 c.c.), la dottrina affermò con forza la
centralità del contratto di lavoro e il principio di contrattualità per cui il rapporto di lavoro
scaturisce ed è regolato dal contratto stesso e dalla volontà delle parti, principio che “significa
anzitutto che la nostra civiltà non può e non deve conoscere se non il lavoro liberamente
accettato”
294.
Senonché, anche nella dottrina successiva alla Costituzione repubblicana è rimasto più di
qualche dubbio o, meglio, una certa “insoddisfazione”
295attorno alla tesi della contrattualità
(integrale) del rapporto di lavoro e delle relative posizioni giuridiche delle parti
296.
Non è possibile ripercorrere in questa sede tutte le riflessioni che si sono assestate attorno a
questa idea della natura non (interamente) contrattuale del lavoro subordinato
297.
Tuttavia, è possibile rilevare che tutte queste tesi sembrano muovere da due dati di realtà,
afferenti al lavoro subordinato, “presunti” (in quanto, nella maggior parte dei casi, validi):
l’inserzione nell’impresa o, meglio, nella organizzazione di lavoro
298e la debolezza contrattuale del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro e, più in generale, nel mercato di lavoro che
infrastrutture e snodi gli sono pur sempre forniti dal diritto civile” (p. 9). Ed infatti, la superiorità del contratto di lavoro
come fondamento della subordinazione risiede in ciò che esso “ne fissa i limiti secondo i principi dell’oggetto del
contratto, alla stregua dei quali la subordinazione è un modo di essere della prestazione di lavoro, non uno status personale del lavoratore. La razionalità del diritto civile espressa nelle strutture dogmatiche del contratto, configura la subordinazione come un elemento calcolabile”.
294
Cfr. F. SANTORO PASSARELLI, Lineamenti attuali del diritto del lavoro in Italia, in LD, 1953, I, 3, ora in Saggi di
diritto civile, I, Napoli, 1961, p. 1081. Lo stesso Santoro Passarelli – considerato il primo nonché principale esponente
della concezione contrattuale del lavoro subordinato nonché della Scuola romana dei giusprivatistici – nel descrivere quell’“amalgama di norme di diritto privato e pubblico” avrà modo di individuare il “solo fine” del diritto del lavoro nella “salvezza della libertà, anzi della stessa personalità umana”.
295 Ad es., la contrattualità delle mansioni è stata definita quale una “pseudo-tutela”, “illusoria” o addirittura
“controprudecente” in quanto si limita a proteggere, in modo statico ed esclusivamente patrimoniale (conservazione del trattamento normativo e retributivo), gli interessi del lavoratore inerenti alla prestazione lavorativa, cfr. R. SCOGNAMIGLIO,Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., p. 160.
296 Vuoi perché la subordinazione coinciderebbe, secondo queste ricostruzioni, con la debolezza economica del
lavoratore non potendosi spiegare come essa possa essere inserita sul piano del contratto (cfr. R. SCOGNAMIGLIO, La
natura non contrattuale del lavoro subordinato, cit., p. 4 dell’estratto), vuoi perché dal contratto di lavoro non
discenderebbero tutte le posizioni (diritti e obblighi) che fanno parte del rapporto di lavoro, in questi termini, cfr. sempre M. PERSIANI, Considerazioni sulla nozione e sulla funzione del contratto di lavoro subordinato, cit., p. 713, il quale osserva che tutte queste tesi sono accomunate dal fatto che svalutano, per non dire escludono, la rilevanza della volontà delle parti, in particolare del lavoratore, e, pertanto, sarebbero incoerenti con il diritto positivo, tant’è che non hanno avuto alcuna influenza sulla giurisprudenza.
297 Per una ricostruzione dettagliata delle stesse si rinvia a M. M
ARAZZA, Saggio sull’organizzazione del lavoro, cit., pp. 7 e ss. dove distingue tra neo istituzionalismo di prima generazione (F. MANCINI,La responsabilità contrattuale del prestatore di lavoro, Giuffrè, Milano, 1957 e R. SCOGNAMIGLIO,Lezioni di diritto del lavoro. Parte generale, Bari,
1963) e quello di seconda generazione (S. HERNANDEZ, Posizioni non contrattuali del rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 1968, ma anche A. PERULLI, Il potere direttivo dell’imprenditore, Milano, 1992, G. VARDARO, Il potere
disciplinare giurificicato, in Giorn. dir. lav. rel. ind., 1986, n. … e U. ROMAGNOLI, Autorità e democrazia in azienda;
teorie giuridico politiche, in Pol. Dir., 1971, n. …), che pur riconducendo il potere di conformazione dell’obbligazione
di lavorare al contratto di lavoro ritengono che vi siano poteri di comando in capo al datore di lavoro non scaturenti dall’originario accordo tra le parti del rapporto: l’organizzazione del lavoro sarebbe così una situazione complessa e il potere direttivo, come quello disciplinare, avrebbe una “doppia anima” (contratto di lavoro e impresa, da cui discenderebbe il potere di gestione dell’impresa stessa esterno al contratto).
298 Ed infatti, sarebbe l’impresa e l’organizzazione del lavoro a presiedere la individuazione delle mansioni esigibile:
sulla qualifica oggettiva (concordata nel contratto di lavoro) prevarrebbe l’effettiva esecuzione del rapporto di lavoro, le mansioni in concreto svolte dal lavoratore, cfr. R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori, cit., p. 160.