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Analisi del valore della stabilità

nell’opera d’arte

*

Luca Taddio

I.

A un primo sguardo, nel quadro Gli ambasciatori di Holbein non appare alcunché di inconsueto. Lo spettatore gode dell’esperienza estetica offerta dall’opera collocandosi, come naturale, frontalmente al dipinto. L’intero spazio compositivo

Capiamo di cosa si tratta solo a partire da una prospettiva obliqua; allontanandoci di qualche metro e guardando di scorcio l’opera, appare un’altra cosa. Questo sguardo laterale ci restituisce un’immagine diversa: al posto della “macchia come rileva Lacan nel Seminario XI – una schisi fra occhio e e lo sguardo, che coglie il senso e la vita delle cose. L’ontologia al centro dell’opera. L’analisi dell’esser cosa dell’oggetto che vediamo e che al contempo non vediamo ci è negata a fronte possiede ci orienta nel mondo della vita. Il mondo visibile ha per

capacità di adattamento: percepiamo cose ed eventi con certe caratteristiche e con una certa stabilità fenomenologica. esercitata sulla base di un’esperienza estetica di un mondo relativamente stabile. La funzione della cornice del quadro è simmetrica: stabilizza, circoscrive un’area di senso. Lo sguardo necessita della cornice dell’occhio per delimitare un campo, un orizzonte di senso. L’occhio ci apre a una prospettiva sul mondo visibile: ci guida in una certa direzione. L’equivalente dell’occhio, possiede un’unità di senso. L’occhio possiede una

prospettiva limitata sull’ambiente. Le nostre interpretazioni sono il prolungamento concettuale dello spazio visivo: capiamo a partire dalla condivisione di un mondo prelinguistico dotato di senso (Sinn

condizione in cui già originariamente siamo orientati in una certa direzione. La direzionalità della vita implica il nostro essere in movimento: ogni forma di vita lo è. Solo astrattamente ogni azione può essere interpretata come equipollente a un’altra: una

vale come un’altra, visto che ognuna avrà per

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noi esiti diversi. Ogni azione intrapresa è soggetta a continue biforcazioni. Ciascuna mossa sulla scacchiera possiede di per sé lo stesso valore: ciò non vale all’interno della dinamica del gioco, Nella produzione (

dall’opera. Come spiega Platone nella Repubblica, l’artista (in cui coglie l’idea, il momento opportuno proprio del ; per giungere al tempo agito (

realizza l’opera per consegnarla alla stabilità del tempo eterno (

in armonia all’interno della non imita la cosa, imita la forma: rivolge il suo sguardo all’essenza della forma, verso il suo

invece di trovare da sé, all’interno della propria soggettività, il il suo fare non partecipa della dimensione dell’ ; il suo fare non è, in verità, un fare, poiché non disvela imitando (non

inventa 1 Ecco lo scandalo che sta all’origine dell’arte.2 Come può essere l’opera un’affermazione soggettiva: su quale base agisce? Su quale fondamento? Come può creare ex nihilo? Idea, quest’ultima, assente nel pensiero classico.

resistenza al questa resistenza. Non possiamo scrivere una poesia come vogliamo o agire sulla tela secondo i nostri desideri. Ogni agire è mondo, esso non è mai identico.

Torniamo sull’immagine da cui siamo partiti: vi è qualcosa nel che non possiamo intendere direttamente. La lettura frontale ci

il puro non essere. La cosa invisibile, ciò che a prima vista non

1 M. Cacciari, Dell’inizio, Adelphi, Milano 1990, p. 411.

Le forme del fare,

se invisibile a uno sguardo frontale: il senso negativo della siamo guidati da una positività d’essere, le cose sono per noi degli utilizzabili, qualcosa diventa utilizzabile solo se utile al L’occhio ci preclude la visione del negativo, ossia ciò che potrebbe annichilire il nostro movimento verso le cose. Non vediamo il teschio – la morte – altrimenti come potremmo dare un senso al nostro agire? Come potremmo orientare le cosa, o un’immagine di ciò che possiamo diventare. Non è un’immagine speculare: il nostro volto è escluso, ed è escluso l’intero orizzonte narcisistico che contraddistingue la nostra – una componente narcisistica propria del soggetto che sa, implicitamente, di essere al contempo vedente e visibile. Noi siamo sia colui che vede sia colui che è visto. Il nostro corpo è connotato da questa ambiguità: intreccio tra visibile e invisibile, interno ed esterno, oggettivo e soggettivo, attivo e passivo. come invece lo è un corpo morto. Solo l’altro può essere per allo specchio del nostro corpo sta all’origine della formazione dell’Io: oggetto di godimento relazionale, di narcisismo, di una continua attività orientata alla vita del soggetto. L’Io

rappresenta la stabilizzazione del soggetto, mentre l’opera, nel suo stare, ci offre il valore della stabilità: questo è il suo modello originario, la possibilità di avere un valore che il tempo non può corrodere. L’opera non è un processo continuo: è una forma che si stabilizza nel processo.

L’arte rappresenta una positività d’essere: una cornice di senso. Il senso (Sinn

egli deve agire sensatamente se vuole sopravvivere. Tale forma del nostro agire, e non la sua possibilità. Questa “vitalità estetica del mondo. L’arte produce un senso stabile di ciò che il mondo dev’essere per noi, ne coglie l’essenza per rendercela visibile, come se ci volesse mostrare il volto di Dio.

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fatta di armonia, equilibro e simmetria. Lo stupore dell’arte – la dimensione sensibile del mondo – è lo stesso sentimento

non essere. L’occhio, in quanto visione limitata sulla cosa, è essenziale: se vedessimo la cosa nella sua totalità, vedremmo congiuntamente il positivo e il negativo, e verrebbe così meno la nostra prospettiva sul mondo, la nostra direzione d’essere, potessimo vedere concretamente l’attualizzarsi del negativo (il della morte renderebbe il valore delle nostre azioni equipollenti. Nel momento in cui ogni mossa sul piano della scacchiera conduce alla perdita del Re, allora è scacco matto. In questa situazione ogni altra mossa non ha più valore. Senza questo termine ultimo rappresentato dal Re il gioco non avrebbe senso: senso che sta a condizione del nostro agire. Un essere eterno vedrebbe ogni direzione di senso come equivalente, dato che in linea di principio avrebbe tempo per realizzare ogni cosa.

Se la cornice dell’occhio si aprisse, non vi sarebbe più sguardo di mondo. La totalità visibile annulla la nostra soggettività: annulla ogni possibilità di agire. Verrebbe meno il nostro essere

non si dà alcun problema gnoseologico: l’esplorazione del soggetto, il suo agire conoscitivo è dato dal rapporto tra visibile e invisibile proprio della nostra prospettiva sul mondo. La cosa, colta con occhio divino, in tutte le sue manifestazioni, non implica alcuna domanda di senso, non richiede alcun agire: tutto sarebbe perfettamente dispiegato. Il nostro sguardo è parte di un tutto che, interrogandosi su se stesso, trova la positività propria di una forma di vita. Il suo agire è espressione della volontà di utilizzabili, per dominare il processo del divenire. Il mortale

la cosa nella sua stabile presenza. Il principio è perfettamente coerente e conforme al mondo fenomenico. Per essere questa cosa, non

per essere, di non essere tutte le altre. Se il soggetto vedesse ciò che naturalmente non vede, vedrebbe il senso della propria negazione: non sarebbe più un soggetto orientato alla vita. Colui che agisce e si muove vedrebbe contrarsi l’orizzonte di senso, le possibilità di agire, sino ad annullarsi nella staticità della

relativamente a un dato sistema di riferimento (per esempio

deve implicare un sistema di riferimento. Il suo valore è sempre relativo

a rigore, implica l’assenza del tempo: è l’immagine di un istante

quel uomo possiede per noi qui e ora; tuttavia, in quell’istante avvengono, all’interno dell’uomo, milioni di cambiamenti. La morte segna la rottura di equilibrio di un sistema

relativamente stabile. In questo senso la morte assomiglia stato muta, perché dovremmo dare a un singolo passaggio di cangiamento maggior rilievo? Non esiste in natura un corpo immobile: non esiste in natura la morte. Non siamo in grado ma solo relativamente

certa determinazione, ne predichiamo il suo essere sulla base non potrebbe essere ciò che è. L’annientamento ha per noi

instabilità, irreversibile, di quella forma di vita. Il valore negativo della morte ci è manifesto solo per analogia, ossia rispetto ad altri: è l’unico evento fenomenologico che non può essere vissuto in prima persona.

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partecipa a questa struttura del mondo. Prendendo in prestito le parole di Goethe potremmo forse dire che: “Se l’occhio noi a essere a forma di mondo, e non viceversa (come una

in una costitutiva instabilità propria di un sistema dinamico.

una decisione, bensì in esso emerge la struttura profonda del mondo della vita: è il mondo che parla attraverso il soggetto. Il soggetto tende alla stabilità, come un campo di energia tende a stabilizzarsi. Questo gioco tra movimento (

all’ordine propria del comportamento della materia. L’opera d’arte incarna il senso stabile della Gestalt. Il tramonto degli

intendevano denominare col termine “

Stando a quanto afferma Aristotele nella scaturisce dal

visibile del mondo. Tuttavia, il termine contiene il termine ; possiamo ascoltare in esso la voce del mortale che nomina è la possibilità della cosa di oscillare tra l’essere e il nulla, poiché egli sa che tra queste cose che divengono nulla vi è egli stesso. Conoscere il vero rappresenta l’autentico rimedio al dolore.3 Il pensiero greco pensa la verità come “che

-stéme epí

via via irrompendo, nel divenire del mondo: lo stare sopra ogni

Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Adelphi, Milano 1989, p. 29.

4 Tale sapere universale e necessario quanto verità, anche il limite dell’agire umano e il limite dell’agire sta

diventando altro, diventerebbe una non verità. La verità è ciò che non può essere smentito, né alterato dal divenire del mondo.

divenire. Tramonta l’

in cui l’uomo non possiede più un fondamento stabile: etico, segna quindi anche l’impossibilità di un fondamento dell’opera d’arte: l’arte muore. In linea di principio oggi qualunque cosa può diventare un’opera d’arte. Abbiamo delineato un quadro entro cui ci stiamo muovendo. La posta in gioco per un “nuovo

cul-de-sac 5

L’opera è riuscita quando – per mano dell’artista – si afferma una forma stabile, un risultato che non richiede né aggiunte né sottrazioni. L’arte esprime l’atto di creazione della cosa visibile nella sua stabilità. L’opera d’arte, tradizionalmente, non

base dell’operare artistico è il mezzo per raggiungere un certo il modello del tavolo, non il tavolo qui e ora presente dinnanzi a me, esprime l’essenza della cosa e non la singola cosa. Il processo di imitazione della cosa sensibile è accompagnato da un processo di trascendenza. L’opera d’arte idealmente immutabile rappresenta la massima stabilità. Essa è posta al di fuori del tempo; come la verità, si sottrae al divenire per esserne la spiegazione. I canoni dell’opera emergono nel processo, elementi trascendenti: non stanno né prima né dopo e neppure fuori dal tempo. L’arte è la dimostrazione del passaggio dalla contingenza della cosa all’assoluta stabilità dell’opera. L’arte

4 Id. Oltre il linguaggio, Adelphi, Milano 1992, p. 39. 5 Cfr. L. Taddio, Verso un nuovo realismo

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esprime il processo di creazione; sta all’interno della verità come : dis-velamento. L’arte sta, invece, all’opposto una contraddizione in termini, poiché si dà forma, si stabilizza ciò che non siamo in grado di spiegare. La cosa visibile viene ricondotta alla sua unità originaria invisibile. Alla base dell’arte

ciò che ci consente di cogliere la cosa nella sua determinatezza, di controllare la sua diviene come le altre, il suo senso è qualcosa di assolutamente

creazione. Il mortale è l’abitatore del tempo che, come tutte le cose, nasce e perisce. Poter controllare tale processo

incontrovertibile, il divenire delle cose. Si intende affermare un sapere in grado di determinare la natura che minaccia costantemente la nostra esistenza. Un sapere utile al mortale per incrementare la volontà di essere un individuo stabile; di sottrarsi, come le opere d’arte, al continuo cangiamento. Dominare la cosa per farne uno strumento nelle nostre mani

Anzi, come asserisce Ortega y Gasset, l’uomo non vuole solo bienestar

con Ortega, ma soprattutto con Heidegger, la comincia a mostrare il suo tratto essenziale: cessa di essere un semplice

II. L’

– seguendo l’analisi di Emanuele Severino – se la conseguenza inevitabile dell’ è l’isolamento della terra dalla verità del destino. A condurre all’inevitabile tramonto l’

isolamento della cosa è

conseguente al suo incominciare ad essere dal niente.6

L’annientamento del sogno del mortale di poter cogliere verità incontrovertibili è determinato dall’impossibilità degli immutabili di pensare il divenire: “L’evocazione degli immutabili e la loro distruzione formano le due epoche in cui si sviluppa

7 L’ è quindi evocata per dominare il divenire, ma è essa stessa a rendere impossibile il divenire. Gli immutabili e gli eterni che l’Occidente ha evocato per salvarsi, cioè per dominare l’irruzione del divenire sono e il dio dell’immanentismo moderno, l’ordine e il diritto

naturali, così come il bene e il bello naturali, l’anima immortale della Chiesa, l’autorità del padrone, del monarca, dello Stato, i rapporti di produzione dell’economia capitalistica, la legge morale, il determinismo della natura, la razionalità dialettica della storia, l’irreversibilità del tempo, la società comunista come sbocco della lotta di classe. Alla radice di tutti gli

immutabili sta quell’immutabile che è l’ , ossia il luogo, lo spazio non oscillante in cui possono essere innalzati con verità tutti gli immutabili.8

sottosuolo, ha mostrato da tempo l’inevitabilità della distruzione del fondamento della verità ogni verità assoluta possiamo indicare, d’accordo con Severino, della verità come sapere incontrovertibile si infrange, la verità diventa sinonimo di potenza e dominio: “la scienza moderna,

9 Il suo dominio è legittimato dal suo essere la forma più potente di previsione che l’incominciare a esistere delle cose: è l’irruzione dell’inatteso. Tale imprevedibilità minaccia l’esistenza di ogni cosa, in primis quella del mortale: è volontà del mortale salvarsi dalla minaccia del divenire. Ogni forma di salvezza appartiene alla volontà di salvezza che coincide con il dominio; la scienza moderna è il

6 Id,

La tendenza fondamentale del nostro tempo

8 Ivi, p. 19.

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termine ultimo di questa storia del dominio: “All’uomo moderno unnuovo riparo dal dolore, dalla morte e dall’angoscia, una nuova forma di dominio, una nuova previsione. Si fa innanzi la previsione dell’uomo e di Dio sono “l’essenza10 stessa della Tecnica, ossia è quella volontà di potenza che raggiunge la propria espressione

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La fede nell’esistenza del divenire sta a fondamento

rimedio più potente, “proprio perché pone al riparo dall’angoscia

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Oggi che il sodalizio tra l’uomo e la tecnica si è fatto evidente, tempo. Ci si interroga sul senso stesso dell’arte in conseguenza

indipendente; l’opera isolata dalla cornice risponde al progetto quindi isolato dal processo: è qualcosa che deve trascendere il tempo che annienta nel suo divenire ogni cosa. Un sogno senza uno sfondo che la accoglie.

Ogni individuo si dà all’interno di un campo di forze, la sua resistenza è il tempo della sua esistenza.

La storia porta l’operare artistico a intrecciarsi allo sviluppo della produzione tecnicoindustriale.

I mezzi di produzione, mutando da artigianali a industriali, oggi sono due mondi non a caso inscindibili. Il lavoro dell’artista all’interno del suo processo di formazione dell’opera. Possiamo comprendere l’opera in rapporto al processo e al lavoro che l’ha generata e non all’atto che pretende di precederla o di astrarla. Attraverso il progetto, l’opera viene consegnata al mondo della

quanto realizzata da Kant, da Michelangelo o da Brunelleschi.

10 Id. Oltre il linguaggio, cit., p. 42. 11 Ivi, p. 52.

12 Ivi, p. 49.

L’opera non è pienamente riducibile a un prodotto storico; l’arte tende progressivamente a ricercare le premesse stesse del suo fare approssimandosi all’origine della creazione. Il rapporto evidente che oggi intercorre tra arte e tecnica determina un mutamento nel modo di considerare l’opera e la genealogia di senso che deriva dal suo approssimarsi all’origine.

Oggi le opere che ci vengono presentate non esprimono il mistero della creazione, sono atti soggettivi di creazione. Tutte L’arte non è più qualcosa che realizziamo con le nostre mani.

perfezione, verso un modello trascendente.

oggi i designer

sarebbe artistico, ogni fare sarebbe artistico e ogni cosa potrebbe diventare un’opera d’arte all’interno di un certo

a quell’esperienza che si è inteso, tradizionalmente, connotare attraverso questo concetto.

Arte e tecnica sono forme della volontà di potenza: la tecnica

Il mortale ha inteso l’opera come mistero: l’opera esprime l’ineffabile senso della vita. Il mistero dell’esistenza delle cose è posto in opera attraverso la cura per la forma stessa. Non si tratta più di comunicare qualcosa, bensì di ripetere un gesto

dello spazio espressivo in grado di approssimare l’essere al presuppone un punto di origine: l’arte si afferma come “spazio

della coscienza individuale non è più vera fede; se l’arte è un atto creativo individuale, non è più vera arte. Entrambi sono

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ricerca ed espressione di quell’assoluto che sta alla base della

prima, preconizzava la morte dell’arte. Tuttavia chi muore non tecnica, viene meno in quanto invariante antropologica. Il mito racconta come inizialmente la tecnica fosse un dono rubato agli dèi. Prometeo è stato punito per aver portato il fuoco all’uomo: esso rappresentava il potere dell’uomo sulla natura e quindi la possibilità di porsi al riparo dalla natura attraverso la tecnica. La tecnica rappresenta il rimedio a questa originaria cesura tra uomo e natura. L’intreccio tra arte e tecnica oggi esprime la tendenza fondamentale del mondo contemporaneo. dev’essere misurabile e calcolabile, anche la nostra formazione: il nostro agire produttivo per essere valutabile dev’essere misurabile. Il corpo è un a priori fenomenologico, esso

che ci circondano: ma rimarrà questo il sistema di riferimento attraverso cui pensiamo il senso dell’abitare? La progressiva penetrazione della tecnica all’interno del nostro corpo

comporterà il disseminarsi del corpo nello spazio per diventare corpo-espanso non è saranno parte integrante del nostro pensiero; si tratta di portare è alle porte. L’ibridazione sarà compiuta quando la tecnica diventerà tutt’uno con la nostra intenzionalità cosciente. Allora intelligente, bensì la rete di connessioni uno-molti in uno spazio tanto virtualizzato quanto reale di un nuovo soggetto espanso. conosciamo come homo sapiens

della sintesi tra la tecnica e la natura dell’uomo. In questa prospettiva, quale sarà il senso del domandare etico e artistico dell’uomo? L’arte cesserà completamente la sua funzione? Le risposte possibili dipenderanno dal sistema di valori adottato o, meglio, dal sistema di riferimento immanente alla nuova forma di vita. Il valore della stabilità non è il frutto di una volontà soggettiva: tale sistema dovrà anch’esso tendere alla stabilità. Affermare che la è

ontologico entro cui la afferma se stessa attraverso l’homo technologicus. Il corpo segna l’orizzonte ultimo della che abita, seppur spazialmente disseminato. A questo livello

un lato, un possibile oggetto per l’homo faber e, dall’altro, tale nuovo soggetto è costantemente oggetto di sperimentazione per la natura nel suo complesso.

Non vi è più un soggetto che vuole adattarsi a un certo ambiente, che vuole e desidera realizzare i suoi bisogni; al

razionale: essa, per sopravvivere, necessiterà di emozioni, che oltrepassa la logica delle emozioni vorrà ancora vivere? La vita non è il frutto di una decisione, non è una scelta, in nessun momento noi decidiamo di vivere. Per vivere orientata verso una direzione, determinata dal fatto che il mondo è immediatamente portatore ed evocatore di senso. Dio rappresenta la risposta antropologicamente naturale rappresenta un elemento trascendente atemporale in grado di stabilizzare il senso della vita. L’uomo è un residuo irriducibile