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IL QUIJOTE SECONDO AMERICO CASTRO

Cervantes, al momento di comporre l’opera, si rifugiò in se stesso, nel suo mondo immaginario, per reazione ad una società in declino che non lo ospitava, non lo comprendeva, e nella quale insomma non riusciva ad integrarsi. Si pensa che il Quijote sia stato concepito in carcere, perciò in totale reclusione e solitudine. L’autore stesso percepisce che il suo libro non è come gli altri che si stampano in quel periodo. Mentre lo scrive ha mille dubbi. Si chiede se il pubblico lo apprezzerà, se lo comprenderà. Percepiamo un Cervantes anticonvenzionale, che si doveva misurare con Lope de Vega o con Quevedo. Lui e Lope si trovavano agli antipodi. Lope seguiva la tradizione ed era famoso, giacché seguiva la moda colta più favorita del suo tempo. Ma Cervantes, incurante, ascoltava la sua voce interiore : “No quiero irme con la corriente del uso”30 : infatti, più che di epica, sulla quale ironizza, egli racconta la storia di due personaggi che sembrano esseri viventi, fatti di carne e ossa. don Quijote e Sancho vogliono essere quello che sono, anche se questa scelta implica andare contro tutti. Questi personaggi sono, infatti, autentici, indipendenti, “mondos y desnudos”31

. Castro vede in Cervantes un riflesso dell’erotica pastorale, in quanto è nel racconto pastorale che il personaggio letterario emerge come singolarità umana, come espressione di un “dentro de sì”32. Ciò che conta è l’interiorità del personaggio, perché il suo impulso vitale

nasce dalla sua anima, ascolta se stesso e vive di se stesso, questa è la grande novità che Cervantes mette in campo e che ricorda il concetto di interiorità erasmiana e della mistica. Il secolo XVII vede la fuga dalla nudità umana verso metafore, simboli, concetti. Cervantes va controtendenza, recuperando l’autonomia umana dell’Umanesimo e del Rinascimento. La figura del pastore è una figura libera che vaga per i campi e i monti, a contatto con la natura e con gli animali che pascola. Questa figura entra in conflitto con il mito. Il Quijote non è semplice critica del mito cavalleresco, ma è superamento del mito stesso.

30

Op. cit. vedi nota 12, p. 233.

31

Ibid, p. 243.

32

40 Cervantes descrive la storia di un folle-saggio che si prende la libertà di portare a termine le proprie ispirazioni, si libera dalle catene, dalle angosce della vita solo grazie alla sua follia. Ci interessa quello che fa don Quijote nella misura in cui percepiamo la sua vera essenza sotto l’apparenza del personaggio. Le figure come lui hanno una doppia dimensione, fatta di un intramondo e di un’ apparenza, per questo i protagonisti principali del Quijote sono individui singolari, e non tipi predefiniti. Le loro illusioni, follie, moralità, non valgono nulla se staccate dalle loro figure che prendono vita grazie a un’incitazione che viene dall’esterno, e dalle azioni che conseguentemente essa provoca. All’inizio i due personaggi sono presentati come tipi : don Quijote è l’hidalgo, Sancho un rozzo contadino. Ma poi prendono vita, don Quijote grazie ai libri del genere cavalleresco, Sancho grazie a don Quijote che lo trascina via da casa e dalla sua vita misera. Tutto questo accade grazie a un’incitazione esterna che va a illuminare l’intimità dell’anima. Quindi si può dire che il personaggio attraversa una “crisi” che separa ciò che egli era da ciò che sarà. Il “logos” che ha il compito di dargli vita e forma, riesce nel suo intento solo perché dall’altra parte c’é una figura umana che ha un animo disposto ad accoglierlo per fuggire da un’esistenza misera. Così l’illusione è scaturita da un processo vitale o se si vuole il contrario. Cervantes preferisce gli squilibrati, coloro che sono “incitati” come don Quijote e prova poca simpatia, secondo Castro, per il cavaliere dal verde gabbano o per l’ecclesiastico al servizio dei Duchi. Il cavaliere errante è allo stesso tempo creazione di Cervantes e creatore di Dulcinea, passando da un’illusione all’altra porta dentro di sé Alonso Quijano e si proietta allo stesso tempo nel cavaliere dalla triste figura. I libri cavallereschi penetrano nel vivo dell’hidalgo facendolo sentire don Quijote che va contro i mulini a vento credendoli giganti, farà di Sancho un sognatore di isole. La parola scritta dei libri è dunque importante nella misura in cui la sua vitalità contagia. Secondo A. Castro, sentire i libri come realtà viva, animata, comunicativa e incitante è un fenomeno di tradizione orientale, infatti, è strettamente connesso alla parola rivelatrice. L’ idea della religione “rivelata” nei libri sacri è orientale e non occidentale. È una caratteristica della Spagna del XVI secolo quella di sottolineare gli effetti della lettura dei libri sui lettori e

41 le proprie vite. I libri sono in sostanza esseri viventi animati dallo spirito. Questa, sempre secondo Castro, è l’eredità di anni e anni di tradizione islamica in Spagna. La novità di questo modo di fare letteratura non è solo la possibilità della lettura di un’opera di cambiare la vita, ma che nell’opera stessa convivono l’incitato e coloro che lo stanno a guardare. Quindi, la metamorfosi è uno dei temi fondamentali del romanzo : Il romanzo si apre, infatti, con la presentazione del protagonista, un modesto hidalgo della Mancha, divoratore maniacale dei libri di cavalleria, il quale preso da singolare pazzia e stanco di una realtà piatta, decide di mutarsi in un cavaliere errante che in nome della sua dama va in cerca di avventure e gloria. D’ora in poi la realtà apparirà trasfigurata nella visione di don Quijote : i mulini saranno per lui giganti, le locande castelli, le sguattere gentildonne ecc. Fin dai primi capitoli appare chiaro il progetto di Cervantes di elaborare una parodia dei libri di cavalleria. Il modello esige che il cavaliere subisca innumerevoli lacerazioni nel corpo. Queste ferite, che nell’epica cavalleresca hanno un significato e un peso peculiari, diventano in questo romanzo, dei tagli umani ingloriosi che rendono più ridicola l’immagine di don Quijote. Infatti, nel XX capitolo della prima parte, dopo una serie di bastonate, maltrattamenti vari e senza ormai denti, verrà nominato da Sancho, suo fedele scudiero, cavaliere dalla triste figura. Il protagonista della prima parte riceve legnate, e quindi il senso del comico prevale. Nella seconda parte, don Quijote è un personaggio famoso, le cui stravaganze tutti conoscono, perché hanno letto la prima parte. Adesso egli non subisce percosse, ma sarà oggetto di derisione. La sua pazzia sarà accettata e sollecitata da chi intende divertirsi un po’ con essa. I personaggi secondari diventano complici. I Duchi preparano le loro macchine teatrali : il carro di Merlino, il disincanto di Dulcinea, la Matrona Desolata, l’avventura con Clavilegno, il governo dell’isola di Barattaria. A Barcellona, don Antonio Moreno fa conversare il nostro paladino con una testa incantata. Sansone Carrasco, credendo di salvare il suo amico, si traveste da Cavaliere della Bianca Luna. Forse Cervantes, come dice Borges, inaugura un genere di letteratura, che avrá Kafka per successivo esponente, secondo cui ogni impresa umana è predestinata al fallimento. Fin dall’inizio di questa storia, Alonso

42 Quijano è stato concepito per il fallimento. Non potrà mai essere don Quijote, e lo confermano gli ultimi capitoli insieme all’epilogo. Il primo capitolo preannuncia già la fine. La pazzia del protagonista non è descritta progressivamente, a Cervantes basta dire che il povero cavaliere perse il giudizio. don Quijote, si autoinganna, quando per paura di rompere la celata per la seconda volta preferisce pensare che era forte e non la prova. Alla prima uscita don Quijote era contento perché con facilità aveva dato principio al suo

buon desiderio. Come scrive Borges nell’introduzione al romanzo, alla fine di

questo sogno, quando la vita e le illusioni del cavaliere giungono al capolinea, si comprende che Alonso Quijano o don Quijote sono ormai l’ingenioso hidalgo Cervantes.

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DON CHISCIOTTE DELLA MANCIA VS CAVALIERE DAL