2.4 Il diritto al lavoro e alla formazione nelle fonti sovranazionali
3.1.6. Esiste un (generale) diritto alla formazione del lavoratore e un corrispondente obbligo
Benché non esista nel nostro ordinamento giuridico – fatte salve rare eccezioni che
analizzeremo nella Parte II, par. n. …– una disposizione che sancisca espressamente in capo al
datore di lavoro un obbligo formativo (di tipo professionale o di altro tipo) nei confronti del
lavoratore, parte della dottrina ha provato a sostenere, ormai da tempo, l’esistenza di un simile
obbligo (e del corrispondente diritto)
397.
In particolare, i tentativi che sono stati fatti hanno fatto leva su alcuni principi fondamentali del
nostro ordinamento (artt. 4 e 35 Cost.) e su alcune disposizioni del Codice Civile sia di carattere
generale, ossia contenute nel Libro IV dedicato alle obbligazioni, (artt.1206, 1175 e 1375 c.c.)
398che di carattere speciale, ossia contenute nel Libro V dedicato al lavoro (artt. 2087, 2094, 2103 e
2104 c.c.)
399.
In particolare, è stato sostenuto in dottrina che la formazione, in particolare quella continua, sia
ormai entrata a far parte della struttura causale del contratto di lavoro
400o, comunque, che debba
essere considerata un “effetto legale naturale” del rapporto di lavoro
401.
396 Rischi ben noti alla stessa Autrice, cfr. F. G
UARRIELLO, Per un approccio giuridico al tema delle competenze, cit., pp. 118-119 e 162. Viscomi DRI 1994
397 Cfr., fra gli altri, U. R
OMAGNOLI, Art. 13, in AA.VV., Statuto dei diritti dei lavoratori. Artt. 1-13, Zanichelli, Bologna, 1979, pp. 235-237; M. NAPOLI, Disciplina del mercato del lavoro ed esigenze formative, cit., pp. 269-270; F. Guarriello, Trasformazioni organizzative e contratto di lavoro, cit., p. 222; C. Alessi, Professionalità e contratto di
lavoro, cit., pp. 124 e ss. Tuttavia, la dottrina maggioritaria ritiene che la formazione non rientri, in termini di posizioni
soggettive (positive e negative), nella struttura del contratto di lavoro, cfr. F. LISO, L’incidenza delle trasformazioni
produttive, in QDLRI, 1987, n. 1, p. 57.
398 L’art. 1206 c.c. disciplina le “condizioni” della mora del creditore (c.d. mora accipiendi) e sancisce un onere (o
obbligo) di cooperazione: «Il creditore è in mora quando, senza motivo legittimo, […] non compie quanto è necessario affinché il debitore possa adempiere l'obbligazione». In dottrina, è stata anche avanzata la tesi per cui in tale situazione si avrebbe una sorta di capovolgimento delle posizioni delle parti: l’interesse al conseguimento del risultato utile per il creditore è perseguito dal debitore (al quale così sarebbe riconosciuto un “diritto” soggettivo ad adempiere la propria obbligazione), mentre l’impedimento all’esecuzione della prestazione dovuta proviene dal creditore e, per tale ragione, subisce gli effetti negativi della mora (una sorta di sanzione per la violazione di un obbligo posto a suo carico e, quindi, la frustrazione del corrispondente diritto del debitore all’adempimento), cfr. A. FALZEA, L’offerta reale e la liberazione
coattiva del debitore, Giuffré, Milano, 1947, p. 966. Tuttavia, questa tesi non ha trovato ampio consenso: secondo
l’opinione prevalente, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, infatti, l’adempimento dell’obbligazione non può integrare un diritto del debitore (ma solo del creditore), onde il debitore avrebbe semplicemente un interesse alla liberazione dal vincolo obbligatorio al quale corrisponderebbe non un obbligo del creditore di porre in essere il comportamento necessario a rendere possibile l’esecuzione della prestazione, bensì un semplice onere, cfr., fra gli altri, C.M. BIANCA, Diritto civile, L’obbligazione, vol. IV, Giuffré, Milano, 1990, p. 375. Anche la giurisprudenza tende a ricostruire la cooperazione del creditore soltanto come un “dovere strumentale” all'adempimento dell'obbligazione del debitore e non anche come “obbligazione costituente oggetto di un rapporto avente per soggetto attivo il debitore della
prestazione cui è correlato il dovere di cooperazione e come soggetto passivo l'obbligo a tale cooperazione”(cfr., fra le
altre, Cass. Civ., Sez. , n. 809/1986).
399 Cfr. L. G
ALANTINO, Lavoro atipico, formazione professionale e tutela dinamica della professionalità del lavoratore, cit., p. 319, la quale fa discendere il “dovere” del lavoratore di essere formato (o di ricevere la formazione) direttamente dall’art. 2104 c.c. che sancisce in capo al prestatore un obbligo di diligenza nell’adempimento commisurato alla «natura della prestazione dovuta» e all’«interesse dell’impresa».
400 Cfr. L. G
ALANTINO, Lavoro atipico, formazione professionale e tutela dinamica della professionalità del lavoratore, cit., p. 319. Lo scambio che si realizza con il contratto di lavoro subordinato sarebbe, pertanto, sempre più flessibilità conto formazione/retribuzione, cfr. anche F. GUARIELLO,Trasformazioni organizzative, cit., p. 232 e ss.
401 Cfr. M. N
APOLI, Disciplina del mercato del lavoro ed esigenze formative, cit., pp. 269-270, l’Autore ritiene di fondare il diritto alla formazione sull’art. 35, comma 2 Cost. nonché sugli artt. 2094 e 2103 c.c., benché siano la legge e la contrattazione collettiva ad individuare in modo specifico gli istituto che rendano effettivo tale diritto. Sul punto, cfr.
Altri autori hanno, invece, fatto discendere un siffatto obbligo formativo (c.d. dovere di
adattamento del lavoratore al posto di lavoro in caso di modifiche che investano la sua posizione
lavorativa) dal principio di buona fede in executivis, dall’art. 1206 c.c. che impone un obbligo di
cooperazione in capo al creditore nonché dall’art. 2087 c.c. che sancisce un obbligo (generale) di
tutela della integrità fisica ma anche morale del lavoratore e, quindi, della sua personalità e
professionalità
402.
Secondo questa opinione, però, la situazione giuridica attiva e, specularmente, quella passiva si
atteggerebbero in modo diverso a seconda della fattispecie e della tipologia di formazione. È
possibile, infatti, distinguere le seguenti situazioni giuridiche soggettive:
a) situazione giuridica “base” in cui il datore di lavoro ha un mero obbligo di pati, ossia di
tollerare la sospensione del rapporto di lavoro avvenuta a seguito dell’esercizio del diritto formativo
da parte del lavoratore (è il caso dei congedi di cui all’art. 5 della legge n. 53/2000);
b) obbligo di adeguamento o manutenzione della professionalità del lavoratore: in questi casi tanto
il datore di lavoro quanto il lavoratore sarebbero obbligati, rispettivamente, ad erogare e ricevere
attivamente la formazione, resa necessaria da intervenute modifiche organizzative, per il corretto
adempimento dell’attività lavorativa
403;
404.
anche M.NAPOLI, Contratto e rapporti di lavoro, oggi, cit., p. 1082, dove l’Autore critica quella opinione dottrinale secondo cui l’apprendistato costituirebbe un rapporto di lavoro speciale in ragione di un asserito allargamento causale (la finalità formativa quale elemento aggiuntivo) che modificherebbe tanto gli effetti quanto la stessa fattispecie: la differente regolamentazione si giustificherebbe, pertanto, non per l’allargamento della causa ma in ragione della natura di contratto d’ingresso nel mercato del lavoro. Si è parlato, al riguardo, di unicità del tipo, della fattispecie (contratto di lavoro subordinato ricavabile dall’art. 2094 c.c.) ma differenziazione legale della disciplina (pluralità di rapporti legalmente definiti con regolamentazioni differenti: apprendistato, part-time, contratto a tempo determinato, ecc.); in altri termini, il dato strutturale del diritto del rapporto di lavoro rispetto agli altri contratti è che il tipo legale non si presenta con una unitarietà di regolamentazione.
402 È questa la tesi di C. A
LESSI,Professionalità e contratto di lavoro, cit., pp. 124 e ss., secondo la quale gli obblighi di
protezione (di natura contrattuale e di carattere “principale”, non accessorio) ai sensi dell’art. 2087 c.c. ricomprendono anche il dovere del creditore di conservare la capacità di adempiere del lavoratore nelle sue varie declinazioni: diritto ad eseguire la prestazione lavorativa e garanzia dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore rispetto al contesto produttivo. Anche in Francia, peraltro, la dottrina e la giurisprudenza, per il tramite della disposizione equivalente all’art. 2087 c.c. (art. L 230-2 Code du travail) e il principio di buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro, hanno elaborato un devoir d’adaptation, ossia l’obbligo per il datore di lavoro di permettere l’adeguamento della professionalità del lavoratore all’evoluzione del suo posto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. Soc., 25 fevrier 1992, n° 89-41.634, c.d. caso Expovit) poi recepito, a livello positivo, dal legislatore (cfr. art. L 6321-1 Code du travail: «L'employeur assure l'adaptation des salariés à leur poste de travail. Il veille au maintien de leur capacité à occuper un emploi, au regard notamment de l'évolution des emplois, des technologies et des organisations.»). Proprio il riconoscimento in capo al datore di lavoro di modificare unilateralmente l’oggetto del contratto nonché l’organizzazione aziendale è il fondamento del dovere in commento nonché di quello volto al reclassement del lavoratore, anche attraverso un percorso formativo, all’interno dell’azienda o del gruppo in caso di licenziamento per motivi economici (cfr. art. L 1233-4 Code du travail: «Le licenciement pour motif économique d’un salarié ne peut intervenir que lorsque
tous les efforts de formation et d’adaptation ont été réalisés et que le reclassement de l'intéressé ne peut être opéré sur
les emplois disponibles, situés sur le territoire national dans l’entreprise ou les autres entreprises du groupe…»). Tra l’altro, il Codice del lavoro francese si preoccupa anche di precisare che tutte le attività formative svolte dal lavoratore per perseguire il suo adattamento al posto di lavoro sono da considearsi «temps de travail effectif» e, pertanto, danno diritto al mantenimento della retribuzione (art. L 6321-2).
403 L’esempio fatto è quello del devoir d’adaptation, riconosciuto dal Code du travail francese, che incombe tanto sul
datore di lavoro quanto sul lavoratore, da non confondere con il diritto al congé individuel de formation di cui all’art. L 6322-1 del Code du travail («Le congé individuel de formation a pour objet de permettre à tout salarié, au cours de sa vie professionnelle, de suivre à son initiative et à titre individuel, des actions de formation, indépendamment de sa participation aux stages compris, le cas échéant, dans le plan de formation de l'entreprise dans laquelle il exerce son activité. Ces actions de formation doivent permettre au salarié: 1° D'accéder à un niveau supérieur de qualification; 2° De changer d’activité ou de profession; 3° De s'ouvrir plus largement à la culture, à la vie sociale et à l'exercice des responsabilités associatives bénévoles»), cfr. C. ALESSI,Professionalità e contratto di lavoro, cit., p. 161.
404 Cfr. C. A
LESSI, Professionalità e contratto di lavoro, cit., pp. 160 e ss. dove viene riportata, alla nota 18, la
ricostruzione di A. PEDRAJAS MORENO, Formación y derechos individuales, in Act. Lab., 1999, p. 503 e ss. che suddivide tre diversi livelli di tutela del diritto alla formazione: a) primo livello: la formazione risponde ad un interesse esclusivo del lavoratore, rispetto ad essa il datore di lavoro assume una posizione passiva; b) secondo livello: la
Tuttavia, come già anticipato, queste tesi traggono spunto da principi e clausole generali del
nostro ordinamento (artt. 1206, 1175 e 1375, 2087 c.c.) e non da specifiche disposizioni di legge
che introducano espressamente un obbligo di tal fatta
405. Tant’è che le obiezioni che sono state
mosse a questa tesi dalla dottrina maggioritaria si appuntano proprio su considerazioni di diritto
positivo
406.
Pertanto, a differenza di quei Paesi in cui un simile diritto è espressamente affermato
407, nel
nostro ordinamento non è possibile trarre dal dato positivo un obbligo formativo in capo al datore di
lavoro, ma un simile risultato potrebbe essere raggiunto dall’autonomia individuale
408.
Tuttavia, il dato inequivocabile che emerge, anche nella prassi, è che la formazione come la
crescita professionale del lavoratore sono ormai entrati da tempo nella disponibilità delle parti del
rapporto di lavoro attraverso accordi nei quali il datore di lavoro e il lavoratore concordano percorsi
individuali fatti di fasi in cui si alternano formazione, mobilità, raggiungimento di obiettivi, scatti
retributivi e premi legati al rendimento del lavoratore
409.
formazione è sempre funzionale ad un interesse del lavoratore ma qui il datore di lavoro è tenuto, per legge, ad alcuni doveri collegati; c) terzo livello (massimo) di tutela: il datore di lavoro deve assumere una posizione attiva nel processo formativo nel senso che ha degli obblighi ed oneri.
405 L’unica eccezione è data – come vedremo nella Parte II del Capitolo III, par. n. … – dalle norme in materia di salute
e sicurezza, prese a riferimento altresì da questa dottrina, cfr. C. ALESSI,Professionalità e contratto di lavoro, cit., p.
139.
406 Cfr. P.A. V
ARESI, I contratti di lavoro con finalità formative, Franco Angeli, Milano, 2001, pp. 178-179; G. LOY, La
professionalità, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2003, fasc. 3, pt. 1, pp. 763 e ss.; U. CARABELLI, Organizzazione del lavoro
e professionalità, cit., pp. 88 e ss.; M. MAGNANI, Organizzazione del lavoro, cit., pp. 187-188. Secondo questi Autori la tesi sopra descritta non trova convincenti appigli sul piano giuridico, in particolare sul piano del diritto positivo. Pertanto, di un diritto alla formazione continua all’interno del rapporto di lavoro si può parlare soltanto nei termini e limiti in cui esso è espressamente previsto dai contratti collettivi, ai quali rinvia espressamente la legge. n. 53/2000; l’affermazione secondo cui la formazione può considerarsi “effetto legale naturale” del contratto di lavoro subordinato è valida esclusivamente in termini descrittivi, come fotografia delle evoluzioni contrattuali e legislative innegabilmente presenti nel nostro ordinamento. D’altro canto, non mancano ipotesi in cui è stato lo stesso legislatore a configurare uno specifico onere di cooperazione del creditore (vd., ad es., artt. 53 e ss. della legge n. 264/1949 dove sono previsti corsi aziendali di riqualificazione per i lavoratori in eccedenza quale attività del tutto eccezionale e non obbligatoria volta a consentire l’impiego del lavoratore in nuove mansioni). Tuttavia, è stato osservato in dottrina che tali comportamenti “preparatori” (come la partecipazione a periodi di addestramento o formazione) non sembrano poter eccedere il contenuto normale del rapporto di lavoro, cfr. G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., p. 69. D’altro canto, “nel caso di introduzione di un’innovazione tecnico-organizzativa, è senz’altro riscontrabile, a carico del
datore, un onere cooperativo consistente nell’assicurare l’erogazione delle istruzioni necessarie al ‘funzionamento’ della medesima”, ma trattasi “non di una effettiva attività
di ‘formazione professionale’, bensì della fornitura di ‘istruzioni per l’uso’”, cfr. U. CARABELLI, Organizzazione del
lavoro e professionalità, cit., p. 89.
407 Ad es., in Spagna all’art. 4, comma 2 dello Estatuto de los Trabajadores (ora R.D.L. n. 2/2015) è stabilito che: «En
la relación de trabajo, los trabajadores tienen derecho: a) A la ocupación efectiva. b) A la promoción y formación
profesional en el trabajo, incluida la dirigida a su adaptación a las modificaciones operadas en el puesto de trabajo, así
como al desarrollo de planes y acciones formativas tendentes a favorecer su mayor empleabilidad». Per un’analisi approfondita sui sistemi di formazione in Italia e nei maggiori Paesi europei, cfr. M. CORTI, L’edificazione del sistema
italiano di formazione continua dei lavoratori, in Riv. giur. lav. prev. soc., 2007, n. 1, pp. 163 e ss.
408 È questa la posizione intermedia assunta in dottrina da quegli autori che, pur non aderendo alla tesi dell’esistenza di
un obbligo formativo quale effetto legale naturale del contratto di lavoro, hanno ritenuto che nei casi – non infrequenti nella realtà sociale – in cui il lavoratore è stato assunto non per eseguire ordini e direttive stringenti ma per assumere decisioni congrue alle situazioni date e nell’interesse dell’organizzazione produttiva vi sarebbe un obbligo (di diligenza) del lavoratore a conservare e aggiornare la propria professionalità e un dovere (di cooperazione) da parte de datore di lavoro. In tali casi, allora, i momenti formativi risulterebbero parte “normale” del rapporto di lavoro, cfr. M.G. GAROFALO, Formazione, innovazione e contratto di lavoro, in AA.VV., Formazione e mercato del lavoro in Italia e in
Europa., cit, pp. 403-404.
409 Cfr. F. G
PARTE II
LE DISPOSIZIONI DI LEGGE IN MATERIA DI TUTELA DELLA
PROFESSIONALITÀ E FORMAZIONE
3.2.1. Introduzione: l’art. 2103 c.c., fondamento normativo (dell’ordinamento positivo) della
tutela della professionalità, e le altre disposizioni di legge a tutela della formazione del
lavoratore.
Benché si ritenga, non senza argomentazioni valide, che la tutela della professionalità “non si
realizzi in un solo precetto” ma necessiti di “un insieme normativo, in gran parte anche di tipo
procedurale, con veri e propri programmi di contrattazione e consultazione tra le parti
collettive”
410, il fondamento normativo della stessa è stato tradizionalmente rinvenuto nell’art. 2103
c.c., come modificato dallo Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 13), articolo
che disciplina la materia delle mansioni del lavoratore subordinato nel settore privato
411.
E forse proprio l’aver relegato tale concetto alla tutela – come vedremo – di tipo statico
approntata dall’art. 13 St. lav. ha fatto sì che la professionalità rilevante sul piano del rapporto di
lavoro fosse soltanto quella legata all’oggetto del contratto e all’inquadramento del lavoratore, con
conseguente valorizzazione di concetti puramente oggettivi e/o socio-economici quali mansioni,
qualifica e categoria.
Senonché, con l’ultima riforma (strutturale
412) delle tipologie contrattuali (c.d. Jobs Act), il
legislatore delegato ha modificato sensibilmente l’art. 2103 c.c. (d.lgs. n. 81 del 2015, art. 3), tanto
da incidere – secondo alcuni – non solo sul bene giuridico oggetto della protezione (non più la
professionalità, ma la flessibilità organizzativa dell’impresa) ma anche, se non soprattutto, sulla
stessa funzione/lettura del contratto di lavoro (in chiave meramente commutativa)
413.
410 È questo il fondamentale insegnamento di G. G
IUGNI, Qualifica, mansioni e tutela della professionalità, in Riv. giur.
lav. pr. soc., p. 4.
411
Cfr., fra gli altri, G. LOY, La professionalità, cit., p. 793, secondo il quale la tutela alla professionalità approntata dall’art. 2103 c.c. (come modificato dallo Statuto dei lavoratori) è di tipo “contrattuale” nel senso che garantisce il diritto del lavoratore ad essere adibito alle mansioni pattuite al momento dell’assunzione e poi eventualmente modificate nel rispetto della legge. Occorre, però, anche ricordare che esistono discipline speciali in materia quali l’art. 52 del d. lgs. n. 165/2001 (per il settore del pubblico impiego privatizzato), l’art. 7 del d.lgs. n. 151/2001 (TU in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), l’art. 10 della legge n. 68 del 1999 (Norme per il diritto al lavoro dei
disabili), gli artt. 334 e 905 del R.D. n. 327/1942 e s.m.i., c.d. Codice della navigazione (per il personale navigante),
l’art. 22 del d.lgs. n. 367/1996 (per i lavoratori degli enti lirici), l’art. 3 del R.D. n. 148/1931 (per il rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri), cfr. sul punto M. FALSONE, Jus variandi e contrattazione collettiva, cit., p. 4. Peraltro, prima dell’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, la tutela di questo interesse era affidata alla contrattazione collettiva, la quale, sotto questo profilo, può considerarsi anticipatrice di molte soluzioni poi accolte dal legislatore.
412 Non potendosi considerare tale il c.d. Decreto Dignità (d.l. n. 87/2018, convertito dalla l. n. 96/2018), seppur
probabilmente non privo di un rilevante impatto sulle dinamiche del mercato del lavoro.
413 Tra i più critici Autori, tra l’altro di scuola civilista, cfr. A. M
ONTANARI, Jobs Act e tutela contrattuale della
persona: un’involuzione?, in Eur. Dir. Priv., n. 3, 2016, pp. 659 e ss. (pp. 7 e ss. dell’estratto), secondo il quale il Jobs Act promuoverebbe la rinascita della lettura del contratto in chiave meramente commutativa a danno della ulteriore
funzione del contratto di lavoro volta a realizzare la personalità del lavoratore: la riforma delle tutele contro il licenziamento ingiustificato e la modifica dell’art. 2103 c.c. avrebbero infatti favorito – sempre ad avviso dell’Autore –, lo scambio lavoro-retribuzione accompagnato dalla “realizzazione della persona al ribasso”, ciò in quanto il lavoratore pur di lavorare accetterebbe qualsiasi tipo di impiego e mansione.