Appurata la fondamentale rilevanza, a vari fini (retributivi, definizione dell’area del debito,
prospettive di carriera, ecc.), che assume l’individuazione da parte delle parti individuali del
contratto di lavoro, soprattutto per il tramite del rinvio alla fonte collettiva, delle mansioni esigibili,
della qualifica, categoria e inquadramento del lavoratore, occorre a questo punto provare a fare
chiarezza su tali nozioni in quanto è diffuso un utilizzo confuso ed ambiguo di queste.
Ambiguità e confusione nell’utilizzo di tali termini dovuta probabilmente al fatto che molti di
essi (quali ad es. mansioni e qualifica) costituiscono un esempio emblematico di vocaboli acquisiti
al linguaggio giuridico dall’uso comune – dove continuano a vivere ed evolversi autonomamente –
per indicare oggetti concreti della vita di relazione preesistenti alla loro positivizzazione
696.
694 Cfr., da ultimo, Cass. Civ., Sez. Un., sent. n. 21301/2017 che richiama Cass. Civ., Sez. lav., n. 5128/2007 e n.
14608/2001.
695 Cfr. già G. G
IUGNI, L’evoluzione della contrattazione collettiva nelle industrie siderurgica e mineraria (1953-1963), Giuffrè, Milano, 1964, in particolare pp. 82-89 e 98-102 ma anche Id., Qualifica, mansioni e tutela della
professionalità, in Riv. giur. lav. pr. soc., 1973, I, p. 11 nonché R. DE LUCA TAMAJO, L’evoluzione dei contenuti e delle
tipologie della contrattazione collettiva, cit., 20.
696 Cfr. G. G
IUGNI, voce Mansioni e qualifiche, in Enc. giur., vol. XXV, Giuffré, Milano, 1975, p. 545. Secondo Giugni, tali termini sono utilizzati con una serie alternativa di significati: nel loro uso comune, infatti, designano oggetti concreti come il posto di lavoro, il mestiere, il modo di porsi del soggetto nel mercato del lavoro o addirittura il suo
status sociale. È necessario, pertanto, stabilire di volta in volta le condizioni di impiego di tali termini e, in particolare,
a) Le mansioni
Partendo dalle mansioni, termine utilizzato dall’art. 2103 c.c. (già nella sua versione originaria)
ma anche dall’art. 2071 c.c. e da (numerose) altre disposizioni di legge e contrattuali, secondo il
tradizionale insegnamento tale nozione racchiude in modo sintetico l’“attività convenuta”
697,
l’insieme di prestazioni lavorative esigili, e cioè i comportamenti concreti e specifici dovuti dal
lavoratore in un determinato contesto lavorativo
698.
Le mansioni, pertanto, altro non sono che l’attività (= lavoro) dedotta in un contratto sotto
vincolo di subordinazione, ossia l’“oggetto o il contenuto dell’obbligazione del lavoratore”
699. Lo
scopo delle mansioni è allora quello di identificare la prestazione lavorativa attraverso schemi
astratti ed oggettivi
700.
Altri Autori hanno messo in evidenza che le mansioni costituirebbero il principale criterio di
“determinazione qualitativa” della prestazione di lavoro, ciò perché esse identificherebbero il
“valore” del lavoro concretamente esigibile
701.
Altri ancora hanno considerato le mansioni quale elemento dell’organizzazione dell’impresa
fondata sulla divisione del lavoro
702.
b) Le qualifiche
Quanto alla qualifica
703, occorre precisare che tale termine ha un senso polivalente (se non
“evanescente”
704) difficile da ricondurre – in passato ma ancor più oggi – a nozioni univoche,
potendo ricorrere ad alcune distinzioni che possono tutt’al più rivelare linee tendenziali ma non un
approdo di ordine sistematico
705, anche perché nella prassi sindacale e aziendale dell’epoca tale
vocabolo aveva un significato mutevole o veniva spesso confuso o reso fungibile con altri termini
(quali categoria, grado, classe)
706.
Ed infatti, secondo l’insegnamento tradizionale, la qualifica avrebbe tre diverse accezioni,
comunque, non dotate di particolare consistenza giuridica:
697 Cfr. G. G
IUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, Jovene, Napoli, 1963,p.7.
698 La mansione sarebbe, quindi, il “compito”, l’“unità elementare ed indivisibile” in cui è scomponibile il posto di
lavoro o, se si preferisce, la posizione o funzione attribuiti al lavoratore, cfr. F. GUARRIELLO, Per un approccio
giuridico al tema delle competenze, cit., p. 139.
699 Cfr. G. G
IUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 7 ma anche Id., voce Mansioni e qualifiche, cit., p. 1 dell’estratto. Anche oggi la dottrina maggioritaria propende per tale ricostruzione, cfr., fra gli altri, C. PISANI, La
nuova disciplina del mutamento delle mansioni, Giappichelli, Torino, 2015, p. 1.
700
Le mansioni sono state descritte in questo modo da R. SCOGNAMIGLIO, Mansioni e qualifiche dei lavoratori:
evoluzione e crisi dei principi tradizionali, in Riv. giur. lav. pr. soc., 1973, III, p. 150.
701 Cfr. F. L
ISO, La mobilità del lavoratore in azienda, cit., p. 9, contra P. ICHINO, Il contratto di lavoro, vol. I, Giuffré, Milano, 2000, p. 527 e ss., il quale osserva che nella prassi la differenza retributiva è dovuta anche ad altri parametri.
702
… GUIDOTTI, Sulla determinazione qualitativa della prestaazione di lavoro nel contratto di lavoro subordinato, in
Dir. lav., 1952, I, p. 32. Contra G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., pp. 17-18, il quale critica la limitazione di orizzonte data dal confinare l’organizzazione del lavoro all’impresa.
703 Da non confondere con la qualificazione, termine che può sembrare contiguo ma che in realtà ha nel nostro
ordinamento giudico un significato proprio, positivamente dato e diverso: «titolo di istruzione e di formazione, ivi compreso quello di istruzione e formazione professionale, o di qualificazione professionale rilasciato da un ente pubblico titolato […] nel rispetto delle norme generali, dei livelli essenziali delle prestazioni e degli standard minimi di cui al presente decreto» (d.lgs. n. 13/2013, art. 2, comma 1, lett. m).
704
È questa l’osservazione di G. GIUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 33.
705 Cfr. G. G
IUGNI, voce Mansioni e qualifiche, cit., par. 2. Giugni ha, infatti, elaborato varie distinzione tra cui: quella ricordata qualifica soggettiva/oggettiva, quella tra qualifica nel/fuori il rapporto di lavoro.
706 Cfr. G. G
a) qualifica soggettiva (o potenziale
707, attitudinale) che indica una mera situazione di fatto
708,
ossia ciò che il lavoratore “sa fare” ma anche la professionalità in senso proprio (ossia l’esercizio a
scopo di lucro, abituale e continuativo, unico o prevalente di una determinata attività)
709, essa è
quindi la sintesi (o somma) di conoscenze, attitudini ed esperienze che preesistono al rapporto di
lavoro
710. Sempre secondo la dottrina maggioritaria – ma come vedremo anche secondo la
giurisprudenza prevalente –, essa avrebbe (tendenzialmente) rilevanza soltanto nel mercato del
lavoro, ma non anche nel rapporto di lavoro
711. Pertanto, la qualifica “soggettiva”, e cioè le
competenze e le caratteristiche professionali acquisite dal lavoratore mediante corsi di studio,
formazione e/o in forza dell’esperienza lavorativa pregressa, costituirebbe il “presupposto”
dell’adempimento e non già un elemento dell’obbligazione
712. In altri termini, e fatte salve alcune
eccezioni
713, è possibile che un lavoratore in possesso di una certa qualificazione professionale sia
707 Nel senso che esprimerebbe l’aspirazione del lavoratore a svolgere una determinata attività lavorativa (è il caso della
persona in cerca della prima occupazione e che possiede determinate qualificazioni o titoli di studio). In altri termini, l’iscrizione nelle liste di collocamento o l’inserimento di una qualificazione professionale nel libretto di lavoro (ora libretto formativo del cittadino) può assumere semplicemente la rilevanza di una manifestazione di volontà di muoversi nel mercato del lavoro in cerca di occupazioni in linea con la stessa, cfr. in termini simili, G. GIUGNI, Mansioni e
qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 82.
708 Che può ovviamente acquisire rilevanza giuridica laddove una disposizione (di legge o contrattuale) la qualifichi
quale elemento costitutivo di qualche fattispecie o sia produttiva di qualche effetto (vd. ad es., la nozione di competenza di cui al d.lgs. n. 13/2013).
709 Ibidem, pp. 59-60. Tuttavia, l’Autore si pronuncia in termini dubitativi rilevando anche che alcuni elementi di quella
nozione (ad es. lo scopo di lucro) erano in parti contestati dalla dottrina dell’epoca. Con specifico riferimento al lavoro subordinato, Giugni sostiene che gli elementi sopra richiamati sono estranei a quel rapporto: il requisito della continuità non sarebbe essenziale (possono essere stipulati anche contratti a termine); lo scopo di lucro, pur essendo assimilabile al carattere oneroso del rapporto, non avrebbe una rilevanza autonoma (come ad es. nella definizione di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c.); il requisito dell’esercizio professionale non assurge nemmeno a criterio (peculiare) di diligenza, stante la disposizione di cui all’art. 2104 c.c. che rinvia esclusivamente alla natura della prestazione.
710
Cfr. G. GIUGNI, voce Mansioni e qualifiche, cit., p. 1 dell’estratto. Onde, la qualifica sarebbe funzionale a descrivere la posizione lavorativa e l’inquadramento del lavoratore al fine di determinare, a sua volta, il trattamento (normativo e retributivo) applicabile allo stesso. E così, dato che la qualifica indicherebbe una sintesi del complesso di mansioni assegnate al lavoratore, il mercato del lavoro sarebbe un “mercato di qualifiche”, e cioè un mercato composto da più mercati autonomi, uno per ogni profilo professionale, con proprie dinamiche della domanda e dell’offerta, cfr. G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp. 7 e 120. Tale ricostruzione è avvalorata dal dato normativo, in particolare dall’art. 96 disp. att. c.c. dal quale si ricaverebbe che, una volta definite le mansioni di assunzione, è definita la qualifica che, identificando le figure professionali ovvero i modelli di prestazione di fatto esistenti sul mercato del lavoro e recepiti dalla contrattazione collettiva, rileva nella sua dimensione “oggettiva”, e cioè quale complesso di capacità ed abilità (id est professionalità) effettivamente esercitate ovvero potenzialmente esercitabili dal lavoratore.
711
Ibidem. La ratio di una simile scelta (politica) è rinvenibile, ad avviso di Giugni, nella diffidenza degli ordinamenti giuridici moderni verso il riconoscimento (o reviviscenza) di posizioni soggettive (status) che non hanno la loro fonte in atti negoziali e, quindi, comprometterebbero la stessa libertà individuale (tutelata, in materia di lavoro, dall’art. 4 Cost.): l’intento infatti sarebbe quello di evitare di “incanalare rigidamente” la personalità del lavoratore in un “apparato di
strutture professionali chiuse del tutto indifferenti, oltre tutto, alle esigenze dell’economia moderna” (p. 101). Tuttavia,
in questo scritto di metà anni ’70 Giugni, a differenza di quanto sostenuto nella sua monografia del 1963, ha anche riconosciuto che “negli ultimi anni innovazioni normative hanno in una certa misura ampliato l’area di operatività
giuridica della qualifica soggettiva”. Di contro, la tesi della rilevanza della professionalità (soggettiva) all’interno del
rapporto di lavoro è stata proposta in dottrina già da … ASSANTI, Autonomia negoziale e prestazione di lavoro, Milano, 1961, pp. 124 e ss.
712 Cfr. G. G
IUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 15.
713 Eccezioni (totali o parziali) alla regola (generale) dell’irrilevanza della qualifica soggettiva sono costituite da alcune
tipologie contrattuali (ad es. l’apprendistato professionalizzante è, ai sensi dell’art. 46, comma 1 del d.lgs. n. 81/2015, proprio funzionale al conseguimento della qualificazione ai fini contrattuali, pertanto nell’ipotesi in cui all’esito dell’apprendistato l’apprendista abbia raggiunto proficuamente la relativa qualifica e non vi sia stato recesso, il rapporto di lavoro deve continuare e l’oggetto dello stesso sarà individuato in relazione alle mansioni, oggettive, riconducibili
assunto in mansioni diverse (anche inferiori) o, viceversa, che un lavoratore non in possesso di una
certa qualificazione sia inquadrato in un livello di cui non possiede la relativa professionalità
(ovviamente in quest’ultimo caso tale circostanza potrebbe rilevare ai fini della responsabilità
contrattuale per inadempimento della prestazione)
714. La tesi della irrilevanza della qualifica
soggettiva ai fini della definizione del debito contrattuale del lavoratore e nella individuazione della
qualifica è stata fatta propria anche dalla giurisprudenza
715;
b) qualifica oggettiva (o reale, contrattuale), essa sarebbe una “variazione terminologica”, una
“variante semantica”
716delle mansioni (nel senso di attività lavorative) convenute nel contratto di
lavoro e, quindi, dovute
717. Ad oggi sarebbe questa la nozione di qualifica giuridicamente rilevante
(ma anche pleonastica) all’interno del rapporto di lavoro: essa, infatti, avrebbe una funzione
meramente classificatoria, e cioè individuerebbe i compiti dedotti nel contratto di lavoro, ciò che il
lavoratore fa all’interno del rapporto di lavoro (c.d. qualifica stricto sensu)
718;
alla qualifica di riferimento) o introdotte dalla legge (ad. es. per quei lavori per cui è necessario il possesso di un determinato requisito professionale anche in funzione di un interesse pubblico: è il caso dell’abilitazione ed iscrizione ad un albo professionale quale presupposto indispensabile per svolgere in modo lecito la relativa attività lavorativa, cfr. Cass. Civ., sent. n. 7770/1990; si pensi, ad es., alle professioni sanitarie, come garanzia della perizia richiesta nello svolgimento di queste, Cass. Civ., Sez. Un., n. 2365/1986) o dalla contrattazione collettiva in certi settori (ad es. il titolo di studio o professionale costituisce elemento decisivo per il diritto all’attribuzione di una certa qualifica ovvero condizione essenziale per acquisirla: in queste ipotesi l’effetto di tali clausole è limitato soltanto all’applicazione del relativo trattamento normativo ed economico ben potendo crearsi una distanza tra livello di inquadramento e mansioni in concreto svolte; peraltro la Cassazione ha anche avuto modo di affermare che “la previsione da parte della disciplina
collettiva del possesso di un titolo di studio per l'attribuzione di una determinata qualifica non impedisce che questa debba essere riconosciuta nel caso di esercizio di fatto delle corrispondenti mansioni, anche al lavoratore sfornito di detto titolo, salvo che si tratti di qualifiche comportanti mansioni per il cui svolgimento la legge richieda una determinata abilitazione professionale”, cfr. Cass. Civ., Sez. lav., n. 17158/2003 e n. 5219/1986). Nei casi, invero rari,
di necessario accertamento del’idoneità del lavoratore a svolgere una determinata attività lavorativa si parla anche di qualifica riconosciuta, la quale rileva indipendentemente dall’effettiva ricorrenza della medesima idoneità tecnica, cfr. G. GIUGNI, Mansione e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp. 76-77.
714
È anche diffusa nella prassi, e ritenuta ammissibile tanto dalla dottrina quanto dalla giurisprudenza, l’attribuzione di una qualifica convenzionale (c.d. sovra-inquadramento), e cioè l’attribuzione pattizia di una qualifica diversa e superiore alle mansioni in concreto svolte. La questione della rilevanza, o no, della qualifica soggettiva verte su due aspetti: a) se esiste, o no, il diritto del lavoratore in possesso di una determinata qualificazione a vedersi riconoscere il trattamento (normativo ed economico) proprio della qualifica di riferimento; b) se esiste, o no, un diritto ad eseguire soltanto le mansioni corrispondenti alla qualifica professionale, cfr. G. GIUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 49.
715 Cfr., per tutte, Cass. Civ., Sez. Un., sent. n. 2365/1986, così massimizzata: “Al fine di determinare la qualifica
spettante al lavoratore, qualifica che, secondo il disposto dell'art. 2103 c.c. deve essere corrispondente alle mansioni di fatto espletate dallo stesso, sono irrilevanti in generale i titoli di studio posseduti dal lavoratore medesimo, a meno che le parti, nell'esercizio della loro autonomia contrattuale, non abbiano inteso conferire valore esclusivo al requisito formale, costituito dal possesso di un determinato titolo di studio, prescindendo dalle caratteristiche delle mansioni effettivamente assegnate dal datore di lavoro al lavoratore”.
716 Cfr. G. G
IUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 15 e 32.
717 In altri termini, la qualifica sarebbe l’espressione abbreviata della locuzione “addetto alle mansioni di…”, cfr. F.
GUARRIELLO, Per un approccio giuridico al tema delle competenze, cit., p. 139.
718
È stato, infatti, posto in rilievo che ciò che rileva (giuridicamente) sono le mansioni oggettive dedotte nel contratto di lavoro, e non le caratteristiche professionali del lavoratore, cfr., fra gli altri, F. CARINCI,R.DE LUCA TAMAJO,P.TOSI, T.TREU, Diritto del lavoro. Il rapporto di lavoro, Utet, Torino, 2011, p. ….. In altri termini, il lavoratore ha una
qualifica in quanto si è obbligato a svolgere una serie di mansioni corrispondenti a determinate caratteristiche
riconducibili ad un lavoratore-tipico (ad es. tornitore, gruista, ecc.), ma tale termine non è altro che un nomen juris che non esaurisce l’elenco di tutte le attività lavorative esigibili ma ha soltanto il pregio e la funzione di agevolare la sussunzione in grandi gruppi (categorie in senso lato) di mansioni omogenee, cfr. G. GIUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., pp. 32-33.
c) categoria di inquadramento contrattuale (o livello), è questa la nozione più ampia di qualifica
che indica quelle categorie di classificazione (contrattuale), la cui summa divisio è quella di cui
all’art. 2095 c.c. (c.d. categoria legale al cui interno raggruppa vari profili professionali, le
qualifiche appunto) e il cui scopo è quello di esprimere “effetti giuridici uniformi e cioè
l’obbligatorietà dello stesso trattamento economico e normativo in base alla legge e ai contratti
collettivi”
719.
Al riguardo, occorre anche far presente che tradizionalmente nei contratti collettivi
l’elencazione delle qualifiche descrivono, di norma, non l’attività lavorativa nella sua oggettività
bensì un determinato profilo professionale, un mestiere o una professione
720, un tipo di lavoratore
(operaio, impiegato, specializzato o qualificato, dattilografa, tornitore, ecc.): è questa la c.d.
qualifica professionale
721. Da qui la tendenza in alcuni Autori a parlare anche di qualifica come
status professionale del lavoratore
722.
In letteratura si è discusso a lungo sull’esistenza o no di un “diritto alla qualifica” inteso quale
diritto autonomo e distinto dagli altri
723.
Alcuni autori hanno avanzato la tesi dell’inesistenza di un simile diritto in quanto la qualifica
non si potrebbe ritenere un bene giuridicamente protetto e meritevole di tutela a prescindere dal
trattamento economico e normativo
724.
719 Cfr. G. G
IUGNI,voceMansioni e qualifica, cit., p. 2 dell’estratto. Ricorre a tale termine, T. TREU, Qualifiche, oggetto
del rapporto di lavoro e mobilità, in AA.VV., Inquadramento unico e professionalità (problemi organizzativi e mobilità professionale), Atti del Convegno su “I problemi giuridici dell’inquadramento unico”, Bari, 16-17 dicembre 1972,
Milano, 1973, p. 26.
720 Per professione deve intendersi quel “concetto unitario” che ricomprende in sé i termini di professione, arte e
mestiere nel loro senso corrente, e cioè “il complesso delle operazioni (compiti) costituenti l’attività abituale di un individuo”, cfr. G. GIUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., p. 26 che cita il Dizionario delle
professioni, Ministero del Lavoro, I, 1958, p. VIII. Di contro, il termine professionista è utilizzato nel nostro
ordinamento – seppur in un ambito e per uno scopo limitato – come equivalente di «persona fisica o giuridica che agisce nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale» (art. 3, comma 1, lett. c) del d.lgs. n. 206/2005, c.d. Codice del consumo).
721 Cfr. G. G
IUGNI, Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro, cit., pp. 25-26, il quale tuttavia giustamente rileva che le qualifiche professionali a cui fanno riferimento le declaratorie contenute nei contratti collettivi non prendono in considerazione le capacità tecnico-pratiche come attributo del soggetto ma come attributo delle mansioni, dell’attività lavorativa dovuta. In altri termini, le qualifiche dei lavorato sono “qualificazioni oggettive della prestazione”, a nulla rilevando che i sistemi di inquadramento possano far riferimento, per brevità, ad un “lavoratore-tipo” comunque contraddistinto da connotazioni obiettive.
Peraltro, sulla base di un’indagine empirica, Giugni ha messo in luce che le esemplificazioni presenti nei sistemi di inquadramento dei contratti collettivi contengono soltanto in parte elenchi di mestieri e professioni (nel senso di posizioni professionali connesse a un esercizio abituale di una data attività lavorativa): infatti, nei livelli più elevati, senza dubbio, sono presenti qualifiche specializzate ben distinte, espressione di, o comunque riconducibili a, determinati mestieri, tuttavia nei livelli più bassi le qualifiche appaiono più come “descrizione di mansioni […]
facilmente scambiali tra loro” che non vere e proprie professioni.
722 Tale tendenza, però, rispecchia concezioni corporative o, comunque, una certa resistenza all’introduzione di nuove
tecniche organizzative che di fatto disgregavano le vecchie “qualifiche”, cfr. G. GIUGNI, voce Mansioni e qualifica, cit., p. 3.
723 Su tale ricostruzione cfr. R. N
UNIN, La classificazione dei lavoratori subordinati, cit., pp. 507 e ss., ma anche G. GIUGNI, voce Mansioni e qualifica, cit., p. 2 dell’estratto, che ha evidenziato che tale nozione enfatizza, in modo confusionario, dati ovvi, ossia il diritto alla conservazione delle mansioni di assunzione o di quelle effettivamente esercitate che altro non sarebbe che il “diritto a non fare ciò a cui non si è obbligati”.
724 Cfr., fra gli altri, G. G
IUGNI,Mansioni e qualifica nel rapporto di lavoro,cit., p. 34; U. CARABELLI, Osservazioni in
tema di diritto alla “maggiore qualifica” e di prescrizioni dei crediti del lavoratore, in Riv. giur. lav., 1975, II, pp. 1024